Il deposito in Italia degli atti provenienti dall'estero
Il deposito in Italia degli atti provenienti dall'estero. Considerazioni generali [nota 1]
di Paolo Pasqualis
Notaio in Portogruaro

Nel presente intervento, mi occuperò del deposito in Italia degli atti provenienti dall'estero.
Si tratta ad oggi, forse, di un settore circoscritto nella pratica in gran parte alle procure, agli atti societari e qualche volta ad atti immobiliari stipulati all'estero. Al proposito è mia intenzione far subito notare che il fenomeno potrebbe prendere una piega diversa e svilupparsi sensibilmente. Può, infatti, diventare estremamente facile stipulare un atto fuori dai confini del nostro Paese, e ciò anche per motivi economici e fiscali, per poi utilizzarlo in Italia, proprio contando sul fatto che ci sono numerose norme che consentono di utilizzare in Italia atti conclusi all'estero.
Vi sono già esempi anche clamorosi, giustificati da motivi di risparmio, e non solo di onorari notarili. Io stesso ho avuto modo di venire a conoscenza del caso di un enorme mutuo, concesso da parte di un pool di banche italiane ad una impresa italiana e garantito da quote e azioni di società italiane, mentre il contratto era stato firmato in Austria con il preciso intento di sottrarsi al pagamento dell'imposta sostitutiva dello 0,25% e delle imposte di bollo! Trattandosi di un mutuo di circa duecento milioni di euro, lo 0,25% non è evidentemente una percentuale insignificante.
Queste operazioni - che forse oggi accadono in prevalenza in regioni italiane come la mia, il Veneto, in ragione della loro vicinanza ai confini austriaci, croati e sloveni - non hanno ad oggi incontrato alcuna controindicazione né, per quanto a mia conoscenza, sono incorse in contenzioso. Si tratta di fenomeni in via di diffusione, diretti a "collocare" l'atto all'estero e, quindi, tirarsi fuori dal trattamento fiscale italiano e dall'intervento notarile italiano, o surrogarlo con l'intervento di un notaio di uno di un diverso Paese. Si tratterà di notai appartenenti comunque al Notariato latino, o facenti parte dell'Unione Europea e membri del CNUE (Consiglio dei Notariati dell'Unione Europea).
Occorre anche dire che il fenomeno della circolazione o, meglio, dell'utilizzazione in Italia di atti provenienti dall'estero è una pratica storicamente acquisita e logicamente ineccepibile, perché è evidente che, per determinati atti e contratti, si possa avere l'occasione o la necessità di stipularli in un Paese diverso dal nostro, e poi farne uso in Italia.
Di questo, se ve ne fosse bisogno, abbiamo traccia in numerose norme del codice civile, che prevedono espressamente per la trascrizione o per l'iscrizione di ipoteca derivante da un atto ricevuto all'estero l'obbligo di legalizzazione (poi vedremo quando questo obbligo è dispensato). Così anche le norme fiscali e della legge di registro, che prevedono un più lungo termine per la registrazione in Italia quando gli atti siano conclusi all'estero.
La questione, quindi, è variamente presente nel nostro ordinamento in numerose norme.
Tra queste, però, quelle che costituiscono le regole fondamentali nella disciplina della circolazione degli atti provenienti dall'estero sono le norme che, di seguito, cercherò di illustrare.
Innanzi tutto l'art. 68 della legge 218/1995 di riforma del diritto internazionale privato, che in realtà è una norma molto stringata, ma che ci permette di sviluppare diversi ragionamenti. Sotto la rubrica «attuazione ed esecuzione di atti pubblici ricevuti all'estero» essa dispone: «le norme di cui all'art. 67 si applicano anche rispetto all'attuazione e all'esecuzione forzata in Italia di atti pubblici ricevuti in uno Stato estero e ivi muniti di forza esecutiva».
