L'interesse meritevole di tutela tra liceità dell'atto di destinazione e opponibilità dell'effetto della separazione patrimoniale
L'interesse meritevole di tutela tra liceità dell'atto di destinazione e opponibilità dell'effetto della separazione patrimoniale
di Mario Nuzzo
Ordinario di Diritto Civile
Università "Luiss Guido Carli" di Roma
Relativo al I CASO: destinazione patrimoniale e famiglia
Il dato normativo
La possibilità di costituire un vincolo di destinazione opponibile ai terzi per la realizzazione di scopi selezionati non dalla legge, ma dall'autonomia privata introduce nel sistema un momento di discontinuità anche rispetto ai risultati più avanzati della riflessione fino ad ora condotta sulla legislazione speciale in materia di patrimoni separati.
La prima novità riguarda il dato strutturale; la mancanza di una specifica indicazione testuale induce infatti a ritenere che qualunque struttura negoziale possa essere utilizzata in relazione all'atto di destinazione disciplinato dall'art. 2645-ter c.c.
La seconda novità riguarda il dato funzionale: nel progetto poi sostituito dal testo attuale gli scopi erano sufficientemente definiti, dovendo consistere nel favorire: «a) l'autosufficienza economica dei soggetti portatori di gravi handicap; b) il mantenimento, l'istruzione, il sostegno economico di discendenti» (art. 1 Proposta di legge n. 3972).
Nel testo dell'art. 2645-ter, invece l'atto di destinazione è utilizzabile per il perseguimento di qualunque scopo meritevole di tutela.
Assume così rilievo centrale al problema del significato da attribuire, in questo specifico contesto, alla formula "interessi meritevoli di tutela".
Se infatti si ritenesse che la meritevolezza si risolve nella liceità dell'atto si costruirebbe un meccanismo che sistematicamente privilegia l'interesse di chi opera la destinazione rispetto alla posizione dei creditori i quali al di là dei rimedi generali che attengono al controllo di validità dell'atto di destinazione e all'esercizio della revocatoria, non avrebbero altri strumenti di protezione; e ciò anche nel caso in cui l'atto di destinazione fosse volto alla realizzazione di scopi puramente egoistici del destinante o dei beneficiari.
Il che peraltro pone dubbi rilevanti sulla ragionevolezza della conclusione e sulla sua coerenza con il sistema del nostro ordinamento.
Si manifesta così la necessità di un'indagine più approfondita, attenta ai diversi problemi posti dall'art. 2645-ter, e ai diversi piani in cui quei problemi vanno collocati.
L'atto di destinazione nel quadro dei meccanismi di limitazione della responsabilità patrimoniale
A tal fine sono necessarie alcune precisazioni di carattere preliminare. Va innanzitutto operata una distinzione tra ciò che attiene all'atto di destinazione in sé considerato e ciò che attiene all'opponibilità di quell'atto nei confronti dei terzi.
Sotto il primo profilo va a mio avviso condivisa l'opinione secondo la quale l'art. 2645-ter c.c. dà rilievo positivo al principio della generale liceità dell'atto di destinazione, in sé idoneo a produrre gli effetti suoi propri tra le parti. Distinta da questi effetti è la separazione patrimoniale che rispetto a quelli è effetto ulteriore.
Con riferimento a questo effetto ulteriore si pone, pur in presenza del nuovo testo, lo specifico problema della relazione tra la disciplina dell'opponibilità dell'atto di disposizione e il principio formalizzato dall'art. 2740 comma 2 c.c. in forza del quale la generale e illimitata responsabilità del debitore può trovare limitazione solo quando ciò sia necessario per l'attuazione di interessi generali la cui valutazione nel sistema originario, è rimessa, in via esclusiva, al legislatore.
La modificazione operata dalla norma in esame con l'attribuzione all'autore dell'atto di destinazione del potere di limitare la propria responsabilità patrimoniale con un atto di autonomia privata non esclude che questo problema continui a proporsi con riferimento all'opponibilità della destinazione ai terzi.
