L'insolvenza transfrontaliera
di Dario Latella
Associato di Diritto Commerciale, Università di Messina
Il tema dell’insolvenza nell’ambito della disciplina comunitaria e regolamentare presenta particolari problemi pratici, che investono anche l’interesse della categoria notarile.
L’apparato normativo della procedura d’insolvenza transfrontaliera è contenuto nel Regolamento 1346/2000, più volte rimaneggiato fondamentalmente per adeguare la trattazione dell’insolvenza a livello comunitario con le discipline nazionali dell’insolvenza dell’impresa o degli esercenti attività economica.
La disciplina comunitaria dell’insolvenza non riguarda il soggetto che noi italiani siamo abituati a concepire come esposto a fallimento, cioè l’imprenditore commerciale non piccolo, bensì astrattamente qualsiasi debitore, quindi anche il debitore civile, il debitore non imprenditore e l’imprenditore non commerciale.
Da questo punto critico è partito il “moto” del legislatore comunitario per l’adeguamento del Regolamento alle discipline nazionali di insolvenza, attuato in particolare con gli interventi del 2005 e del 2007, grazie ai quali oggi siamo in grado di poter trattare l’insolvenza di un imprenditore stabilito in un Paese comunitario in modo tendenzialmente uniforme.
In realtà, la disciplina comunitaria dell’insolvenza contenuta nel Regolamento presenta vaste aree di rinvio agli ordinamenti nazionali. Il Regolamento non individua cioè una disciplina uniforme per tutti i Paesi, ma esclusivamente alcuni profili di uniformità, che riguardano tendenzialmente l’attività economica del debitore, ogniqualvolta questa risulti sganciata da un addentellato al Paese di appartenenza, quale può essere la titolarità di un bene immobile ovvero la presenza di rapporti patrimoniali prestabiliti.
È importante individuare l’obiettivo prioritario che il legislatore comunitario ha inteso perseguire proprio perché esistono profili di conflitto ancora non risolti che, traendo spunto dalla ratio che sta alla base del Regolamento, potrebbero aiutarci a sciogliere alcuni fra i problemi che si stanno presentando all’attenzione della pratica. Ad esempio, il caso del notaio che riceva la richiesta di un trasferimento di sede societaria in prossimità, ovvero in stato di conclamata insolvenza del richiedente. Vedremo come questo tema (che è quello più ricorrente nella casistica giurisprudenziale disponibile), a mio modesto avviso, potrebbe sollecitare maggiormente l’attenzione del notaio come consulente professionale, fermo restando che da una lettura (tutto sommato condivisa) delle norme non emergono problemi di irricevibilità dell’atto – ovviamente – o di manifesta nullità, ma esclusivamente di diligenza nella prestazione dell’attività di consulenza e, eventualmente, di responsabilità professionale.
Il IV considerando del Regolamento stabilisce che l’obiettivo primario del provvedimento è quello di realizzare il corretto funzionamento del mercato interno. Con questa espressione estremamente generica il legislatore comunitario intende dissuadere il cittadino dal praticare una ricerca opportunistica della norma giuridica più conveniente o, comunque, più favorevole rispetto a quella del Paese di provenienza (forum shopping).
Se leggiamo invece l’XI considerando del Regolamento, il legislatore comunitario ravvisa come irrealistica la possibilità di una trattazione pienamente uniforme dell’insolvenza, soprattutto sul piano sostanziale. E ciò perché ciascuna tradizione giuridica statuale possiede una specificità che difficilmente potrebbe essere rimessa in discussione.
Sul piano delle finalità dichiarate, a livello comunitario il trattamento dell’insolvenza del debitore avviene dunque secondo il cosiddetto principio di “universalità attenuata”: non esiste una “procedura comunitaria d’insolvenza”, bensì una disciplina delle relazioni fra procedure d’insolvenza trattate a livello statuale.
Pertanto, il trattamento dell’insolvenza deve avvicinarsi ad alcune linee guida comunque a contenuto precettivo direttamente applicabile (trattandosi di regolamento) e, tuttavia, il patrimonio del debitore potrebbe essere trattato dal singolo Stato secondo la legge di disciplina dell’insolvenza prevista dallo Stato di partenza.
