Capitolo 1 - L'affitto di azienda, l'usufrutto e la locazione
Capitolo 1
L'affitto di azienda, l'usufrutto e la locazione
di Maria Pia Nastri
1. La nozione di azienda
La corretta individuazione della nozione di azienda è da sempre uno dei temi più dibattuti, infatti l'inquadramento delle fattispecie relative agli atti traslativi dell'azienda scaturisce dalla suddetta qualificazione.
La legislazione tributaria non fornisce un'autonoma definizione di azienda e non sempre la disciplina civilistica può essere di ausilio al fine di individuare detta nozione ai fini fiscali.
L'art. 2555 c.c. fornisce una definizione di azienda come complesso dei beni organizzati dall'imprenditore per l'esercizio dell'impresa: non è, quindi, possibile effettuare una separazione tra il concetto di azienda ed il concetto d'impresa a causa della loro stretta connessione.
La dottrina più autorevole privilegia il concetto di azienda comprensivo di tutti gli elementi patrimoniali (materiali ed immateriali) e di tutti i rapporti obbligatori attivi (crediti e posizioni contrattuali attive) organizzati dall'imprenditore per l'attività d'impresa [nota 1].
Infatti, il codice civile fornisce la nozione di azienda, ma non di impresa, definendo i requisiti necessari per attribuire ad un soggetto la qualifica d'imprenditore.
L'imprenditore è colui che ai sensi dell'art. 2082 c.c. «… esercita professionalmente un'attività organizzata al fine della produzione di beni o servizi»; l'impresa è quindi considerata un'attività economica, mentre l'azienda è un complesso di beni organizzati dall'imprenditore per l'esercizio dell'impresa. La nozione di azienda, secondo la più recente giurisprudenza, deve essere ravvisata in considerazione dell'elemento organizzativo peculiare dell'attività imprenditoriale [nota 2].
L'azienda, quindi, rappresenta il complesso di beni organizzati per l'esercizio dell'impresa, assumendo carattere di organizzazione oggettiva e concreta dell'insieme di beni materiali e immateriali che vengono utilizzati nel loro insieme per l'esercizio dell'attività; invece, l'impresa è costituita dall'organizzazione dei fattori produttivi diretta alla produzione e allo scambio di beni e servizi economici. Nel codice civile la nozione di impresa viene correlata alla figura dell'imprenditore ed alla necessaria presenza di determinate condizioni: l'attività economica organizzata, quale insieme di beni coordinati per il suo espletamento, l'esercizio professionale dell'impresa intesa come attività abituale e continua. Non riveste, infatti, la qualifica di imprenditore chi compie operazioni di scambio e di produzione in maniera occasionale. Ulteriore requisito deve essere individuato nell'esercizio dell'attività in nome proprio assumendo il rischio imprenditoriale al fine di produrre e scambiare beni o servizi destinati all'attività.
La qualificazione dell'impresa fornita dal legislatore del codice civile, quale attività economica organizzata dall'imprenditore al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi ai sensi dell'art. 2082 c.c. e dell'azienda come complesso di beni organizzati per l'esercizio dell'attività d'impresa ai sensi dell'art. 2555 c.c., pur essendo determinante ai fini della ricostruzione della suddetta nozione, non appare sufficiente per definire un'autonoma nozione in campo fiscale [nota 3].
La giurisprudenza degli ultimi anni in tema di cessione di azienda è stata certamente di ausilio, sotto il profilo tributario, per la connotazione della nozione di azienda.
Ai fini di una corretta qualificazione dei negozi di trasferimento, secondo i giudici della Suprema Corte, rileva l'organizzazione data al complesso dei beni oggetto del trasferimento, sia in relazione alla preesistenza di un'autonomia funzionale dei beni conferiti, sia alla loro idoneità e potenzialità ad essere utilizzati nell'ambito di una futura attività d'impresa [nota 4].
