Destinazioni tipiche e atipiche
Destinazioni tipiche e atipiche
di Raffaele Lenzi
Notaio in Montecatini Terme
Relativo al I CASO: destinazione patrimoniale e famiglia
Negli autori che si sono occupati del nuovo art. 2645-ter c.c., sembra ormai affacciarsi il convincimento che siamo in presenza di una disposizione che introduce o, per alcuni, riconosce [nota 1], l'ammissibilità nel nostro ordinamento di una figura generale di negozio di destinazione che, nel rispetto di determinati presupposti (forma, durata, meritevolezza), determina la separazione patrimoniale e ne assicura l'opponibilità, attraverso la trascrivibilità del vincolo, senza limitazioni predeterminate in ordine ai soggetti, ai fini ed agli ambiti di operatività.
La disposizione, rispetto ad altre figure negoziali di separazione patrimoniale da destinazione, individua un ambito applicativo del negozio di destinazione più ampio e meno rigido, che non incontra quindi i limiti teleologici (destinazione ai bisogni della famiglia) e soggettivi (la sussistenza di un rapporto di coniugio) del fondo patrimoniale, né i limiti soggettivi (la SpA) e quantitativi (il 10% del patrimonio sociale) dei patrimoni destinati ad uno specifico affare, per limitare il raffronto ad alcune figure codicistiche.
Sembrano maturi i tempi per tentare una ricostruzione organica del sistema della separazione patrimoniale da destinazione, ed in particolare verificare se, al di là delle singole discipline, sia possibile individuare un minimo nucleo normativo comune alla categoria della separazione negoziale da destinazione, integrativo della disciplina delle singole figure.
In questo senso è preliminare cercare di inquadrare correttamente la relazione che intercorre tra il negozio di destinazione evocato all'art. 2645-ter c.c. e le note figure specifiche di separazione da destinazione [nota 2].
La nuova disposizione non si limita ad aggiungere un'ulteriore fattispecie eccezionale di patrimonio separato a quelle già riconosciute dall'ordinamento, bensì riconosce la liceità della categoria generale dei negozi di separazione da destinazione e ne fissa i necessari requisiti [nota 3].
In questa prospettiva il rapporto tra la fattispecie evocata dall'art. 2645-ter c.c. e le fattispecie legali di separazione patrimoniale da destinazione deve correttamente ricondursi ad una relazione di genere a specie [nota 4].
Dalle regole dettate per le figure speciali si possono quindi trarre criteri guida nel definire la disciplina di nuove fattispecie atipiche, ricomprese nella categoria generale degli atti di destinazione.
La natura speciale, ma non eccezionale, delle fattispecie legali di separazione patrimoniale da destinazione consente infatti l'utilizzazione dei criteri dell'interpretazione estensiva e dell'analogia, tenendo conto che si delinea una relazione di complementarietà tra regole generali e regole speciali, essendo ormai superato il criterio tradizionale della costante prevalenza della disciplina speciale su quella generale [nota 5].
L'enunciato rapporto di genere a specie merita di essere indagato sotto vari profili:
a. l'individuazione dei criteri di risoluzione delle antinomie presenti tra il modello generale e le figure speciali;
b. la definizione del diverso concorso del modello generale e delle figure speciali nel delineare la disciplina degli atti di destinazione atipici;
c. la relazione che si instaura tra le disposizioni normative concernenti le singole figure tipiche per verificarne le possibili interazioni, la capacità dell'una di contribuire, attraverso lo strumento dell'analogia, a integrare la disciplina dell'altra e giungere quindi alla ricostruzione di un minimo nucleo normativo che vada a costituire lo statuto comune dei negozi di separazione da destinazione.
Alla luce di queste premesse, merita segnalare alcuni problemi che si pongono proprio in relazione al rapporto tra le varie figure negoziali di patrimoni separati da destinazione.