Si fa, dunque, rinvio alla norma dell'art. 67, della stessa legge 218/95, dettata in materia di sentenze, la quale prevede, in sintesi estrema, il cosiddetto 'sistema di riconoscimento automatico'. Ciò significa che una sentenza che viene dall'estero non deve essere più delibata, salvo la possibilità che qualcuno degli interessati si opponga alla sua esecuzione forzata, oppure che gli uffici eventualmente chiamati a utilizzarla (ad esempio, lo stato civile) non prestino spontanea esecuzione, nel qual caso, allora, occorrerà ricorrere alla Corte d'Appello del luogo. L'art. 68, quindi, estende il sistema di efficacia automatica diretta della sentenza anche all'esecuzione forzata e all'attuazione in Italia degli atti pubblici provenienti dall'estero, tra i quali - come è ovvio - devono ascriversi gli atti notarili.
Per l'esecuzione forzata, in particolare, si richiede poi l'apposizione dell'exequatur, ma credo che i casi di esecuzione forzata di atti notarili stranieri in Italia siano abbastanza rari. La norma, come detto, si occupa anche della "attuazione", che dovrebbe essere costituita dall'uso dell'atto nei confronti dei pubblici registri, che è certo il caso più frequente. Al proposito, allora, occorre anche richiamare la norma dell'art. 106, n. 4, della legge notarile, la quale dispone che, prima di "farne uso" in Italia, gli atti devono essere depositati presso un notaio italiano, oppure presso un archivio notarile. Norma, aggiungo subito, che non è mai stata abrogata, nonostante l'art. 68 della legge 218 sia ad essa successivo. Ma, come sappiamo, l'art. 106, n. 4, l. n. è stato successivamente novellato (con riferimento all'uso in Alto Adige degli atti provenienti dall'Austria), con la conseguenza che il nostro 106, n. 4, è senza dubbio ancora oggi in vigore e si applica in tutti i casi in cui si debba far uso in Italia di un atto proveniente dall'estero.
Sul concetto di "far uso" di un atto si potrebbe discutere abbastanza a lungo. Già dicevo che la norma dell'art. 68 del d. i. p. parla, a sua volta, di 'attuazione' e io mi sentirei di dire - in breve - che la nuova "attuazione" e il nostro vecchio "far uso" sono equivalenti, e - per quanto più ci riguarda nella professione - individuano anche tutti i casi nei quali dobbiamo portare un atto ad iscrivere o trascrivere in un pubblico registro.
In tutti questi casi, quindi, ancor oggi ci occorre: verbale di deposito ai sensi dell'art. 106, n. 4, accompagnato da traduzione se l'atto è in lingua straniera; apostille, se si tratta di un Paese firmatario della Convenzione dell'Aia del 5 ottobre 1961; legalizzazione in ogni altro caso; dispensa da tali formalità, se esiste una specifica convenzione internazionale; aspetti di cui si parlerà anche più tardi.
Il quadro generale rimane, comunque, abbastanza immutato, nel senso che l'art. 68 della l. 218/95 non tocca, anzi sostiene la lettera e la funzione dell'art. 106 n. 4, con necessità di deposito dell'atto straniero in atti del notaio italiano, ai fini che storicamente erano essenzialmente quelli di conservazione, ma che sono oggi diventati principalmente quelli di controllo di legalità.
Come si inserisce il diritto comunitario in questo quadro, fin qui definito dalle due norme fondamentali per qualunque atto proveniente da un Paese estero? Si è aggiunto o semplificato qualcosa?
Ebbene, il diritto comunitario ha fatto molto, ma esclusivamente nel campo dell'esecuzione forzata, ossia della disciplina della circolazione dell'atto pubblico notarile costituente titolo esecutivo.
In sintesi estrema, nel diritto comunitario, troviamo una sequenza di norme importanti, che a partire dal 1968 hanno collocato l'atto pubblico notarile costituente titolo esecutivo, per gli aspetti della sua esecuzione forzata, allo stesso rango della sentenza del giudice.