Infatti, anche se il legislatore ha connesso la nozione di azienda inscindibilmente alla figura dell'imprenditore, la giurisprudenza ha, invece, dato particolare rilievo all'aspetto oggettivo dell'azienda, individuando detta nozione nell'attività economica organizzata per la gestione di un'impresa.
L'organizzazione è, però, un carattere accessorio, rispetto alla qualifica di imprenditore, infatti, può verificarsi l'ipotesi di un imprenditore senza azienda, ma non quella di un imprenditore senza impresa [nota 5].
L'azienda, intesa come una pluralità di beni e rapporti unificati dalla destinazione produttiva, è caratterizzata dall'esercizio dell'attività economica attribuitole dall'imprenditore, mediante un'attività di coordinamento; in tal modo viene conferita all'azienda un'autonoma rilevanza giuridica, riconosciuta e tutelata dall'ordinamento [nota 6].
La Corte di Cassazione ha, infatti, evidenziato come l'esclusione di alcuni beni (non essenziali allo svolgimento dell'attività) o la mancanza di una previsione di un corrispettivo per l'avviamento, nonchè l'assenza di un'attività produttiva in corso al momento del trasferimento, non siano rilevanti ad escludere la qualificazione delle singole cessioni dall'ambito della cessione d'azienda [nota 7]. La cessione di un complesso di beni che, potenzialmente organizzati, possano realizzare un'attività d'impresa, determinerà un trasferimento di azienda. Un'azienda inattiva, oppure non gestita dall'alienante se al momento della cessione presenti elementi indicativi di una potenzialità, determinerà, comunque, un trasferimento aziendale [nota 8].
In conclusione si avrà cessione d'azienda, quando i beni strumentali ceduti saranno idonei, nel loro complesso e nella loro interdipendenza, all'esercizio di un'impresa, anche se non attuale, essendo sufficiente l'attitudine potenziale all'utilizzo per un'attività d'impresa [nota 9]: sarà, comunque necessario che il complesso di beni sia già organizzato come tale, ex ante, dal precedente imprenditore [nota 10].
Coerentemente con quanto innanzi illustrato, i giudici della Corte di Cassazione con una recente sentenza hanno ravvisato nel trasferimento di un complesso immobiliare una mera cessione di beni immobili che solo a seguito della cessione è stato corredato degli elementi occorrenti ad elevarlo al rango di azienda [nota 11].
Individuare quando un'operazione di cessione di immobili non celi, invece, una cessione di azienda costituisce un'attività interpretativa complessa, in considerazione della difficile valutazione degli elementi che, come innanzi evidenziato, possono connotare un'attività aziendale o un intento elusivo che talvolta può nascondersi.
Analogo problema di qualificazione dell'operazione può manifestarsi in caso di locazione di beni immobili e affitto di azienda.
1.2 La nozione di affitto e locazione
L'affitto d'azienda non è disciplinato in maniera organica nel codice civile, infatti, l'art. 2562 c.c. si limita, come si vedrà più ampiamente nei paragrafi seguenti, a rinviare alle disposizioni dell'art. 2561 c.c. dettate per l'usufrutto. Il codice civile, tuttavia, oltre all'art. 2561 c.c. dedica una apposita sezione all'affitto in generale nella sezione VI del libro quarto (artt. 1615-1654 c.c.) avente ad oggetto la locazione.
La nozione di locazione nel codice civile si presenta, invece, molto ampia, distinguendo la locazione, la locazione di fondi urbani e l'affitto: infatti, come noto, con il contratto di locazione un soggetto (locatore) si obbliga a far godere al conduttore una cosa mobile o immobile per un determinato periodo di tempo verso pagamento di un corrispettivo detto canone.
