Destinazioni e fiscalità indiretta
Destinazioni e fiscalità indiretta
di Adriano Pischetola
Notaio in Perugia
Relativo al I CASO: destinazione patrimoniale e famiglia
Le ipotesi 'destinative' soggette ad imposizione
La necessità che alle ipotesi negoziali con effetti di destinazione o di articolazione del patrimonio si desse maggiore attenzione da parte degli interpreti e dell'Amministrazione finanziaria ai fini della individuazione dei relativi criteri di tassazione, emerge da una circostanza ben specifica, e cioè che il comma 47 art. 2 del D.l. 3 ottobre 2006, n. 262 [nota 1], nel re-introdurre l'imposta 'sulle successioni e donazioni' ex T.U. D.lgs. 31 ottobre 1990, n. 346 , ha indicato fra le fattispecie imponibili - oltre che i trasferimenti di beni e diritti per causa di morte, per donazione o a titolo gratuito - anche, per l'appunto, la costituzione di vincoli di destinazione.
L' Amministrazione finanziaria, in particolare, nella circolare n. 3/E del 2008, elenca talune tra le possibili fattispecie negoziali destinative, quali la costituzione di un trust, la stipula di un negozio fiduciario, la costituzione del fondo patrimoniale, e la costituzione, da parte di una società, di un patrimonio destinato ad uno specifico affare.
Si tratta evidentemente di una elencazione non tassativa, ma solo esemplificativa, tant'è che non viene espressamente richiamato il tipico paradigma destinativo di cui all'art. 2645-ter c.c. [nota 2]; ciò che invece per l'Amministrazione sembra avere valenza definitoria e conclusiva è, per così dire, la funzione 'astratta' perseguibile dal negozio di articolazione del patrimonio, vale a dire quella di destinare determinati beni «alla realizzazione di un interesse meritevole di tutela da parte dell'ordinamento, con effetti segregativi e limitativi della disponibilità dei medesimi». Soprattutto, ai fini dell'applicazione dell'imposta di successione e donazione, si ribadisce la necessità che il negozio destinativo abbia efficacia traslativa, in quanto presupposto applicativo di siffatta imposta è appunto «il trasferimento di beni e diritti» così come ribadiscono sia l'art. 1 del T.U. n. 346/90 quanto l'art. 2, comma 47 del D.l. 262/2006: in assenza di efficacia traslativa risulterà dovuta pertanto solo l'imposta in misura fissa «ordinariamente prevista per gli atti privi di contenuto patrimoniale (art. 11 della Tariffa parte prima allegata al T.U.R. approvato con D.P.R. n.131/86)».
Né pare priva di rilievo la riflessione per cui il trasferimento di cui il negozio destinativo deve essere capace - per avviare la procedura impositiva verso l'area dell'imposta disciplinata dal T.U. n. 346/90 - risponda ad un effettivo arricchimento o spostamento patrimoniale, stabile, e non precario, definitivo e non temporaneo o condizionato ad un obbligo di restituzione, dal disponente al beneficiario [nota 3]. Come insegna autorevole dottrina [nota 4] infatti, «l'accrescimento patrimoniale del destinatario o comunque un suo vantaggio apprezzabile d'identica natura è una componente necessaria della disciplina relativa al tributo, perché l'atto gratuito in tanto è tassabile - conformemente al testo normativo - in quanto determini un trasferimento di ricchezza, almeno nella forma di un'utilità percepibile ed economicamente significativa».
Nell'applicazione della norma fiscale, continua poi l'Amministrazione, l'interprete non può riferirsi a criteri diversi da quelli desumibili dall'art. 20 del detto T.U.R. (articolo la cui applicazione oltre il perimetro dell'imposta di registro è ormai pacificamente ammessa dall'Amministrazione stessa), e quindi deve tenere in debito conto l' «intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti … anche se non vi corrispondono il titolo o la forma apparente»; sicché ciò comporta la «necessità di verificare, volta per volta, gli effetti giuridici che [n.d.r. quanto ad es. alla costituzione di un vincolo di destinazione] questa produce, per modo che l'imposta possa essere assolta solo in relazione a vincoli di destinazione costituiti mediante trasferimento di beni».
Ne dovrebbe derivare - a mò di corollario - che:
- l'atto destinativo, sia pure con affidamento dell'attuazione a terzi attraverso il conferimento di un mandato gestorio o anche con trasferimento di beni o diritti a favore dell'attuatore ma strumentale ai fini della destinazione e quindi senza spostamento patrimoniale apprezzabile e definitivo a suo favore (come avviene nel c.d. negozio fiduciario), non dovrebbe essere ricompreso nell'aveo applicativo dell'imposta di donazione o successione, ma solo in quello dell'imposta di registro (salvo poi a vedere se applicare in tale ultimo caso l'imposta con aliquota del 3% o meno sull'eventuale prestazione a contenuto patrimoniale cui è tenuto l'attuatore o addirittura a far rientrare tale prestazione in ambito Iva qualora l'attuatore sia soggetto a tale imposta);
- analogamente dovrebbe andare esente da imposta (di donazione e successione) l'atto destinativo qualora l'attuazione della destinazione impressa dal disponente possa importare, al compimento di questa, ulteriore ri-trasferimento del bene o diritto a vantaggio dello stesso disponente o di terzi - la circolare n. 3/E del 2008 fa l'esempio del trasferimento di un bene a favore del creditore a scopo di garanzia e della successiva restituzione al debitore dopo l'estinzione del debito. Eppure in tale fattispecie, pur non verificandosi un accrescimento patrimoniale nella sfera giuridica del creditore - cui il bene è trasferito solo a scopo di garanzia - l'Amministrazione ritiene dovuta l'imposta di donazione e successione sul primo trasferimento e parimenti di nuovo detta ultima imposta o quella di registro sul successivo, in base alla sua natura giuridica: attuandosi così una deviazione dai principi sopra enunciati.
