Le clausole relative al ius variandi della banca e al diritto di recesso
Le clausole relative al ius variandi della banca e al diritto di recesso
di Raffaele Lenzi
Notaio in Montecatini Terme, Associato di Istituzioni di Diritto Privato Università di Siena

Contratti bancari e potere di adeguamento

I contratti bancari sono generalmente caratterizzati dal potere della banca di modificare unilateralmente le condizioni economiche e contrattuali concordate con il cliente. Il codice civile si limita ad una disciplina dei singoli tipi ma manca una disciplina generale dei contratti bancari. Le regole generali, applicabili alla generalità dei contratti bancari, sono quindi quelle relative alla disciplina generale del contratto [nota 1], che esprimono quindi il principio pacta sunt servanda e le possibili e limitate eccezioni a tale regola.

La dottrina più recente [nota 2] ha tuttavia evidenziato che non possono trarsi dall'ordinamento plausibili argomenti su cui fondare il tradizionale generale disfavore rivolto al ius variandi, inteso come il diritto potestativo di modificare unilateralmente il contenuto del contratto; tale disfavore conduce a considerare generalmente nulla per contrarietà all'ordine pubblico la clausola negoziale che prevede il diritto alla variazione al di fuori dei casi stabiliti dalla legge.

Innanzitutto lo stesso principio pacta sunt servanda è integrato dalla espressa previsione normativa della possibilità per le parti di prevedere il diritto allo scioglimento unilaterale del contratto mediante recesso. Certamente sussistono differenze sostanziali tra ius variandi e recesso. Quest'ultimo, se fa venir meno i diritti acquisiti con il contratto, al contempo estingue anche quelli acquisiti dalla parte che lo esercita; la modificazione unilaterale del contratto consente invece ad una parte di aggravare potenzialmente la posizione dell'altra conservando inalterata la propria. In questo il ius variandi conserva una maggiore carica di pericolosità nel vulnerare il principio dell'intangibilità del vincolo contrattuale. Tuttavia il ius variandi è specificamente previsto nella disciplina di singoli contratti o di singole categorie contrattuali (l'appalto, il mandato, il lavoro subordinato, ecc.) e questo dimostra, se non altro, che non vi è incompatibilità con il principio di vincolatività del contratto. L'art. 33 del codice del consumo inoltre prevede espressamente, come potenzialmente e presuntivamente abusiva, la clausola che prevede il ius variandi, affermandone quindi indirettamente l'astratta validità [nota 3]; come pure a tale risultato pervengono le previsioni normative che ne escludono l'ammissibilità in relazione a specifiche figure contrattuali [nota 4], con ciò appunto confermandone la generale ammissibilità.

Come noto inoltre il rapporto tra il principio pacta sunt servanda ed il principio rebus sic stantibus è attualmente oggetto di rinnovata attenzione da parte della dottrina [nota 5], particolarmente per l'interesse suscitato dalla previsione normativa del cosiddetto fondamento negoziale, introdotta nell'ordinamento tedesco con la modernizzazione dello Schuldrecht attraverso il nuovo paragrafo 313 BGB [nota 6]; si tratta di una clausola generale che legittima l'adeguamento del contratto in seguito al mutamento imprevedibile delle condizioni su cui si è fondato il negozio. Nell'ordinamento francese invece, come conferma anche la giurisprudenza recente [nota 7], permane una preminenza del principio di vincolatività. Tuttavia i due principi non sembrano contrapposti, bensì la previsione di un potere di adeguamento, finalizzato a impedire che eventi sopravvenuti possano stravolgere l'originario equilibrio voluto dai contraenti, sembra confermare e non negare il valore e quindi la forza attribuita al contratto come sintesi degli interessi ivi espressi dai contraenti.

Dobbiamo quindi ritenere che il principio di vincolatività del contratto esclude soltanto che ciascuna parte possa autonomamente attribuirsi il diritto di modificare il contratto, ma non vieta affatto che tale diritto possa essere convenuto tra le parti. Non sembra quindi fondato il tentativo della prevalente dottrina di restringere il più possibile l'ambito di ammissibilità dell'istituto.

Né ostano alla sua ammissibilità le regole relative alla determinazione dell'oggetto del contratto, in quanto ciò che rileva è la necessità della completezza strutturale del contratto, nel senso che la determinabilità dell'oggetto, anche se parzialmente rimessa alla decisione unilaterale di una parte, non sia tale da compromettere la sussistenza attuale del contratto e quindi anche degli altri suoi requisiti essenziali [nota 8].

Queste sintetiche considerazioni portano ad una prima parziale conclusione, che potrà essere utile nel considerare, per quanto qui interessa, l'ammissibilità del ius variandi nei contratti di mutuo bancario e le sue eventuali modalità applicative; in particolare si può ritenere che:

- l'inserzione di clausole contrattuali che prevedano il potere di modificazione unilaterale del contenuto del contratto non è vietata ma è legittima espressione dell'autonomia privata;

- le previsioni normative che disciplinano l'inserzione convenzionale di clausole attributive di ius variandi non sono soggette a stretta applicazione per essere eccezioni ad un presunto principio generale che ne esclude l'ammissibilità [nota 9].

Rimane invece da considerare se il diritto di modificazione unilaterale previsto dalla legge costituisca o meno espressione del principio rebus sic stantibus, nel senso cioè che il potere di modificazione unilaterale è subordinato ad un effettivo mutamento delle condizioni oggettive che stanno alla base del contratto originariamente concluso ovvero se l'esercizio del ius variandi possa non essere subordinato ad alcuna alterazione oggettiva che lo giustifichi, ma solo rimesso alla decisione di chi ne è titolare. Si può fin d'ora anticipare che l'ammissibilità della previsione del ius variandi si fonda necessariamente sul fatto di essere funzionale a ricomporre l'originario equilibrio tra le prestazioni, con la conseguenza che i motivi su cui si fonda la decisione di esercitare il potere di modificazione unilaterale debbono essere sostenuti, per giustificare il mutamento, da una oggettiva alterazione delle condizioni che i contraenti hanno tenuto presenti al momento della conclusione del contratto [nota 10].