Il che in concreto significa che potrebbe in ipotesi aversi un atto di destinazione che è in sé valido e produttivo di effetti per il destinante ed i beneficiari ma non è opponibile ai terzi perché volto a realizzare un interesse che non può considerarsi prevalente su quello dei creditori.
Si pone così un problema interpretativo che non può trovar soluzione all'interno dell'art. 2645-ter, bisogna invece ampliare l'orizzonte e svolgere un discorso di carattere sistematico per cercare di capire se nell'ordinamento complessivo si possano individuare degli indici che orientino la scelta.
In questa prospettiva va innanzitutto considerato che la norma si colloca in un complesso contesto di innovazioni normative che negli ultimi anni ha realizzato una profonda rivoluzione delle regole in tema di responsabilità patrimoniale che, secondo l'opinione tradizionale sono volte ad attribuire rilievo costituzionale al principio un solo soggetto, un solo patrimonio, una sola responsabilità, considerato conseguenza logica necessaria della unità del soggetto di diritto. In un contesto in cui la regola generale della responsabilità patrimoniale illimitata del debitore riflette un sistema economico nel quale i meccanismi di finanziamento si basano sulla valutazione della consistenza patrimoniale del debitore e l'interesse a favorire la concessione del credito in funzione dello sviluppo economico (cfr. Relazione al codice civile n. 1124) si realizza garantendo ai creditori la possibilità di soddisfare il proprio credito su tutti i beni che compongono il patrimonio complessivo del debitore.
Rispetto a questo quadro la successiva evoluzione del sistema evidenzia profonde novità in entrambe le direzioni; sul piano normativo questa evoluzione è segnata:
a. Sul versante dei meccanismi di limitazione della responsabilità che si realizza attraverso la creazione di persone giuridiche;
- Nel settore non profit, dall'entrata in vigore del D.P.R. 10 febbraio 2000, n. 361 il quale ha introdotto la nuova disciplina del riconoscimento delle persone giuridiche private stabilendo che le associazioni, le fondazioni e le altre istituzioni di carattere privato acquistano la personalità giuridica mediante il riconoscimento determinato dall'iscrizione nel Registro delle persone giuridiche, previo accertamento che lo scopo sia possibile e lecito e che il patrimonio risulti adeguato alla realizzazione dello scopo.
Modificazione qualitativamente rilevante in quanto segna l'abbandono di un'impostazione in cui il privilegio della limitazione della responsabilità patrimoniale degli associati o del fondatore era giustificato solo dall'interesse pubblico all'attuazione della finalità di utilità sociale dell'ente ed era perciò accompagnato da un sistema di incisivi controlli pubblici sull'attualità del fine, sulla sua effettiva realizzazione, sulla composizione del patrimonio, sulla destinazione dei proventi di questo al fine, sulla gestione dell'ente e sulla destinazione del patrimonio in caso di estinzione (art. 12 commi 3, 17, 23, 25, 26, 27, art. 16 commi 3, 28, 31 c.c.).
Da ciò deriva che la persona giuridica del libro primo del codice civile diventa strumento per la realizzazione di qualunque interesse, anche meramente individuale, a fronte del quale viene concessa l'autonomia patrimoniale.
- Nel settore profit, dall'emersione prima della società a responsabilità limitata unipersonale, poi della società per azioni unipersonale e, all'interno di questa, dalla introduzione dei "patrimoni destinati ad uno specifico affare" (artt. 2447-bis e ss. c.c.).
b. Sul versante dei meccanismi di limitazione della responsabilità che si realizza attraverso la separazione patrimoniale, si assiste una produzione normativa molto intensa che, pur restando formalmente rispettosa della regola fissata nel secondo comma dell'art. 2740 c.c., realizza però una moltiplicazione dei casi di patrimoni separati previsti dalla legge in relazione agli scopi più vari (familiari, economici, finanziari e così via).
è chiaro che a seguito di questa complessa evoluzione, pur rimanendo salvo il principio formale del secondo comma dell'art. 2740 c.c. secondo cui le limitazioni della responsabilità patrimoniale si possono creare solo attraverso la costituzione di un altro soggetto – persona giuridica – o nei casi previsti dalla legge, di fatto l'allargamento degli scopi perseguibili dalle persone giuridiche e la moltiplicazione dei patrimoni separati depotenziano fortemente quel principio.