Ipotesi risolutiva del primo caso
Nella fattispecie di cui al I° caso esaminato nel corso di questo Convegno si assiste ad una convenzione che consente a Caia, convivente, di fruire dell'abitazione di Tizio nonché dei suoi frutti: ora, se tale fruizione discende da un'attribuzione vitalizia del godimento dell'immobile - in senso lato e con funzione anche destinativa - fatta da Tizio e se si mette in evidenza la rilevanza dell'effetto attributivo-traslativo, non mi sembra - per quanto sopra detto - che la fattispecie possa essere sottratta agli ordinari criteri impositivi ex T.U. n. 346/90. Se al contrario ci si limiti a ritenere che la convenzione abbia mera natura obbligatoria e non si realizzi alcun effetto dispositivo (comportando solo l'impegno di Tizio di consentire a Caia di abitare l'immobile e godere dei frutti), e che quindi assuma rilievo assorbente solo la 'destinazione' vincolante stabilita da Tizio, dovrebbe essere dovuta la mera imposta di registro in misura fissa, come l'Amministrazione stessa ha precisato. Analogamente si dovrebbe optare per l'applicazione dell'imposta in misura fissa sulla destinazione a favore di Tizio stesso, laddove ritenuta teoricamente possibile e legittima.
Anzi, laddove si ritenesse possibile o opportuno affidare l'attuazione della destinazione 'egotistica' voluta da Tizio ad un fiduciario o mandatario, vi sarebbero ulteriori elementi da valutare.
Il negozio fiduciario di tipo 'romanistico' avente ad oggetto immobili
Ed infatti si dovrebbe in via preliminare tenere in debita considerazione a quale imposizione l'Amministrazione finanziaria ritiene soggetto il negozio con cui si attua una relazione fiduciaria (magari con trasferimento d'immobile a favore del fiduciario).
E' nota la distinzione, nell'ambito del c.d. "negozio fiduciario" (inteso come quel negozio giuridico che si sostanzia nell'attribuzione ad un soggetto/fiduciario di un diritto 'limitato' dalla cura degli interessi di altro soggetto/fiduciante) [nota 5] tra fiducia 'romanistica' (che caratterizza le ipotesi di trasferimento della titolarità di un bene o di un diritto dal fiduciante al fiduciario) e quella 'germanistica' (che invece trasferisce a questi solo la legittimazione all'esercizio di un diritto senza acquisirne la titolarità e che secondo l' Amministrazione finanziaria e buona parte della Giurisprudenza afferisce all'area dell'intestazione fiduciaria di titoli azionari e quote di partecipazioni societaria).
Al riguardo nella circolare n. 28/E del 2008, si è chiarito che - qualora il negozio fiduciario afferisca a beni immobili - si potrebbe parlare solo di fiducia di tipo 'romanistico', portante vero e proprio trasferimento dal fiduciante al fiduciario, «seppur limitato tra le parti dal pactum fiduciae», in considerazione della natura peculiare di siffatti beni e delle relative regole di circolazione, e quindi con applicazione delle correlative imposte ex T.U. n. 346/90. Non troverebbe invece spazio la c.d. 'fiducia germanistica' che trasferisce al fiduciario solo la legittimazione all'esercizio di un diritto senza acquisirne la titolarità [nota 6].
Sennonché è intuitivo che anche in un negozio fiduciario ispirato alla 'fiducia romanistica' si attua un trasferimento meramente strumentale, che facoltizza il fiduciario ad amministrare e gestire il bene solo secondo la destinazione impressa dal fiduciante/disponente e che, in vista dell'obbligo di ritrasferimento del bene stesso a favore del secondo una volta data piena attuazione al programma destinativo, non può integrare gli estremi e il contenuto di quell'arricchimento patrimoniale, stabile e definitivo che abbiamo visto essere un presupposto del tributo in questione [nota 7], in quanto appunto il diritto acquisito dal fiduciario non lo arricchisce.
A ciò si aggiunga - come è stato bene notato - che nel negozio fiduciario difettano anche quegli effetti 'segretativi' che - secondo l'Agenzia delle entrate - concorrono a definire la fattispecie imponibile quale 'vincolo di costituzione': e ciò in quanto i beni intestati al fiduciario, a differenza del 'trust' o dei patrimoni destinati ad uno specifico affare, non costituiscono un patrimonio separato [nota 8].
Tornando allora per un attimo al tentativo di individuare il regime fiscale applicabile alla fattispecie di cui al 1° caso, viene da chiedersi - alla luce delle svolte considerazioni - se, prevedendo un soggetto 'terzo' che attui la destinazione stabilita a favore del destinante stesso, e 'colorando' detta fattispecie con una qualificazione più marcatamente 'fiduciaria', debba ritenersi proprio dovuta l'imposta di successione e donazione secondo i principi propri del T.U. n. 346 o se al contrario non possa risultare più pertinente l'applicazione della sola imposta di registro in misura fissa; e ciò anche se all'instaurazione della relazione fiduciaria (tra fiduciante/destinante e fiduciario/attuatore) si accompagnasse un trasferimento finalizzato alla mera attuazione della destinazione voluta dal fiduciante stesso, insomma un trasferimento come sopra definito solo 'strumentale'.
