Destinazioni e rapporti gestori
Destinazioni e rapporti gestori
di Pierluigi Scalamogna
Notaio in Abbiategrasso

Relativo al III CASO: Destinazione patrimoniale e controllo gestionale dell'impresa

L'argomento in esame deve necessariamente prendere avvio dalla affermazione che l'art. 2645-ter c.c., relativo all'atto di destinazione, ci fornisce unicamente un "frammento di disciplina" (puntuale definizione coniata dalla Prof. Mirzia Bianca) [nota 1]. Gran parte del contenuto dell'atto di destinazione (è il Prof. Giancarlo Palermo a descrivere l'atto di destinazione prorio come "contenitore") è quindi, rimesso all'autonomia privata ed alla applicazione analogica di regole presenti in altre fattispecie di destinazione che determinano separazione patrimoniale, oltre che dei principi generali.

Il frammento di disciplina contenuto nell'art. 2645-ter c.c. pare quasi ignorare il profilo gestorio connesso all'atto di destinazione. La norma, infatti, contiene indicazioni circa la forma dell'atto, i beni che possono formare oggetto del vincolo di destinazione, la durata di tale vincolo, l'interesse che giustifica la costituzione del vincolo stesso e, soprattutto, l'effetto di separazione patrimoniale inteso sia come opponibilità (a seguito della pubblicità tramite trascrizione) che come non aggredibilità da parte di creditori "non qualificati", aspetti tutti già affrontati dalle precedenti relazioni. La "realità" del vincolo qualifica l'atto di destinazione ex art. 2645-ter c.c. e lo distingue da altre fattispecie quali l'affidamento gestorio, la proprietà fiduciaria e, in particolar modo, il trust. Se il trust si caratterizza per la struttura di proprietà nell'interesse altrui, e soprattutto per le obbligazioni fiduciarie che gravano sul trustee nell'interesse dei beneficiari, nonché per gli strumenti "rimediali" posti a tutela di eventuali abusi, il nostro atto di destinazione è, invece, incentrato sulla realità del vincolo e sulla realizzazione della destinazione, azionabile da chiunque sia portatore di un interesse in tal senso.

Per sottolineare questa caratteristica dell'atto di destinazione, la Prof. Mirzia Bianca sottolinea come «Nell'atto di destinazione disciplinato dall'art. 2645-ter, il profilo gestorio può mancare del tutto in quanto ciò che conta veramente è la destinazione funzionale di un bene» [nota 2]. Ovviamente si tratta di una affermazione volta ad individuare l'elemento caratterizzante e distintivo dell'atto di destinazione ex art. 2645-ter e non a negare importanza al contenuto programmatico e gestorio connesso all'atto di destinazione stesso che, anzi, appare fondamentale al fine di una sua effettiva realizzazione. Tornando all'art. 2645-ter, con riferimento al profilo gestorio, in realtà tale articolo due spunti li dà. Il primo è relativo ai beni che, unitamente ai loro frutti, «possono essere impiegati solo per la realizzazione del fine di destinazione». Il secondo, invece, è la previsione che per l'attuazione del fine di destinazione sia legittimato ad agire non solo il concedente, ma anche qualsiasi interessato [nota 3]. Tutto il resto è da costruire mediante una regolamentazione affidata all'autonomia privata.

Si tratta dunque di un atto a contenuto atipico. Di volta in volta, dunque, per regolamentare l'aspetto gestorio e le relative problematiche, ci si potrà riferire a fattispecie relative a patrimoni di destinazione già conosciute dal nostro ordinamento quali le fondazioni, il fondo patrimoniale, l'eredità beneficiata, le società di capitali unilaterali, i patrimoni destinati ad uno specifico affare, i soggetti previsti dal D.lgs. 58/1998, le cartolarizzazioni di crediti. Ma soprattutto si potrà fare riferimento al mandato nell'interesse altrui ed, ovviamente, al trust entrato nel nostro ordinamento attraverso la ratifica della relativa Convenzione de L'Aja (nonostante le differenze esistenti tra l'atto di destinazione ex art. 2645-ter il trust, la disciplina "esaustiva" di quest'ultimo, pur con i dovuti adattamenti al nostro ordinamento, può fungere da spunto per la regolamentazione dell'atto di destinazione) [nota 4]. Con riferimento alla struttura dell'atto di destinazione, mi pare importante sottolineare come l'atto di destinazione in sé sia da considerare atto unilaterale del disponente, indipendentemente dalla presenza, nella fattispecie concreta, di eventuali mandati gestori o del trasferimento della proprietà dei beni in capo al gestore stesso o a terzi. Altrettanto importante è la valutazione dell'atto di destinazione come operazione unica, indipendentemente dalla sua complessità e dalla presenza di atti separati che trovano la loro esatta valutazione solo attraverso una considerazione unitaria.