Non a caso, già all'inizio di questo processo nella concreta applicazione giurisprudenziale il principio della responsabilità illimitata del debitore degrada da principio di ordine pubblico internazionale, come tale impeditivo anche dell'ingresso nel nostro ordinamento di norme di altri ordinamenti limitative di quel principio, a norma imperativa la quale se costituisce limite al potere di autonomia dei privati, non impedisce l'ingresso nell'ordinamento interno di figure straniere che consentono una limitazione della responsabilità patrimoniale anche al di fuori dei casi previsti dal diritto interno; si pensi, nell'esperienza più recente, alla Convenzione dell'Aja sul trust.
La norma che stiamo esaminando si colloca all'interno del quadro così descritto realizzando un ulteriore salto qualitativo, perché formalizza il principio per cui l'atto di destinazione che si inserisce nella fattispecie prevista dall'art. 2645-ter c.c. può realizzare una limitazione della responsabilità patrimoniale non più con riferimento a scopi predeterminati dalla legge, ma con riferimento a qualunque interesse meritevole di tutela.
Liceità dell'atto e meritevolezza dell'interesse alla separazione patrimoniale
Come si è già detto, ciò si realizza attraverso una fattispecie complessa nascente dalla combinazione di due diversi elementi: da un lato il riconoscimento sul piano del diritto positivo della liceità dell'atto di destinazione con conseguente deroga dell'art. 2740, comma 2 c.c.
Dall'altro la fissazione di un limite all'opponibilità dell'atto di destinazione nei confronti dei terzi richiedendo per questo fine, che l'atto di destinazione oltre che lecito sia volto alla realizzazione di interessi meritevoli di tutela.
Secondo la lettura qui proposta, l'art. 2645-ter c.c. contiene cioè due diverse norme:
a. La prima, riguardante l'atto di destinazione, volta a disciplinare la fattispecie primaria, in sé produttiva di effetti obbligatori, consentendo, ad esempio, di pretendere l'amministrazione dei beni secondo le indicazioni dell'atto, ma inidonea da sola a rendere opponibile ai terzi l'atto di destinazione.
b. la seconda, riguardante l'opponibilità della separazione, volta a disciplinare la fattispecie secondaria produttiva di questo specifico effetto, risultante dalla trascrizione e dall'esistenza in concreto di un interesse meritevole di tutela; con la conseguenza che, in mancanza di questo, pur rimanendo valido l'atto di destinazione, non si può produrre però l'effetto della separazione e della opponibilità nei confronti dei terzi.
La pur sommaria analisi dei meccanismi attraverso i quali si è modificato nel tempo il rigore del principio della responsabilità patrimoniale illimitata del debitore rende evidente come su questo punto l'intero sistema del nostro ordinamento abbia rotato su due principi: in materia di persone giuridiche presupposto per il riconoscimento dell'autonomia patrimoniale dell'ente era nel sistema del codice la combinazione tra una forma giuridica (associazione o fondazione) prevista dalla legge e l'esistenza di un interesse pubblico o generale idoneo a giustificare la concessione del privilegio della limitazione della responsabilità. In materia di patrimoni separati il presupposto della limitazione della responsabilità veniva invece individuato in una valutazione comparativa, riservata esclusivamente al legislatore, tra l'interesse del creditore a godere della garanzia patrimoniale illimitata del proprio debitore e il diverso interesse che il legislatore riteneva di proteggere attraverso la concessione del privilegio della separazione patrimoniale.
