Destinazione patrimoniale e impresa: oggetto e contenuto dell'atto di destinazione
Destinazione patrimoniale e impresa: oggetto e contenuto dell'atto di destinazione
di Mirzia Bianca
Ordinario di Diritto Privato Università "La Sapienza" di Roma
Relativo al III CASO: Destinazione patrimoniale e controllo gestionale dell'impresa
La metodologia innovativa dell'organizzazione di questo Convegno di Studio, della quale appaiono innegabili le componenti suggestive date dal coniugare armonicamente teoria e pratica con la lente di varie figure professionali, mi convince a tal punto che devo premettere che, diversamente dal procedere abituale delle relazioni convegnistiche, le mie brevi riflessioni, seppure di carattere generale, saranno strumentali alla soluzione del terzo caso prospettato.
Questo caso investe due significative problematiche dell'atto di destinazione patrimoniale.
La prima riguarda l'oggetto dell'atto di destinazione e la possibilità di destinare quote societarie, superando il dato testuale dell'art. 2645-ter del codice civile che limita l'oggetto ai soli beni immobili e ai beni mobili iscritti in pubblico registro. Il caso prospettato, essendo relativo alla conferibilità nell'atto destinatorio di una quota di Srl [nota 1], si inserisce nel moderno dibattito culturale che, in ragione della tendenza alla personalizzazione della quota di Srl, guarda sempre di più a questo tipo societario quale modello duttile e flessibile, utilizzabile anche quale "cassaforte di famiglia" quale strumento per coniugare l'interesse dell'impresa con quello della famiglia [nota 2].
La seconda problematica attiene al contenuto dell'atto di destinazione e alla possibilità, in mancanza di espresso riferimento normativo, che l'atto di destinazione contenga anche un mandato gestorio che sia funzionale alla realizzazione della destinazione. L'art. 2645-ter del codice civile non menziona il profilo gestorio e proprio in questa lacuna si è ravvisata la maggiore distanza rispetto all'istituto d'oltralpe del trust, incentrato sulla figura del trustee e sull'affidamento fiduciario [nota 3].
Entrambe le problematiche investono una sfera di applicazione dell'autonomia negoziale diversa rispetto a quella coinvolta dagli altri due casi prospettati nel corso della mattinata. Questi riguardavano il problema della individuazione del fine destinatorio e della qualificazione in termini di meritevolezza [nota 4]. Questo caso, viceversa, a differenza degli altri due, se pure implica un'applicazione fortemente dinamica della destinazione patrimoniale avendo ad oggetto una quota societaria, quanto al fine, non pone alcun problema di indagine sulla meritevolezza. La tutela dei disabili rientra infatti tra i fini posti in modo esemplificativo dal legislatore quale modelli di interesse meritevoli di tutela.
Prima di affrontare le due evocate problematiche, per evitare che le soluzioni da me prospettate possano porsi quali petizioni di principio, mi sembra necessaria una sintesi delle due principali letture dell'art. 2645-ter, attinenti all'interpretazione dì questa norma e alla sua collocazione sistematica. Esse, pur con le diverse sfumature, hanno caratterizzato la prima stagione di interpretazione della norma, conducendo a risultati applicativi molto diversi con riferimento ad un atto quale l'atto di destinazione che risulta complesso, essendo composto dall'atto di autonomia negoziale avente il contenuto organizzativo della destinazione di beni ad uno scopo e dall'effetto di separazione patrimoniale [nota 5] e quindi della opponibilità ai terzi del vincolo.
Una prima lettura della norma può essere definita sostanzialistica, perchE' con essa si supera il dato formale della collocazione sistematica dell'art. 2645-ter nel libro VI del codice civile. Tale lettura, proprio perchE' non si ferma alla collocazione topografica della norma, ma guarda alla sua disciplina, porta a ritenere che essa non sia solamente una norma sulla pubblicità ma anche una norma sulla fattispecie, di cui il legislatore si preoccupa di indicare alcuni elementi [nota 6]. Tale lettura conduce naturalmente a porre l'attenzione sulla destinazione patrimoniale quale risultato di un atto di autonomia negoziale, di cui il legislatore ci consegna lo schema generale [nota 7]. E proprio nel riconoscimento nell'art. 2645-ter di un nuovo schema destinatorio che si sono individuate le più interessanti suggestioni innovative di una norma che, quindi, anche se scarna nel suo contenuto e definita quale «frammento di disciplina» [nota 8], assumerebbe un rilevante significato sistematico di «contenitore» [nota 9], ovvero di modello di atto negoziale di destinazione di beni ad uno scopo.