Sicuramente peraltro si dovrebbe optare in tal senso qualora al negozio destinativo (non traslativo) si affiancasse un mero mandato gestorio (conferito all'attuatore) sia pure irrevocabile (ma con obbligo di rendiconto per non far scattare il disposto dell'art. 33 del T.U.R. n. 131/86) [nota 9]: il che consentirebbe da un lato di attuare la destinazione prevista anche a favore del destinante stesso e dall'altro di costituire comunque una figura 'terza' (rispetto e al destinante e al beneficiario della destinazione).
Qualche considerazione sui trusts
Infine i 'trusts'; trusts che - è bene subito dire - l'Amministrazione finanziaria proprio con la ricordata circolare n. 3/E del 2008 tratta sul piano fiscale - è questo il profilo che qui si vuole sottolineare - a prescindere dalla intenzione [liberale o meno] del disponente [nota 10].
Sostiene l'Agenzia «la costituzione di beni in trust rileva, in ogni caso, ai fini dell'applicazione dell'imposta sulle successioni e donazioni, indipendentemente dal tipo di trust».
Ancorché non vi sia trasferimento di beni o di diritti, come ad es. accade nel trust autodichiarato, sarebbe - per l'Agenzia delle entrate - legittima l'applicazione dell'imposta di cui si discute in considerazione «della natura patrimoniale del conferimento in trust, dell'effetto segregativo che esso produce sui beni conferiti indipendentemente dal trasferimento formale della proprietà e ... del complessivo trattamento fiscale del trust che esclude dalla tassazione il trasferimento dei beni a favore dei beneficiari».
Sarà solo questione - secondo il pensiero dell'Agenzia - di accertare l'esistenza ed il tipo di rapporto di parentela o meno tra disponente e beneficiario per l'individuazione dell'aliquota (e dell'eventuale franchigia) in concreto applicabile.
Anzi, si legge nella circolare n. 3/E del 2008 dell'Agenzia delle entrate che il trust si sostanzia in un rapporto giuridico complesso avente «un'unica causa fiduciaria» tale da caratterizzarne tutte le vicende.
Parrebbe al contrario più corretto affermare che il trust è una struttura la cui causa è "variabile" [nota 11], una struttura "aperta", quindi, che il disponente può utilizzare per il perseguimento di varie finalità (liberale, solutoria, onerosa, ecc.), da individuarsi di volta in volta sulla base del programma che egli ha predisposto nell'atto istitutivo.
Ciò, anzi, consentirebbe proprio di applicare in modo plausibile proprio quell'art. 20 del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, sui reali effetti giuridici della fattispecie, cui pure l'Agenzia dichiara di appellarsi.
Né vanno ignorati qui principi di ordine costituzionale quale quello sulla riserva di legge ex art. 23 Cost. [nota 12], e soprattutto il principio di capacità contributiva di cui all'art. 53 Cost.
Trust e vincolo di destinazione
Ma veniamo per un attimo ad una comparazione diretta tra trust da un lato e vincoli di destinazione diversi dal trust dall'altro.
La circolare dell'Agenzia delle entrate n. 3/E del 2008 - come sopra s'è già detto - definisce vincoli di destinazione, in generale, «[i] negozi giuridici mediante i quali determinati beni sono destinati alla realizzazione di un interesse meritevole di tutela da parte dell'ordinamento, con effetti segregativi e limitativi della disponibilità dei beni medesimi», per poi ritenere che anche il trust rientri in tale ambito definitorio.
Con particolare riferimento alla fattispecie più comune, il trust con trasferimento di beni dal disponente al trustee, l'Agenzia afferma (e conferma) che l'atto dispositivo non è preordinato all'arricchimento del destinatario dei beni ma, appunto, alla creazione di un vincolo di destinazione.
Tuttavia, se si analizza la definizione di vincolo di destinazione fornita dall'Agenzia appare dubbio ricomprendervi il trust in quanto tale.
Nella circolare si afferma infatti che, perché possa configurarsi un vincolo di destinazione, l'atto deve - tra l'altro - determinare un effetto limitativo della disponibilità dei beni trasferiti [nota 13].
Nel caso del trust la prospettiva parrebbe invece essere diversa.
Il trust, rispetto agli atti di destinazione di cui all'art. 2645-ter c.c. (che è probabilmente il paradigma che il legislatore ha preso in considerazione), è infatti preordinato ad una gestione "dinamica" dei beni da parte del trustee [nota 14].
Nell'esperienza inglese, in particolare, il trust non è tout court un vincolo alla circolazione dei beni, e il trustee infatti, se non diversamente stabilito nell'atto istitutivo, ha sempre pienezza di poteri, essendo la sua attività appunto finalizzata alla valorizzazione dei beni in trust.
Si afferma ancora, sempre al fine di ricondurre il trust nell'ambito dei vincoli di destinazione, che i beni trasferiti al trustee non sono da costui legittimamente utilizzabili per finalità divergenti rispetto a quelle determinate nell'atto istitutivo (affermazione che appunto ricalca parte del disposto dell'art. 2645-ter c.c.).
Ma si tratta di un'affermazione che a ben vedere dà per scontato ciò che invece è discusso, e cioè che gli eventuali atti posti in essere dal trustee in spregio rispetto a quanto stabilito nell'atto siano inefficaci nei confronti dei terzi [nota 15]; inoltre - si ripete - le finalità del trust ben possono prevedere (anzi, di regola prevedono) che il trustee ponga in essere atti dispositivi dei beni (nel quadro della già riferita dinamicità che caratterizza il trust).