Questi principi continuano ad operare anche nel sistema progressivamente mutato dalla legislazione più recente.
a. Da un lato, l'autonomia patrimoniale, caduto il requisito dell'interesse pubblico generale o di utilità sociale perseguito dall'ente, trova oggi il suo fondamento nella struttura organizzativa ad esso sottesa, la quale dà una doppia garanzia: da un lato connessa alla stessa organizzazione e all'articolazione degli organi che la compongono, dall'altro, ai meccanismi di controllo amministrativo o giudiziario rispetto alle modalità di gestione, all'effettività della destinazione ecc. che ad essa si accompagnano;
b. Dall'altro lato, il sistema dei patrimoni separati, nei quali invece l'effetto della separatezza non si collega al meccanismo organizzativo ma alla qualità degli scopi. Nelle ipotesi classiche precedenti all'entrata in vigore dell'art. 2645-ter c.c., infatti, è la rilevanza dello scopo che nella valutazione comparativa del legislatore giustifica una compressione degli interessi dei creditori; compressione, com'è ovvio, non assoluta, perché – come è stato rilevato – i creditori dispongono di strumenti di protezione rispetto ai meccanismi in frode dei loro interessi (tipicamente, l'esercizio dell'azione revocatoria e l'azione di riduzione, che può esercitarsi anche rispetto agli atti di destinazione).
Al di là della possibilità di esercitare questi rimedi, ove ne ricorrano i presupposti, i casi dei patrimoni separati previsti per legge esprimono una valutazione di prevalenza del legislatore rispetto ad uno specifico interesse che consente di giustificare il sacrificio dell'interesse dei creditori generali attraverso la limitazione della responsabilità patrimoniale del debitore.
Lo stesso criterio era previsto, come si è accennato all'inizio, nel progetto di legge che costituisce l'antecedente specifico dell'art. 2645-ter c.c., il quale prevedeva l'atto di disposizione con effetto di separazione patrimoniale opponibile ai terzi solo in relazione allo scopo di «a) favorire l'autosufficienza economica dei soggetti portatori di gravi handicap; b) favorire il mantenimento, l'istruzione, il sostegno economico di discendenti» (art. 1 Proposta di legge n. 3972).
Se si ritiene, come sembra certo, che di fronte ad una nuova norma compito dell'interprete è coglierne il significato in aderenza alla sua ratio e ai principi del sistema, sembra indubbio che nel nostro caso anche di fronte ad un generalizzato ampliamento dell'area in cui la separazione può in astratto operare, qual è quello introdotto con l'art. 2645-ter c.c., l'interprete debba tener conto del complessivo contesto evitando soluzioni estreme e fuori dal sistema neppure giustificate dalla specifica ratio del testo in esame.
Già in altra occasione del resto autorevole dottrina aveva rilevato come nello stesso testo dell'art. 2645-ter c.c. la specificazione iniziale di fini particolari dell'atto di destinazione conserva un valore interpretativo anche a fronte della dizione generica successiva nel senso che la specificazione «indica la tipologia delle esigenze meritevoli che possono formare la giustificazione di una destinazione di beni ad un determinato scopo». Il che induce ad attribuire al giudizio di meritevolezza dell'interesse perseguito attraverso l'atto di destinazione che aspira a divenire opponibile ai terzi, un rilievo relazionale; ciò nel senso che il giudizio di meritevolezza costituisce il risultato di una valutazione comparativa tra l'interesse sacrificato, che è quello dei creditori generali, e l'interesse realizzato con l'atto di destinazione.
In questa indagine potranno fornire un primo punto di riferimento sia le specificazioni iniziali dell'art. 2645-ter c.c. che le classi di interesse prese in considerazione dalle numerose e varie norme istitutive di patrimoni separati secondo la regola generale dell'art. 2740 comma 2 c.c. (quali ad esempio quelle volte a disciplinare il fondo patrimoniale o altri vincoli di destinazione posti a tutela della famiglia o di soggetti deboli all'interno della famiglia). Ciò nel senso che, anche al di fuori delle fattispecie previste dalle singole norme sui patrimoni separati, si deve a mio avviso ritenere che ogni volta che l'interesse perseguito dall'atto di destinazione appartenga alla stessa classe degli interessi rispetto ai quali è consentita dalla legge la costituzione di un vincolo di destinazione, si rientri nell'ambito degli interessi meritevoli di tutela che nell'art. 2645-ter c.c. giustificano la limitazione della responsabilità patrimoniale.
Il che consente di individuare una serie di finalità che nel sistema dell'ordinamento hanno sicuramente una tutela complessiva più intensa rispetto a quella dell'interesse specifico dei creditori; quali, ad esempio, finalità assistenziali o previdenziali o, più in generale, ogni forma di supporto nei confronti dei soggetti portatori di situazioni complessive di disagio rispetto alle quali si pone una specifica esigenza di protezione.