A questa lettura si contrappone quella formalistica che, fondandosi sul dato formale della collocazione dell'art. 2645-ter nel libro VI del codice civile, porta a ritenere che questa norma sia esclusivamente una norma che disciplina la pubblicità, essendo priva di un valore sostanziale. Si trascura pertanto il dato della destinazione quale figura negoziale e si pone l'accento sul vincolo e sulla pubblicità che, nelle interpretazioni più esasperate, rappresenta l'unico effetto della norma. Tale lettura, a differenza della prima, pone inevitabilmente l'accento più sull'effetto di separazione patrimoniale che non sull'atto di destinazione che per alcuni non rivestirebbe alcun rilievo sistematico [nota 10]. Sono da ricomprendere in questa lettura della norma quelle voci dottrinali che vedono nell'art. 2645-ter del codice civile un'ennesima limitazione della responsabilità patrimoniale, ponendo quindi l'accento più che sull'atto organizzativo di destinazione, sull'effetto di separazione patrimoniale e quindi sul vincolo [nota 11].
Tornando alle problematiche evocate dalla lettura del caso e in particolare a quella relativa all'oggetto dell'atto di destinazione, appare chiaro come l'adozione di una o altra lettura influisca sulla soluzione del caso prospettato. Mentre infatti la lettura sostanzialistica porta a ritenere che l'indicazione dei beni immobili e dei beni mobili iscritti in pubblici registri non esaurisca l'area dei beni conferibili in destinazione, la lettura formalistica porta a ritenere che l'elenco sia da ritenersi tassativo in quanto la natura dei beni è strettamente collegata alla funzione pubblicitaria. Nell'ambito della prima lettura, favorevole ad una estensione dell'oggetto della destinazione, si collocava, già ad una prima lettura della norma Angelo Falzea. Il Maestro così si esprimeva: «il nuovo articolo non pone limiti di sorta neppure alla scelta dei beni oggetto dell'atto di destinazione non potendosi riconoscere conseguenze giuridiche restrittive alla prescrizione obbligata della forma pubblica per la stipulazione dell'atto di destinazione. La prescrizione della forma pubblica, infatti, non deve necessariamente essere dettata dalla natura immobiliare dell'oggetto dell'atto. Essenziale, tra le finalità indipendenti dalla natura del bene, è la opponibilità ai terzi» [nota 12].
Di grande rilevanza nelle riflessioni del Maestro è l'affermazione del principio generale di sganciamento della natura del bene dalla funzione pubblicitaria e dalla opponibilità ai terzi. Proprio in applicazione di tale principio di carattere generale, il Maestro ammetteva che «qualsiasi bene, confacente con la realizzazione dello scopo assegnato alla destinazione, non escluse le partecipazioni societarie ed i titoli mobiliari in genere, possono formare legittimo oggetto dell'atto di destinazione allo scopo» [nota 13].
Come si è accennato, con riferimento all'art. 2645-ter, tale risultato è agilmente raggiungibile attraverso l'adozione di una lettura sostanzialistica della norma. Tuttavia, tale non è necessariamente la via obbligata. Il problema della estensione dell'oggetto della destinazione alle quote di Srl si è posto anche con riferimento ad altre discipline tipiche di destinazione, qual è quella codicistica del fondo patrimoniale [nota 14]. In questo caso, trattandosi di una disciplina tipica, la dottrina ha dovuto necessariamente seguire un diverso percorso basato sulla natura delle partecipazioni societarie e sull'assimilazione della destinazione al trasferimento e in generale alla circolazione [nota 15]. Si è poi accolto il pensiero della dottrina che, in termini generali, ha formulato la tesi dell'assimilazione delle quote di Srl ai beni mobili iscritti in pubblici registri, tesi confortata dalla riformulazione dell'art. 2470 del codice civile ai sensi della novella del diritto societario [nota 16]. Riflessioni analoghe a queste sono state portate a supporto della conferibilità delle quote di Srl per l'atto di destinazione disciplinato dall'art. 2645-ter[nota 17].
