I regolamenti comunitari e l'attività notarile
I regolamenti comunitari e l'attività notarile
di Giovanni Liotta
Notaio in Torino
Il presente contributo mira ad mostrare i riflessi dei Regolamenti comunitari sull'attività notarile, al fine di superare il pregiudizio per cui, se in un atto ci sono solo cittadini italiani, posso ignorare il diritto comunitario.
I Regolamenti comunitari, nell'ambito delle fonti del diritto, sono caratterizzati dall'applicabilità senza bisogno di "filtro" per cui, una volta entrati in vigore, sono norme interne a tutti gli effetti, con l'aggravante della matrice comunitaria, nel senso che il diritto comunitario fa sì che quella norma prevalga sulla norma interna contrastante, che si deve, quindi, disapplicare.
Propongo a titolo esemplificativo il seguente caso:
La "Pane e Panelle s.a.s. di Rosario Rosari e c.", con sede legale in Palermo è titolare di una rosticceria a Palermo. Il socio accomandatario, invaghitosi di una cittadina inglese, da qualche anno vive a Londra, dove con la stessa società gestisce una pizzeria. Dopo i primi successi commerciali, la crisi economica ha colpito gravemente la sua attività e, dovendo pagare i creditori, Rosario Rosari ha deciso di vendere l'azienda palermitana a Vito cittadino italiano.
Il notaio potrebbe pensare che, trattandosi di un cittadino italiano e di una società italiana, sia sufficiente una visura del registro delle imprese di Palermo per controllare che non vi sia una sentenza di fallimento. Non è così. Esiste, infatti, il Regolamento (CE) 1346/2000, operativo a tutti gli effetti, che si occupa dei fallimenti intracomunitari e cerca di dare una normativa comune alla materia fallimentare in senso ampio. Presupposto di questo Regolamento è che si tratti di persone fisiche e giuridiche che abbiano il Comi (Center of main interest) vale a dire la sede legale o la residenza abituale in uno Stato membro. Il Regolamento si applica in tutte le procedure in cui sia previsto uno spossessamento dei beni e ci sia la nomina di un curatore. Se la società è dichiarata fallita nel Regno Unito, quella società è fallita anche per l'Italia e la sentenza del fallimento inglese, purché sia stata oggetto di pubblicità nel Regno Unito, secondo le regole del Regno Unito, è una sentenza che produce i suoi effetti anche in Italia, anche se non ce ne è traccia nei registri italiani. Si potrebbe obiettare che, anche per le norme del Regolmento, l'Autorità di regola competente è quella della sede legale. Il punto chiave del Regolamento è che, se come detto la regola è che il Comi deve essere in Italia per dichiarare un fallimento in Italia, qualora il giudice ritenga che il centro principale degli affari di un soggetto sia all'estero, derogando alla regola della sede legale, può pronunciare la sentenza di fallimento l'Autorità estera. Se, quindi, la nostra srl ha una sede a Palermo, ma si riesce a dimostrare di fronte ad una insolvenza che il vero centro di interessi - il Comi - è nel regno Unito, l'Autorità competente è quella del Regno Unito, la legge che regolamenta il fallimento diventa la legge inglese e si producono gli effetti in tutta l'Europa comunitaria, secondo la legge inglese. Il Regolamento prevede una serie di accorgimenti: da un lato, infatti, è importante che non ci sia un pregiudizio a questo effetto espansivo della pronuncia di apertura della procedura; dall'altro, vanno anche tutelati i terzi. A tal fine si stabilisce, infatti, che i singoli Stati possano (non è un obbligo) prevedere altre forme di pubblicità (ad es. in l'Italia che si disponga nel registro delle imprese la pubblicità di quella sentenza, pubblicità che è una mera pubblicità notizia e non è la pubblicità di una sentenza di fallimento italiana); si prevede ulteriormente che, accanto alla procedura principale, ci possa essere una c.d. procedura secondaria, nel nostro caso aperta a Palermo per cui i beni italiani seguono la legge italiana; si prevede ancora che l'eventuale pagamento fatto in buona fede da parte di un terzo al fallito, invece che al curatore abbia effetto liberatorio; si pongono delle regole particolari per quanto riguarda la circolazione dei beni immobili, la riserva di proprietà e così via.