Un primo problema che pone la relazione tra fattispecie tipiche e atipiche è costituito dall'ammissibilità o meno dell'adozione dell'atto di destinazione previsto dall'art. 2645-ter c.c. per destinare alcuni beni a far fronte ai bisogni di una determinata famiglia legittima, ricalcando le finalità previste per il fondo patrimoniale [nota 6]. L'adozione di un modello atipico, aderente al paradigma generale di destinazione previsto dall'art. 2645-ter c.c., potrebbe consentire di costruire con più libertà le regole che disciplinano l'attività di destinazione, sottraendosi alle disposizioni inderogabili fissate per il fondo patrimoniale, quali l'amministrazione congiuntiva dei beni destinati da parte dei coniugi e le disposizioni in tema di scioglimento del fondo in presenza di figli minori. Inoltre lo scopo della destinazione, i bisogni della famiglia, è già stato valutato positivamente dall'ordinamento, al momento in cui ha predisposto a tal fine uno strumento tipico quale il fondo patrimoniale.
La giurisprudenza di merito sembra, in alcune prime pronunce [nota 7], affermare la libertà di scegliere lo strumento più idoneo fra quelli messi a disposizione dall'ordinamento, consentendo l'adozione dello strumento flessibile previsto dall'art. 2645-ter c.c. anziché lo strumento rigido del fondo patrimoniale.
Nel provvedimento in questione si sostiene che risponde all'interesse della prole l'imposizione di un vincolo di destinazione sui beni immobili trasferiti dal genitore, obbligato a contribuire al mantenimento dei figli, al genitore affidatario, in quanto è così realizzata una piena ed efficace garanzia sui beni vincolati, in misura maggiore rispetto a quanto sarebbe possibile per mezzo di un fondo patrimoniale [nota 8].
I giudici sembrano quindi non porsi il problema della sussistente concorrenza di uno strumento tipico e rimettono completamente all'autonomia privata l'adozione dello strumento più idoneo alla realizzazione degli interessi tra quelli che l'ordinamento mette a disposizione [nota 9].
La relazione tra negozio di destinazione e fondo patrimoniale viene quindi ricostruita su un piano paritetico e di libera alternativa. Tra l'altro il provvedimento riconosce il criterio discretivo della scelta proprio nelle differenti regole normative che distinguono la figura atipica dal fondo patrimoniale. In questi termini la soluzione non convince. La affermata qualificazione del fondo patrimoniale come figura speciale, prevista dalla legge, all'interno della più generale categoria degli atti di destinazione, comporta che nel modello tipico il legislatore ha già effettuato a priori una valutazione circa il corretto bilanciamento degli interessi in gioco, con la conseguenza che l'adozione di un diverso modello di disciplina difficilmente potrebbe superare il vaglio di conformità al criterio di meritevolezza richiesto per il negozio di destinazione atipico [nota 10].
E' il modello disciplinare speciale nel suo complesso che costituisce la sintesi del bilanciamento di interessi considerata dall'ordinamento e il negozio di destinazione non può essere strumento per eludere la disciplina legale né può trovare spazio nell'ambito di applicazione della figura tipica [nota 11].
Tuttavia la soluzione non può essere rigida, nel senso di escludere in assoluto la legittimità dell'adozione di un negozio di destinazione alternativo in relazione a contesti per i quali la legge già prevede figure tipiche.
E' necessario invece procedere alla valutazione della fattispecie concreta, in relazione agli interessi in gioco.
In questo senso la soluzione adottata dal Tribunale di Reggio Emilia è condivisibile, ma sulla base di considerazioni che non emergono dal provvedimento in questione.
Il fondo patrimoniale è negozio tipico previsto dall'ordinamento per proteggere gli interessi della famiglia nella sua fase fisiologica, ancora caratterizzata dalla pienezza degli elementi previsti dal regime primario, sanciti agli artt. 143 e 144 c.c.; in questa direzione si colloca la necessitata amministrazione congiunta dei beni, addirittura prevista anche nel caso in cui il coniuge costituente si riservi la proprietà dei beni del fondo.