In sintesi, con riferimento al problema della conferibilità nell'atto di destinazione regolato dall'art. 2645-ter di quote di Srl, a questo risultato può giungersi sia adottando la lettura sostanzialistica della norma, sia accogliendo la tesi dell'assimilazione di dette quote ai beni mobili iscritti in pubblici registri, con riflessioni analoghe a quelle fatte con riferimento all'istituto del fondo patrimoniale.
Va al riguardo rilevato che la soluzione di questa problematica non assume valore meramente accademico ma appare indispensabile al fine di una utilizzazione competitiva e dinamica di questo istituto. Diversamente, apparirebbe più moderno, sotto questo profilo, il fondo patrimoniale che, almeno nella formulazione dell'art. 167 c.c. ricomprende, oltre ai beni immobili e ai mobili iscritti in pubblici registri, anche i titoli di credito.
Va tuttavia sottolineato che, trattandosi per l'atto di destinazione di un atto negoziale particolare che produce effetti rilevanti nei confronti dei terzi, il limite della conferibilità va individuato in beni per i quali sia previsto un adeguato regime pubblicitario [nota 18].
Certo, l'estensione dell'oggetto alle quote di Srl pone un problema sistematico di non poca rilevanza, che è quello del rapporto con la disciplina dei patrimoni destinati ad uno specifico affare del diritto societario, disciplina prevista dagli artt. 2447-bis e seguenti del codice civile per il tipo della SpA. Una destinazione patrimoniale che avesse ad oggetto quote societarie di Srl potrebbe porre il problema sistematico della estensione di quella disciplina ad altri tipi societari, diversamente dalla volontà del legislatore. Al riguardo appare necessario operare la distinzione tra finalità della destinazione ed oggetto della destinazione. Nel caso di patrimoni destinati ad uno specifico affare, il fine destinatorio coincide con il fine societario, in quanto si tratta di una frammentazione del patrimonio societario in cui lo specifico affare è da intendersi come ramo d'impresa [nota 19], mentre nel caso in esame l'impresa entra solo come oggetto della destinazione. La finalità non è lucrativa, ma al contrario è solidaristica in quanto consiste nel mantenimento di un soggetto disabile. L'impresa è l'oggetto della destinazione, ma non colora la finalità destinatoria che rimane non lucrativa. La destinazione diventa uno strumento per collegare l'attività d'impresa alle ragioni e agli interessi della famiglia. Ciò consente di escludere, almeno con riferimento al caso prospettato, che l'art. 2645-ter possa essere considerato lo strumento per estendere la disciplina dei patrimoni destinati ad uno specifico affare agli altri tipi societari.
Per quanto riguarda la seconda problematica, cioè il contenuto dell'atto di destinazione, e in particolare la lacuna della norma con riferimento al profilo gestorio, è necessario fare un rinvio al principio di effettività della destinazione. Questo principio nasce nella dottrina notarile, ancor prima dell'introduzione dell'art. 2645-ter[nota 20] nel codice civile e viene poi riconfermato a seguito dell'emanazione della norma [nota 21]. Il principio di effettività della destinazione quale principio che guarda alla destinazione nella sua concreta attuazione importa corollari significativi anche con riferimento al problema della gestione e in generale dell'organizzazione della destinazione e trova veste normativa proprio nell'art. 2645-ter nella parte in cui attribuisce a «chiunque vi abbia interesse azione a tutela della realizzazione della destinazione». Proprio nella lettura della norma, il Maestro Giorgio Oppo, individuava con le seguenti parole il riconoscimento della necessaria gestione del patrimonio destinato ad uno scopo: «il fine non si esaurisce ovviamente nella separazione che è solo un mezzo, investe la gestione che deve realizzarlo e che la legge rende pubblica e controllabile da chi vi è interessato, questa è la formula dell'art. 2645-ter c.c.».