La tassazione dei trust con beneficiari individuati
L'Agenzia ritiene che nel caso in cui i beneficiari di un trust siano individuati nell'atto istitutivo [nota 16] il presupposto impositivo in capo a costoro sorga al momento dell'istituzione del trust.
Ma ciò presupporrebbe che i beneficiari del trust fossero titolari, già al momento dell'istituzione, dei beni trasferiti dal disponente al trustee, cioè del c.d. 'trust fund'.
Il che pare confliggere con la ricostruzione civilistica della posizione giuridica dei beneficiari, ormai consolidata, nel senso che il beneficiario di un trust è titolare di un diritto di credito nei confronti del trustee (e in tal senso la stessa Agenzia configura la posizione del beneficiario in materia di imposte dirette) [nota 17]: un diritto di credito che non ha ad oggetto il trasferimento dal trustee, in favore dei beneficiari, dei beni in trust (e tantomeno dei beni inizialmente trasferiti al trustee), bensì il diritto di pretendere dal trustee l'adempimento delle obbligazioni che sorgono a suo carico a seguito dell'istituzione del trust [nota 18].
Tali obbligazioni potranno certo concretarsi nel trasferimento di beni ai beneficiari, ma ciò è solo un effetto indiretto.
Quanto sopra dovrebbe allora condurre, anche per questa via, a non applicare alcuna imposta proporzionale in sede di istituzione del trust, a pena di violazione del principio sopra detto di rango costituzionale sulla capacità contributiva. (art. 53).
La tassazione dei trust nei quali i beneficiari siano genericamente indicati e non identificabili in relazione al grado di parentela
Nel caso di beneficiari solo genericamente indicati e non identificabili in relazione al grado di parentela, la circolare più volte ricordata ritiene dovuta l'imposta ex T.U. n. 346/90 nella misura proporzionale dell'8% senza che sia possibile usufruire di franchigie [nota 19].
Ma, poiché il quadro normativo sul quale si deve ragionare è quello disegnato dai commi 47 e ss. dell'art. 2 del D.l. 262/2006, bisogna qui rilevare che unici soggetti di cui la norma (art. 2, comma 49) sembra occuparsi ai fini della imposizione, sono gli effettivi beneficiari. Ciò in particolare laddove si statuisce che «… l'imposta è determinata dall'applicazione delle seguenti aliquote al valore globale dei beni e dei diritti al netto degli oneri da cui è gravato il beneficiario …».
Orbene, qualora il beneficiario sia solo determinabile e non da subito determinato, si può senza tema di smentita sostenere che il beneficiario sia il trust, qualificato dall'Agenzia nella circolare n. 3/E quale «immediato destinatario dei beni oggetto di disposizione segregativa»?
Si dovrebbe, forse, ma in senso opposto a quanto affermato dall'Agenzia, applicare al momento del trasferimento dei beni al trustee la sola imposta di registro in misura fissa (così come accade per gli atti soggetti a condizione sospensiva ai sensi dell'art. 27 del D.P.R. 131/86, applicabile anche alla materia imponibile con l'imposta di successione e donazione ai sensi dell'art. 60 del D.lgs. 346/90) e solo successivamente procedere - al momento del trasferimento finale dei beni al beneficiario - all'applicazione dell'imposta di donazione, tenendo in considerazione il rapporto intercorrente tra disponente e beneficiario così come successivamente individuato.
La tassazione dei c.d. trust di scopo
L'Agenzia delle entrate ritiene che in caso di trust di scopo o con beneficiari finali non legati da alcun rapporto di parentela con il disponente o comunque solo genericamente indicati e non identificabili, sarà giocoforza applicabile l'imposta di donazione o successione con l'aliquota più elevata dell'8% e senza alcuna franchigia.
Pare invece di potere affermare, sia alla luce di quanto osservato nel paragrafo precedente, sia in considerazione delle regole operative ricavabili dall'art. 20 del D.P.R. n. 131/86 e dall'art. 53 Cost. che delle considerazioni che seguono, la seria discutibilità della tesi dell'Agenzia.
Si osserva preliminarmente che l'espressione "trust di scopo" pecca almeno di genericità.
Nel diritto dei trust si distinguono infatti i trust di scopo not charitable (= trust non caritatevoli o non benefici) e i trust di scopo charitable [nota 20].
Detto che i primi non sono ammessi da tutte le leggi in materia di trust (ad es. la legge inglese vieta i trust di scopo non altruistico) [nota 21], i secondi (i trust charitable) ci pare possano essere ricompresi nell'ambito dell'art. 3, comma 1, del D.lgs. 346/90 [nota 22].
Quanto ai trust di scopo non charitable, la violazione del principio di capacità contributiva che si determina applicandovi l'imposta dell'8%, è resa palese dall'esempio che segue.
Tizio, che ha svariate posizioni debitorie, istituisce un trust trasferendo un bene immobile ad un trustee, il quale dovrà venderlo al meglio, ripartire il ricavato tra i creditori di Tizio e restituire l'eventuale residuo allo stesso Tizio.
Il vantaggio del ricorso al trust, salvo l'esperimento dell'azione revocatoria, è sottrarre i beni all'azione esecutiva dei creditori.
Questo trust ha uno scopo, in senso lato, di garanzia nei confronti dei creditori. Più precisamente, è un trust avente causa solutoria.