L'art. 1615 c.c. definisce affitto la locazione avente ad oggetto il godimento di un bene produttivo mobile o immobile. All'affitto di azienda sono applicabili, se compatibili, anche alcune norme sull'affitto in generale di cui agli artt. da 1615 a 1627 c.c. e le relative norme sulla sub-locazione. Il citato art. 1615 c.c. dispone la locazione anche di cosa produttiva sia mobile, sia immobile con ciò comprendendo anche il caso di affitto [nota 12]. In quest'ambito può certamente essere inquadrato l'affitto di azienda, contratto con cui un soggetto, proprietario, trasferisce in godimento ad un altro soggetto un complesso di beni organizzati per l'esercizio dell'impresa, dietro corrispettivo.
Alla luce delle disposizioni del codice civile, appare evidente che tra locazione e affitto intercorre il rapporto tipico che vi è tra norme generali e norme speciali per cui, se la fattispecie non è regolata da una norma specificamente prevista per l'affitto, dovrà farsi ricorso alla disciplina generale prevista per la locazione di cose, salva l'incompatibilità con la normativa generale. è, quindi, pacifico che all'affitto di azienda possano applicarsi le norme sull'affitto in generale e quelle sulla locazione, sempre che siano compatibili con quelle sull'affitto di azienda.
è necessario sottolineare che l'affitto è strettamente correlato alla natura produttiva del bene che viene locato, pertanto il locatore ha il diritto di controllare lo stato del bene oggetto del contratto, mentre l'affittuario avrà diritto alla gestione del bene, ma anche la responsabilità della manutenzione [nota 13].
Detto rapporto, anche se la disciplina non risulta sempre chiara, non rappresenta una delle questioni più complesse sotto il profilo applicativo considerata la sostanziale carenza di norme in materia di affitto di azienda. L'aspetto più problematico è costituito, invece, dalla corretta qualificazione del contratto per poter correttamente individuare se l'operazione posta in essere è un affitto d'azienda o una locazione di una cosa produttiva o ancora una locazione di una cosa non produttiva.
La questione è di particolare rilievo e deve essere valutata con riferimento alla nozione di azienda: infatti, la giurisprudenza più recente ha chiarito, come innanzi esaminato, che la nozione di azienda sotto il profilo tributario deve essere individuata con riferimento alla mera potenzialità della stessa [nota 14].
Secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione, indipendentemente dal nomen iuris adottato dalle parti, è necessario procedere ad una attività d'interpretazione diretta ad individuare la comune volontà delle parti, secondo il criterio indicato dall'art. 1362 c.c. e l'obiettiva consistenza dei beni dedotti in contratto. è, quindi, necessario ricercare la volontà delle parti senza valutare il comportamento tenuto dalle stesse e individuare il concetto di bene facente parte dell'azienda.
Nell'affitto di azienda l'immobile non viene considerato nella sua individualità giuridica, ma come uno degli elementi costitutivi del complesso di beni mobili ed immobili, legati tra loro da un vincolo di interdipendenza e complementarietà per il conseguimento di un determinato fine produttivo; nel caso, invece, di locazione di immobile con pertinenze, l'immobile concesso in godimento viene considerato secondo la sua consistenza effettiva e con funzione prevalente ed assorbente rispetto agli altri elementi, che assumono carattere di accessorietà e rimangono collegati all'immobile funzionalmente, in posizione di subordinazione e coordinazione [nota 15].
La differenza tra affitto d'azienda e locazione di immobile comprensivo di alcuni beni mobili quali macchinari, attrezzature, mobili, ecc. dovrà, invece, essere ricercata nella funzione prevalente dell'immobile. Nell'azienda, infatti, tutti i beni devono essere collegati funzionalmente fra loro, escludendo la possibilità che alcuni beni abbiano una funzione prevalente, mentre altri una funzione meramente accessoria [nota 16].
1.3 L'usufrutto di azienda
La disciplina dell'affitto di azienda in virtù del rinvio che l'art. 2562 c.c. fa all'art. 2561 c.c. è analoga a quella dell'usufrutto di azienda.