Nelle parole del Maestro riemerge in tutta la sua concretezza il principio di effettività, la cui applicazione consente di controllare adeguatamente il rapporto tra destinazione e separazione, rendendo sempre più eccezionali le ipotesi di destinazioni che vengano poste in essere al solo fine di creare patrimoni separati e quindi di limitare la responsabilità patrimoniale [nota 22].
Tutte queste riflessioni pongono in luce il rapporto da sempre evidenziato dalla dottrina tra destinazione e separazione. Infatti, tale rapporto non si pone solo per il negozio di destinazione di cui all'art. 2645-ter c.c., ma anche per il trust come per tutti gli strumenti atipici [nota 23], nel senso che la destinazione deve essere l'atto rilevante, mentre la separazione dovrebbe essere l'effetto. E' chiaro che se l'ago della bilancia pende a favore della separazione, e cioè, se lo strumento viene concepito nella sua ideazione solamente come una possibilità di limitare la responsabilità patrimoniale, tutte le riflessioni sulla negozialità perdono completamente di significato o al più prospettano la possibilità di configurare nel negozio di destinazione un negozio in frode alla legge o in frode ai creditori.
L'enucleazione del profilo gestorio nell'atto di destinazione, oltre a consentire, come si è accennato, un corretto controllo tra destinazione e separazione patrimoniale, porta a concepire la stessa destinazione quale un procedimento complesso in cui è parte anche lo statuto di governance del patrimonio destinato. La ricomprensione della gestione del patrimonio destinato ad uno scopo nella formulazione dell'atto di destinazione consente di assegnare un contenuto concreto all'azione attribuita dal legislatore a chiunque vi abbia interesse per controllare la realizzazione della destinazione. Tale azione rimarrebbe lettera morta ove non fosse previsto un regime di gestione del bene, del quale controllare la realizzabilità in termini di risultato.
La considerazione dell'atto negoziale di destinazione, non quale singolo atto di autonomia, ma come procedimento complesso, evoca la nozione di operazione economica che già da tempo attenta dottrina ha elaborato [nota 24], anticipando soluzioni sistematiche di grande rilievo riprese dalla dottrina più recente [nota 25].
La considerazione dell'atto di destinazione negoziale quale operazione complessa che ricomprende anche l'attuazione della destinazione allontana sempre di più l'idea che l'atto di destinazione regolato dall'art. 2645-ter debba intendersi, con una lettura minimalistica, come mera apposizione di un vincolo su un bene. L'atto di destinazione appare invece istituto attraverso il quale è consegnato ai privati uno strumento con il quale attribuire ai beni una destinazione particolare nei limiti posti dall'ordinamento per la sua realizzazione. Destinare un bene ad una determinata finalità significa organizzare la sua utilità, oltre che la sua responsabilità. Concepita in questi termini l'attività destinatoria non può non ricomprendere le regole di gestione del bene, le quali appaiono il presupposto per la realizzazione della finalità impressa al bene o al patrimonio.
Una siffatta concezione dell'atto di destinazione, ove la si voglia accogliere, consente di proiettare l'atto di destinazione patrimoniale in un'area di competitività con altri strumenti del diritto privato europeo che consentono una programmazione dell'attività e della responsabilità con costi notevolmente più ridotti rispetto alla costituzione di un ente giuridico.
In particolare la ricomprensione del profilo gestorio nell'atto di destinazione e la sua opponibilità ai terzi consentono di colmare alcune delle lacune che separano il modello italiano rispetto a quello angloamericano del trust.
[nota 1] Il caso non fa riferimento esplicito alla Srl ma deve comunque intendersi che si tratti di tale tipo societario, essendo utilizzata l'espressione "quota" e non quella di "azione".
[nota 2] In generale sul rapporto tra attività d'impresa e rapporti familiari, v. L. BALESTRA, Attività d'impresa e rapporti familiari, Padova, 2009. In particolare sulla personalizzazione della quota di Srl, v. L. BALESTRA, «Autonomia negoziale nella Srl e compagine familiare: la "personalizzazione" della partecipazione», in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2009, p. 11 e ss. ; M. MALTONI, La partecipazione sociale, in C. CACCAVALE - F. MAGLIULO - M. MALTONI - F. TASSINARI, La riforma della società a responsabilità limitata, Milano, 2007, p. 190 e ss.