La disciplina vigente

La materia ha subito nel tempo una significativa evoluzione. In relazione ai contratti bancari, la sinteticità della disciplina codicistica era tradizionalmente integrata dalle norme bancarie uniformi, elaborate dalla Associazione bancaria italiana, che venivano applicate dalla generalità degli istituti di credito. In tale lacunoso sistema le banche erano titolari di una consistente libertà contrattuale, il cui indice più significativo era costituito appunto dal riconoscimento del ius variandi, giustificato con la necessità di consentire variazioni tese al mantenimento dell'originario equilibrio contrattuale, in considerazione dell'esigenza della banca di adeguarsi in modo tempestivo, nei contratti di durata, ai continui mutamenti del mercato finanziario.

Si forma tuttavia nel tempo la consapevolezza dell'inadeguatezza della tradizionale concezione paternalistica del ruolo delle banche ed anzi della necessità di predisporre regole contrattuali tali da colmare quantomeno le asimmetrie informative inevitabilmente esistenti tra banca e cliente; da questo processo di revisione non rimane indenne la disciplina del ius variandi fin qui riconosciuto al sistema bancario [nota 11]. Attraverso una evoluzione normativa protrattasi nell'arco di alcuni anni, allo stato il potere delle banche di modificare unilateralmente le condizioni contrattuali è regolato dall'art. 118 del Tub [nota 12], come modificato dalla legge n. 248 del 4 agosto 2006.

Con la nuova disposizione il legislatore sembra aver recepito i rilievi critici sollevati dalla dottrina, dalla giurisprudenza e dall'Autorità garante per la concorrenza ed il mercato in ordine alla previgente normativa ed in particolare in ordine al suo coordinamento con la disciplina del codice del consumo [nota 13].

La nuova disposizione stabilisce che:
- il ius variandi deve essere espressamente convenuto tra le parti e previsto in apposita clausola del contratto;
- può essere esercitato solo in presenza di un giustificato motivo;
- la modifica contrattuale deve essere comunicata individualmente, in forma scritta e comprensibile e con un preavviso di almeno 30 giorni;
- l'altra parte ha diritto di recedere dal contratto, senza penalità né spese, nel termine di 60 giorni dall'avvenuta comunicazione.

L'inosservanza di tali disposizioni comporta l'inefficacia delle variazioni, ma solamente nel caso in cui queste siano sfavorevoli al cliente.

Infine, 1'ultimo comma, prevede la variazione contestuale dei tassi debitori e creditori, inserendo una misura di riequilibrio sostanziale.

La disciplina va inoltre integrata e coordinata con il disposto dell'art. 117 quinto comma Tub. [nota 14] L'ambito di applicazione del potere di modificazione unilaterale del contratto è quindi delineato, in parte confermando elementi già previsti nella normativa precedente, in parte attraverso l'introduzione di nuove previsioni nelle modalità di esercizio.

Applicabilità al contratto di mutuo

La previsione normativa attuale, in questo nulla modificando rispetto a quella previgente, disciplina il ius variandi in relazione ai contratti bancari di durata.

Si pone quindi non solo il problema di individuare i contratti bancari che possono rientrare nella categoria dei contratti di durata [nota 15], ma anche la necessità di verificare se, nella fattispecie in esame, il concetto di contratto di durata debba assumere un profilo specifico, tenendo conto della funzione assolta dal ius variandi e della particolare natura dei contratti bancari. In secondo luogo deve considerarsi se il riferimento ai contratti di durata implicitamente esclude, per gli altri contratti bancari, la possibilità di una inserzione di clausole che attribuiscono alla banca un diritto alla modificazione unilaterale del contratto ovvero se la disposizione, senza determinare alcun implicito divieto, si limita a prevedere la disciplina inderogabile del ius variandi relativamente ai contratti bancari di durata.

Non sembra che, quantomeno nella situazione indagata, la nozione di contratto di durata possa farsi coincidere strettamente con quella di contratto a prestazione continuativa o periodica. In generale la disposizione sembra applicabile ai contratti che determinano con il cliente un rapporto preordinato a durare nel tempo, sia quelli con cui la banca riceve o concede credito sia quelli con cui fornisce servizi bancari che si sviluppano nel tempo, rimanendone certamente esclusi i soli contratti ad esecuzione istantanea, anche se differita. Rientrano quindi nell'ambito applicativo della disposizione il deposito bancario, il deposito titoli, il contratto di conto corrente, mentre, sotto questo profilo, ne risulterebbe escluso lo sconto bancario, se oggetto di singola pattuizione e non svolto all'interno di un rapporto quadro continuativo che fissa le condizioni del rapporto. [nota 16]

Si discute sulla natura di contratto di durata del mutuo e quindi sulla sua ricomprensione nella disposizione in questione [nota 17]. In questo senso tuttavia anche la dottrina che esclude il mutuo dal novero dei contratti di durata e lo riconduce ai contratti ad esecuzione istantanea differita, ritiene che, indipendentemente dal problema qualificatorio, la disposizione in questione sia applicabile anche al mutuo bancario, in considerazione del fatto che mediante tale contratto si instaurano tra banca e cliente dei rapporti continuativi e durevoli [nota 18].

A ben vedere tuttavia occorre considerare se la clausola di previsione del ius variandi inserita in un contratto di mutuo sia riferibile agli elementi che caratterizzano il mutuo in sé, e cioè durata ed interessi, ovvero se sia riferibile alle sole condizioni accessorie al contratto di mutuo, come le commissioni per alcuni servizi connessi, le modalità di restituzione, le attività informative o recuperatorie eventualmente svolte dalla banca nei confronti del cliente ed i relativi costi. Ma questo è problema che attiene alle modalità di esercizio e all'oggetto delle possibili modificazioni più che all'ambito di applicazione della norma.