Del resto, questa indicazione recupera il senso del progetto di legge il quale già operava attraverso la individuazione di classi di interessi (l'interesse del soggetto debole, l'interesse familiare) che giustificavano la limitazione della responsabilità.
Né si potrebbe rilevare in contrario che si realizza così una tipizzazione degli interessi meritevoli di tutela giungendo ad un risultato diverso da quello voluto dal legislatore che, nel passaggio dal progetto al testo attuale, ha invece scelto di renderli atipici.
Questa obiezione attribuisce infatti all'ipotesi di lavoro sopra proposta un significato che essa non ha; il rilievo che l'interesse perseguito con l'atto di destinazione è meritevole di tutela ai sensi dell'art. 2645-ter c.c. nei casi in cui l'interesse in concreto perseguito con l'atto di destinazione appartiene alla stessa classe o grado di quelli già previsti da norme di legge non esclude infatti che possano individuarsi altri interessi meritevoli di tutela in quanto espressione di principi generali del sistema già all'interno di questo prevalenti rispetto ad altri dotati di minor tutela; si pensi ad esempio, alla tutela più intensa accordata già a livello costituzionale agli interessi che attengono alla persona rispetto a quelli che attengono al patrimonio e, all'interno di questi, a quelli che attengono al lavoro o all'impresa rispetto a quelli che attengono alla proprietà statica, e così via.
Conseguenze applicative
Quanto si è detto fornisce utili elementi anche per la soluzione di un ulteriore problema applicativo: quello relativo al ruolo e alla responsabilità del notaio che presta la sua opera professionale per la realizzazione della complessa fattispecie in esame.
I primi commentatori sono sostanzialmente concordi nel ritenere che spetti al notaio valutare la meritevolezza dell'interesse alla destinazione, salvo il successivo controllo del giudice al quale i creditori si rivolgano contestando la liceità dell'atto o l'esistenza dell'interesse meritevole di tutela o esercitando le azioni revocatorie.
Il problema è sotto il profilo che qui interessa, quello delle conseguenze tecniche di un accertamento ex post ad opera del giudice della non meritevolezza dell'interesse perseguito.
Proprio dai notai che si sono occupati del tema si è proposto infatti il tema di una possibile responsabilità del notaio ex art. 28 della legge professionale, affermando che «la mancanza di meritevolezza può condurre alla invalidità dell'atto che in questo caso, vuole dire nullità ex art. 28 della nostra legge» il quale, come tutti sappiamo, vieta al notaio di ricevere atti «espressamente proibiti dalla legge» o «manifestamente contrari al buon costume o all'ordine pubblico».
Ciò ha indotto parte dei primi commentatori ad escludere l'autonoma rilevanza del giudizio di meritevolezza dell'interesse perseguito, riassorbendo tale giudizio in quello di liceità; esclusione che si accompagna al rilievo che non può gravare sul notaio la valutazione di prevalenza dell'interesse del disponente su quello dei creditori, anche in considerazione della mancanza di parametri idonei a consentire al notaio, e per altro verso al giudice, la valutazione di prevalenza dell'interesse alla destinazione rispetto all'interesse di questi.
In questa prospettiva, dunque, il giudizio di meritevolezza non andrebbe oltre il controllo di legittimità, tendendo esso ad accertare solo che l'interesse in concreto perseguito non è contrario a norme imperative, all'ordine pubblico, al buon costume. Il che consente di concludere che, rispetto all'atto di destinazione, il controllo che il notaio deve svolgere non è diverso da quello che egli deve compiere con riferimento a qualunque altro atto sia chiamato a redigere.
Questo ragionamento, che tende a risolvere il problema negandone l'esistenza, non può a mio avviso essere condiviso.
In primo luogo esso non dà in realtà alcuna soluzione, limitandosi a modificare la prospettiva da cui il problema viene esaminato.
