La rappresentanza di societą inglesi
La rappresentanza di società inglesi [nota *]
di Eliana Morandi
Notaio in Manzano

L’argomento in esame è alquanto ostico. Partiamo da una spiacevole considerazione: non esiste una soluzione univoca, generalizzata, semplice o quantomeno valevole per tutti i casi in cui si debbano verificare i poteri rappresentativi di una società inglese. Ancora più complesso è il problema se parliamo di società di common law non inglesi, e quindi, non riportabili in nessun modo nell’alveo delle direttive comunitarie in materia societaria.

La difficoltà nasce dal fatto che dobbiamo realmente, mantenendo ben chiaro quello che è il nostro ruolo ed il nostro obiettivo come notai e pubblici ufficiali, cambiare radicalmente gli schemi che siamo  siamo abituati ad usare in relazione  all’accertamento dei poteri in materia societaria. Tale accertamento coinvolge delle materie nelle quali, secondo me,  a tutt’oggi nei sistemi di common law e di civil law la differenza è profonda e molto radicata.

Si farà fatica ad avere un avvicinamento in quanto ci sono importanti differenze per ciò che riguarda le norme sostanziali sulle società, ma ancora di più in merito alle modalità di accertamento nel processo civile ed in particolare riguardo ai poteri del giudice e alla disciplina delle prove, Nella specie delle modalità di accertamento probatorio nell’ordinamento inglese.

Se non teniamo sempre ben presenti queste differenze è facile constatare come ci esporremmo non solo all’invalidità di eventuali atti ma anche a responsabilità poiché qualunque sia il giudice che deve valutare il nostro accertamento opererà in base ad i criteri interpretativi e applicativi della norma societaria così come prescrive l’art. 25 della legge 218/1995 (d.i.p.).

Il passo da fare è quindi quello di smettere di cercare certezza omogenea e generalizzata per arrivare invece ad un ragionevole accertamento caso per caso. Naturalmente il fatto che non possiamo basarci sugli stessi schemi non significa che per quell’ordinamento non si possa arrivare a dei risultati considerati accettabili, piuttosto, significa arrivarci per strade diverse.

La necessità di capire come accertare i poteri rappresentativi nelle società inglesi oggi come oggi è ancora più interessante a causa del noto problema dei furti d’identità – Id theft –, fenomeno che si sta estendendo in maniera vertiginosa al furto d’identità societaria.

Ciò riguarda sia l’abuso di poteri rappresentativi da parte di chi non è affatto rappresentante sia l’utilizzo di nomi societari per compiere operazioni evidentemente illecite da parte di chi con la società non ha nulla a che fare.

Questa relazione si divide in due parti: una rivolta, in modo rapido e pertanto necessariamente lacunoso, ad evidenziare quelle caratteristiche, per quello che qui interessa, che differenziano le società inglesi dalle nostre in modo da capire cosa dobbiamo chiedere, cosa cercare; una seconda parte invece più pratica sui documenti da richiedere per poter effettuare degli accertamenti che risultino ragionevoli e quindi all’altezza degli standard professionali di diligenza richiesti.

In un quadro ideologico vi sono differenze tra i due ordinamenti sia in materia sostanziale che processuale (e quindi riguardo le modalità di accertamento).  Dal punto di vista sostanziale caratterizzante l’intero sistema di diritto societario inglese è che nel conflitto tra gli interessi della società da un lato, e gli interessi dei terzi e degli eventuali soci di minoranza dall’altro, tradizionalmente prevale l’interesse della società come meccanismo economico che merita maggiore protezione mentre noi tradizionalmente abbiamo fatto una scelta opposta di protezione dei creditori e degli eventuali soci di minoranza, anche se con l’ultima riforma in realtà i diritti della minoranza sono stati trasformati da diritti assoluti di veto a diritti di risarcimento o di exit e la protezione dei terzi è attenuata dal valore nuovo che hanno le operazioni pubblicitarie in materia societaria.