Sotto quest'ultimo profilo invece per alcuni il mutuo è escluso dalla disciplina in questione in quanto trattasi di contratto a tempo determinato [nota 19]; secondo tale orientamento, se il potere di modifica unilaterale trova giustificazione nella necessità della banca di adeguare le condizioni del contratto ai mutamenti del mercato, per evitare squilibri contrattuali non prevedibili, tale necessità non è riscontrabile nei contratti a tempo determinato, in quanto la banca al momento della stipulazione avrà tenuto conto degli oneri e dei costi da sopportare sino alla data di scadenza del contratto. L'argomento non è decisivo in quanto la pratica conosce anche contratti di mutuo la cui durata non è determinata, ma semplicemente determinabile successivamente, sulla base di opzioni rimesse al cliente, ovvero sulla base dell'andamento dei tassi; si pensi al riguardo ai mutui a tasso variabile e rata costante, nei quali le variazioni dei tassi incidono appunto sulla durata del mutuo.

L'opinione più diffusa tuttavia è nel senso che l'art. 118 del Tub sia riferibile anche ai contratti a tempo determinato, stante il riferimento legislativo al termine "durata" senza altre indicazioni.

Prevale quindi, nonostante le voci contrarie, l'orientamento che ritiene applicabile la disposizione al contratto di mutuo bancario.

Secondo la prospettiva innanzi evidenziata dobbiamo invece considerare la possibilità che l'apposizione concorde di clausole che consentono alla banca la modificazione unilaterale del contratto è consentita in quanto libera e legittima espressione dell'autonomia privata e non in quanto autorizzata dalla citata disposizione. Anche aderendo a questa opinione la disciplina dettata dall'art. 118 Tub si rende comunque applicabile ma non per il suo supposto eccezionale valore permissivo bensì per il contenuto precettivo che fissa le regole di ammissibilità, di attuazione e di tutela del contraente in posizione di soggezione, estensibili anche oltre la categoria formale dei contratti di durata [nota 20].

Contenuto delle modificazioni

La disposizione precisa che oggetto del potere di modifica unilaterale possono essere «i tassi, i prezzi e le altre condizioni». Tale formulazione è rimasta immutata rispetto al vecchio testo dell'art. 118 Tub.

è del tutto evidente che le modificazioni automatiche di condizioni economiche, secondo criteri già oggettivamente previsti nel contratto, non costituiscono esercizio di ius variandi in quanto conseguenza automatica di specifici parametri la cui determinazione è preventivamente convenuta ed ora sottratta alla volontà di entrambe le parti. In questo senso, in presenza di clausole che prevedono un tasso di interesse indicizzato (ad esempio quelle nelle quali il valore viene parametrato all'andamento dell'Euribor), le variazioni del tasso non costituiscono esercizio del potere di modificazione, per cui non sono assoggettate alle regole fissate all'art. 118 Tub, del resto in conformità a quanto disposto dall'art. 33 comma 6 del Codice del consumo.

Nel regime precedentemente in vigore, oggetto dell'obbligo di comunicazione alla clientela erano solo le modifiche sfavorevoli al cliente. Secondo l'attuale disciplina, tutte le modifiche devono essere comunicate, indipendentemente dagli effetti, favorevoli o sfavorevoli, che queste dispiegano sul cliente, e la modifica appare particolarmente opportuna, considerando che, sopratutto per le condizioni normative, non sempre è agevole valutare se la variazione abbia effetto positivo o negativo.

Circa il contenuto prevale l'opinione che il potere di modificazione riguarda sia le condizioni propriamente economiche che le clausole c.d. normative, vale a dire quelle che determinano e disciplinano i diritti e gli obblighi in capo a ciascuna delle parti senza imporre a carico del cliente un diretto sacrificio economico. Si ritiene che le variazioni possono riguardare esclusivamente condizioni e clausole già inserite nel contratto mentre non possono determinare l'introduzione di nuove clausole. Le condizioni economiche oggetto di modifica sono di solito riferite a commissioni, spese, diritti fissi, valute di regolamento, spese per il rendiconto e per l'informazione contabile aggiuntiva, quote annuali per le carte di credito, commissioni su operazioni in valuta e su anticipo contante, tassi di interesse applicati sulle dilazioni di pagamento, spese per invio estratto conto ed imposta di bollo, le spese di incasso per i canoni nei contratti di finanziamento.

Tuttavia la disciplina in esame delinea in termini molto ampi l'ambito di applicazione oggettivo del ius variandi. Sul piano letterale la norma non prevede infatti alcuna limitazione alle condizioni economiche suscettibili di essere modificate, dal che si potrebbe essere indotti a ritenere che tutte le condizioni economiche possono essere oggetto di modifica unilaterale da parte della banca durante l'esecuzione del rapporto.

Merita tuttavia considerare se l'ampiezza del richiamo letterale all'oggetto di modifica ne determina una conformazione unitaria ed indifferenziata per ogni tipologia di contratto bancario, ovvero se l'ampiezza in astratto prevista debba essere in concreto valutata in relazione alla concreta singola fattispecie contrattuale. In particolare se, indipendentemente dal giustificato motivo, le modificazioni si pongono con identica rilevanza nel contratto di conto corrente e nel contratto di mutuo ovvero se, seppur in presenza del medesimo presupposto giustificativo, gli ambiti del potere di modificazione unilaterale sono comunque diversi per la diversa natura dei contratti in questione e anche per la diversa rilevanza che le parti hanno attribuito, al momento della conclusione del concreto contratto, ad alcuni elementi dello stesso.

Si pone cioè il problema se, indipendentemente dal giustificato motivo, i confini del modificabile si modellano sulla morfologia del contratto cui si riferiscono ovvero se, come taluni ritengono, l'ampiezza del modificabile incontra l'unico limite del giustificato motivo. Nel primo caso l'ambito di applicazione del ius variandi incontrerebbe limitazioni già al momento della conclusione del contratto.