è necessario, quindi, delinerare i tratti essenziali dell'istituto che si realizza quando un soggetto, proprietario di un'azienda, attribuisca ad altro soggetto, usufruttuario, un diritto reale di godimento dell'azienda: l'usufrutto può avere ad oggetto anche un'universalità di beni quali ad esempio l'azienda [nota 17].
L'art. 2561 c.c. disciplina i diritti e doveri dell'usufruttuario, disponendo l'esercizio dell'azienda sotto la ditta che la contraddistingue e la corretta gestione senza modificarne la destinazione e conservandone l'efficienza dell'organizzazione, degli impianti e dei beni.
L'usufrutto è un diritto reale di usare beni altrui traendone i frutti, rispettando però la destinazione economica degli stessi. Le spese di gestione sia ordinarie che straordinarie sono a carico dell'usufruttuario, mentre dei debiti aziendali preesistenti all'atto di costituzione non risponderà l'usufruttuario; analogamente il nudo proprietario alla cessazione dell'usufrutto non sarà responsabile per i debiti assunti dall'usufruttuario.
Trattandosi di un diritto temporaneo in cui la proprietà si distacca dal godimento dei beni, il proprietario fino alla cessazione dell'usufrutto è privato del godimento del bene, mentre l'usufrutto, se è costituito a favore di una persona fisica, non potrà eccedere la vita dell'usufruttuario, se a favore di una persona giuridica, non può durare più di trent'anni (ex art. 979 c.c.).
Sono, inoltre, preclusi all'usufruttuario gli atti eccedenti i propri poteri che saranno inefficaci nei confronti del nudo proprietario quali ad es. la modifica della ditta, il mutamento dell'impresa esercitata, la disposizione dei marchi appartenenti all'azienda.
Il proprietario per tutta la durata del contratto dell'usufrutto deve astenersi dall'iniziare una nuova impresa che possa determinare una concorrenza dannosa; pur non essendo previsto alcun limite per l'usufruttuario al termine del rapporto si ritiene applicabile l'art. 2557 c.c.
La relativa previsione a carico del proprietario di divieto di concorrenza nei successivi cinque anni si ritiene si possa estendere anche all'usufruttuario.
Nel caso in cui l'usufruttuario non adempia agli obblighi previsti dall'art. 2561 c.c. è prevista l'applicazione dell'art. 1015 c.c. in tema di cessazione dell'usufrutto per abusi dell'usufruttuario.
La costituzione di usufrutto di azienda, analogamente all'affitto di azienda, richiede l'atto scritto ad probationem e non ai fini della validità del contratto.
L'atto scritto farà fede per la costituzione del diritto reale di godimento e dovrà essere presentato per l'iscrizione al Registro delle imprese entro trenta giorni dalla sua conclusione [nota 18]. Nel caso in cui l'usufrutto comprenda beni immobili la forma scritta è richiesta ad substantiam, seguiranno le formalità necessarie per la corretta pubblicità come meglio si dirà in seguito.
L'usufrutto, come noto, può essere costituito per testamento o per contratto oppure può essere acquistato per mezzo di usucapione e si estinguerà per scadenza del termine, prescrizione per uso non protratto, riunione dell'usufrutto con la proprietà, totale perimento del bene oggetto dell'usufrutto.
L'usufruttario sarà soggetto all'adempimento di alcuni doveri durante la gestione dell'azienda ed in particolar modo ad esercitare la propria attività secondo la diligenza del buon padre di famiglia (ex art. 1001, comma 2, c.c.) e a redigere un inventario iniziale a sue spese .
Dovrà, inoltre, prestare le garanzie reali e personali previste ai sensi dell'art. 1002 c.c, salvo che ne sia stato dispensato, sopportare oneri e spese di custodia, amministrazione e manutenzione ordinaria e straordinaria, in caso di inadempimento degli obblighi di manutenzione ordinaria (art. 1004 c.c.); saranno, invece a carico del proprietario le spese straordinarie, ma gli interessi relativi saranno a carico dell'usufruttuario; in caso di rifiuto del proprietario, l'usufruttario potrà effettuarle a proprie spese con diritto di ritenzione sull'immobile ai sensi degli artt. 1005, 1006 c.c.