[nota 3] V. in particolare M. LUPOI, «Gli "atti di destinazione" nel nuovo art. 2645-ter c.c. quale frammento di trust», in Riv. not., 2006, p. 467, il quale nel confrontare l'istituto del trust e dell'atto di destinazione dell'art. 2645-ter c.c., rileva la mancanza nel secondo dell'obbligazione fiduciaria, propria invece del trust. In generale sulla distinzione del trust rispetto a figure affini, sia consentito un rinvio a M. BIANCA, «Trustee e figure affini nel diritto italiano», in Riv. not., 2009, p. 557 e ss. e ora in D. ZANCHI (a cura di), Il trustee nella gestione dei patrimoni. Responsabilità e risoluzione dei conflitti, Torino, 2009, p. 65 e ss.
[nota 4] Sul controllo di meritevolezza, si rinvia in particolare alle Relazioni di Mario Nuzzo e di Alessandro De Donato in questo volume.
[nota 5] Il tema del rapporto e della distinzione tra atto negoziale di destinazione ed effetto di separazione patrimoniale è stato oggetto di importanti riflessioni della dottrina. Per una sintesi, si rinvia al nostro «Atto negoziale di destinazione e separazione», in Riv. dir. civ., 2007, I, p. 197 e ss.
La divaricazione tra i due profili della destinazione e della separazione patrimoniale ha condotto ad importanti risultati sul piano della individuazione del giudizio di meritevolezza degli interessi, v. M. NUZZO, Atto di destinazione e interesssi meritevoli di tutela, in La trascrizione dell'atto negoziale di destinazione. L'art. 2645-ter, a cura di M. Bianca, Milano, 2007, p. 59 e ss.
[nota 6] Tale lettura è quella che in dottrina ha ricevuto maggiori consensi, anche se diverse sono state le interpretazioni: da quelle che hanno visto nella norma l'introduzione di uno schema generale di atto destinatorio a quelle minimalistiche che hanno semplicemente rilevato l'impossibilità di configurare la norma come una disposizione sulla pubblicità, dato il rinvio testuale ad elementi del diritto sostanziale.
Nella dottrina notarile, pur nella diversità delle interpretazioni, si è posto l'accento sul valore sostanziale della norma. Ne è conferma il volume pubblicato a cura della Fondazione Italiana del Notariato, volume che raccoglie gli atti di diversi Convegni dedicati a questo tema e che ha un titolo significativo: Negozio di destinazione: percorsi verso un'espressione sicura dell'autonomia privata, Milano, 2007.
[nota 7] Significative al riguardo sono le parole di G. PALERMO, Configurazione dello scopo, opponibilità del vincolo, realizzazione dell'assetto di interessi, in La trascrizione dell'atto negoziale di destinazione. L'art. 2645-ter, a cura di M. Bianca, cit., p. 75: «L'importanza della norma contenuta nell'art. 2645-ter, va colta ad un livello superiore, avendo il legislatore posto, accanto al 'contratto in genere' - disciplinato dagli artt. 1321 e ss. c.c. - un nuovo schema di negozio, di regola, unilaterale, per sé idoneo ad imprimere vincoli di destinazione - sia mobili che immobili - per il perseguimento di qualsivoglia interesse, patrimoniale o non patrimoniale, che rivesta carattere di liceità».
In generale per il riconoscimento nell'art. 2645-ter di un schema generale di patrimonio finalizzato ad uno scopo, v. G. DORIA, «Il patrimonio "finalizzato"», in Riv. dir. civ., 2007, I, p. 508 e ss.
[nota 8] Così mi ero espressa ad una prima lettura dell'art. 2645-ter: M. BIANCA, Novità e continuità dell'atto negoziale di destinazione, in La trascrizione dell'atto negoziale di destinazione. L'art. 2645-ter, a cura di M. Bianca, cit., p. 36.
[nota 9] L'espressione è ancora di G. PALERMO, op. ult. cit., p. 82.