Il giustificato motivo

La novella legislativa introduce la necessaria sussistenza di un "giustificato motivo" quale condizione di legittimità dell'esercizio del ius variandi, con ciò adeguando la nuova disposizione alla previsione dell'art. 33 comma 3 del Codice del consumo. Intorno al requisito del giustificato motivo ruotano diversi problemi interpretativi [nota 21]. In primo luogo se i fatti che possono costituire un "giustificato motivo" devono essere indicati in modo specifico e puntuale nel contratto. Nell'ambito della disciplina generale del ius variandi nei contratti con i consumatori, l'orientamento prevalente della dottrina è nel senso che i giustificati motivi devono essere espressamente indicati nella clausola contrattuale che attribuisce il ius variandi al professionista. Tale opinione viene giustificata dalla considerazione che solo in questo modo è possibile circoscrivere la possibilità di un esercizio arbitrario del relativo potere da parte del professionista, eliminando 1'effetto sorpresa nei confronti del consumatore che solo così può riuscire a prevedere al ricorrere di quali circostanze il contratto può subire variazioni [nota 22]. Nella situazione indagata tuttavia si potrebbe ragionevolmente affermare che il giustificato motivo non deve essere preventivamente indicato, in quanto riferibile in generale ai motivi connessi e connaturati con lo svolgimento dell'attività bancaria; l'indicazione preventiva è quindi sostituita dalla specificità dei contratti considerati che attengono all'attività bancaria, nella quale necessariamente i motivi debbono trovare il loro fondamento. Tale argomento è in parte contraddetto dal fatto che nella disciplina dell'attività del credito al consumo la ricorrenza del giustificato motivo è richiesta non solo per ed al momento dell'esercizio del ius variandi, ma già nel contratto deve essere indicato il dettaglio delle condizioni analitiche al ricorrere delle quali il Taeg può essere eventualmente modificato (art. 124, comma 2, lett. d) Tub). Così, anche nei contratti di apertura di credito in conto corrente, devono essere indicate, a pena di nullità, le condizioni che possono determinare modificazioni durante la vigenza del contratto (art. 126 lett. b) Tub). Nei suddetti casi, quindi, le situazioni integranti un giustificato motivo legittimante 1'esercizio unilaterale del potere di modifica, devono essere prestabilite ed indicate nel contratto fin dal momento della sua conclusione. In senso opposto la disciplina delle clausole vessatorie nei contratti con i consumatori non prevede, in merito ai contratti che hanno ad oggetto la prestazione dei servizi finanziari a tempo indeterminato, la necessità che il giustificato motivo, richiesto per l'esercizio del ius variandi, debba essere specificamente indicato nel contratto. Il quadro normativo di riferimento non offre quindi referenti interpretativi sicuri ed univoci.

In ogni caso la predeterminazione nel contratto dei motivi che possono giustificare 1'esercizio del ius variandi non solleva l'interprete dal verificare che questi siano effettivamente "giustificati" o, meglio, "giustificanti", cioè tali da legittimare 1'esercizio del potere di variazione.

La mera indicazione nel contratto di una serie di circostanze al ricorrere delle quali una parte può modificare le condizioni, non comporta automaticamente che queste siano anche "giustificate", soprattutto se si considera che nei contratti tra banca e cliente è di solito la banca che predispone il testo contrattuale e che quindi decide in modo unilaterale quali motivi inserire nella clausola sul ius variandi. In conclusione la disposizione in questione non richiede l'indicazione preliminare dei motivi giustificanti la variazione ma soltanto la sussistenza di un giustificato motivo al momento dell'esercizio del potere di modificazione; sembra quindi che possa ritenersi valida anche la clausola che non contiene l'elenco dei motivi che consentono alla banca l'esercizio del ius variandi, proprio perché il potere di modificazione mira specificatamente a tutelare la banca per le situazioni non prevedibili. Di volta in volta, in caso di esercizio del ius variandi, si porrà il problema di valutare la sussistenza del giustificato motivo in relazione al caso concreto, legittimante quindi l'esercizio del potere.

La nozione di giustificato motivo è stata oggetto di particolare approfondimento nell'ambito del diritto del lavoro [nota 23]. Nel tentativo di attribuire un significato caratterizzante alla locuzione "giustificato motivo", argomenti possono trarsi dalle riflessioni elaborate in relazione alla disciplina delle clausole vessatorie nei contratti con i consumatori, ove pure l'esercizio del ius variandi è subordinato al ricorrere della condizione in esame. Riguardo a tale ambito è stato affermato che il motivo deve ricondursi ad obiettive esigenze del professionista, che non siano il frutto di una semplice ed arbitraria determinazione unilaterale di questo ultimo. In ogni caso, non può considerarsi giustificato il motivo che consente al professionista di modificare le obbligazioni dedotte nel contratto oltre ai limiti previsti nel codice civile dagli artt. 1229 e 1467 c.c. Generalmente le banche indicano, quali ragioni di carattere economico che giustificano una modifica delle condizioni contrattuali, le fluttuazioni di mercato, l'aumento dei costi, i cambiamenti di politica commerciale da parte delle banche, i mutamenti del contesto regolamentare oppure degli assetti strutturali dei gruppi bancari, le modificazioni normative e le decisioni di politica monetaria, quest'ultime espressamente previste all'ultimo comma dell'art. 118 Tub.

Il ius variandi costituisce comunque espressione del principio rebus sic stantibus, per cui il suo esercizio è consentito solo in presenza di eventi sopravvenuti alla conclusione del contratto; non può quindi ritenersi legittima l'iniziale offerta a condizioni particolarmente vantaggiose con successiva consistente variazione dei costi giustificata dalla necessità di adeguarsi all'andamento del mercato. Una particolare condizione di favore applicata dalla banca in relazione a quel contratto, rispetto alle condizioni usualmente praticate alla clientela, consentirà, in caso di giustificato motivo dipendente dal mutamento delle condizioni di mercato, una modificazione che tuttavia non alteri l'originaria relazione tra condizioni di favore e condizioni correnti.