Si precisa, altresì, che le imposte sul reddito sono a carico dell'usufruttuario, mentre le imposte sulla proprietà gravano sul proprietario.
L'usufruttuario avrà il diritto di cedere il proprio diritto di godimento ad altro soggetto, purchè sia contrattualmente previsto e la cessione venga notificata al proprietario; tuttavia, in tal caso, resterà obbligato in solido con il cessionario sino alla predetta notifica (ex art. 980 c.c.) [nota 19].
Il titolare del godimento avrà, inoltre, il diritto ad ottenere il possesso dell'azienda, di godere della stessa nel rispetto della destinazione economica e di far propri i frutti naturali e civili per tutta la durata dell'usufrutto. Se sono stati eseguiti dei miglioramenti avrà diritto ad un'indennità al momento della restituzione della cosa, ed il diritto ad effettuare le addizioni che non alterino la destinazione economica della cosa ai sensi dell'art. 985 c.c.; il diritto di concedere in locazione i beni oggetto dell'usufrutto se la locazione risulta da atto pubblico o scrittura privata di data certa anteriore continua fino alla scadenza convenuta, ma non oltre i cinque anni come disposto dall'art. 999 c.c.
Quanto innanzi, sinteticamente illustrato, in considerazione della possibilità che il trasferimento di un'azienda possa avvenire sia con la concessione di usufrutto che con il contratto di affitto di azienda e trattandosi di diritti aventi differente natura, reale l'usufrutto e personale l'affitto, è dubbia l'applicabilità delle norme descritte in tema di usufrutto in caso di affitto di azienda.
La comparazione risulta tuttavia necessaria a causa della scarna disciplina prevista in tema di affitto di azienda ed in considerazione della necessità di ricorrere all'analogia per disciplinare talune fattispecie.
La dottrina è discorde sull'applicabilità dell'art. 1015 c.c. in caso di violazione del dovere di corretta gestione da parte dell'affittuario, in virtù dell'espresso richiamo dell'art. 2561 c.c. applicabile all'affitto ai sensi dell'art. 2562 c.c. Taluni autori, invece, propendono per la risoluzione del contratto ex art. 1618 c.c. [nota 20], altri ancora ritengono applicabili per il concedente entrambe le disposizioni riconoscendo allo stesso differenti forme di tutela [nota 21].
1.4 L'affitto d'azienda: delimitazione della fattispecie
L'affitto di azienda è un contratto molto utilizzato per gli indiscussi vantaggi economici che il proprietario può conseguire concedendo un diritto personale di godimento ad un terzo soggetto a fronte del corrispettivo di un canone nonché per l'affittuario che assumerà la disponibilità di un complesso organizzato di beni e servizi senza dover investire il capitale iniziale.
è necessario precisare che per realizzare l'affitto di azienda non è necessario che siano trasferiti tutti i beni che costituiscono la stessa, in quanto alcuni di essi potranno anche mancare, senza però compromettere l'unità dei beni aziendali.
All'affittuario viene, infatti, attribuito un diritto di godimento sull'azienda intesa nella sua globalità, a prescindere dai singoli beni ad essa afferenti.
I vantaggi si presentano sotto molteplici profili che investono la sfera soggettiva del concedente: infatti, talvolta la scelta di cedere la propria azienda in gestione ad altro soggetto è frutto di strategie imprenditoriali, volte al successivo trasferimento dell'azienda; in altre circostanze, invece, rappresenta una soluzione per limitare il rischio aziendale con cui il concedente si assicura un rendimento periodico rappresentato dal canone conservando il valore dell'azienda concessa in affitto.
La disciplina del codice civile in tema di affitto di azienda si limita, come anzidetto, ad un rinvio che l'art. 2562 c.c. fa all'art. 2561 c.c. sull'usufrutto d'azienda.