In una situazione invece in cui, pur ancora formalmente sussistendo una famiglia legittima, la stessa attraversa una fase patologica, il fondo patrimoniale è strumento tipico, sempre astrattamente utilizzabile, ma non in via esclusiva, in quanto meno idoneo a gestire l'articolazione di interessi che si affacciano in tale momento.
La specifica situazione della famiglia legittima consente quindi l'adozione del negozio di destinazione ex art. 2645-ter c.c., in quanto strumento che può essere valutato più adeguato alla regolazione degli interessi attuali dei membri della famiglia.
Non contrasta con questa impostazione l'incerta giurisprudenza di merito che si è formata sulla possibilità di costituire in trust beni facenti parte di un fondo patrimoniale, in quanto anch'essa è sorta con riferimento a situazioni di crisi della famiglia [nota 12].
Tuttavia è significativo che, in una di tali pronunce, la soluzione negativa è fondata sulla considerazione che, nonostante l'affinità di effetti, la disciplina del trust ed in particolare l'ampiezza dei poteri del trustee avrebbero ridotto il sistema di garanzie che caratterizza la disciplina del fondo patrimoniale [nota 13].
La disciplina delle figure speciali può quindi costituire un limite all'ambito applicativo e alla piena esplicazione dell'autonomia privata nella configurazione del modello atipico di atto di destinazione; tuttavia la relazione tra le fattispecie speciali e la fattispecie generale non deve essere costruita in termini rigidi, ma costituisce un fondamentale parametro valutativo della rispondenza al criterio della meritevolezza richiesto all'art. 2645-ter c.c. [nota 14]
In passato si era posto in dottrina il problema, risolto in senso negativo, sulla possibile utilizzazione della figura tipica del fondo patrimoniale nell'ambito della famiglia di fatto [nota 15]. Il problema si ripropone, con più fortuna, in relazione al negozio di destinazione atipico, non più limitato dalla presenza di una concorrente figura tipica.
E' il caso, qui esaminato, in cui si intenda destinare un bene a far fronte ai bisogni della convivente, con la quale intercorre una relazione a cui la presenza di un figlio comune induce ragionevolmente ad attribuire caratteri di stabilità.
In realtà il caso in esame evidenzia alcune particolarità che meriterebbero di essere meglio indagate nel ricostruire l'effettiva volontà del disponente.
Il segnalato richiamo al profilo remuneratorio dell'atto di destinazione, posto in essere a fronte dell'apporto di lavoro del convivente tra le mura domestiche, sembra escludere una motivazione fondata esclusivamente sul sentimento solidaristico che sorge da una stabile convivenza more uxorio.
Trascurando tuttavia la disamina del profilo remuneratorio, basti qui evidenziare la legittimità di un negozio di destinazione con cui uno od entrambi i conviventi more uxorio intendono destinare alcuni beni a far fronte ai bisogni della famiglia di fatto composta da loro stessi e dai figli nati dalla loro unione: si tratta di una situazione che, anche alla luce delle posizioni assunte dalla Corte costituzionale [nota 16] e dell'evoluzione normativa, risponde certamente ad un interesse meritevole di tutela. La rilevanza si fonda principalmente sulla protezione della prole, che come noto ha costituito il fondamento di noti pronunciamenti della Corte costituzionale, tra i quali mi limito a segnalare quelli in tema di successione del convivente nel contratto di locazione del defunto [nota 17].
Tuttavia, anche in assenza di prole, non sembra possa escludersi ammissibilità ad una destinazione in funzione dei bisogni del convivente more uxorio, fondandosi la meritevolezza sulla tutela della stabile convivenza come situazione riconducibile alle formazioni sociali ove si svolge la personalità dell'individuo (art. 2 Cost.), secondo una lettura costituzionalmente orientata del requisito della meritevolezza.
Ma l'utilità di indagare la relazione tra le fattispecie legali speciali e la figura generale non si esaurisce nel contributo alla determinazione dei criteri di valutazione in ordine ai requisiti di legittimità richiesti [nota 18].