Una corretta indagine ricostruttiva del giustificato motivo dovrà muovere da una valutazione caso per caso, modulata sulla ragione che giustifica 1'istituto del ius variandi e cioè la necessità per la banca di conservare l'equilibrio contrattuale in ragione dei mutamenti che avvengono nel contesto economico e di mercato, in coerenza con l'equilibrio frutto della originaria contrattazione tra le parti.

Deve inoltre ritenersi che la banca, nella comunicazione che invia al cliente in cui manifesta la volontà di avvalersi del potere di variazione unilaterale, è tenuta ad indicare espressamente quali sono i motivi che ritiene tali da giustificare le variazioni. Ciò consente al cliente di valutare la condotta della banca e quindi considerare consapevolmente se esercitare il diritto di recesso ovvero richiedere la disapplicazione della modifica per mancanza del requisito legittimante, che potrà essere valutato non soltanto in ordine alla legittimità della variazione ma anche in ordine alla misura della stessa. In questo senso si esprime una nota del Ministero dello sviluppo economico la quale precisa che il cliente deve essere informato in modo sufficientemente preciso riguardo il giustificato motivo sotteso alla variazione unilaterale affinchè possa valutare la legittimità della variazione disposta dalla banca e la congruità della misura della variazione rispetto al motivo su cui si fonda [nota 24].

Ulteriori limiti all'esercizio del ius variandi

Pur in presenza delle condizioni richieste e l'assolvimento degli oneri di comunicazione richiesti dalla legge per il legittimo esercizio del potere di variazione da parte della banca, il ius variandi incontra comunque il generale limite di un esercizio non arbitrario. Il merito della variazione effettuata dalla banca è quindi sindacabile, verificando se essa sia stata esercitata in conformità a criteri di ragionevolezza. L'esercizio del ius variandi non potrà tradursi in un abuso del potere modificativo, finalizzato a trasferire sulla clientela costi e oneri derivanti non dall'andamento del mercato bensì da inefficienze di gestione o dalla volontà di ottenere ingiustificati profitti a spese della clientela. Per quanto attiene alle condizioni normative, 1'esercizio del ius variandi trova ulteriori limiti in forza di specifiche disposizioni di legge: la banca non potrà imporre clausole che escludono o limitano preventivamente la responsabilità per dolo o colpa grave del debitore (art. 1229 c.c.), nè clausole ricomprese nella previsione dell'art. 1341 comma 2 c.c.

La specifica preventiva approvazione della clausola con cui la banca si riserva il diritto di modificare unilateralmente le condizioni del contratto, non fa venir meno la necessità della specifica approvazione qualora la banca intenda intervenire su clausole rientranti nell'elenco previsto dalla disciplina sulle condizioni generali di contratto; non si può infatti ritenere che l'antecedente approvazione costituisca un'implicita approvazione per tutte le clausole che successivamente l'istituto bancario unilateralmente decidesse di inserire, in attuazione del potere che in precedenza si era riservato. Analogamente nel caso in cui la banca inserisca, nel contratto concluso con un cliente-consumatore, delle clausole vessatorie [nota 25]. La vessatorietà, dunque, costituisce un ulteriore limite all'esercizio concreto del potere di modifica unilaterale delle condizioni contrattuali, quanto meno quando l'altra parte contraente riveste la qualità di consumatore. Accanto ai limiti al concreto esercizio del ius variandi derivanti da specifiche disposizioni di legge, si colloca il generale criterio valutativo della buona fede in executivis. Si pone il problema del rapporto tra giustificato motivo e principio di buona fede. Secondo alcuni la necessaria presenza del giustificato motivo riduce le possibilità di applicazione del principio di buona fede, secondo altri non vi è differenza tra i due concetti, in quanto «mere varianti linguistiche della normativa sulla correttezza» [nota 26]. Più esattamente il giustificato motivo è condizione di legittimità dell'esercizio del potere di modifica unilaterale, dovendo sussistere prima che la banca proceda alle modificazioni unilaterali, mentre il principio di buona fede svolge funzione integrativa e limitativa dell'esercizio di tale potere, intervenendo nel momento successivo al suo esercizio ed a cui la banca deve attenersi nell'esercizio del potere di modificazione unilaterale. II criterio della buona fede interviene quindi in un momento successivo, quando già è stata accertata l'esistenza del giustificato motivo.

Il recesso come strumento di tutela

La legge prevede il diritto di recesso come mezzo di riequilibrio delle posizioni contrattuali, che l'ordinamento attribuisce quale strumento di tutela alla parte che subisce la modificazione del contratto. In ordine all'effettività della tutela è evidente la difficoltà che comporta l'esercizio del diritto di recesso da un contratto di finanziamento allorchè il cliente non abbia la disponibilità delle somme per far fronte all'indebitamento nei confronti della banca.

Prima del recente intervento del legislatore, il cliente poteva esercitare il diritto di recesso dal contratto entro il breve termine di quindici giorni dalla comunicazione delle nuove condizioni, senza penalità e alle condizioni precedentemente applicate. Secondo la nuova disciplina ha diritto di recedere entro il più lungo termine di sessanta giorni, decorrenti dal giorno di ricevimento della comunicazione; l'ampliamento del termine sembra funzionale proprio a consentire al cliente di ricercare finanziamenti alternativi.

Tuttavia vi è chi ritiene al riguardo che, seguendo gli insegnamenti della dottrina e della giurisprudenza che si sono occupate del tema del recesso ad nutum della banca dal contratto di apertura di credito, in applicazione del principio di buona fede, la banca debba concedere al cliente la possibilità di restituire quanto dovuto in modo graduale, senza pretendere la restituzione immediata [nota 27]. Ma la critica corrente, secondo la quale il sistema di tutela, affidato al solo recesso, è insufficiente, viene ridimensionata ove solo si rifletta sul fatto che in realtà il cuore della tutela è costituito dalla necessaria sussistenza di un motivo giustificante la modificazione, con la conseguenza che in assenza di tale fondato motivo la variazione è inefficace.

Decorrenza della variazione

Alcune perplessità interpretative sorgono in relazione al momento a decorrere dal quale le nuove condizioni possono essere applicate al cliente.