L'affittuario, come l'usufruttuario di azienda, deve gestirla: «senza modificarne la destinazione e in modo da conservare l'efficienza dell'organizzazione e degli impianti e le normali dotazioni di scorte» (art. 2561 c.c.) pena applicazione dell'art. 1015 c.c. (abusi dell'usufruttuario).
Per la durata del contratto di affitto di azienda è fatto divieto al locatore di svolgere attività in concorrenza con quella ceduta (articolo 2557, comma 4, c.c.) divieto derogabile dalle parti risultando l'interesse tutelato pienamente disponibile.
Il contratto di affitto è un contratto consensuale con prestazioni corrispettive ad effetti obbligatori: il proprietario cede in godimento l'azienda all'affittuario dietro pagamento di un corrispettivo per un determinato periodo di tempo.
L'affittuario assume la veste giuridica di imprenditore e gestirà l'azienda sotto la ditta che la contraddistingue senza modificarne la destinazione e conservandone l'efficienza dell'organizzazione degli impianti e delle normali dotazioni di scorte (ex art. 2561 c.c.), mentre il concedente resterà totalmente estraneo all'attività di gestione svolta dall'affittuario. Il costo relativo al normale logorio e deperimento dei beni - sempre ai sensi del citato articolo 2561 c.c. - ricadrà, salvo deroga alla predetta disposizione, sull'affittuario. Ciò in conformità al disposto del comma 4 dell'art. 2561 c.c. secondo cui la differenza tra le consistenze dell'inventario all'inizio ed al termine dell'affitto deve essere regolata in denaro tra le parti, sulla base dei valori correnti al termine dell'affitto.
In relazione a detti aspetti, considerate le numerose implicazioni sotto il profilo tributario, si rinvia per una più ampia trattazione ai capitoli successivi.
Sono applicabili, inoltre, all'affitto d'azienda, seppure disposizioni riferite alla cessione d'azienda, gli artt. 2556 e ss. c.c. in tema di obbligo di forma e pubblicità: la forma scritta è richiesta per la pubblicità per la prova degli accordi intervenuti; tuttavia il contratto produce effetti obbligatori tra le parti anche se stipulato in altra forma.
Appare, quindi, evidente che considerati i continui rinvii della normativa, la disciplina dell'affitto di azienda non risulti sempre di facile applicazione, salvo che sopperiscano esplicite convenzioni pattizie.
Vi è però da evidenziare che la carenza di un quadro normativo esaustivo conferisce a detto contratto la peculiare caratteristica di strumento flessibile la cui regolamentazione, lasciata in gran parte all'autonomia contrattuale, assume un ruolo fondamentale nella disciplina dei rapporti tra le parti contraenti.
1.5 La cessione in godimento degli immobili tra affitto di azienda e locazione
La cessione in godimento di un immobile adibito allo svolgimento di un'attività produttiva può integrare la fattispecie di un contratto di locazione di un immobile ovvero di un affitto di azienda: l'immobile potrà infatti essere considerato una componente principale, legato da un rapporto di complementarietà e di interdipendenza con altri elementi aziendali, oppure un'entità produttiva capace di vita economica autonoma [nota 22].
La locazione di un bene immobile ha per scopo il suo godimento nella sua staticità, mentre nel caso di affitto di azienda il contratto avrà ad oggetto una pluralità di beni organizzati per l'esercizio dell'impresa, beni soggetti a cambiamenti in relazione alle esigenze aziendali.
Avremo, quindi, affitto di azienda quando oggetto del contratto è il complesso unitario di tutti i beni, mobili ed immobili, materiali ed immateriali concessi in godimento, in quanto organizzati unitariamente per la produzione di beni e servizi. I beni immobili non sono considerati nella loro individualità, bensì come beni in rapporto di connessione con altri elementi aziendali in vista del fine economico perseguito dall'imprenditore.