Il secondo punto da tenere presente riguarda la rappresentanza poichè nel mondo inglese è tradizionalmente considerato che  la gestione dell’attribuzione dei poteri sia una materia che deve essere lasciata tendenzialmente all’autonomia interna della società: è la doctrine of internal affairs;  tradizionale, radicata, consolidata nella testa dei giudici per la quale nessuno meglio dei soci può decidere come distribuire il potere fra se stessi e gli amministratori. Vedremo che questo principio è formalmente attenuato nell’ambito inglese – non è così negli altri Stati di common law – dato l’influsso della prima direttiva comunitaria, la n. 151-68, ma vedremo anche che l’opera interpretativa dei giudici (che hanno un potere a noi sconosciuto) delimita questa protezione, data dal recepimento della I direttiva, in maniera abbastanza significativa.

Dall’altra parte dobbiamo tener presenti le differenze fondamentali nel diritto processuale perché nella mentalità inglese in materia di accertamento dei diritti e degli obblighi si deve tener conto dei principi fondamentali, non scritti e retrostanti a qualsiasi costruzione tanto da non essere esplicitati, quali quelli del   due process ovvero del giusto processo e di conseguenza quello della centralità della prova orale e quindi della non centralità della prova documentale.

Il principio del due process risale alla Magna Charta del 1215 ed è stato trasfuso nell’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Esso viene inteso dal mondo anglo-americano ed in particolare da quello inglese nel senso che il giudizio  è l’unico luogo in cui – ed il giudice è l’unico soggetto ad avere il potere ed il dovere di – accertare diritti, obblighi e poteri rappresentativi. Quindi qualsiasi cosa avvenga fuori dalla sfera di operatività del giudice per il diritto inglese è di secondaria valenza anzi addirittura rilevano una violazione del diritto inviolabile dell’uomo al due process nel fatto che possano esserci degli accertamenti probatori con valenza processuale ed esecutiva con riferimento, ad esempio, agli atti notarili, come il recepimento del regolamento che riconosce esecutività agli atti pubblici nella parte in cui sono  dotati di efficacia probatoria privilegiata, che pertanto verrebbe asseritamente disapplicata dai giudici inglesi per manifesta violazione dell’ordine pubblico.

Tutto questo per dire che l’affidamento che noi siamo abituati a dare al documento come prova perfetta, privilegiata ed assoluta per loro si capovolge, poiché la loro prova perfetta è quella orale cioè quella che si forma davanti al giudice il quale mantiene sempre un’amplissima discrezionalità nel valutare l’attendibilità di un documento. Basti pensare all’atto pubblico notarile, l’atto autentico che non viene nemmeno riconosciuto come atto pubblico ai sensi della evidence inglese.

Tenendo presente questi principi si può partire dall’art. 25 della legge  218 ricordando che si applica la legge dell’incorporazione (quindi il modello inglese) in relazione alla capacità giuridica, che si riflette in materia di consideration e della dottrina degli ultra vires – di cui si tratterà più avanti nel testo, la formazione dei poteri, il funzionamento degli organi, la rappresentanza e le conseguenze della violazione della legge e dell’atto costitutivo. Si tratta quindi, tutta la normativa inglese compresa la normativa giurisprudenziale che verrà poi in applicazione.

Il punto che interessa dell’art. 25 è determinare quale sia la legge applicabile. Il Regno Unito è una nazione formata da quattro Stati e tre diverse giurisdizioni con la conseguenza che avremo società che chiameremo indifferentemente inglesi che hanno il loro Register office,  quindi la loro sede, a Londra, ad Edimburgo o nell’Irlanda del Nord e saranno assoggettate alle diverse discipline. Per cui le società inglesi di England and Wales avranno la stessa normativa, la Scozia, invece, ha un sistema “civilistico misto”, non codificato  e quindi con delle notevoli differenze soprattutto in materia societaria rispetto alla legge dell’England and Wales e Nord Irlanda.

Come ho potuto verificare con dei barrister inglesi la prima cosa da fare per accertare i poteri di un rappresentante di una società inglese è accertare la sua identità, perché l’Inghilterra come molte giurisdizioni di common law e non solo (Stati Uniti, Australia, Nuova Zelanda ma anche Norvegia, Danimarca) non hanno obbligo di documento d’identità e quindi già l’accertamento dell’identità è un problema che va risolto in un modo diverso dal nostro visto che non hanno una disciplina dei documenti d’identità come il nostro D.P.R. 445/ 2000.