La soluzione proposta dall'Abi è quella secondo la quale le nuove condizioni dovrebbero ritenersi applicabili a decorrere dalla scadenza del termine di preavviso di trenta giorni. Altri ritengono che l'operatività delle nuove condizioni decorre dallo scadere dei sessanta giorni previsti per l'esercizio del diritto di recesso. L'interpretazione suggerita dall'Abi si fonda su due ordini di considerazioni: in primo luogo, la funzione del termine di preavviso è proprio quella di preannunciare l'applicazione della variazione, e quindi non avrebbe senso l'altra interpretazione per la quale dovrebbe attendersi il decorso dei sessanta giorni di tempo che è invece previsto quale termine per l'esercizio del diritto di recesso; inoltre, il fatto che la norma in esame preveda l'applicazione delle condizioni precedentemente in vigore in sede di liquidazione del rapporto, implica che le nuove siano già in corso di applicazione, a meno di non voler svuotare di significato la previsione.

L'interpretazione offerta dall'Abi sembra in effetti la più coerente con l'intero impianto normativo. Secondo la disciplina precedentemente in vigore, le variazioni avevano efficacia dal momento del ricevimento della comunicazione, secondo le regole generali di cui agli artt. 1334 e 1335 c.c., ovvero dall'effettuazione delle altre forme di comunicazione previste dal Cicr, fermo restando il termine per l'esercizio del recesso.

La nuova normativa ha invece opportunamente introdotto un termine di preavviso. Sembra corretto ritenere che il preavviso decorre dall'avvenuto ricevimento della comunicazione della banca, che non cessa quindi di essere un atto unilaterale recettizio e che quindi produce i propri effetti secondo le disposizioni di cui ai già citati artt. 1334 e 1335 c.c. Alla scadenza di tale termine inizieranno ad applicarsi le nuove condizioni e comincerà a decorrere il termine di sessanta giorni a disposizione del cliente per esercitare il recesso.

La norma prevede altresì che il cliente può recedere dal contratto senza dover corrispondere spese di chiusura, onde evitare che la prospettiva di sopportare un ulteriore costo per la chiusura possa essere motivo di impedimento per l'esercizio del recesso.

Ciò era previsto anche sotto il vigore della precedente normativa. Tuttavia, nella prassi, accadeva che la banca richiedesse al cliente una somma a titolo di spese per estinzione del conto, pratica dichiarata illegittima dalla giurisprudenza di merito [nota 28].

Le sanzioni civili

Le variazioni contrattuali effettuate senza il rispetto delle prescrizioni stabilite dall'art. 118 Tub sono sanzionate con l'inefficacia, con precisazione che la sanzione opera solo qualora le variazioni intervenute siano sfavorevoli al cliente. In caso contrario il mancato rispetto delle prescrizioni di legge non comporta 1'inefficacia della variazione e dunque al cliente si applicheranno le nuove condizioni a lui più favorevoli, anche se frutto di un esercizio del ius variandi non conforme alla legge.

La previsione dell'inefficacia fa riemergere un tema molto dibattuto in dottrina concernente il rapporto tra nullità e inefficacia o, più precisamente, la differenza tra inefficacia conseguente a dichiarazione di nullità ed inefficacia in senso stretto [nota 29].

Laddove la non conformità alla legge attiene alle modalità attuative del diritto di modificazione il richiamo all'inefficacia appare fondato.

In tal caso, se specificatamente approvata per iscritto come previsto dall'art. 117 comma 6 del Tub, la clausola conforme al disposto dell'art. 118 Tub non può che considerarsi validamente inserita nel contratto. Qualora quindi la banca eserciti il ius variandi violando i precetti inseriti nella clausola o previsti dalla legge, gli effetti finali del negozio non si produrranno, ferma rimanendo la validità della clausola negoziale, con la conseguenza che la banca potrà ulteriormente esercitare il potere di variazione unilaterale, purchè nel rispetto delle previsioni di legge.

A diversa conclusione deve giungersi invece nel caso in cui sia la stessa clausola di previsione del ius variandi a non essere conforme alla legge. Si pensi al caso in cui la clausola negoziale preveda che la variazione possa avvenire anche in assenza di giustificato motivo. In tal caso si avrà la nullità della clausola in questione per contrarietà a norme imperative, nullità che tuttavia non si estende all'intero contratto.

L'attuazione non conforme alla legge comporta invece una inefficacia in senso stretto, per cui il contratto è valido ma l'atto esecutivo posto in essere non è idoneo a produrre effetti.

Nè si può ritenere nulla la comunicazione, in quanto idonea a produrre effetti se la variazione apportata dall'istituto bancario è favorevole al cliente.

In considerazione di questa possibile limitata efficacia deve ritenersi che la legittimazione all'azione sussiste solo in capo al cliente che ha interesse a far valere l'inefficacia della modificazione, ma non sembra possa escludersi una rilevabilità d'ufficio da parte del giudice, sempre nei limiti dell'interesse del cliente.

Quanto all'ipotesi di esercizio abusivo del ius variandi, cioè allorquando la banca si avvalga di tale potere oltre le ragioni che ne giustifichino il suo utilizzo e quindi al di fuori dello scopo per il quale è previsto, si pone il problema se ciò determini comunque la diretta e immediata inefficacia della modificazione ovvero se sia necessario far valere la non conformità del comportamento attuativo ai canoni di buona fede in executivis mediante l'ottenimento di una sentenza costitutiva che sanzioni l'illegittimità della modificazione.


[nota 1] G. MOLLE, I contratti bancari, in Tratt. Cicu-Messineo, Milano, 1981, p. 30 e ss.

[nota 2] P. GALLO, Sopravvenienza contrattuale e problemi di gestione del contratto, Milano, 1992, p. 440; G. MARASCO, La rinegoziazione del contratto, Padova, 2006, p. 6 e ss.