Esistono, quindi, numerosi spunti di conflitto astrattamente configurabili tra ciò che è disciplina comunitaria e ciò che è rinvio alla disciplina statuaria.
Molteplici sono le procedure d’insolvenza perché molteplici sono le sedi o le dipendenze che un imprenditore o un debitore possono installare nei Paesi appartenenti alla Comunità. Si parla di una procedura principale, che normalmente è quella che viene aperta nello Stato di appartenenza del debitore, e di una procedura secondaria, che è quella che invece viene aperta nello Stato in cui il debitore possiede dipendenze.
Da questo punto di vista sussiste un principio base di reciproca fiducia fra gli Stati membri, che è immanente al diritto comunitario e in virtù del quale ciascuno Stato deve riconoscere le procedure aperte in un altro Stato per il fatto stesso dell’appartenenza alla medesima congregazione.
E però importante comprendere in quale Stato possa aprirsi l’una o l’altra procedura (principale o secondaria), proprio al fine di affrontare correttamente il problema di un trasferimento di sede richiesto ad arte, ossia al fine di evitare l’imminente declaratoria d’insolvenza pronunziabile nello Stato dall’ambiente giuridico meno favorevole.
La disciplina dell’insolvenza segue due binari normativi: il primo è quello del trattamento uniforme, là dove rinvenibile nel Regolamento; il secondo è quello del trattamento riservato al debitore dallo Stato di appartenenza.
Quest’ultimo regola i profili processuali e sostanziali dello status di soggetto insolvente. Ciò significa che, ad esempio, il debitore che venga considerato insolvente in Francia, ma che possiede una dipendenza in Italia, potrebbe essere assoggettato astrattamente, proprio per quanto riguarda quest’ultima, alla disciplina italiana; il debitore italiano, infatti, se è imprenditore commerciale non piccolo, è esposto alla procedura concorsuale. Se invece, trattasi di imprenditore agricolo o imprenditore commerciale piccolo, sarà soggetto ad esecuzione civile.
Pertanto, il primo punto di conflitto si potrebbe creare rispetto alla disciplina della insolvenza principale dichiarata nello Stato di appartenenza del debitore. Immaginiamo che un professionista risulti esposto a procedura concorsuale in Inghilterra, ma possieda una dipendenza in Italia: quest’ultima potrebbe essere soggetta ad una disciplina secondaria d’insolvenza? Tendenzialmente, dovremmo rispondere con una negativa. Ma sul punto si tornerà più avanti.
Un altro tema che interessa da vicino la professione notarile è la pubblicità.
Esistono norme che tendono ad assicurare il coordinamento degli obblighi di iscrizione, che in ciascuno Stato membro riguardano gli imprenditori sottoposti a procedura concorsuale, ma non esiste una procedura uniforme di pubblicizzazione dello stato di impresa (o debitore) sottoposta a procedura concorsuale, che sia valevole per l’intera Comunità. Ciò comporta che l’assoggettamento di un debitore a procedura concorsuale avvenuto in un altro Stato potrebbe non essere in alcun modo conosciuto.
Il curatore (o meglio, l’organo che amministra la procedura concorsuale) ha facoltà di pretendere l’iscrizione pubblicitaria della situazione di debitore assoggettato a procedura concorsuale negli Uffici a ciò deputati da ciascuno Stato membro, ma non trattandosi di un obbligo, ciò costituisce una forte debolezza del Regolamento, che sul punto avrebbe potuto essere più efficace, eventualmente prevedendo l’istituzione di “Registro comunitario delle procedure concorsuali”.
Senza formalità è altresì il riconoscimento reciproco delle procedure, perché appunto fondato sul principio di fiducia fra gli Stati membri.
Venendo alle definizioni normative, sono anzitutto qualificati espressamente i destinatari del Regolamento.
Esso viene applicato al debitore stabilito in uno Stato comunitario, persona giuridica o persona fisica indipendentemente, quindi, dal suo status di imprenditore commerciale. Il criterio di individuazione dello Stato nel quale si apre la procedura principale è quello a molti è noto con l’acronimo COMI (Center Of Main Interest), il che rinvia a ciò che siamo abituati a concepire come la sede effettiva degli affari dell’imprenditore.