Come è stato acutamente osservato, infatti, riportare il controllo di meritevolezza dell'intereresse all'interno del giudizio di liceità significa comunque incidere sui parametri di questo, quantomeno attraverso un allargamento dei criteri, egualmente indeterminati, dell'ordine pubblico e del buon costume; cosicché ciò che si vuol far uscire dalla porta rientra, forse più insidiosamente, dalla finestra.
A ciò va aggiunto che questa soluzione, al di là della scarsa utilità su cui si tornerà tra poco, ha un elevato costo sistematico; essa infatti porta ad allargare senza limiti l'ambito in cui l'atto di destinazione può realizzare l'effetto della separazione, finendo irragionevolmente per equiparare questo alla limitazione di responsabilità che il fondatore o gli associati possono realizzare con la costituzione della persona giuridica; per la quale è sì richiesto il solo requisito dello scopo lecito, ma in un contesto di organizzazione e controlli del tutto diverso, come si è in precedenza visto.
Il che per le ragioni già esposte (cfr. § Liceità dell'atto e meritevolezza dell'interesse alla separazione patrimoniale) non corrisponde né al sistema complessivo del nostro ordinamento, né alla ratio dell'art. 2645-ter c.c.
La via per affrontare il problema deve a mio avviso essere diversa.
In primo luogo va infatti considerato che ai fini del giudizio di meritevolezza dell'interesse previsto dall'art. 2645-ter c.c. non viene comunque chiesto al notaio un controllo qualitativamente diverso da quello cui egli è chiamato quando deve valutare la liceità di un qualunque atto sotto il profilo della non contrarietà all'ordine pubblico e al buon costume.
Il giudizio di meritevolezza, infatti, non ha carattere soggettivo o extragiuridico; esso si risolve, per quanto si è detto, in una valutazione comparativa tra i diversi interessi in gioco alla stregua del trattamento che quegli interessi ricevono nel nostro sistema di diritto positivo.
Con la conseguenza che troveranno applicazione a quel giudizio gli stessi criteri già elaborati in relazione al divieto per il notaio di ricevere atti espressamente proibiti dalla legge il quale «si riferisce non solo agli atti singolarmente e specificamente vietati, ma a tutti quelli comunque contrari a norma cogente, per ragioni formali e sostanziali»; purché però si tratti di vizi che danno luogo, in modo inequivoco, alla nullità assoluta dell'atto «per contrarietà a norme imperative».
Il che ha indotto a ritenere che per le ipotesi di contrasto con il buon costume e l'ordine pubblico, è si sufficiente che la contrarietà sia desumibile da una interpretazione extraletterale delle norme giuridiche, purchè però avente certezza e diffusione, dottrinale e giurisprudenziale, tale da rendere "manifesta" la detta contrarietà.
Più ancora il problema della responsabilità del notaio ex art. 28 legge notarile potrebbe non porsi del tutto ove trovasse accoglimento la tesi qui in precedenza esposta, secondo la quale l'art. 2645-ter c.c. contiene in realtà due diverse regole:
a. la prima, riguardante l'atto di destinazione, volta a disciplinare la fattispecie primaria, in sé produttiva di effetti obbligatori, consentendo, ad esempio, di pretendere l'amministrazione dei beni secondo le indicazioni dell'atto, ma inidonea da sola a rendere opponibile ai terzi l'atto di destinazione, la cui conseguenza operativa è quella di introdurre una positiva valutazione della astratta liceità dell'atto di destinazione come tale salvo il controllo ad opera del giudice della sua liceità in concreto in relazione agli elementi specifici dell'operazione effettivamente realizzata.
b. la seconda, riguardante l'opponibilità della separazione, volta a disciplinare la fattispecie secondaria produttiva di questo specifico effetto, risultante dalla trascrizione e dall'esistenza in concreto di un interesse meritevole di tutela; con la conseguenza che, in mancanza di questo, pur rimanendo valido l'atto di destinazione, non si può produrre però l'effetto della separazione e della opponibilità nei confronti dei terzi.
In questa prospettiva infatti la mancanza di interesse meritevole di tutela non inciderebbe comunque sulla validità dell'atto di destinazione, ma solo sull'opponibilità ai terzi di quell'atto.
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