La disciplina delle fattispecie speciali può infatti offrire validi referenti all'interpretazione della pur scarna disciplina dettata dal legislatore all'art. 2645-ter c.c.
Mi riferisco in particolare al problema, non nuovo nella dinamica dei patrimoni separati da destinazione e che la nuova disposizione non risolve espressamente, concernente gli effetti della separazione sui c.d. creditori involontari [nota 19].
Il problema cioè se la limitazione di responsabilità si riferisce esclusivamente ai debiti, inerenti la destinazione, di fonte contrattuale ovvero se la separazione operi anche per la responsabilità da fatto illecito.
In relazione alla disciplina dei creditori involontari lo scenario che si presenta all'interprete è oggi il seguente:
- in relazione ai patrimoni destinati ad uno specifico affare l'esplicito dato letterale fa salvi i creditori involontari da qualsiasi limitazione di responsabilità (art. 2447-quinquies, comma 3, c.c.) [nota 20];
- in relazione al fondo patrimoniale, pur in mancanza di una esplicita disposizione e nonostante il dato letterale orienti diversamente, la posizione attuale della Suprema Corte è nel senso che l'espropriabilità dei beni del fondo è possibile in ogni caso in cui si riscontra un'oggettiva destinazione dei debiti assunti alle esigenze familiari, fondando il criterio distintivo non già sulla natura delle obbligazioni, ma sulla relazione esistente tra il fatto generatore di esse ed i bisogni della famiglia: conseguentemente per le obbligazioni risarcitorie da fatto illecito non è preclusa l'esecuzione sui beni del fondo, in tutti i casi in cui l'attività che ha determinato l'insorgere del rapporto obbligatorio ha inerenza diretta ed immediata con le esigenze familiari; è di tutta evidenza la straordinaria incertezza che tale soluzione getta in concreto sugli effetti dell'atto destinatorio;
- in relazione al negozio di destinazione atipico, salvo rilevare che l'utilizzazione dell'espressione "debiti contratti" ricalca la terminologia utilizzata per il fondo patrimoniale, si è ancora in attesa di una compiuta elaborazione del problema.
L'apparente divergente trattamento impone all'interprete una riflessione sulla fondatezza di tale soluzione differenziata e sollecita una verifica della possibilità di elaborare un comune statuto normativo, che colmi in modo organico le lacune, fissando le regole generali comuni e giustificando, laddove presenti, le soluzioni differenziate.
L'enunciata possibilità di utilizzare gli strumenti ricostruttivi dell'analogia e dell'interpretazione estensiva, pone il problema di verificare l'eventuale portata espansiva del già richiamato disposto dell'art. 2447-quinquies, comma 3 c.c., che esclude l'effetto separativo nei confronti dei creditori involontari, al fine di colmare le lacune presenti nella disciplina del negozio di destinazione atipico e di riconsiderare le soluzioni interpretative fino ad oggi adottate per altre figure tipiche, quale il fondo patrimoniale.
Esistono numerosi argomenti, non qui analiticamente considerabili, che conducono a ritenere che tale disposizione possa essere espressione di una regola generale che, in mancanza di espressa contraria previsione normativa, trova applicazione in tutte le ipotesi di creazione volontaria di patrimoni separati.
Non manca tuttavia chi ritiene che l'ampia tutela delle ragioni dei creditori involontari, prevista dalla disposizione in materia di SpA, non possa trovare applicazione al di fuori del citato ambito [nota 21].
Alcuni Autori sostengono che nel dettato del negozio di destinazione ex art. 2645-ter c.c. sono escluse le ragioni dell'impresa, con una novella distinzione tra diritto civile e diritto commerciale [nota 22].
Si tratta tuttavia di una soluzione non supportata dal dettato normativo, salvo che l'esclusione non passi attraverso una lettura restrittiva del requisito della meritevolezza.