[nota 10] Significative in tal senso le parole di parte della dottrina, v. P. SPADA, Destinazioni patrimoniali e impresa (patrimonio dell'imprenditore e patrimoni aziendali), in Atti di destinazione e trust (Art. 2645-ter del codice civile), a cura di G. Vettori, Padova, 2008: «… È mia convinzione … che l'atto di destinazione non avesse ieri in sé efficacia obbligatoria (nessuno doveva pretendere e nessuno doveva fedeltà alla destinazione) né abbia, sempre in sé, oggi efficacia reale, opponibile, se trascritto … Per me l'atto di destinazione è un co-elemento di un procedimento di separazione patrimoniale non condizionata da scopi preselezionati …».
[nota 11] E. RUSSO, «Il negozio di destinazione di beni immobili o di mobili registrati (art. 2645-ter c.c.)», in Vita not., 2006, in senso analogo C. MORACE PINELLI, «Tipicità dell'atto di destinazione ed alcuni aspetti della sua disciplina», nota di commento a Trib. Reggio Emilia, 23 marzo 2006, in Riv. dir. civ., 2008, II, p. 451 e ss.
[nota 12] Così testualmente A. FALZEA, Relazione introduttiva, in La trascrizione dell'atto negoziale di destinazione. L'art. 2645-ter, a cura di M. Bianca, cit., p. 6.
[nota 13] A. FALZEA, Relazione introduttiva, in La trascrizione dell'atto negoziale di destinazione. L'art. 2645-ter, a cura di M. Bianca, cit., p. 6.
[nota 14] Sul tema v. M.L. CENNI, Il fondo patrimoniale, in Tratt. dir. fam. diretto da P. Zatti, vol. III, a cura di Anelli-Sesta, Milano, 2002, p. 574 e ss.
[nota 15] V. M.L. CENNI, Il fondo patrimoniale, cit., p. 575: «La legge (art. 2479 c.c.) parla solo di 'trasferimento' di quote ma il termine è abbastanza ampio per ricomprendervi tutte le fattispecie di trasmissione del diritto di proprietà ed inoltre per permettere una estensione tale da farvi rientrare la costituzione di diritti reali minori e la costituzione di vincoli».
In termini generali, con riferimento alla destinazione di beni ad uno scopo, già dottrina autorevole aveva sussunto il concetto di destinazione in quello di trasferimento, raggiungendo risultati sistematici di grande rilievo con riferimento al problema del superamento del principio di responsabilità patrimoniale illimitata contenuto nel primo comma dell'art. 2740 del codice civile, v. A. FALZEA, «Introduzione e considerazioni conclusive», in Destinazione di beni allo scopo. Strumenti attuali e tecniche innovative, Atti della Giornata di studio organizzata dal Consiglio Nazionale del Notariato, Roma - Palazzo Santacroce, 19 giugno 2003, in Quaderni romani di diritto commerciale a cura di di B. Libonati e P. Ferro-Luzzi, Milano, 2003, p. 31-2: «Ragionando diversamente tutti gli atti di alienazione, e più in generale tutti gli atti di disposizione, dovrebbero considerarsi come limitativi della responsabilità patrimoniale e ricadere sotto il divieto posto indirettamente dall'art. 2740 c.c. E se non lo sono gli atti di alienazione, a fortori non possono esserlo gli atti di separazione, che certamente rappresentano un minus rispetto ad essi. Le considerazioni adesso rassegnate trovano conforto in una considerazione empirica ulteriore. Se il diritto dovesse tradurre automaticamente il rapporto quantitativo tra atto di disposizione ed entità della responsabilità patrimoniale, dovrebbe instaurare una sorta di contabilità tra atti che incrementando il patrimonio determinano un accrescimento della responsabilità patrimoniale del soggetto e atti che causando una riduzione del patrimonio comportano una riduzione della responsabilità. E questa contabilità non potrebbe essere chiusa prima della cessazione della esistenza stessa del soggetto».
[nota 16] V. F. DI SABATO, Diritto delle società, 2° ed., Milano, 2005: «… In virtù di questa novella la quota di Srl, di cui non è più peraltro contestabile la natura di 'bene', ha cessato di essere un bene mobile tout court ai sensi dell'art. 810 ultimo comma, per il quale il conflitto tra più acquirenti è regolato dalla priorità dell'acquisto e dalla buona fede (si noti esistente al momento dell'acquisto!). Essa si configura, ora, come un bene mobile soggetto a iscrizione in pubblico registro (art. 815), nella specie il Registro delle imprese, né più né meno che le automobili nel Pubblico Registro automobilistico e le navi del Registro navale». Accogliendo tale tesi con riferimento all'oggetto del fondo patrimoniale, v. M.L. CENNI, Il fondo patrimoniale, cit., p. 576.