Sul piano tributario, dal lato del trustee il trasferimento non è indice di capacità contributiva, in quanto, come riconosce la stessa Agenzia delle entrate, il suo arricchimento è per definizione escluso (il trustee si arricchirà dell'eventuale compenso per lo svolgimento dell'ufficio, soggetto a tassazione nell'ambito delle imposte dirette); dal lato dei creditori non vi è alcun arricchimento scaturente dall'istituzione del trust, perché al termine del trust essi percepiranno quanto loro dovuto in virtù dell'originario titolo costitutivo dell'obbligazione a carico di Tizio.
Per quale ragione il trasferimento da Tizio al trustee debba essere assoggettato a tassazione con l'imposta dell'8% non è dato comprendere.
I primi orientamenti espressi dalle Commissioni tributarie provinciali
Non pare superfluo in via conclusiva rilevare come alcune commissioni tributarie provinciali (ricordiamo solo qui quella di Firenze e quella di Lodi) abbiano considerata plausibile l'applicazione delle imposte fisse (di reg. ipotec. e catastale) in talune ipotesi peculiari; come quella esaminata dalla commissione fiorentina del 23 ottobre 2008 ove si è chiaramente affermato il principio che l'atto di trasferimento di beni immobili dal disponente al trustee di un trust, in cui l'individuazione dei beneficiari è sottoposta di fatto a condizione sospensiva, è soggetto al pagamento delle imposte di registro, ipotecaria e catastale in misura fissa; o quella sottoposta all'attenzione della commissione di Lodi dell'8 gennaio 2009 ove è stato affermato il principio per cui l'atto di trasferimento del patrimonio di una società in favore del trustee di un trust istituito con finalità liquidatorie del patrimonio stesso, non è soggetto all'applicazione dell'imposta di donazione ma all'applicazione dell'imposta di registro, che è comunque dovuta in misura fissa [nota 23].
Si tratta di prime affermazioni che però preludono ad un approfondimento - forse più ragionato e maturo - delle problematiche afferenti la materia in commento.
Le imposte ipotecaria e catastale
In materia di imposte ipotecaria e catastale convince poco la tesi esposta nella circolare n. 3/E, della loro debenza in misura proporzionale in quanto «corrispettivo per l'esecuzione delle relative formalità» [nota 24].
L'Agenzia ritiene pertanto che - al di là della peculiarità dell'istituto del trust - ciò che rileva ai fini o meno dell'applicazione delle menzionate imposte in misura proporzionale è solo la presenza o meno nella singola fattispecie (costituzione del vincolo, trasferimento dei beni in esso conferiti all'atto del suo scioglimento, trasferimenti effettuati durante la permanenza del vincolo) dell'effetto traslativo.
La tesi, se sul piano dei principi astratti non può non essere condivisibile, in riferimento al microsistema "trust" richiede un ulteriore approfondimento e una più specifica disamina, tenendo conto delle particolarità dell'istituto.
Ed invero, a parte l'ipotesi piana del negozio istitutivo privo di efficacia traslativa e con funzione meramente programmatica soggetto ad applicazione della (sola) imposta ipotecaria [nota 25] in misura fissa (ad es. la costituzione del vincolo di destinazione ai sensi dell'art. 2645-ter c.c. [nota 26] ovvero il trust c.d. autodichiarato), il punto nodale è se in ogni caso i trasferimenti di beni e diritti (ovviamente di natura immobiliare) relativi a ciascuna delle vicende afferenti quel microsistema possano essere considerati fattispecie imponibili con imposte in misura proporzionale o meno.
Orbene, se si parte dal presupposto che anche l'applicazione delle imposte ipotecaria e catastale in misura proporzionale - così come quella di registro e successione/donazione - presuppone un effettivo arricchimento dell'avente causa in omaggio al principio di rango costituzionale della capacità contributiva ex art. 53 Cost. più volte richiamato [nota 27], si comprende come in ipotesi di trasferimento di beni dal disponente al trustee tale arricchimento difetti e che pertanto non appaia appropriata una imposizione della vicenda traslativa con ricorso ai criteri impositivi in misura proporzionale.
Altro e diverso discorso, è ovvio, va invece svolto in riferimento al trasferimento di quei beni e diritti che, per dare piena attuazione al programma istitutivo del trust come concepito dal disponente, il trustee sia eventualmente chiamato a porre in essere a favore dei beneficiari finali ad un certo momento o all'esito della durata temporale del trust. In tale fattispecie soltanto sarà giustificato il ricorso all'imposta in misura proporzionale, in quanto idonea ad incidere su di un effettivo trasferimento di ricchezza di cui sono destinatari i beneficiari.
La ricostruzione come sopra illustrata pare, ad esempio, particolarmente comprensibile nei c.d. trust di garanzia, ove il debitore, per tutelare al meglio le ragioni dei creditori, trasferisce un bene immobile o un diritto reale immobiliare al trustee affinché questi provveda a sua volta ad allocarlo sul mercato e, così smobilizzandolo, a ritrarne un valore di realizzo finalizzato a più adeguatamente soddisfare quelle ragioni, con restituzione dell'eventuale residuo al disponente-debitore. Si tratta in tal caso di un trust con causa solutoria, destinato a sottrarre il bene o il diritto reale immobiliare all'azione esecutiva dei creditori, salvo sempre il legittimo ricorso all'azione revocatoria.
Ma in tal caso è intuitivo come le vicende in cui si articola il trust non comportano attribuzione di ricchezza né a favore di alcun beneficiario finale diretto o indiretto né tanto meno a favore del trustee, cui è conferita solo una legittimazione a disporre in via funzionale e che semmai assume nei confronti dei creditori solo un impegno ad assolvere al meglio i suoi compiti.