[nota 3] F. BOCCHINI, Sub art. 1469-bis, comma 4, in Clausole vessatorie e contratto del consumatore, a cura di E. Cesaro, Milano, 1998, p. 412 e ss.; P. GAGGERO, Commento all'art. 1469-bis, commi 5, 6 e 7, in Comm. a cura di P. Schlesinger, artt.1469-bis - 1469-sexies c.c.; Clausole vessatorie nei contratti del consumatore, a cura di Alpa e Patti, Milano, 2003, p. 669 ss.).

[nota 4] L'art. 6 della legge sulla subfornitura come noto vieta il conferimento del potere unilaterale di variazione.

[nota 5] F. MACARIO, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine, Napoli, 1996; F. GAMBINO, Problemi del rinegoziare, Milano, 2004.

[nota 6] R. PENNAZIO, «La dottrina del fondamento negoziale nel diritto giudiziale europeo», in Contr. impr. - Europa, p. 391 e ss.

[nota 7] Cass. com. 3 ottobre 2006, www.legifrance.gouv.fr.; una seppur timida apertura all'adeguamento negoziale si era invece avuta con Cass. com. 3 novembre 1992, in JCP 1993, II, p.469; Cass. com. 24 novembre 1998, in Dalloz, 1999, p. 9.

[nota 8] A. BARENGHI, Determinabilità e determinazione unilaterale nel contratto, Napoli, 2005, p.139 e ss.

[nota 9] P. SIRENA, Le modificazioni unilaterali, in Tratt. del contr. a cura di V. Roppo, III; Effetti a cura di M. Costanza, Milano, 2006, p. 141 e ss.; P. SCHLESINGER, «Poteri unilaterali di modificazione (''jus variandi'') del rapporto

contrattuale», in Giur. comm., 1992, p. 18 e ss.

[nota 10] M. GAMBINI, Fondamento e limiti dello ius variandi, Napoli, 2000, p. 137 e ss.

[nota 11] E. CAPOBIANCO, Contrattazione bancaria e tutela dei consumatori, Napoli, 2000, I, p. 365 e ss.; P. GAGGERO, Disciplina delle banche e degli intermediari finanziari. Commento al D.lgs. n. 385 del 1993, testo unico in materia bancaria e creditizia, Padova, 2003. Nelle proposte di legge che avevano anticipato 1'entrata in vigore della legge sulla trasparenza bancaria era stato previsto che tale diritto potestativo poteva essere utilizzato solo per la modifica del saggio di interessi ed esclusivamente «nel caso e nei limiti in cui la mutata situazione del mercato finanziario lo richieda». Successivamente tale periodo veniva sostituito con la più generate condizione della «specificazione della ragione». Il successivo progetto di legge, n. 2798/Camera, prevedeva per i contratti di durata, l'ammissibilità delle modifiche unilaterali sfavorevoli al cliente, purchè pattuite preventivamente, comunicate ed accettate. Gli stessi contratti dovevano indicare le modalità delle comunicazioni ed i termini per il recesso.

Nel testo definitivamente licenziato, la modifica unilaterale nei contratti bancari trovava definitivo riconoscimento. La sua disciplina era contenuta nell'art. 6 della L. 154/1992 il quale riconosceva lo ius variandi alla banca prevedendo, a pena di inefficacia delle variazioni introdotte, diverse modalità di comunicazione al cliente (che potevano essere stabilite anche dal Cicr e dalla Banca d'Italia) ed introduceva il diritto di recesso per il cliente entro 15 giorni dalla avvenuta comunicazione.

[nota 12] Prima ancora il D.lgs. 385/1993 "Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia" (Tub) aveva abrogato interamente la L.154/1992 (ad eccezione dell'art. 10) e disciplinato lo ius variandi all'art. 118.

[nota 13] M. COSTANZA, «La novella sulle clausole abusive a confonto con il regime dei contratti finanziari», in Banca borsa, tit. cred., 2000, I, p. 382 e ss. II 6 agosto 2006 l'Abi ha emanato una circolare a beneficio dei suoi associati, interpretativa delle norme inserite nella nuova formulazione dell'art. 118 Tub. II 14 settembre 2006, l'Agcm ha emanato un provvedimento con il quale ha imposto all'Abi 1'immediata sospensione della circolare, in quanto l'Abi non si limitava a fornire alle imprese bancarie associate una mera informazione circa il contenuto delle recenti innovazioni normative bensì orientava la loro attività, fornendo una chiave interpretativa della normativa con particolare riferimento alla nozione di giustificato motivo e al diritto di recesso. Secondo l'Agcm la diffusione della circolare Abi avrebbe determinato il «rischio di un danno grave e irreparabile alla concorrenza in quanto in grado di alterare significativamente le dinamiche competitive nei mercati ostacolando le singole imprese bancarie nella determinazione autonoma delle strategie commerciali, incentivando inoltre il mantenimento di elevate barriere alla mobilità della clientela da una banca all'altra», per cui ha ritenuto che tale circolare fosse suscettibile di configurare un'intesa restrittiva della concorrenza.

[nota 14] E. MINERVINI, La specifica approvazione per iscritto delle clausole vessatorie nella recente legislazione speciale, in Il nuovo diritto dei contratti. Problemi e prospettive, a cura di F. Di Marzio, Milano, 2004, p. 87 e ss.

[nota 15] G. OPPO, I contratti di durata, in Scritti giuridici, III, Padova, 1992, p. 202 e ss.

[nota 16] In una nota diffusa il 21 febbraio 2007 il Ministero dello sviluppo economico ha precisato che i contratti cui si applica il nuovo testo dell'art. 118 Tub sono quelli conclusi nell'ambito dell'attività svolta in Italia dai soggetti previsti dall'art.115 Tub e, quindi, dalle banche, dagli intermediari finanziari iscritti nell'elenco di cui all'art. 106 Tub, e dai soggetti che esercitano il credito al consumo di cui all'art. 121 comma 2, lett. c) Tub. La normativa in esame, tuttavia, specifica la nota del Ministero, non trova applicazione per i contratti per i quali 1'art. 23 comma 4 Tuf esclude 1'applicazione del titolo VI del Tub e quindi i servizi di investimento e i servizi accessori di consulenza in materia di investimenti in strumenti finanziari (art. 1 comma 6 lett. f) Tuf) che rimangono regolati dalla disciplina della trasparenza emanata a suo tempo dalla Consob.