[nota 17] V. M. BIANCA - M. D'ERRICO - C. DE DONATO - A. PRIORE, L'atto notarile di destinazione, Milano, 2006, p. 34: «La limitazione dei beni destinabili, con assonanza alla determinazione dei beni fissata dall'art. 167 c.c. per il fondo patrimoniale, conferma la regola di base che condiziona l'intero sistema ordinamentale: il vincolo di destinazione ed il patrimonio separato devono essere sorretti da un adeguato sistema di pubblicità che garantisca la legale conoscibilità da parte dei terzi ('indice di pubblicità') … La disciplina del trasferimento della partecipazione nella 'nuova' società a responsabilità limitata e la funzione di regola di conflitto tra più acquirenti svolta dal terzo comma dell'art. 2470 c.c., con la scelta di affidare al Registro delle imprese un ruolo similare a quello della pubblicità immobiliare, consentono di optare per la destinabilità delle quote sociali nell'ambito procedimentale della nuova norma». Adesivamente D. VECCHIO, «Profili applicativi dell'art 2645-ter c.c. in ambito familiare», in Dir. fam., 2009, p. 799 e ss.
[nota 18] In questi termini già mi ero espressa ancor prima dell'emanazione dell'art. 2645-ter: M. BIANCA, Vincoli di destinazione e patrimoni separati, Padova, 1996, p. 215: «… In linea generale può ritenersi che la pubblicità del vincolo, insieme alla realizzazione di un interesse meritevole rappresentano gli elementi imprescindibili affinchè una destinazione possa incidere sulla posizione dei terzi, siano essi creditori o acquirenti dei beni destinati».
[nota 19] Per la nozione di "specifico affare", si rinvia al nostro commento ad art. 2447-bis, in Cian-Trabucchi, Commentario breve al codice civile, 9° ed., a cura di G. Cian, Padova, 2009, p. 2933.
[nota 20] Cfr. C. CACCAVALE, «Strumenti attuali di diritto positivo», in Destinazione di beni allo scopo. Strumenti attuali e tecniche innovative, Atti della Giornata di studio organizzata dal Consiglio Nazionale del Notariato, Roma - Palazzo Santacroce, 19 giugno 2003, in Quaderni romani di diritto commerciale a cura di di B. Libonati e P. Ferro-Luzzi, cit., p. 43: «… Si può immediatamente evidenziare che la rilevanza giuridica dell'assoggettamento di un bene ad una determinata destinazione … postula, in linea di massima, che la destinazione non sia soltanto programmata ma che venga anche effettivamente realizzata».
[nota 21] V. M. MALTONI, «Il problema della effettività della destinazione», in Negozio di destinazione: percorsi verso un'espressione sicura dell'autonomia privata, cit., p. 82 e ss.
[nota 22] Questi rilievi si trovano in M. MALTONI, «Il problema della effettività della destinazione», cit., p. 83 e ss.
[nota 23] Sulla assimilazione del trust all'atto di destinazione sotto il profilo della considerazione di entrambi i modelli quali strumenti atipici di destinazione, sia consentito un rinvio a M. BIANCA, Gli atti di destinazione patrimoniale, testo della Lezione eccellente tenuta il 15 maggio 2009 presso la Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali della Facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Napoli Suor Orsola Benincasa.
[nota 24] La nozione di operazione rappresenta un filo conduttore che riunisce con coerenza e sistematicità i numerosi scritti di G. PALERMO, a partire dall'opera monografica Funzione illecita e autonomia privata, Milano, 1970 all'opera monografica Contratto di alienazione e titolo dell'acquisto, Milano, 1974, concetti ripresi dall'A. in numerosi saggi successivi.
[nota 25] Cfr. di recente V. GABRIELLI, «Il "contratto frazionato" e l'unità dell'operazione economica», in Giust. civ., 2008, p. 738 e ss.; ID., «L'operazione economica nella teoria del contratto», in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2009, p. 905 e ss.
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