Così una norma già contenuta nella Convenzione di Bruxelles del 27 settembre del 1968, l'art. 50, prevedeva appunto che l'esecuzione forzata dell'atto pubblico notarile potesse avvenire nelle stesse forme della decisione giudiziaria, ed anzi che contro l'esecuzione forzata dell'atto notarile non si potessero nemmeno frapporre quelle eccezioni procedurali che pure si possono richiamare per opporsi all'esecuzione della sentenza del giudice (come, ad esempio, quella di mancata integrazione del contraddittorio in sede di giudizio). Al proposito vorrei ricordare che la Convenzione di Bruxelles del settembre 1968 (che oggi è stata sostituita dal Regolamento 44/2001, chiamato anche "Bruxelles I"), è una sorta di vero e proprio piccolo codice di procedura civile all'interno dello spazio giuridico europeo (ossia all'interno del territorio dell'Unione europea, esclusa la Danimarca). Una prima parte della Convenzione è dedicata alla individuazione della competenza giurisdizionale, la seconda parte all'esecuzione della sentenza. Il citato art. 50, disposto in materia di esecuzione forzata, ci dice che all'atto notarile si applicano le regole previste per la sentenza. Per avere un'idea dell'importanza di questa Convenzione di Bruxelles (oggi sostituita dal Regolamento) basti ricordare che, quando essa era in vigore, i Paesi che aderivano all'UE, nel pacchetto di Trattati che dovevano sottoscrivere, trovavano obbligatoriamente appunto la Convenzione di Bruxelles.
Sul suo già citato art. 50, poi, si è pronunciata la Corte di Giustizia, con la sentenza Unibank del 17 giugno 1999, scaturita da un caso in cui si voleva utilizzare in Germania come titolo esecutivo un documento privato sottoscritto in Danimarca (dove era in effetti considerato titolo esecutivo) e non un atto pubblico. Sulla questione la Corte ha affermato che l'art. 50 può essere utilizzato solo per titoli esecutivi che siano atti pubblici. Il motivo sta nel fatto che esso consente l'esecuzione forzata dell'atto pubblico equiparandolo alle sentenze, ed è perciò necessario che il documento nasca con particolari qualità, assicurate solo nel caso in cui esso nasca sotto il controllo di un esperto che ne verifichi la legalità. Quindi, ancorché senza mai specificarlo, si è messo in luce che la procedura prevista dalla Convenzione di Bruxelles (ed oggi daò Regolamento che ne ha preso il posto) richiede un atto notarile o un documento che gli sia assimilabile.
Così oggi possiamo affermare che la sentenza Unibank, con gli aspetti che ha messo in evidenza - ossia l'intervento del pubblico ufficiale che riceve l'atto, la garanzia di autenticità dell'atto ed il controllo di legalità - ha ribadito che l'esecuzione forzata delle decisioni giudiziarie è estesa solo agli atti pubblici (e non ad ogni altro documento privato, pur costituente titolo esecutivo nel suo ordinamento di origine).
Dalla nozione elaborata dalla Corte, il legislatore comunitario ha tratto le parole di cui aveva bisogno per inserirle nella definizione di "atto pubblico", che oggi compare codificata anche nel Regolamento 4/2009 sulle obbligazioni alimentari, di cui abbiamo sentito questa mattina, e che era già stata introdotta nel Regolamento 805/2004, che ha istituito il titolo esecutivo europeo.
In tali testi normativi si dà la definizione di atto pubblico, dicendo che è tale quello ricevuto da un pubblico ufficiale e la cui autenticità non si limita alla sottoscrizione, ma anche al "contenuto" dell'atto (un modo, ritengo, per indicare la necessità del controllo di legalità dell'atto stesso fin dalla sua origine).