Esiste una presunzione di coincidenza del COMI con la sede statutaria della società (se di società si tratta), anche se la presunzione in parola è stata già vinta da parte della giurisprudenza (v. il caso Eurofood, la società controllata da Parmalat con sede in Irlanda) là dove si è dimostrato che la scissione fra sede statutaria e sede effettiva prescindeva dal criterio di collegamento formalmente rinvenuto nel Regolamento.
Per quanto concerne la procedura secondaria, essa può essere aperta nello Stato in cui il debitore abbia una dipendenza. Pertanto, là dove il debitore possieda il suo COMI, si aprirà la procedura principale che detta anche il regime dei provvedimenti conservativi adottabili sul patrimonio debitorio, anche se collocato in altri Stati.
Nello Stato in cui il debitore possiede una dipendenza, invece, può aprirsi una procedura secondaria. In tal caso, si pone il problema del trattamento del debitore nello Stato dell’apertura della procedura principale, rispetto a quello in cui si apre la procedura secondaria. La legge dello Stato di appartenenza del debitore regola gli aspetti processuali e sostanziali, quindi, per risolvere la questione bisogna capire se la dipendenza, ad esempio, possa essere esposta al trattamento concorsuale di derivazione dello Stato in cui è stata aperta la procedura principale e cosa accada, invece, se lo Stato in cui esiste la dipendenza non preveda una procedura concorsuale applicabile (si pensi al caso, poc’anzi accennato, del professionista, ma anche a quello dell’imprenditore agricolo, o del debitore civile).
Tornando alle definizioni: debitore è persona fisica o persona giuridica indipendentemente dal suo status; centro degli interessi principali, ex art. 3 del Regolamento XIII considerando è «il luogo in cui il debitore esercita in modo abituale, riconoscibile dai terzi, la gestione dei suoi interessi». Solo se si tratta di persona giuridica, si applicherà una presunzione di coincidenza tra Comi e sede statutaria; altrimenti non sussisteranno altri indizi formali, se non il fatto che l’esercizio dell’attività economica dovrà essere in quel luogo riconoscibile dai terzi; la dipendenza è il luogo in cui si svolge un’attività economica di carattere non transitorio con risorse materiali ed umane. Come può notarsi, sussiste una particolare larghezza di concetti in questa definizione.
La matrice normativa del nostro diritto fallimentare e concorsuale è rappresentata da un R.D. del 42, poi aggiornato con la legge delega dell’85, ancora una volta nel 2006, nel 2007 con un correttivo e da ultimo con la riforma del processo civile, che ha introdotto modifiche all’impianto concorsuale interno. La disciplina del diritto fallimentare nazionale non prevede la sottoposizione a fallimento dell’imprenditore piccolo, dell’imprenditore agricolo e del debitore civile.
È questo il punto di conflitto di maggiore evidenza: cosa può intendersi oggi, a livello comunitario, essere infatti un “esercente di attività economica” e, in tal senso, cosa può comportare per un professionista rivestire la qualità di “fornitore di servizi”? Potrebbe immaginarsi, ad esempio, in virtù dell’applicazione del Regolamento, la configurabilità di un trattamento differenziato dell’insolvenza del debitore professionista, del debitore civile e delle altre categorie tradizionalmente escluse dall’area di applicazione della disciplina fallimentare? E ciò, ogni qualvolta l’esposizione a procedura concorsuale possibile in altri Paesi aderenti all’Unione dovesse comportare problemi di importazione della procedura principale presso sedi o dipendenze secondarie presenti in Italia?
E’ noto che la Corte di Giustizia, secondo una consolidata giurisprudenza, considera tutti i soggetti esercenti un’attività economica come ricompresi nella lasca definizione di imprenditore. Ed allora, ci si domanda se il soggetto non fallibile per la legge italiana possa ugualmente rischiare il coinvolgimento nella procedura concorsuale, stante l’avvenuta sottoposizione a fallimento della sua sede principale stabilita in altro Stato membro.
Il Regolamento non aiuta a sciogliere direttamente il quesito.