Il certificato di nascita potrebbe valere, ma non si sa se la persona che lo offre è quella indicata, il passaporto non è una forma di riconoscimento dell’identità ma rappresenta un diritto a viaggiare, la patente non è una forma di identità ma del diritto a guidare certi veicoli, anche il codice fiscale non dice nulla per cui si deve sempre ricorrere alle Autorità. Questo per dire che un solo documento che a noi sembra di identità  anche se poi dovesse manifestarsi falso per i giudici inglesi non è sufficiente a dimostrare l’identità. È chiaro che se J. Smith è il rappresentante della società Alfa limited ma la persona che si ha davanti non è J. Smith, gli atti posti in essere non saranno validi. È singolare il tipo di prova necessaria secondo i barrister inglesi per accertare l’identità: eventuali mutui, le cartelle esattoriali, i conti del telefono e del gas.

Le differenze finora rilevate sono quelle che attengono alla materia dei poteri rappresentativi.

La grande distinzione tra le società incorporate e non incorporate, le cosiddette partnership,  è che quest’ultime  non sono veri e propri soggetti giuridici e sono regolate da una normativa diversa. Esse sono, altresì, molto diverse nel diritto inglese rispetto a quello scozzese e radicalmente diverse per quanto riguarda i poteri rappresentativi.

Tra le incorporate, quelle che quindi hanno personalità giuridica, tra cui le statutory, le charterd, le registered e le friendly society, le building society, le cooperative ecc.,  sono semplicemente create rispettivamente con atti normativi, decreti reali ed altre forme di costituzione.

Le registered sono le companies  e sono circa 1.200.000. Rappresentano quasi il 26% delle società inglesi. Le companies sono sostanzialmente disciplinate dalla medesima normativa di base che è il companies act del 2006, più una serie di altre normative rilevanti; bisogna però rilevare che tendenzialmente non c’è quella distinzione che da noi è determinante cioè la SpA, piccola, grande, Srl, Sapa,  ma v’è un modello tendenzialmente uniforme. Questo nasce dalla volontà di intervenire il meno possibile negli internal affaire della società  e quindi di limitarsi al minimo indispensabile lasciando poi ampia possibilità all’autonomia privata.

La prima distinzione che possiamo fare è tra lucrative e non lucrative che non distinguiamo dal titolo o dal nome anche se è molto importante sapere quali lo sono e quali non perché ad esempio alle non lucrative  non si applicano quelle protezioni derivanti dalla I direttiva in materia di rappresentanza societaria.

Ci sono le unlimited, pur essendo rare, ancora poco decifrabili che sono società incorporate ma a responsabilità illimitata.

Le società limited sono quelle più comuni e possono essere by share o by guarantee. La distinzione ci interessa solo in quanto quelle by guarantee di solito sono charitable e pertanto è probabile che abbiano norme di rappresentanza diverse da quelle ordinarie, molto meno protettive.

Poi c’è l’importante distinzione tra public e private che ancora una volta si basa sulla differenza economica che gli inglesi riconoscono all’una o all’altra forma. Quella pubblica nasce per raccogliere fondi tra il pubblico, quella privata invece è un affare di famiglia che tendenzialmente vuole dare soggettività e personalità giuridica alle partnerships o all’impresa individuale. Tuttavia le pubblic hanno anche delle regolamentazioni completamente diverse secondo che offrano o non offrano concretamente sul mercato le loro partecipazioni ovvero siano listed cioè quotate oppure no.

Penso che la nostra Srl potrebbe inquadrarsi fra le public perché avendo la possibilità di offrire i titoli di debito è probabilmente più vicina a quel modello.