Non basta darsi uno scopo, determinare un beneficiario ed attribuire ad ogni soggetto interessato il potere di agire per l'attuazione. Da questo punto di vista l'aspetto programmatico e gestorio, per quanto quasi ignorato dal legislatore, manifesta tutta la sua importanza. Si tratta di costruire una struttura regolamentare (che potremmo definire statuto della proprietà destinata) che agevoli il perseguimento dell'interesse posto a base della destinazione, fornendo al soggetto attuatore gli strumenti idonei. Come già osservato, il costituente potrà decidere di dare egli stesso attuazione alla destinazione, ovvero attribuire tale compito ad un gestore terzo, eventualmente più qualificato (ovviamente attraverso un mandato gestorio), od ancora trasferire al gestore la titolarità dei beni per una più agevole gestione degli stessi. In ogni caso nella struttura dell'atto di destinazione, oltre agli elementi essenziali indicati nell'art. 2645-ter [nota 5], sarà importante inserire la regolamentazione della proprietà destinata prevedendo: eventuali diritti residui del disponente sui beni destinati; i diritti e poteri del gestore e le modalità della gestione stessa con indicazione di eventuali limiti al suo operato; gli obblighi di rendiconto (periodici o finali) e le relative modalità; i diritti dei beneficiari [nota 6]; i poteri di controllo del disponente e dei beneficiari sull'operato del gestore; le modalità di devoluzione dei beni alla cessazione della gestione; le conseguenze di eventuali abusi o inadempimento da parte del gestore; le cause di revoca o di cessazione del gestore dal suo ufficio e le modalità della sua sostituzione; eventuali cause di cessazione della destinazione.

Abbiamo visto come sia possibile per il disponente non solo attribuire la gestione dei beni ad un soggetto terzo, ma anche trasferirgli la titolarità dei beni destinati. Diverse possono essere le motivazioni del trasferimento della proprietà in capo al gestore, ad esempio la durata del vincolo, che può essere prolungata fino a 90 anni. La programmazione deve durare ed i poteri attribuiti a chi dovrà gestire dovranno essere efficaci, opponibili.

Un argomento essenziale è poi, il regime di circolazione dei beni destinati. Gli studi sull'atto di destinazione ad uno scopo hanno fatto notare come non necessariamente debba esserci contrasto con l'art. 1379 sul divieto di alienazione: il bene vincolato teoricamente può circolare con questo peso e la destinazione che è reale e, quindi, opponibile ai terzi. Ci si chiede se possa sussistere appetibilità per un bene del genere, ma ciò riguarderà il singolo caso concreto. Il gestore che sia investito della titolarità del bene, ma non della possibilità di trasferirlo non potrà compiere un eventuale suo atto in contrasto con la destinazione, l'atto dispositivo del bene sarebbe inefficace, perché posto in essere da un soggetto non legittimato. Differente, invece, è l'ipotesi in cui nella struttura dell'operazione si conceda al soggetto gestore, che sia titolare del bene o meno ovvero co-gestore, la possibilità di disporre ampiamente del bene, ciò perché in una gestione dinamica del bene destinato tale attività potrebbe essere essenziale, ad esempio, come nel caso di partecipazione societaria. In questo caso, l'atto dispositivo è libero, senza il bisogno che si trasferisca con la partecipazione il vincolo. Al più si dovrà parlare di surrogazione reale del vincolo o dell'obbligo della destinazione sul corrispettivo del trasferimento, ma il bene viene acquistato dal terzo è assolutamente libero. Allo stesso modo, in caso di trasferimento del bene destinato da parte del gestore che ne abbia il potere, nessun problema può porsi con riferimento al fatto che il vincolo risulti trascritto. Non sarà necessario, cioè, porsi il problema della cancellazione della relativa trascrizione. Ciò è chiaro in materia di vendita dei fondi patrimoniali: se fatta la vendita dagli aventi diritto non ci si dovrà preoccupare di cancellare il vincolo derivante dalla convenzione costitutiva del fondo patrimoniale né dai Registri immobiliari né, tantomeno, dai Registri di stato civile.

In riferimento al rapporto gestorio, dobbiamo necessariamente fare i conti con il mandato, e in particolare, con il mandato nell'interesse di terzi. Ciò permette di considerare i poteri gestori del mandatario tali da sopravvivere anche alla morte del mandante - disponente - e, quindi, ritenerli opponibili anche al successore del mandante stesso.

