I trasferimenti di societą
di Giuseppe A. Rescio
Ordinario di Diritto Commerciale, Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano
1. Nei trasferimenti di sede transfrontalieri si devono considerare sia i trasferimenti in entrata, dall’estero in Italia, sia i trasferimenti in uscita, dall’Italia all’estero. In questa sede si prenderanno in considerazione i trasferimenti di sede statutaria, poiché nel trasferimento di sede reale – cioè nello spostamento del centro direzionale dell’impresa – in assenza di una modifica della sede statutaria di norma non vi è un diretto coinvolgimento del notaio.
In entrambi i casi di trasferimento, in entrata o in uscita, viene in considerazione l’art. 25 della legge di diritto internazionale privato (d.i.p.), per il quale tali trasferimenti hanno efficacia – e quindi sono concretamente realizzabili – soltanto se posti in essere in modo conforme alle leggi degli Stati interessati.
Viene naturale individuare le leggi degli Stati interessati in quella del luogo in cui ha attualmente sede la società e in quella del luogo dove la sede verrà posta; ma occorre anche considerare le leggi degli Stati interessati in funzione della fonte delle regole organizzative di quell’attività d’impresa esercitata in forma societaria.
Sotto quest’ultimo profilo la prima legge interessata è quella che regola la società nel momento in cui essa decide di trasferire la propria sede, mentre la seconda è quella che regolerà la società una volta trasferita la propria sede. Queste leggi spesso coincidono con quelle del luogo in cui viene di volta in volta collocata la sede statutaria, ma ciò non sempre avviene: pertanto possono esserci trasferimenti di sede con cambio di legge societaria e trasferimenti di sede senza cambio di legge societaria.
2. Il trasferimento di sede con cambio di legge societaria è la vicenda più facile da realizzare, soprattutto nella prospettiva del diritto comunitario. Il più delle volte un trasferimento di sede statutaria è motivato proprio dall’intento di assoggettare la società ad una diversa legge, non già dall’intento di esercitare l’attività nel territorio di un altro Stato o di porvi il centro dell’amministrazione della società. Infatti, molto spesso non c’è bisogno di trasferire in un altro Paese la sede statutaria, se in quel Paese si vuole operare o si vuole spostare il luogo in cui si adottano le decisioni amministrative.
Uno sguardo panoramico a quanto accade in Europa da alcuni a questa parte dimostra che di norma, se si attua un trasferimento di sede statutaria in un altro Stato, è perché si vuole cambiare la legge applicabile alla società in cerca di un ordinamento ritenuto più confacente agli interessi dei soci in relazione a svariate esigenze: dai minori costi di gestione alla maggiore convenienza delle regole societarie e di diritto dell’impresa, dalla minore pressione fiscale alle opportunità offerte da una giurisdizione più efficiente.
In questi casi il trasferimento della sede legale implica la necessità di approvare anche un nuovo statuto, perché la società dovrà avere la veste di un tipo sociale organizzato secondo le regole della diversa legge che regolerà la società e, quindi, dovrà procurarsi uno statuto in linea con la diversa normativa applicabile.
Questo tipo di trasferimento implica il verificarsi di una vicenda sostanzialmente assimilabile ad una trasformazione del tipo sociale anche quando le caratteristiche di fondo della struttura societaria adottata dovessero essere non dissimili rispetto a quelle del tipo di partenza (ad esempio, si tratta sempre di un tipo caratterizzato dalla suddivisione del capitale in azioni, dalla responsabilità limitata dei soci, ecc.).
3. Peraltro l’art. 25 cit. costringe a verificare non soltanto se l’operazione sia in sé ammissibile con gli accorgimenti precisati, ma anche quale sia la conseguenza del trasferimento di sede in ordine alla continuità giuridica del soggetto. L’operazione di trasferimento della sede potrebbe essere realizzabile, ma potrebbe determinare conseguenze spiacevoli e “costi” eccessivi.