Non esiste una soluzione pratica per affrontare i rischi da Regolamento 1346/2000; vi è solo la sensibilità del notaio che, trovandosi di fronte a cittadini italiani che ad es. hanno lavorato all'estero, effettua una verifica nei limiti in cui il diritto inglese la consente, così da compiere la propria prestazione professionale con diligenza e risolvere problemi che altrimenti sarebbero non risolti.
Il caso pratico proposto ci aiuta anche da un altro punto di vista. Mi riferisco alle cosiddette black list. In seguito agli attacchi terroristici di Al Quaeda, con una normativa in origine dettata dal Consiglio di Sicurezza degli Stati Uniti e da un apposito Comitato, la Comunità europea ha approvato dei Regolamenti per congelare i beni dei soggetti inclusi in questi elenchi perché sospettati (non necessariamente condannati) di terrorismo. L'inclusione in questi Regolamenti comunitari ha degli effetti di rilevanza notarile immediata, tanto è vero che un caso per eccellenza di fronte alla Corte di giustizia ha riguardato un notaio tedesco che non avendo conoscenza di queste norme (tra gli altri il Regolamento CE n. 881/2002) aveva stipulato una compravendita in cui il venditore era compreso in quell'elenco di sospettati. Al momento di trascrivere l'atto, il conservatore ha negato la trascrizione, l'atto non poteva essere stipulato. La Corte di Giustizia, pur di fronte alla difesa del notaio e dell'acquirente, non poteva che prenderne atto e dire che va rispettato il Regolamento comunitario. In Italia, parallelamente al Regolamento, è entrato in vigore un decreto legislativo che, nell'ambito della legislativa anti-riciclaggio, stabilisce il divieto anche per i notai di compiere atti che possano comportare la messa a disposizione di ricchezza per i soggetti inclusi in queste black list. Il problema, ovviamente, è ancora una volta pratico, non teorico. Gli elenchi sono reperibili su internet, ma i dati vengono aggiornati periodicamente. Dal punto di vista di politica notarile, si pone il problema dell'opportunità o meno di richiedere all'Amministrazione finanziaria che il Consiglio Nazionale del Notariato sia inserito tra i soggetti ai quali vengono comunicati gli elenchi, con una conoscenza legale degli stessi. Ma non è questa la sede per affrontare tale aspetto.
Il caso, infine, può portare alla luce anche un'altra normativa che entrerà in vigore il 18 dicembre 2009, il c.d. Regolamento Roma I, il quale sostituisce nell'ambito comunitario la Convenzione di Roma del 1980 sul regime applicabile alle obbligazioni contrattuali, incidendo in modo rilevante su tutti gli aspetti delle suddette obbligazioni contrattuali. L'art. 57 della legge di riforma del diritto internazionale provato n. 218/95 prevede, infatti, che «le obbligazioni contrattuali sono in ogni caso regolate dalla Convenzione di Roma del 19 giugno 1980 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali». Questo articolo 57, letto con l'art. 58 in materia di donazioni, crea problemi all'operatore giuridico, perché la più corretta interpretazione della combinazione di queste norme è tale che - siccome anche le donazioni rientrano nell'ambito dell'art. 57, cioè della Convenzione di Roma - in realtà l'art. 58 non ha un'applicazione pratica rilevante. Le donazioni, nel nostro diritto internazionale privato, rientrano, seguendo la tesi più corretta, nell'articolo 57; il 58 atterrebbe alle rare ipotesi di donazioni non contrattuali.
Il Regolamento, come detto, sostituisce la Convenzione di Roma; cercando di operare nell'ambito di sistematica delle fonti, una volta entrato in vigore, il Regolamento diventerà esso la fonte da andare a guardare in tema di obbligazioni contrattuali. E, ancora una volta, il notaio e il notariato non possono farsi trovare impreparati.
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