La normativa del diritto inglese che viene in applicazione quando parliamo di companies è multiforme e soprattutto multi-fonte. Il companies act del 2006 come dicevo è la base, ma c’è anche l’unlimited liability partnership  del 2000 che è una forma mista tra company e partnership, c’è il charities act del 2006 che interviene sulle incorporated che sono charitable, c’è l’insolvency act dell’86, il financial services and markets act del 2000, importante per le companies che offrono strumenti al pubblico; assolutamente essenziale è poi il case-law, cioè  il diritto di origine giurisprudenziale, che è – a differenza che da noi – vera ed anzi di fatto principale fonte di diritto

La cosa che più interessa per quanto riguarda la verifica concreta dei poteri, dato che l’act lascia sostanzialmente le porte aperte all’internal affair, cioè all’autonomia di regolarsi, è quella che nel companies act del 2006 è chiamata company’s constitution  formata da un complesso di documenti. Essa comprende:

  • Innanzi tutto gli articles of association, che però non sono sempre adottati, nel senso che in loro assenza si utilizza il modello legislativo; tuttavia molto più spesso viene adottato un sistema misto “modello-statuizioni autonome”, che non è immune da difficoltà interpretative.
  • Le decisioni dei soci, che sono manifestazioni di autonomia cui il diritto inglese attribuisce amplissimo spazio.

Le decisioni di singole categorie di soci e qualsiasi altro tipo di risoluzione, decisione o accordo tra i soci che ricada nell’ambito del chapter 3 cioè qualsiasi altro tipo di accordo tra varie categorie di soci.Il memorandum of association, invece, che era molto importante fino al 2006,  è stato declassato, quindi per quanto riguarda la società di nuova costituzione non è più ricompreso nella company’s constitution.

La distribuzione di poteri per il diritto inglese ha una decisa connotazione privatistica che viene rispettata quanto più possibile, per cui è nei patti della società che andremo a cercare come sono distribuiti i poteri rappresentativi tra soci e directors.

Quindi, gli articles in particolare disciplinano la suddivisione dei poteri che è tendenzialmente libera, e determina la composizione, la struttura e le regole di funzionamento del board of directors.

Il board of directors è il consiglio di amministrazione ovvero l’organo amministrativo che  nelle private può essere composto da una sola persona mentre nelle pubbliche deve essere composto minimo da due. Quest’organo appartiene al modello monistico, introdotto anche nel nostro ordinamento con la riforma del 2004, nel quale potere gestionale e potere di controllo sono riuniti nell’ambito di uno stesso organo anche se in realtà i poteri all’interno sono molto ben definiti, almeno teoricamente, visto che i recenti conflitti d’interesse hanno dimostrato il contrario.

Tra di directors si distinguono infatti gli executive che sono i soggetti che possono realmente agire, dai non executive che non possono assolutamente agire e sono paragonabili ai nostri sindaci. Il singolo director  non può vendere una casa a meno che non abbia un’autorizzazione esplicita del board; i directors independent non executive sono i soggetti non strutturati nella società; gli insiders sono directors per i quali c’è una disciplina speciale, la sezione 41 del companies act, in cui sono posti dei vincoli alla loro attività con la società, riconducibili al conflitto di interessi.

In generale, quando avremo davanti un rappresentante di società inglese esso potrà essere un director, che è l’ipotesi più semplice, ovvero un officer, termine che ha una valenza generale riferibile sia ai director  che non , oppure un agent, cioè un vero e proprio procuratore esterno.

Bisogna poi precisare che non tutti coloro che sono chiamati director poi effettivamente lo sono. La legge infatti, non prevede limiti all’utilizzo di questo termine. Pertanto bisogna considerare titolare del potere d’agire solo colui che di fatto è nella situazione di potere.

I directors possono essere eletti non solo dai soci ma anche da diverse classi di soci o addirittura da terzi, quindi sarà necessario verificare negli articles of association se la nomina è stata eseguita regolarmente. Di fatto, è la posizione che l’agente – genericamente chiamato – occupa all’interno della società che determina il tipo di poteri attribuitigli.

Mancano – e questa è una evidente lacuna che non interessa il nostro ordinamento – le norme sulla rappresentanza commerciale, cioè norme simili agli artt. 2204 e 2210 sull’institore.