Oggi, quindi, un atto pubblico nel quale venga riconosciuto un debito o una obbligazione avrà la possibilità di trovare molto facilmente esecuzione forzata da uno ad un altro dei Paesi dell'UE, ed anche in quei Paesi dove questo tipo di atto sia sconosciuto come, ad esempio, in Inghilterra: con un riconoscimento di debito fatto per atto pubblico in Italia o in Slovacchia, potrò andare a pignorare il conto corrente in una banca inglese, come se avessi tra le mani una sentenza di condanna.
Rispetto al quadro generale normativo, che illustravo in apertura, creato dall'art. 68 della nostra legge 218/95 e dall'art. 106 n. 4 l. n., che cosa ha aggiunto il sistema comunitario? Ha consentito una serie di notevoli potenzialità per l'atto notarile costituente titolo esecutivo, e ciò nel campo del diritto commerciale e dei contratti, nelle obbligazioni alimentari e nel diritto di famiglia.
Quello che invece manca totalmente in ambito comunitario è una disciplina uniforme, o meglio armonizzata, in materia di utilizzazione dell'atto notarile nei confronti di pubblici registri (immobiliari, commerciali, etc.). A tal riguardo il diritto comunitario non dice nulla e ciò ha lasciato e lascia il campo aperto a tutte le possibilità: c'è chi afferma che non c'è bisogno di alcuna regola specifica, perché i principi già consentirebbero la soluzione del problema, e il principio fondamentale è dato dal "mutuo riconoscimento", un faro per tutto il diritto comunitario, che potrebbe applicarsi per gli atti notarili nel senso di consentire a ciascuno di essi di poter essere utilizzato in un Paese di verso da quello di origine sulla sola base della considerazione che, se esso è valido ed efficace nell'ordinamento di orgine, ogni altro ordinamento deve prenderlo per buono.
La soluzione, nella pratica, credo non sia così semplice.
Nel vuoto normativo esistente, però, si sta sviluppando qualche progetto molto interessante, al quale i notariati europei, con gli organi che ci rappresentano a livello europeo, cercano in qualche modo di dar seguito. Si sta cercando di creare, cioè, un quadro normativo (sarà un regolamento? una direttiva? basterebbe anche una "appropriata" sentenza della Corte di Giustizia?) che consenta di regolare anche la circolazione degli atti notarili non costituenti titolo esecutivo. E in questo ambito, a mio avviso, alcuni elementi di base vanno necessariamente messi subito in evidenza: dovrà trattarsi di un atto che promani da un pubblico ufficiale; questi dovrà svolgere una funzione di controllo di legalità, non basterà l'autenticità solo della sottoscrizione.
Il progetto comune dei notariati europei, però, fatica a decollare, anche per le resistenze dei diversi notariati (a causa dei pericoli che ciascun notariato immagina di vedere dietro ad un'operazione di questo tipo). Quindi non è nemmeno per noi notai facilissimo fare emergere un concetto comune di disciplina per favorire la circolazione e il riconoscimento degli atti notarili da uno agli altri Paesi dell'UE. Segnalo sul punto, infine, che in ambito comunitario alcuni progetti sono già in corso, così in materia di successioni, e forse si avrà anche il lancio di un progetto di carattere generale in materia di atto notarile. A tal riguardo, molti di noi hanno non poche perplessità, perché se si aprirà il dibattito scientifico e legislativo non è facile immaginarne tutte le conseguenze e gli interessi che vi saranno rappresentati. Personalmente credo, tuttavia, che sia meglio intraprendere noi stessi la via per creare un quadro il più possibile razionale e compatibile, piuttosto che permettere che si diffondano prassi molto discutibili o sia una sentenza della Corte a dire che gli atti sono tutti uguali, in qualunque Paese dell'UE siano stati ricevuti, purché ci sia la firma "notaio".


[nota 1] Trascrizione a cura della Fondazione Italiana per il Notariato autorizzata dall'Autore.

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