Resta salva invece la legittima applicazione delle imposte ipocatastali in misura proporzionale al solo atto di trasferimento di quei beni e diritti attuato da parte del trustee nei confronti di quelli che possano essere considerati i beneficiari effettivi e finali del trust, al momento in cui quel trasferimento debba essere perfezionato secondo le istruzioni del negozio istitutivo o comunque al suo scioglimento (e sempreché questo trasferimento effettivamente consegua).
Così come con i criteri ordinari proporzionali saranno incisi tutti gli eventuali trasferimenti immobiliari posti in essere dal trustee nei confronti di terzi al fine di accrescere il valore dei beni in trust o per dare comunque esecuzione alle peculiari volizioni del disponente, e ciò in quanto, coerentemente, tali ulteriori trasferimenti comporteranno altrettanti definitivi trasferimenti di effettiva ricchezza per i singoli rispettivi aventi causa.
Conclusioni
Abbiamo a questo punto tutti gli elementi per tentare una valutazione - come dire - sinottica dei profili fiscali emergenti dalle fattispecie (almeno di qualcuna) di cui ai casi proposti in questo Convegno.
Di quelli relativi al primo dei casi già si è detto: rimanendo nell'ambito del mero vincolo di destinazione (attuato - diciamo - attraverso forme diverse dal trust) e non verificandosi alcun trasferimento (tanto meno nell'ipotesi di destinazione 'egotistica') non vi sarebbero i presupposti per l'applicazione dell'imposta di donazione, ma solo quelli per l'applicazione dell'imposta di registro in misura fissa; di più, si dovrebbe forse ritenere che ciò sia vero anche qualora questo trasferimento si attui in funzione solo strumentale (magari per costituire quell'elemento di 'terzietà' di cui si diceva, affidando l'attuazione della destinazione ad un fiduciario e/o mandatario), e sempre avvertendo però che in siffatta ultima ipotesi diversa - come si è visto - è la posizione dell'Agenzia delle entrate. Certo, se si volesse invece ricorrere direttamente alla istituzione e alla dotazione di un trust, anche autodichiarato, non vi sarebbe altra soluzione secondo l'Agenzia - lo si è visto - se non quella di fare ricorso in toto ai principi che presidiano all'applicazione dell'imposta di donazione, senza alternative di nessun tipo.
Ma con riferimento al secondo dei casi proposti [che tratta di una destinazione patrimoniale in caso di crisi coniugale, e senza alcun trasferimento dell'abitazione coniugale di proprietà di uno solo dei coniugi] nessuno potrebbe fondatamente escludere - anche in presenza di un trust - l'applicazione del regime di esenzione fiscale di cui all'art. 19 della legge 6 marzo 1987, n. 74 se trattasi di una operazione che presenti (se li presenta, è ovvio) tutti i presupposti cui è subordinato quel regime, segnatamente la circostanza di poter qualificare il negozio destinativo come 'relativo' al procedimento di separazione personale [nota 28]. Infatti anche a fronte della istituzione di un vero e proprio trust, non è revocabile in dubbio che trovino applicazione (si ripete se ne ricorrono i presupposti) tutte le norme di cui agli speciali regime fiscali premiali e di favore già previsti dal nostro ordinamento (pensiamo ad es. anche al regime di esenzione per il trasferimento di aziende o di partecipazioni societarie in trust - laddove ricorrano particolari condizioni soggettive - previsto al comma 4-ter dell'art. 3 del T.U. n. 346/90 e di cui si tratta nella risoluzione dell'Agenzia delle entrate n. 110 del 23 aprile 2009) .
[nota 1] Decreto statuente disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria e che risulta pubblicato nella Gazz. Uff. 3 ottobre 2006, n. 230, e convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, L. 24 novembre 2006, n. 286 (Gazz. Uff. 28 novembre 2006, n. 277, S.O.).
[nota 2] In particolare per quanto concerne quel peculiare negozio destinativo di cui all'art. 2645-ter c.c. - su cui nell'economia del presente contributo qui non ci si può soffermare - qui si rinvia alla notevole produzione dottrinaria in materia e segnatamente cfr. M. LUPOI, «Gli "atti di destinazione" nel nuovo art. 2645-ter c.c. quale frammento di trust», in Trusts, 2006, p. 169 e ss. e in Riv. not, 2006, p. 467 e ss.; G. PETRELLI, «La trascrizione degli atti di destinazione», in Riv. dir. civ., 2006, p. 161 e ss.; S. BARTOLI, «Riflessioni sul nuovo art. 2645-ter c.c. e sul rapporto fra negozio di destinazione di diritto interno e trust», in Giur. it., 2007, p. 1297; F. GAZZONI, «Osservazioni sull'art. 2645-ter», in Giust. civ., 2006, II, p. 165; R. FRANCO, «Il nuovo art. 2645-ter c.c.», in Notariato, 2006, 3, p. 315 e ss.; M. BIANCA, «L'atto di destinazione: problemi applicativi», in Riv. not., 2006, p. 1175; P. MANES, «La norma sulla trascrizione degli atti di destinazione è, dunque, norma sugli effetti», in Contr. impr., 2006, p. 626 e ss.; R. QUADRI, «L'art. 2645-ter e la nuova disciplina degli atti di destinazione», in Contr. e impr., 2006, p. 1717 e ss.; AA.VV., Negozio di destinazione: percorsi verso un'espressione sicura dell'autonomia privata, in Quaderni della Fondazione italiana per il Notariato, Milano, 2007. In giurisprudenza Trib. Reggio Emilia (decr.) 23 giugno 2007, in Trusts, 2007, p. 419, che costituisce il primo caso di utilizzo della nuova norma in una fattispecie concreta in quanto ha omologato un accordo modificativo delle condizioni di una separazione consensuale prevedente - appunto - l'impiego di un negozio di destinazione ex art. 2645-ter c.c. per far fronte al mantenimento dei figli minori della coppia.