Il potere rappresentativo deriva dal combinato disposto della normativa sulle agency, quindi sul mandato e della normativa corporate law, quindi della società. Secondo le norme sul mandato, c’è il potere reale, effettivo, che è l’actual authority, l’ostensibile authority, in cui il comportamento di buona fede del terzo è escluso dalla conoscenza che il terzo abbia del difetto di potere ed il constructive knowledge che è la regola che sostituisce alla conoscenza effettiva la conoscibilità (quella che deriverebbe dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale).

Per quanto riguarda le norme di diritto societario l’ultra vires vale ancora per tutte le giurisdizioni di common law, in particolare gli Stati Uniti, che non siano vincolate dalla prima direttiva europea. Questo è un caso di incapacità giuridica, dato che si ritiene che la società abbia solo ed esclusivamente la capacità indicata nell’oggetto sociale; quindi, ogni atto compiuto al di fuori dell’oggetto sociale non è affetto da mancanza di potere bensì è un caso di incapacità giuridica, un atto impossibile quanto il testamento dell’interdetto.

Nell’ambito delle società inglesi questo istituto è stato superato con la I direttiva, recepita dapprima nel ’72, poi nell’89 e sempre gradualmente fino al 2006.

Di assoluta importanza è poi il concetto di consideration, che è un requisito essenziale del contratto. Nel diritto inglese ogni operazione che non abbia una percepibile controprestazione economica non è valida. È un misto fra causa e sinallagma. Per dare un’idea, è senza consideration la rinegoziazione di un mutuo a condizioni che siano più favorevoli per la società; è senza consideration la concessione di un’ipoteca a garanzia di un credito che originariamente era chirografario. Operazioni che noi, pacificamente, consideriamo attuabili ma che nessun consiglio di amministrazione potrebbe autorizzare se non nella forma di deed, e forse nemmeno.

Sempre per quanto riguarda il diritto societario le procure che trasferiscono i poteri rappresentativi hanno per il diritto inglese precisi vincoli di forma. La società che nomina come proprio agente-procuratore un soggetto estraneo al board non può farlo in una qualsiasi forma come per le altre procure, ma deve farlo nella forma del deed, regolato dalle sezioni 44 e 48 del companies act del 2006, che prevedono formalmente che nella procura sia contenuta la formula “executed as a deed”, e che sia firmata da due direttori o da un direttore ed un segretario ovvero da un direttore con l’assistenza di un testimone: e  ciò a pena di inammissibilità del potere rappresentativo.

Alla regola generale dell’applicazione delle norme interne della società riguardo all’attribuzione del potere di rappresentanza v’è una deroga per  quanto riguarda i limiti a protezione dei terzi.  I limiti o vincoli di inopponibilità nell’attribuzione del potere di rappresentanza sono oggi disciplinati, solo per le companies, dalla sezione 40 del companies act del 2006, e negli altri casi – molti a dire il vero – dal common law, con, in particolare, l’attuazione della cosiddetta Turquand   rule.

La sezione 40 prevede che nei confronti di una persona che tratta in buona fede con una società, il potere dei rappresentanti legali di vincolare la società o di autorizzare altri a farlo si presume senza limiti e derivante dallo statuto sociale. Questo sembra tranquillizzante, ma in realtà non lo è del tutto, soprattutto perchè l’interpretazione che ne fa la giurisprudenza è tutt’altro che univoca. Occorre sottolineare che il paragrafo 5 della stessa sezione prevede che il compimento dell’atto in carenza di potere in nessun modo incide sulla responsabilità che grava sui direttori o qualsiasi altra persona in ragione dell’eccesso di potere da questo derivante (cioè anche se l’atto venisse considerato valido ed opponibile, rimarrebbe in piedi la responsabilità di tutti coloro che hanno contribuito al suo compimento: tra cui, in ipotesi, potrebbe pensarsi rientrare un notaio che non abbia ragionevolmente verificato i poteri).