Meno radicali appaiono invece le argomentazioni di chi non esclude la possibile utilizzazione del negozio di destinazione in funzione di esigenze dell'impresa, ma richiama tuttavia l'attenzione sui rischi di un semplicistico procedimento applicativo di regole dettate nell'ambito dell'impresa al diverso settore del diritto di famiglia, stante la diversa gerarchia degli interessi in gioco [nota 23].
Non può negarsi suggestione all'argomento che nega la portata espansiva del disposto dell'art. 2447-quinquies c.c., sulla considerazione che la regola ivi prevista trova giustificazione nelle rafforzate esigenze di certezza nel determinare gli ambiti di responsabilità nello svolgimento dell'attività d'impresa, caratterizzata da maggiore dinamismo e dove le limitazioni di responsabilità sono funzionali anche ad un più alto livello di efficienza del mercato.
Resta il fatto che la disposizione richiamata è l'unica che risolve espressamente il problema, a fronte dell'ambigua formula utilizzata nel definire gli effetti degli altri negozi di separazione da destinazione [nota 24].
Tuttavia il problema, non ancora con sicurezza definito, del rilievo del negozio di destinazione sui creditori involontari, se non pone problemi redazionali, costituendo un effetto legale del negozio, impone tuttavia al notaio rogante dei doveri di informazione, al fine di evitare il formarsi nel cliente di erronee sicurezze circa la portata protettiva dell'istituto adottato [nota 25].
Da queste brevi considerazioni emerge che l'adozione di un negozio di destinazione impone una complessa attività ricostruttiva tesa ad accertare la legittimità del modello assunto e la sussistenza dei requisiti richiesti dalla legge. In questa opera di composizione del regolamento negoziale, le fattispecie legali, lungi dall'essere viste come separate e autonome eccezioni alla regola dettata dall'art. 2740 c.c. e quindi inutili a fondare su di esse argomenti ricostruttivi, possono offrire invece un contributo fondamentale all'elaborazione di un sistema di regole atte a orientare l'operatore e offrire un solido appiglio nella ricerca di un assetto bilanciato degli interessi in gioco.
[nota 1] G. PALERMO, La destinazione di beni allo scopo, in vol. II, La proprietà e il possesso diretto da N. Lipari e P. Rescigno e coordinato da A. Zoppini, Milano, 2009, p. 388 e ss.
[nota 2] R. LENZI, Le destinazioni tipiche e l'art. 2645-ter c.c., in Atti di destinazione e trust (art. 2645-ter del codice civile) a cura di G. Vettori, Padova, 2008, p.197 e ss.
[nota 3] A. GAMBARO, Vincoli di destinazione e conformazione della proprietà, in Studi in onore di Antonio Palazzo, vol. 3, Torino, 2009, p. 315 e ss.
[nota 4] R. LENZI, op. cit., p. 202.
[nota 5] M. GORGONI, Regole generali e regole speciali nella disciplina del contratto: contributo per una ricostruzione sistematica, Torino, 2005, p. 49 e ss.
[nota 6] Sul punto A. GENTILI, «Le destinazioni patrimoniali atipiche. Esegesi dell'art. 2645-ter c.c.», in Rass. dir. civ., 2007, p. 35 e ss.; R. ORESTANO, Atto di destinazione e interessi rilevanti, in Studi in onore di Antonio Palazzo, vol. 3, Torino, 2009, p. 628
[nota 7] Trib. Reggio Emilia, 23-26 marzo 2007, in Giur. it., 2008, p. 629 e ss.
[nota 8] C. MURGO, «Accordi tra coniugi separati e vincolo di destinazione ex art. 2645-ter c.c., tra autonomia negoziale e segregazione patrimoniale nell'interesse della prole», in Nuova giur. civ. comm., 2008, I, p. 114 e ss.
[nota 9] A. MORACE PINELLI, «Tipicità dell'atto di destinazione ed alcuni aspetti della sua disciplina», in Riv. dir. civ., 2008, II, p. 451 e ss.
[nota 10] R. LENZI, op. cit., p. 209 e ss.
[nota 11] S. MEUCCI, La destinazione di beni tra atto e rimedi, Milano, 2009, p. 217 e ss.
