La disciplina comunitaria dei rapporti familiari
La disciplina comunitaria dei rapporti familiari
di Emanuele Calò
Dirigente Ufficio Studi Consiglio Nazionale del Notariato
Di recente, la Corte di Cassazione (sentenza 17 marzo 2009, n. 6441) ebbe ad affrontare la questione posta da una coppia formata da un cittadino italiano e un cittadino neozelandese, che aveva instaurato una stabile convivenza dal 1999 in Nuova Zelanda, attestata da un formale riconoscimento della loro qualità di partners de facto, decise nel 2003 di trasferirsi in Italia. Il partner neozelandese ottenne un permesso di soggiorno per motivi di studio e, in prossimità della scadenza di tale permesso, ne chiese la conversione in permesso di soggiorno per motivi familiari, ai sensi dell'art. 30, 1° comma, lett. c), t.u. sulla disciplina dell'immigrazione e della condizione dello straniero (d.leg. 25 luglio 1998 n. 286), in relazione agli art. 24 e 65 della legge di riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato (l. 31 maggio 1995 n. 218). La Cassazione pose fine alla vicenda, rigettando il ricorso proposto dai conviventi, negando l'estensione della nozione di famiglia alla convivenza di fatto, invocata dai ricorrenti. A prescindere comunque dai particolari di questa vicenda, rivestono invece un certo interesse i problemi relativi all'incidenza del diritto comunitario nel riconoscimento dei moduli familiari posti in essere in altre giurisdizioni. In particolare, si tratta di avere dei parametri di giudizio per decidere come inquadrare in Italia tali moduli, costruiti in modo estraneo a quanto previsto dal nostro ordinamento.
La Direttiva 2004/38/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004 relativa al diritto dei cittadini dell'unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli stati membri, dispone, al considerando 31:
"La presente direttiva rispetta i diritti e le libertà fondamentali e osserva i principi riconosciuti segnatamente dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. In conformità con il divieto di discriminazione contemplato nella Carta gli Stati membri dovrebbero dare attuazione alla presente direttiva senza operare tra i beneficiari della stessa alcuna discriminazione fondata su motivazioni quali sesso, razza, colore della pelle, origine etnica o sociale, caratteristiche genetiche, lingua, religione o convinzioni personali, opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, appartenenza ad una minoranza etnica, patrimonio, nascita, handicap, età o tendenze sessuali".
La nozione di familiari della Direttiva (art. 2) comprende:
a) il coniuge; b) il partner che abbia contratto con il cittadino dell'Unione un'unione registrata sulla base della legislazione di uno Stato membro, qualora la legislazione dello Stato membro ospitante equipari l'unione registrata al matrimonio e nel rispetto delle condizioni previste dalla pertinente legislazione dello Stato membro ospitante; c) i discendenti diretti di età inferiore a 21 anni o a carico e quelli del coniuge o partner di cui alla lettera b); d) gli ascendenti diretti a carico e quelli del coniuge o partner di cui alla lettera b).
L'art. 3, comma 2 della direttiva dispone:
"Senza pregiudizio del diritto personale di libera circolazione e di soggiorno dell'interessato lo Stato membro ospitante, conformemente alla sua legislazione nazionale, agevola l'ingresso
e il soggiorno delle seguenti persone:
(...) b) il partner con cui il cittadino dell'Unione abbia una relazione stabile debitamente attestata.
Lo Stato membro ospitante effettua un esame approfondito della situazione personale e giustifica l'eventuale rifiuto del loro ingresso o soggiorno"
La disciplina italiana d'attuazione (decreto legislativo 6 febbraio 2007, n. 30 recante attuazione della direttiva 2004/38/CE relativa al diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri ) si riferisce (art. 2, comma 1, lett. B n. 2) al partner che abbia contratto con il cittadino dell'Unione un'unione registrata sulla base della legislazione di uno Stato membro, qualora la legislazione dello Stato membro ospitante equipari l'unione registrata al matrimonio e nel rispetto delle condizioni previste dalla pertinente legislazione dello Stato membro ospitante.