Gli aspetti sui quali la giurisprudenza inglese si è soffermata, in taluni cambiando del tutto il significato della norma o perlomeno  riducendo in gran parte la portata protettiva riguardano: il concetto di la buona fede, i casi in cui i directors contrattano con la società (cioè in conflitto di interessi); le limitazioni dello statuto sociale; il concetto di “terzi” e gli effetti della mancanza di potere.

In particolare della buona fede si deve ricordare che, secondo la norma formale, il terzo non deve indagare circa la presenza di limiti, la buona fede si presume ed il fatto che il terzo sapesse della limitazione non implica necessariamente che sia in mala fede. Tuttavia, la giurisprudenza inglese interpreta questo concetto nel senso che una persona che contratta con una società di cui avrebbe dovuto conoscere i limiti non è necessariamente in buona fede anzi, spesso non lo è, tanto più se ne aveva conoscenza effettiva, ribaltando, in tal modo, il tenore della norma.

Del resto nell’ordinamento inglese è veramente ripugnante proteggere la mala fede.

Sostanzialmente, sintetizzando, questa norma di protezione della validità dell’atto non sempre opera. Sono pertanto opponibili le limitazioni di potere nella contrattazione che venga fatta con tutti i soci e non con gli amministratori, cioè le seguenti ipotesi: i) delibera consiliare senza quorum; ii) contratto concluso da una persona che non è amministratore; iii) amministratore individuale che agisce senza il consenso del board – a meno che non sia autorizzato –; iv)  persona che non abbia né potere effettivo né un potere ragionevolmente apparente, desumibile almeno dal suo corporate title.

Se quindi una persona non appartiene al board, se non è un director o non è debitamente autorizzata, la norma di protezione della validità dell’atto non si applica, e non si applica nemmeno, per espressa esclusione, alle charitable companies.

Quando non si applica la  I direttiva si torna all’applicazione del common law, secondo i cui principi  la conoscibilità sostituisce la conoscenza. Quindi il terzo è in mala fede quando avrebbe dovuto sapere che c’erano dei limiti, ma tuttavia, non è tenuto a conoscere le procedure interne della società. Nel caso Turquand c’era appunto un vincolo nei patti per cui gli amministratori avrebbero potuto contrarre mutui solo nella misura stabilita dalla decisione assembleare; gli amministratori hanno invece contratto un mutuo senza autorizzazione ed il terzo è stato protetto dalla Corte la quale ha asserito che non c’era un divieto per gli amministratori di contrarre un mutuo e quindi per il terzo era ragionevole ritenere che l’autorizzazione ci fosse e  di conseguenza, ha ritenuto la società vincolata. Ci sono, tuttavia, anche qui delle eccezioni. Questa regola non protegge nel caso in cui dalla documentazione societaria risulti che un atto non poteva essere compiuto, non protegge gli insiders, cioè coloro che appartengono alla società – che quindi non potevano non sapere – e dal fatto che il terzo avrebbe dovuto sapere della mancanza di poteri da fatti non dipendenti dagli articles.

In sintesi ci sono due norme protettive della validità degli atti compiuti in carenza di potere, una derivante dalla I direttiva e una di common law che rendono  non opponibili ai terzi i limiti rappresentativi e quindi li proteggono: ma ci sono, come abbiamo visto, innumerevoli eccezioni.

Tuttavia la cosa fondamentale, per agire correttamente e sfuggire a responsabilità, è dimostrare che si è fatto tutto ciò che era ragionevolmente possibile per verificare queste cose.

La ostensibile authority – cioè il potere ragionevolmente apparente che fonda un ragionevole e quindi protetto affidamento, quello che ci dà l’inopponibilità dei limiti e salva noi Notai professionalmente – può derivare solo dal comportamento del mandante che induce il terzo a credere che l’agente abbia il potere di compiere un certo atto,  in quanto l’auto-affermazione dell’agente, cioè l’autocertificazione dei poteri, che pure è ampiamente usata in tutto il common law, per gli amministratori non serve. La buona fede del terzo è essenziale anche se con i limiti riportati nella sezione 40 del CA 2006 o l nella Turquand rule.