[nota 12] Trib. Milano, decr. 7 giugno 2006, in Trust e att. fid., 2006, p. 575 e ss.; Trib. Firenze, decr. 23 ottobre 2002, in Trust e att. fid., 2003, p. 406 e ss.
[nota 13] Trib. Firenze, cit., sul punto G. OBERTO, «Vincoli di destinazione ex art. 2645-ter c.c. e rapporti patrimoniali tra coniugi», in Fam. e dir., 2007, p. 212 e ss.; A. MORACE PINELLI, Atto di destinazione, trust e responsabilità del debitore, Milano, 2007, p. 94 e ss.
[nota 14] In generale sul criterio di meritevolezza e sulla sua rilevanza relazionale, M. NUZZO, Atto di destinazione e interessi meritevoli di tutela, in La trascrizione dell'atto negoziale di destinazione. L'art. 2645-ter del codice civile a cura di M. Bianca, Milano, 2007, p. 67 e ss.
[nota 15] R. LENZI, Profili sistematici del fondo patrimoniale, Pisa, 1990, p. 113 e ss.; ID., «Struttura e funzione del fondo patrimoniale», in Riv. not., 1991, I, p. 53 e ss.
[nota 16] Da ultimo sui rapporti tra famiglia di fatto e famiglia legittima, Corte Cost. n. 86 del 27 marzo 2009, in Dir. e prat. lav., 2009, p. 1024; in precedenza con l'ordinanza n. 121 del 2004, in Giur. cost., 2004, p. 1242, la Corte ha sottolineato che la distinta considerazione costituzionale della convivenza e del rapporto coniugale non esclude affatto la comparabilità delle discipline e che le stesse possano presentare analogie anche ai fini del controllo di ragionevolezza.
In questo senso anche la sentenza n. 416 del 1996, in Giur. it., 1997, I, p. 362.
[nota 17] Cos'ì Corte Cost. n. 204/2003 in Foro it., 2003, I, c. 2222.
[nota 18] R. LENZI, Le destinazioni…, cit., p. 211.
[nota 19] La dottrina rileva che rendendo inopponibile la limitazione della responsabilità si vuole evitare che la separazione patrimoniale determini un incentivo anomalo a frazionare il rischio d'impresa e a "esternalizzarlo" sui creditori involontari, cfr. A. ZOPPINI, «Autonomia e separazione del patrimonio nella prospettiva dei patrimoni separati della società per azioni», in Riv. dir. civ., 2002, 4, p. 574.
[nota 20] R. LENZI, «I patrimoni destinati: costituzione e dinamica dell'affare», Riv. not., 2003, I, p. 543 e ss.
[nota 21] S. MEUCCI, La destinazione…, cit., p. 484.
[nota 22] Sulla attualità della distinzione, A. GAMBARO - R. SACCO, Un solo codice o due codici per il diritto civile e il diritto commerciale, relazione al Convegno "Giuseppe Ferri e il legislatore" tenutosi a Roma il 23 ottobre 2008, ora in Atti del Convegno, Milano, 2009.
[nota 23] S. MEUCCI, op. ult. cit., p. 492 e ivi nota 337.
[nota 24] Nel senso di una utilizzazione dello strumento dell'analogia per ricostruire il senso della disciplina in materia, con riferimento alla responsabilità verso i creditori non contrattuali, in particolare C.M. BIANCA, Se l'esecuzione sui beni e sui frutti del fondo patrimoniale possa aver luogo per debiti non derivanti da contratto, in Questioni di diritto patrimoniale della famiglia discusse da vari giuristi e dedicate ad Alberto Trabucchi, Padova, 1989, p. 111 e ss.; le opinioni in questione sono state espresse prima dell'introduzione dell'art. 2447-bis e ss. c.c.
[nota 25] Sugli obblighi di informazione, tra l'altro A.C. NAZZARO, Obblighi d'informare e procedimenti contrattuali , Napoli, 2000, p. 174 e ss.
|