[nota 17] G. GIAMPICCOLO, voce Mutuo, dir. priv., in Enc. dir., XXVII, Milano, 1977, p. 452; P. FAUSTI, Il mutuo, in Tratt. Perlingieri, Napoli-Roma, 2004, p. 77 e ss.

[nota 18] P. GAGGERO, La modificazione unilaterale dei contratti bancari, Padova, 1999, p. 171 e ss.; E. CAPOBIANCO, Contratto di mutuo bancario e ius variandi, in Studi in onore di Ugo Majello, I, a cura di M. Comporti e S. Monticelli, Napoli, 2005, p. 292 e ss.

[nota 19] U.M. GIORDANO, «La trasparenza delle condizioni contrattuali nella nuova legge bancaria», in Riv. soc., 1993, I, p. 1234 e ss.; M. VIALE, «La nuova legge sulla trasparenza bancaria: prime perplessità e dubbi interpretativi», in Giur. comm., 1992, I, p. 785 e ss.

[nota 20] F. MACARIO, Le sopravvenienze, in Tratt. del contr. a cura di V. Roppo, V, Rimedi-2, Milano, 2006, p. 493 e ss., in cui precisa che certamente non vi sono dubbi circa l'ammissibilità di una regolamentazione dettagliata di natura convenzionale delle modalità attuative del diritto di variazione.

[nota 21] V. FARINA, «Principio di continuità dei contratti e ius variandi nei contratti bancari e finanziari», in Rass. dir. civ., 2002, p. 180 e ss.

[nota 22] M. BUSSOLETTI, «La disciplina del ius variandi nei contratti finanziari secondo la novella codicistica sulle clausole vessatorie», in Dir. banc. merc. fin., 2005, p. 32 e ss.

[nota 23] Tra gli altri L. GALANTINO, Diritto del lavoro, Torino, 1998, p. 508 e ss.

[nota 24] Nella citata nota del 21 febbraio 2007 il Ministero dello sviluppo economico afferma che costituiscono giustificato motivo gli «eventi di comprovabile effetto sul rapporto bancario», attinenti tanto alla sfera del cliente quanto alle condizioni economiche generali, purchè non si tratti di costi indipendenti dall'andamento del mercato ed unicamente attinenti all'organizzazione aziendale. La circolare Abi, sospesa dall'Agcm, ritiene giustificato motivo qualsiasi accadimento sopravvenuto alla conclusione del contratto, sia con riguardo ai mutamenti delle condizioni soggettive dei clienti o della banca (grado di affidabilità del cliente; mutamenti nelle caratteristiche gestionali della banca) sia con riferimento a condizioni oggettive (variazioni dei tassi di politica monetaria o dei tassi di primaria importanza per il mercato). L'Abi ricomprende tra i motivi giustificanti anche la variazione dei costi industriali; secondo l'Agcm tale criterio costituisce invece una forma di restrizione concorrenziale, in quanto i costi industriali costituiscono una variabile economica strategica nell'offerta da parte delle banche.

[nota 25] F. DI MARZIO, Clausole abusive nei contratti bancari. Recesso, ius variandi e limitazioni di responsabilità, in Il diritto dei consumi, I, a cura di P. Perlingieri e E. Caterini, Rende, 2004, p. 318 e ss.

[nota 26] L. NIVARRA, «Ius variandi del finanziatore e strumenti civilistici di controllo», in Riv. dir. civ., 2000, p. 471, ma già in L. NIVARRA, Ius variandi e contratti aventi ad oggetto servizi finanziari, in Diritto privato. Condizioni generali e clausole vessatorie, II, Padova, 1996, p. 325 e ss.; P. GAGGERO, Disciplina del ius variandi nel testo unico bancario, in Le clausole abusive nei contratti con i consumatori a cura di M. Bianca e G. Alpa, Padova, 1996, p. 386 e ss.

[nota 27] F. GALGANO, «Abuso del diritto: l'arbitrario recesso ad nutum della banca», in Contr. impr., 1998, p. 25.; V. SANTORO, «L'abuso del diritto di recesso ad nutum», in Contr. impr., 1986, p. 766; G. PORTALE - A. DOLMETTA, «Recenti sviluppi del diritto bancario italiano», in Vita not., 1991, p. 413 e ss.; T. GAETA, «Contratti bancari collegati e regole di condotta», in Contr., 2001, p. 233.

[nota 28] In questo senso Trib. Bolzano 11 aprile 2005, n. 420, in V. PICCININI, I rapporti tra banca e clientela. Asimmetria e condotte abusive, Padova, 2008; il Tribunale ha dichiarato l'abusività della clausola contenuta nelle condizioni generali disciplinanti i contratti di conto corrente predisposti dalla banca convenuta «nella parte in cui prevede(va) l'obbligo del cliente di corrispondere una somma a titolo di "commissioni richiesta estinzione conto" anche nell'ipotesi in cui il diritto di recesso sia stato esercitato dal cliente a seguito della comunicazione, da parte dell'istituto di credito, dell'unilaterale modificazione dei tassi, prezzi e altre condizioni, ai sensi dell'articolo 118 Tub, senza che la somma richiesta risulti corrispondere a spese effettivamente sostenute da parte della banca e adeguatamente documentate».

[nota 29] G. DE NOVA, «Nullità relativa, nullità parziale e clausole vessatorie non specificamente approvate per iscritto», in Riv. dir. civ., II, 1976, p. 486 e ss.; S. MONTICELLI, «Dalla inefficacia della clausola vessatoria alla nullità del contratto (note a margine dell'art. 1469-quinquies, commi 1 e 3, c.c.)», in Rass. dir. civ., 1997, p. 565 e ss.

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