In particolare, si tratta di verificare se la società come soggetto giuridico rimane tale, non si estingue, ancorché prosegua indossando la diversa veste che riceve a seguito del cambio di legge applicabile. Se non dovesse essere così in base all’ordinamento interessato (diverso da quello italiano) in entrata o in uscita, se cioè quell’ordinamento considerasse estinta la soggettività giuridica originaria della società con costituzione di un nuovo soggetto giuridico nel luogo d’arrivo, non si vede quale convenienza ci sarebbe a trasferire la sede: la vicenda implicherebbe, infatti, lo scioglimento della società per la legge di partenza e la costituzione di una nuova società per la legge di arrivo; ed allora tanto vale seguire apertamente tale strada (cioè procedere ad una costituzione ex novo nello Stato di arrivo), evitando il rischio che lo scioglimento della società per l’ordinamento di partenza si realizzi in elusione dell’inderogabile procedimento di liquidazione della società per questa via estinta. Merita richiamare l’attenzione sul fatto che, ad esempio, nei trasferimenti in uscita dall’Italia all’estero l’eventuale estinzione senza preventiva liquidazione di una società di capitali italiana deve essere impedita dal notaio in sede di controllo di legalità/iscrivibilità della deliberazione di trasferimento di sede all’estero.
4. Il trasferimento di sede può avvenire anche senza il cambiamento della lex societatis, e ciò avviene al concorrere di due presupposti: che le leggi applicabili in funzione del luogo di partenza e di arrivo lo consentano e che i soci vogliano mantenere invariata la legge che riconosce e regola il loro rapporto.
Certamente la legge italiana non impone alle società ad essa soggette che trasferiscono la sede all’estero, quando ciò sia consentito nello Stato di arrivo, di spezzare il cordone ombelicale che le lega all’ordinamento italiano. La società italiana, quindi, può continuare ad essere regolata dalla legge italiana anche se porta la sua sede all’estero.
In questi casi, tuttavia, l’ordinamento dello Stato ricevente potrebbe sì accettare l’idea che la legge originaria continui a regolare il rapporto sociale, ma potrebbe in più pretendere che si applichi in tutto o in parte anche la legge della nuova residenza. Ciò si verifica nei casi di trasferimenti dall’estero all’Italia, allorquando trovi applicazione l’art. 25, comma 1, secondo periodo, d.i.p., il quale stabilisce che alla società straniera, soggetta alla legge che ne ha regolato il procedimento di costituzione, “si applica, tuttavia, la legge italiana se la sede dell’amministrazione è situata in Italia, ovvero se in Italia si trova l’oggetto principale di tali enti”.
Per effetto di norme del genere può crearsi una situazione di estrema complessità, perché, per un verso, sorge il problema della individuazione delle norme che la legge del luogo della nuova sede impone di applicare e, per altro verso, una volta individuate tali norme, rimane il problema di come realizzarne il coordinamento e risolvere eventuali conflitti con quelle dell’ordinamento dello Stato di costituzione (o, comunque, di provenienza) che continuano ad applicarsi. Sul piano operativo l’incertezza degli esiti talvolta scoraggia dal realizzare l’operazione.
5. In ambito comunitario i principi sopra esposti devono confrontarsi con il quadro emergente da una serie di casi affrontati dalla Corte di Giustizia. La maggior parte di questi casi si riferisce, in realtà, non a trasferimenti di sede statutaria, ma a trasferimenti di sede effettiva o amministrativa o reale, rimanendo invariata la sede indicata nello statuto. Anzi, in talune vicende è persino improprio parlare di “trasferimento”, come nel noto esempio (Centros, 1999) della sede reale fin dalla costituzione della società collocata in uno Stato diverso da quello in cui si è perfezionamento il procedimento costitutivo della società ed è stata posta la sede statutaria.
Questi casi sono ordinabili anche sotto un profilo diverso, a seconda che i limiti e gli ostacoli al trasferimento siano posti dall’ordinamento dello Stato di partenza (quello che regola la società nel momento in cui questa decide il trasferimento) o dall’ordinamento dello Stato di arrivo (quello dove la sede viene portata). Alla prima categoria sono ascrivibili i casi Daily Mail (1988) e Cartesio (2008); alla seconda categoria sono riconducibili i casi Centros (1999), Uberseering (2001) e Inspire Art (2003).