[nota 3] Ecco la ragione per cui il comodato 'gratuito' si ritiene di regola che esuli dall'ambito applicativo dell'imposta di successione e donazione cfr. sul punto Studio CNN n. 168/2006T (estensori FRIEDMANN. GHINASSI, MASTROIACOVO, PISCHETOLA) leggibile all'indirizzo http://www.notariato.it/Notariato/Static Files/Studi_e_approfondimenti/168.pdf; nonché G. GAFFURI, L'imposta sulle successioni e donazioni, Padova, 2008, p. 126 e 127.
[nota 4] Cfr. G. GAFFURI, op. cit., p. 124.
[nota 5] Per una puntuale ricostruzione della nozione di negozio fiduciario così come delle teorie formulate dalla dottrina in relazione alla controversa natura giuridica di tale istituti si rimanda allo Studio CNN n. 86/2003T, Negozio fiduciario e imposte indirette, (estensore C. BRUNELLI) all'indirizzo web http:// www.notariato.it/Notariato/StaticFiles/Studi_e_ approfondimenti/86-03.pdf.
[nota 6] In particolare in questa seconda forma di 'fiducia' sarebbe dato distinguere una proprietà solo 'formale' spettante al fiduciario e una proprietà 'sostanziale' spettante al fiduciante, da considerare effettivo titolare delle situazioni giuridiche collegate o nascenti dalla titolarità del titolo azionario o della partecipazione societaria; secondo Cass. civ., sez. trib., 27 agosto 2001, n. 11267, in Dir. e prat. soc., 2002, 4, p. 89 «l'intestazione del titolo al nome della società fiduciaria, pur non potendo dirsi "fittizia" (perché effettivamente voluta) ha carattere "formale", estrinsecandosi nell'attribuzione della legittimazione all'esercizio di diritti altrui (Cass. 10 dicembre 1984, n. 6478; Cass. 21 maggio 1999, n. 4943) …»; cfr. altresì Cass. 14 ottobre 1997, n. 10031, in Notariato, 1998, p. 307 con nota di M. GRONDONA, secondo cui «Il proprium del rapporto intercorrente tra la società fiduciaria ed i fiducianti consiste nella intestazione di beni appartenenti effettivamente ad altri proprietari per cui la proprietà della società fiduciaria ha carattere formale anche se, essendo voluta, non può dirsi fittizia e comporta obblighi di gestione e di garanzie degli "effettivi titolari"»; in particolare per la disciplina del fenomeno nell'ambito della titolarità di titolo azionari e partecipazioni societarie cfr. art. 1 ultimo comma R.D. 29 marzo 1942, n. 239; nonché art. 9 comma 1 legge 29 dicembre 1962, n. 1745.
[nota 7] In tal senso anche G. GAFFURI, op. cit., p. 168.
[nota 8] S. LOCONTE - V. DE BONIS, «Circolare n. 28/E del 27 marzo 2008. Profili impositivi dell'intestazione fiduciari di immobili», in Il Fisco, 2008, 21, p. 3802.
[nota 9] Art. 33 che come è noto applica al mandato irrevocabile senza obbligo di rendiconto la stessa imposta stabilita per l'atto per il quale è stato conferito.
[nota 10] Quindi senza alcun distinguo tra i c.d. trusts liberali e trusts ove quella intenzione difetti (ad es. i c.d. trusts solutori, di garanzia o, comunque, caratterizzati da profili di onerosità).
[nota 11] Ad es. come accade in tema di cessione del credito o di contratto a favore del terzo. Cfr. in giurisprudenza, di recente (con riferimento alla cessione del credito), Cass. 3 dicembre 2002, n. 17162, in Notariato, 2003, p. 116.
[nota 12] Non pare un fuor d'opera notare che non esiste una norma in materia di imposte indirette che si occupa espressamente della tassazione dei trust.
[nota 13] Quest'idea sembra ricavarsi - mediante interpretazione a contrario - da quanto scritto alla fine del § 5.4.1 della citata circolare n. 3/E. L'Agenzia dice infatti: «[i] beni costituiti in trust … non sono legittimamente utilizzabili per finalità divergenti rispetto a quelle predeterminate nell'atto istitutivo di trust». Aggiunge poi, per sottolineare le differenze tra trust e altri negozi costitutivi di vincoli di destinazione: «Si pensi al negozio fiduciario, il quale non impedisce al fiduciario di disporre dei beni a lui intestati persino contro la volontà del fiduciante medesimo». Se ne ricava appunto, a contrario, che il trust invece impedirebbe al trustee di disporre dei beni.
[nota 14] Questa differenza è messa bene in luce da M. GRAZIADEI, L'art. 2645-ter c.c. e il trust: prime osservazioni, in AA.VV., I trust interni e le loro clausole, [nt. 1], p. 223.
[nota 15] Si apprende ad esempio (cfr. CNN Notizie n. 206 del 10 novembre 2009, sulla base della comunicazione effettuata dal Notaio Richard Saville) che, secondo la legge dell'Isola di Jersey (posta nel Canale della Manica e che non fa parte del Regno Unito dipendendo direttamente dalla Corona) nel caso di una compravendita intrapresa dal trustee al di fuori dello scopo del trust, la compravendita rimane valida nei confronti del trustee e dell'altra parte coinvolta nella compravendita. In caso di rottura (breach of trust), il beneficiary ha comunque la possibilità di esercitare un'azione legale o un reclamo contro il trustee e il suo operato.