Da ultimo, una notazione importante riguarda il rapporto tra negozio di destinazione e trust. Al riguardo il Professor Lupoi, in virtù dell'analisi dei punti di contatto e delle differenze tra i due istituti, sottolinea come l'atto di destinazione possa essere considerato come un "frammento di trust".

Ancora una volta l'utilizzo del termine "frammento" rammenta l'assenza di una adeguata disciplina dispositiva riguardo all'art. 2645-ter. In un precedente doppio convegno della Fondazione [nota 7] sull'atto di destinazione ex art. 2645-ter, il professor Zoppini battè molto su questo argomento, sottolineando come l'assenza di una disciplina dispositiva rendesse necessario affidare tutto all'autonomia negoziale delle parti o ai principi dell'ordinamento e all'applicazione analogica di altre discipline, fatto che, determinando necessariamente un incremento del "costo di gestione", avrebbe potuto rendere poco appetibile l'istituto dal punto di vista dell'ordinamento giuridico rispetto ad istituti analoghi di altri ordinamenti. Tutto ciò probabilmente è vero e, in assenza ed in attesa di un ulteriore intervento legislativo volto a determinare un'esaustiva disciplina dispositiva, lascia sul campo la necessità di strutturare programmi e regolamenti della proprietà destinata che divengano tipizzazioni sociali. In questo senso, la dottrina e, soprattutto, gli operatori del diritto, come i Notai, saranno sicuramente in prima linea. Alla luce di ciò mi pare opportuno concludere con le parole del Prof. Gambaro il quale nell'affrontare il tema della proprietà nell'interesse altrui ed in particolare, in merito al rapporto fra trust e atto di destinazione, ha sottolineato come la disciplina del trust sia «il risultato di secoli di esperienza che hanno come punto di partenza una proprietà nell'interesse altrui. Dal momento in cui tale forma di proprietà ha preso cittadinanza nel nostro sistema inizia il percorso costruttivo della relativa disciplina, che anche l'esperienza giuridica italiana deve seguire» [nota 8].


[nota 1] V. M. BIANCA, «L'atto di destinazione: problemi applicativi», in Riv. not., 2006, p. 1175 e ss.

[nota 2] M. BIANCA, op. loc. cit.

[nota 3] La legittimazione ad agire in capo al concedente è un ulteriore elemento distintivo rispetto al trust, nel quale il disponente non può agire nei confronti del trustee per la realizzazione degli scopi del trust (tale differenza tende di fatto quasi ad annullarsi nelle fattispecie di trust in cui il disponente sia anche beneficiario o rivesta la carica di guardiano).

[nota 4] A tale riguardo M. FOCOSI arriva ad affermare che «il notaio che voglia redigere un atto di destinazione ai sensi del nuovo art. 2645- ter c.c. potrà … "prendere in prestito" un atto di trust istituito per il perseguimento di una finalità analoga, depurarlo di ogni riferimento a termini "stranieri" (quali "trust", "trustee", Convenzione de L'Aja, ecc.), adattarlo alle specifiche esigenze del caso, e probabilmente, avrà ottenuto un buon atto di destinazione», in «Atto di destinazione e trust: possibili sinergie in materia di tecnica redazionale», in Trusts e att. fid., 2007, p. 18 e ss.

[nota 5] Vale a dire: individuazione dell'interesse perseguito, dei beni oggetto del vincolo, della durata dello stesso e dei soggetti beneficiari.

[nota 6] Si è sostenuto da che i beneficiari non siano titolari di diritti di credito nei confronti del soggetto attuatore - e tantomento del concedente. Essi hanno, comunque, una posizione attiva protetta dall'ordinamento e questo tranquillizza, visto che ormai, anche in giurisprudenza (v. Cass. n. 500/1999), è stata superata l'ipotesi della rilevanza del "nome" della posizione attiva, ritenendo che ogni interesse protetto possa trovare la sua adeguata tutela anche a livello giurisdizionale.

[nota 7] Si tratta dei Convegni di Rimini (1 luglio 2006) e Catania (11 novembre 2006) i cui lavori sono stati pubblicati nel volume Negozio di destinazione: percorsi verso un'espressione sicura dell'autonomia privata, in I Quaderni della Fondazione Italiana per il Notariato, Milano, 2007.

[nota 8] A. GAMBARO, «Appunti sulla proprietà nell'interesse altrui», in Trusts e att. fid., 2007, p. 169 e ss.

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