Infine, l'articolo 3 del d. lgs.30/2007, così dispone:
Aventi diritto
(...) 2. Senza pregiudizio del diritto personale di libera circolazione e di soggiorno dell'interessato, lo Stato membro ospitante, conformemente alla sua legislazione nazionale, agevola l'ingresso e il soggiorno delle seguenti persone:
(...) b) il partner con cui il cittadino dell'Unione abbia una relazione stabile debitamente attestata dallo Stato del cittadino dell'Unione.
3. Lo Stato membro ospitante effettua un esame approfondito della situazione personale e giustifica l'eventuale rifiuto del loro ingresso o soggiorno
In un singolo aspetto, il decreto legislativo si è discostato dalla Direttiva o, per meglio dire, ha ritenuto di aggiungervi qualcosa, laddove ha stabilito (art. 3 d. lgs. 30/2007) che la relazione del convivente dev'essere debitamente attestata dallo Stato del cittadino dell'Unione, in quanto tale Stato, di cui il soggetto è cittadino, potrebbe non riconoscere la convivenza registrata altrove; naturalmente si tratta di una violazione del diritto comunitario.
La circolare applicativa (Circolare n. 200704165/15100/14865 del 18 luglio 2007 Ministero dell'Interno) fa riferimento alla "documentazione dello Stato del cittadino dell'Unione, titolare del diritto di soggiorno, dalla quale risulti il rapporto parentale ovvero la relazione stabile, registrata nel medesimo Stato". La circolare non si esprime nei riguardi delle unioni (coniugali e non) fra persone dello stesso sesso. La direttiva lasciava in realtà poco spazio a posizioni di rifiuto in materia di convivenze mentre, in tema di coniugio, tali posizioni avrebbero potuto trovare una qualche base in una ormai risalente pronuncia della Corte di Giustizia, appresso riportata. La circolare in parola dispone, infine, che "I cittadini di Norvegia, Islanda e Liechtenstein - Stati appartenenti allo Spazio Economico Europeo - sono equiparati ai cittadini dell'Unione europea agli effetti del decreto legislativo in esame. Sono equiparati ai cittadini dell'Unione anche i cittadini della Svizzera e della Repubblica di San Marino".
Ora, è vero che la direttiva e il decreto legislativo d'attuazione fanno riferimento al solo obbligo di agevolare l'ingresso ed il soggiorno, potendo rifiutare tale ingresso e soggiorno. Tuttavia, gli Stati membri non possono certo opporre un rifiuto basato sul fatto che la coppia in parola sia dello stesso sesso, perché, come detto, il considerando 31 della direttiva dispone che gli Stati membri debbano attuare la direttiva senza operare tra i beneficiari della stessa alcuna discriminazione fondata, fra altro, sulle tendenze sessuali.
Il diritto comunitario, quindi, per via della libertà di circolazione intracomunitaria, finisce per incidere sul diritto di famiglia. Ma tale incidenza riguarda anche i cittadini italiani? A questo riguardo, si pone la questione della c.d. discriminazione a rovescio, per via della quale i cittadini di uno Stato membro finiscono per ricevere un trattamento deteriore rispetto ai concittadini di altri Stai comunitari, per via dell'applicazione dei principi comunitari. Questa situazione, diciamo paradossale, e' stata affrontata dalla Corte Costituzionale con sentenza del 30 dicembre 1997, n. 443.
In definitiva, possiamo rilevare come lo studio del diritto di famiglia italiano, se avulso dal versante comunitario, rischia di fornire un quadro incompleto e, in definitiva, a rischio di errore. Non a caso la migliore dottrina da tempo ha messo in rilievo come il diritto di famiglia degli Stati membri sia stato in qualche modo modificato dalla progressiva incidenza del diritto comunitario.
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