Tuttavia, attraverso la lettura di una norma a contenuto sostanziale ed un considerando, cui si è fatto esplicito riferimento, si ritiene di poter individuare la corretta chiave di lettura.
Se è vero, infatti, che la legge dello Stato di appartenenza del debitore regola gli effetti processuali e sostanziali della sua condizione giuridica (stato), appare coerente con questa premessa ritenere che il debitore con sede secondaria in Italia debba considerarsi sottratto al fallimento, quand’anche detta procedura abbia coinvolto il suo COMI in altro Stato membro. In questo caso, assumere che la procedura concorsuale aperta in via principale in altro Stato possa “migrare” verso l’Italia, coinvolgendo una dipendenza che, di per sé, non sarebbe esposta a fallimento, appare contraddire la portata precettiva della menzionata disposizione sulla individuazione della disciplina sostanziale del trattamento del debitore.
La domanda subordinata è la seguente: qualora non vi sia apertura della procedura principale nello Stato di appartenenza, potrà aprirsi direttamente una procedura secondaria sulla dipendenza (ed in questo caso, quale tipologia di procedura)? Ebbene, la giurisprudenza tiene fermo il COMI come criterio di collegamento per individuare non soltanto la legge applicabile, ma anche il criterio di priorità da utilizzare per stabilire quale sia il giudice competente. Nel nostro caso, quindi, anche il professionista con sede in Italia e con dipendenza all’estero (in uno Stato nel quale, astrattamente, detta dipendenza potrebbe risultare esposta a procedura concorsuale), non andrebbe considerato assoggettabile a fallimento né in Italia, né tantomeno nel diverso Paese comunitario.
Sono questi i casi che occupano maggiormente la giurisprudenza e la pratica professionale sul tema delle procedure transfrontaliere. Fondamentalmente si tratta di ipotesi in cui gruppi di imprese operino mediante sussidiarie o mega-sussidiaria sparse in Paesi europei. Si tratta ancora (è questo è un caso molto delicato in cui, tuttavia, esiste una chiara giurisprudenza delle Sezioni Unite della Cassazione italiana) della assunzione della qualità di socio illimitatamente responsabile da parte di società con sede in uno Stato comunitario.
È noto che lo status di socio illimitatamente responsabile ai sensi dell’art. 147 della L. fall. italiana espone il socio all’estensione della procedura concorsuale avviata nei confronti della società. Questo significa concretamente che si può verificare (caso già risolto dalle Sezioni Unite) un conflitto fra la legge italiana, che comporta l’estensione della procedura concorsuale a tutti i soci illimitatamente responsabili, e la legge dello Stato di provenienza della società che, possedendo la qualità di socio illimitatamente responsabile di società italiana, potrebbe invocare l’applicazione dell’art. 25 della legge di riforma del d.i.p.
Questa ipotesi di conflitto espone ovviamente il notaio ad un’attività assai prudente e diligente di consulenza nel consigliare come organizzare il sistema delle partecipazioni societarie all’interno di un gruppo e, naturalmente, nell’individuare le modalità di allocazione. Non tutti gli ordinamenti statuali, ad esempio, dispongono del meccanismo di estensione del fallimento al socio illimitatamente responsabile.
Infine, v’è il problema del trasferimento della sede, ovviamente, quando esso sia praticato ad arte, ossia con funzione protettiva dell’impresa rispetto al rischio di trattamento concorsuale dell’insolvenza, ovvero rispetto al rischio di un trattamento giuridicamente deteriore.
Ebbene, la giurisprudenza in questi casi si è espressa in merito ad alcune vicende molto note: si pensi al caso Eurofood, ma anche alle decisione delle Sezioni Unite della Cassazione italiana, della quale piace ricordare quattro pronunzie adottate dal 2009 a ritroso fino al 2005, ognuna delle quali riguarda un segmento del tema che si è complessivamente esposto:
- La sentenza del 2009 riguarda un caso di trasferimento fittizio della sede. La Corte muove dalla considerazione secondo la quale il centro degli interessi principali e il collegamento con la sede statutaria presentano il criterio di collegamento principale per l’applicazione della procedura d’insolvenza e, però, se il trasferimento della sede avvenga in prossimità o in fase di conclamata insolvenza, la Cassazione afferma che, nonostante il dato formale si modifichi, è sempre il dato fattuale che deve prevalere. Quindi, è vinta la presunzione di coincidenza fra sede statutaria e centro degli interessi principale affermando la prevalenza della legge dello Stato di provenienza, ogni qual volta si dimostri che il trasferimento avesse finalità elusive dell’applicazione della disciplina più sfavorevole.