Da questo quadro complessivo emergono dei principi, alla cui formazione hanno contribuito anche il caso Sevic (2005) nel contiguo tema della fusione transfrontaliera e i lavori in corso tendenti a favorire il trasferimento di sedi all’interno della Comunità europea. Se da un lato si sono bloccati i lavori per un’apposita direttiva sui trasferimenti di sede transfrontaliera o all’interno della Comunità, dall’altro lato sono giunti a buon fine quelli sulla Società Europea, sulla Società Cooperativa Europea e sulla stessa fusione transfrontaliera: in tutti i corpi normativi dedicati alle strutture societarie di rango comunitario e alla fusione tra società soggette alle leggi di Stati membri destinatarie degli artt. 43 e 48 del Trattato CE il trasferimento di sede transfrontaliero è senz’altro attuabile.
Giova ricordare che non tutti i casi menzionati si sono risolti in modo favorevole a chi lamentava la non compatibilità con la normativa comunitaria degli ostacoli posti dalle legislazioni nazionali al trasferimento. Ma al di là di questa osservazione si può sostenere che dai citati precedenti si ricavano alcune precise linee guida sul trattamento dei trasferimenti societari intracomunitari.
6. In primo luogo si afferma il principio per cui la trasferibilità della sede, sia legale che amministrativa, in ambito comunitario rappresenta l’esercizio di un diritto insopprimibile per le società che possano invocare la libertà di stabilimento in applicazione degli artt. 43 e 48 del trattato CE, cioè quelle che hanno la sede legale ovvero l’amministrazione centrale ovvero il centro dell’attività principale all’interno della Comunità.
La trasferibilità della sede sociale è una conseguenza del principio di libertà di stabilimento. Tuttavia, nella giurisprudenza della Corte di Giustizia vi è una distinzione netta tra il trasferimento con cambio e senza di legge societaria e quello. Il precedente “chiave” sotto questo profilo è il caso Cartesio, oggetto di una sentenza del dicembre 2008, concernente una società ungherese che voleva trasferire la sua sede in Italia mantenendosi soggetta alla legge ungherese. Tale volontà è stata disattesa dalle autorità ungheresi per la ragione che la posizione della sede sociale al di fuori del territorio ungherese, per la legge di quello Stato, spezza il legame con l’ordinamento societario.
La Corte di Giustizia ha in questa decisione affermato che ciascuno Stato ha il diritto di decidere quali società riconoscere come proprie e regolate dalle proprie leggi, sicché non contrasta con l’ordinamento comunitario una disposizione nazionale per la quale, se una società porta la propria sede statutaria o amministrativa all’estero, essa non sarà più regolata dalla legge originaria. Ciò che non si può impedire è il (trasferimento con) cambio di legge societaria: la legge ungherese non avrebbe, cioè, potuto impedire il trasferimento della sede sociale dall’Ungheria in Italia, se la decisione – contrariamente a quanto in concreto avvenuto - fosse stata accompagnata dall’abbandono volontario della “forma giuridica” societaria ungherese con contestuale adozione di una “forma giuridica” societaria italiana.
7. In altre parole, mentre il trasferimento di sede con cambio di legge societaria non può essere ostacolato in ambito comunitario né dallo Stato di partenza né da quello di arrivo, il trasferimento senza cambio di legge societaria può essere impedito dall’ordinamento dello Stato di partenza, nel senso poc’anzi precisato che questi può considerare reciso il legame che consente alla società di continuare ad esistere quale società di quell’ordinamento.
Per contro, che il trasferimento avvenga con cambio o senza cambio di legge, non sembra che possano essere frapposti leciti ostacoli da parte dello Stato di arrivo: è vero che in teoria la Corte di Giustizia ha fatto salvi i limiti giustificabili sotto il profilo del rispetto delle norme di ordine pubblico, della idoneità e della proporzionalità rispetto allo scopo perseguito; ma sinora non sono stati individuati specifiche norme restrittive la cui coerenza con i criteri sopra richiamati ne assicuri l’imprescindibile applicazione alle società che si trasferiscono mantenendo il proprio legame con l’ordinamento dello Stato di partenza.