[nota 16] Non è del tutto chiaro se con il termine "individuati" l'Agenzia intenda "definitivamente" individuati, anche se il contesto porta a far propendere per tale caratterizzazione.
[nota 17] Che il diritto del beneficiario di un trust sia di natura obbligatoria è tesi ormai prevalente. Cfr. M. LUPOI, «Il trust nell'ordinamento giuridico italiano dopo la Convenzione dell'Aja del 1° luglio 1985», in Vita not., p. 975-976. Per ulteriori riferimento cfr. S. BARTOLI, Il trust, 2001, p. 91 e ss. In giurisprudenza cfr. Corte giustizia Ce 17 maggio 1995, n. C-294/92, in Corr. giur., 1995, p. 162 e ss. L'opposta tesi (della natura reale) è stata sostenuta per la prima volta in Italia nel risalente contributo di R. FRANCESCHELLI, Il trust nel diritto inglese, Padova, 1935, spec. p. 23-50 e 127-145.
[nota 18] Cfr. M. LUPOI, in AA.VV, Fiducia, trust, mandato, agency, Milano, 1991, p. 106.
[nota 19] L'Agenzia sembra motivare tale affermazione sulla base della ritenuta "unicità della causa" del trust. Infatti si dice: «L'unicità della causa fa sì che l'imposta sia dovuta … nella misura dell'8 per cento». Anche se non pare che siffatto sillogismo possa andare del tutto esente da critica.
[nota 20] Ad es. i trust costituiti 'per preservare la pace nazionale' o 'per l'abolizione della vivisezione'.
[nota 21] Secondo la dottrina (cfr. M. LUPOI, Trust, cit., [nt. 12], p. 206, i charitable trusts in diritto inglese costituirebbero (insieme ai c.d. trust anomali e ai trust a vantaggio di beneficiari non definibili tali in senso tecnico) un'eccezione alla regola della invalidità dei c.d. trust di scopo; d'altra parte tale regola si atteggia in modo diverso in altra legislazione, come ad es. la Trusts (Jersey) Law 1984 (as amended 2006) ove è prevista la validità del trust di scopo anche non caritatevole, a condizione che venga nominato un enforcer che possa agire nei confronti del trustee in caso di mancato adempimento delle sue obbligazioni.
[nota 22] Secondo l'art. 3 del D.lgs. 346/90 non sono soggetti all'imposta, tra l'altro, i trasferimenti a favore … di fondazioni o associazioni legalmente riconosciute, che hanno come scopo esclusivo l'assistenza, lo studio, la ricerca scientifica, l'educazione, l'istruzione o altre finalità di pubblica utilità.
Sebbene il trust sia senza dubbio istituto diverso da una fondazione o un'associazione parrebbe tuttavia prospettabile un'applicazione analogica della norma, laddove il trust venga utilizzato per il perseguimento di una finalità analoga a quelle indicate nella norma stessa.
[nota 23] Sull'argomento sia permesso rinviare a M. MURITANO - A. PISCHETOLA, «Prime decisioni in materia di imposizione indiretta del trust», in Notariato, 2009, 5, p. 505 e ss.
[nota 24] Cfr. anche la Circolare n. 48/E del 7 agosto 2007.
[nota 25] Non certo di quella catastale non dando luogo la fattispecie ad alcuna voltura.
[nota 26] Cfr. circolare Agenzia del territorio n. 5/T del 7 agosto 2006, per le modalità della esecuzione della formalità di trascrizione.
[nota 27] Il che è pacificamente ritenuto in dottrina anche con riferimento alle imposte di cui si discute: cfr. CARDARELLI, voce Ipotecarie (imposte), in Dig., disc. priv. - Sez. comm., VII, Torino, 1992, p. 559; T. LA MEDICA, voce Ipotecarie e catastali (imposte), in Enc. giur. Treccani, XVII, Roma, 1989.
[nota 28] Si ricorda che è stata la sentenza della Corte Costituzionale n. 154 del 10 maggio 1999 ad estendere il trattamento fiscale riservato agli atti e provvedimenti relativi al divorzio anche agli atti e provvedimenti relativi alla separazione personale dei coniugi.
[nota 29] Nella risoluzione citata nel testo l'Amministrazione finanziaria ritiene possibile riconoscere il trattamento fiscale in esenzione nell'ipotesi di trasferimento di partecipazioni societarie o di azienda ad un trust alle seguenti condizioni:
1. il trust abbia una durata non inferiore a cinque anni a decorrere dalla stipula dell'atto che comporta la segregazione in trust della partecipazione di controllo o dell'azienda;
2. i beneficiari finali siano necessariamente discendenti e/o coniuge del disponente;
3. il trust non sia discrezionale o revocabile, vale a dire, ad esempio, che non possono essere modificati dal disponente o dal trustee i beneficiari finali dell'azienda o delle partecipazioni trasferite in trust;
4. il trustee deve proseguire l'esercizio dell'attività d'impresa o detenere il controllo per un periodo non inferiore a cinque anni dalla data del trasferimento (individuabile nell'atto segregativo dell'azienda e/o delle partecipazioni) e, a tal fine, deve rendere, contestualmente al trasferimento, apposita dichiarazione circa la sua volontà di proseguire l'attività di impresa (o detenere il controllo).
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