- La seconda sentenza delle Sezioni Unite (6 luglio 2005), riguarda un caso di estensione del fallimento di società ai soci illimitatamente responsabili. In tal senso, si pone quel conflitto con l’art. 25 della legge di riforma del d.i.p., cui si è fatto riferimento. Infatti, la società italiana che fallisce, per la legge italiana, genera un meccanismo di estensione a tutti i soci illimitatamente responsabili, ma, se uno fra questi dovesse avere sede in un altro Stato comunitario, quale dovrà essere la disciplina della responsabilità selezionata per l’assolvimento delle obbligazioni sociali? L’art. 25 d.i.p. stabilisce che si applichi sempre la disciplina dello Stato di provenienza, quindi la disciplina dello Stato in cui il socio illimitatamente responsabile di società italiana ha la sede. Tuttavia, l’art. 147 della L. fall. italiana prevede che delle obbligazioni sociali della società fallita in Italia rispondano tutti i soci illimitatamente responsabili. Ebbene, le Sezioni Unite hanno affermato che la legge concorsuale italiana prevale sul criterio di collegamento con la legge di provenienza della società/socio illimitatamente responsabile. Deve quindi disapplicarsi la disciplina della responsabilità per le obbligazioni sociali di appartenenza della società proveniente da Stato estero ed applicarsi, al contrario, la disciplina interna di estensione del fallimento, con la conseguenza che la società/socio estero sopporterà il carico debitorio di fonte interna. Ciò comporta la necessità, sotto questo profilo, di monitorare con particolare attenzione le operazioni di acquisto dall’estero di partecipazioni societarie che comportino responsabilità illimitata per obbligazioni contratte da società di diritto italiano.
- Riguardo alle ultime due sentenze (20 maggio 2005 e 28 gennaio 2005): per quanto concerne la prima, si tratta sempre di un trasferimento formale di sede e vale tutto sommato quanto affermato in precedenza; mentre, per la seconda, il discorso è leggermente più complicato, ma allo stesso tempo più interessante. Si tratta sempre di un’applicazione dell’art. 147 L. fall., inerente a società con sede in Lussemburgo (socia illimitatamente responsabile di società italiana esposta a fallimento), che possedeva un immobile localizzato in Italia. In questo caso, chi ha richiesto la sottoposizione della società con sede in Lussemburgo alla disciplina concorsuale italiana ha affermato che il criterio di collegamento non fosse rappresentato dall’art. 25 della legge di riforma del diritto internazionale privato (rinvio alla disciplina della responsabilità per le obbligazioni sociali del Lussemburgo), bensì assumeva che il criterio di collegamento fosse rappresentato dal fatto che il patrimonio immobiliare di questa società fosse localizzato in Italia. I fautori della estensione della sottoposizione a fallimento hanno utilizzato questo criterio per pretendere che la società venisse assoggettata alla legge concorsuale italiana. Le Sezioni Unite hanno ragionato diversamente, sostenendo che, in mancanza di apertura di una procedura fallimentare nei confronti della società italiana, non possa applicarsi – e, dunque, non possa prevalere – l’art. 147 L. fall., perché questa rappresenta una conseguenza normativa dell’avvenuta dichiarazione di fallimento e non un precetto di selezione della disciplina applicabile prima di detta dichiarazione. Al contrario, dovrà pertanto considerarsi prevalente l’art. 25 della legge d.i.p., con la conseguenza che la società lussemburghese sarà governata, sotto il profilo della responsabilità per le obbligazioni sociali, dalla disciplina lussemburghese.
[nota *] Trascrizione a cura della Fondazione Italiana per il Notariato, autorizzata dall’Autore.
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