Conseguentemente nei casi di trasferimento in entrata in Italia, l’art. 25 comma 1, secondo periodo, d.i.p. (cioè la norma che pretende di applicare la legge italiana alle società straniere che pongono la propria sede effettiva in Italia o ivi esercitano la propria attività principale) non si applica alle società soggette alla legge di uno Stato membro, ciò traducendosi in un ostacolo incompatibile con la libertà di stabilimento così come interpretata dalla Corte di Giustizia.
8. Sotto il profilo pratico, che cosa deve fare una società italiana di capitali che voglia trasferire la propria sede all’estero?
La decisione andrà presa con le maggioranze, di legge o di statuto, dell’assemblea straordinaria (s.p.a.) o dell’assemblea competente (s.r.l.) ed il notaio effettuerà il controllo di iscrivibilità, verificando ciò che è necessario in base all’art. 25 d.i.p., onde appurare se il trasferimento sia consentito nei termini in cui lo si vuole realizzare, con o senza cambio di legge societaria.
È importante ricordare che la società verrà cancellata dal Registro delle imprese solo quando sia stata iscritta in analogo registro o comunque abbia subìto un processo di evidenza pubblica di “entrata” nello Stato di arrivo, in modo tale che non succeda che la società faccia perdere le proprie tracce. Il notaio deve perciò fare attenzione a non promuovere la cancellazione della società dal Registro delle imprese italiano prima che risulti che la società ha realizzato o iniziato ufficialmente quelle procedure che ne consentono il riconoscimento da parte del nuovo ordinamento e la sua incontrovertibile comparsa sullo scenario dello Stato di arrivo.
9. Nel caso contrario di trasferimento dall’estero in Italia, la decisione dovrà essere prese in conformità alla legge societaria applicabile, che è quella dell’ordinamento straniero che in quel momento regola la società.
Anche qui il notaio è chiamato ad effettuare un controllo di iscrivibilità, ma questa volta “in entrata”. L’ipotesi normale è che la decisione, presa dall’organo competente con le formalità necessarie in base alla legge di partenza, venga documentata in modo idoneo e portata a conoscenza del notaio, il quale deve verificare che essa rispetti i principi posti dall’art. 25 d.i.p. come sopra ricostruiti: all’esito positivo di tale controllo il notaio accetta il documento portante la decisione – unitamente ad ogni altro documento relativo alla società e utile a soddisfare le nostre esigenze pubblicitarie - in deposito nei propri atti e ne cura il deposito nel Registro delle imprese chiedendo l’iscrizione della società.
È possibile - quando si cambia la legge societaria ed allora la società che decide il trasferimento di sede deve approvare uno statuto conforme alla legge italiana - che questo nuovo statuto venga approvato contestualmente alla delibera di trasferimento di sede: è anzi questa l’ipotesi normale. Ciò significa che il notaio dovrà estendere il controllo di iscrivibilità anche alle clausole statutarie approvate. Sul piano pratico tutto ciò implica un’interazione con i professionisti che curano la formalizzazione della decisione nel luogo di provenienza al fine di poter dotare la società di uno statuto in linea con la normativa italiana.
È però anche possibile che la decisione presa all’estero sia carente sotto il profilo della aderenza alla normativa italiana. A ciò può rimediarsi tenendo una seconda assemblea in Italia: naturalmente, dal momento che la legge applicabile è ancora quella straniera per non essersi ancora perfezionata l’entrata nell’ordinamento italiano, nello svolgimento dei lavori assembleari si dovranno rispettare le norme societarie straniere pertinenti. In tale seconda assemblea, al cui verbale potrà essere allegata il verbale della decisione di trasferimento della sede e il resto della documentazione proveniente dall’estero (ciò soddisfacendo il requisito del deposito negli atti del notaio), si potrà procedere a quelle dichiarazioni, rettifiche ed integrazioni necessarie perché il controllo di iscrivibilità abbia esito positivo e si possa procedere all’iscrizione.
[nota *] Trascrizione a cura della Fondazione Italiana per il Notariato autorizzata dall’Autore.
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