Quanto ai corporate titles, quelli di president, vice president, managing director, o chief executive officer nella locuzione americana,  insieme a molti altri (vedere la lista completa consegnata) possono risultare  rilevanti nel momento in cui il giudice deve valutare se c’è o meno  un ragionevole affidamento sul potere di chi agisce..

Il president sta gerarchicamente al di sotto del chief executive officer, che normalmente ha i poteri più importanti di tutti; il secretary che non è più obbligatorio per le private dal 2008 anche se è quello che spesso ci farà avere tutta la documentazione societaria perché è il director che ha la funzione di certificare il contenuto degli articles of association  o delle risoluzioni e decisioni dei soci di cui non esistono registri. Il vice president può avere più o meno importanza in relazione alle gerarchie stabilite.

Quindi nel momento in cui siamo di fronte ad un rappresentante di società inglese il nostro accertamento deve essere effettuato secondo le regole di common law e perciò non può basarsi solo sul certificato della companies house in quanto questo non configura un ragionevole affidamento: la ostensibile  authority non si basa solo su questo.

I documenti da richiedere per dimostrare di aver diligentemente svolto una ricerca nel senso di un ragionevole accertamento sono innanzitutto la company’s constitution, quindi gli articles of association  che nel caso non dovessero essere consegnati è possibile che non esistano, ma potrebbe anche essere che non siano ancora stati registrati – la mancata registrazione è penalmente sanzionata, ma ciò, secondo alcune Corti, non toglie la vincolatività dell’atto soprattutto se risulta dal consenso unanime dei soci –.

Gli articles of association si richiedono alla companies house ma si chiedono soprattutto alla società e si confrontano.

Come dicevo inizialmente non esiste una procedura uniforme, standardizzata di “ragionevole verifica”, si dovrà valutare la situazione – e quindi la documentazione da chiedere – di volta in volta.

Si dovrà ragionevolmente avere la prova dell’esistenza della società e quindi farsi dare il numero della house of companies, gli originali degli articles of association, del memorandum, e possono risultare utili  i financial accounts (per questo è importante avere un elenco dei libri economici obbligatori), libri obbligatori aggiornati. Bisognerà poi effettuare il controllo con la companies house e chiedere una copia certificata della delibera del board che autorizza il singolo, poiché il singolo che opera al di fuori del potere del board esce fuori dalla regola della sezione 40 e quindi non vincola la società.

Per le decisioni della società o di classi di soci e gli accordi tra soci non esiste un registro per cui il consiglio è quello di richiedere una dichiarazione in atto in cui il rappresentante afferma che non esiste nulla negli atti societari da cui risultino limiti rispetto al contenuto degli articles, in quanto si versa nella condizione di put on inquiry senso che si ha l’obbligo di domandare non avendo altro mezzo a disposizione. È quindi un’attività da sola sufficiente ma assolutamente necessaria per evitare un comportamento negligente.

Vi è una durata per l’obbligatorietà dei registri, non solo quelli sociali ma anche per le minutes cioè i verbali, e per i registri finanziari in quanto costituiscono elemento di prova. Questi possono essere richiesti in estratto.

Ribadisco che l’estratto della companies house non è assolutamente sufficiente.

In casi molto complessi si può poi ricorrere alla legal opinion, cioè, sostanzialmente, ad una certificazione operata da un legale inglese che sotto la sua personale e totale responsabilità afferma che quell’agente ha i poteri per effettuare quella operazione. Chiaramente la necessità o anche solo opportunità di una tale richiesta andrà commisurata alle circostanze concrete del caso.

In conclusione non c’è un solo documento che basti, non c’è una soluzione standard, la  ragionevole combinazione dei documenti che devono essere richiesti dipenderà dalla natura più o meno complessa dell’operazione in esame. E questo per avere  un accertamento dei poteri effettuato con la massima diligenza, anche se ottenere la certezza pari a quella del nostro ordinamento è molto difficile.

Allegato 1 (formato .pdf)

Allegato 2 (formato .pdf)


[nota *] Trascrizione a cura della Fondazione Italiana per il Notariato autorizzata dall'Autore.

PUBBLICAZIONE
» Indice
» Approfondimenti
ARTICOLO
» Note