Si configura locazione di immobile quando quest'ultimo sia stato specificamente considerato nella sua effettiva consistenza, con funzione prevalente rispetto ad altri beni che abbiano carattere accessorio e non siano collegati tra loro da un vincolo che li unifichi ai fini produttivi.
L'immobile, in tal caso, conserverà la sua natura di cosa principale oggetto del contratto attraendo ed assorbendo gli altri elementi così da perdere la loro individualità economica restando legati da un vincolo di subordinazione o coordinazione [nota 23].
La differenza sostanziale tra locazione di immobili ed affitto di azienda può essere individuata attraverso il rapporto di prevalenza che viene attribuito ai relativi beni: affinché si configuri una mera locazione il bene immobile dovrà prevalere sull'azienda stessa in modo tale che non sarà possibile individuare l'azienda considerato il ruolo predominante ed assorbente che la locazione del bene immobile avrà rispetto agli altri beni. In caso di affitto, viene, invece, privilegiato l'insieme di beni coordinati per perseguire le finalità aziendali rispetto alla mera locazione dell'immobile.
Tuttavia, a volte, distinzione tra affitto di azienda e locazione di immobili presenta alcune difficoltà in merito alla corretta qualificazione.
Spesso accade che nelle aziende comprendenti beni immobili il contratto di affitto d'azienda possa essere utilizzato per occultare il reale intento delle parti, cioè la locazione di un immobile commerciale. Le finalità sono molteplici: in primo luogo evitare l'applicazione di disposizioni volte a tutelare la parte più debole del contratto (il locatario) ed in secondo luogo, prima dell'introduzione della norma antielusiva, evitare l'applicazione dell'imposta di registro (più onerosa) come meglio si dirà in seguito.
Per comprendere i vantaggi che l'affitto di azienda presenta rispetto alla locazione commerciale è necessario confrontare i due tipi di contratti: la durata dell'affitto di azienda è rimessa alla libertà delle parti, mentre la locazione immobiliare non può essere inferiore a sei anni con rinnovo obbligatorio per i sei successivi (art. 27, L. 392/78).
Nell'affitto di azienda l'adeguamento del canone è lasciato alla libera determinazione delle parti, mentre nelle locazioni immobiliari l'adeguamento è limitato al 75% dell'incremento dell'indice Istat. L'affitto risulta, altresì, vantaggioso in quanto, generalmente, non è prevista la corresponsione dell'avviamento alla cessazione del contratto, mentre in caso di locazione è previsto l'obbligo del locatore di corrispondere l'indennità di avviamento alla cessazione del contratto nella misura di diciotto mensilità dell'ultimo canone corrisposto; il diritto di prelazione spetterà al solo conduttore in caso di locazione, mentre in caso di affitto di azienda tale diritto è riconosciuto all'affittuario solo nell'ipotesi di vendita di azienda concessa in affitto nel corso di una procedura concorsuale.
Inoltre, in caso di esecuzione forzata in costanza di affitto di azienda il rilascio deve essere immediato, per la locazione è previsto un anno dalla data di convalida del provvedimento.
1.6 Il profilo soggettivo del proprietario dell'azienda: la qualifica di imprenditore
La qualifica imprenditoriale del soggetto concedente assume una particolare importanza sotto diversi profili sia civilistici, sia fiscali, perciò appare fondamentale chiarire quando ricorrerà il requisito soggettivo e le relative implicazioni.
Nel caso in cui sia stipulato un contratto di affitto si avrà la cessazione dell'esercizio dell'impresa da parte del concedente e dall'altro l'inizio dell'attività d'impresa per l'affittuario.
La nozione di imprenditore dettata dal codice civile non coincide con quella propria desumibile dalle norme tributarie, tuttavia è necessario esaminare i principi civilistici, per poter verificare se l'imprenditore, ai sensi dell'art. 2082 c.c., mantenga il medesimo requisito soggettivo anche a seguito dell'affitto dell'unica azienda.
L'art. 2082 c.c. utilizza un criterio soggettivo di definizione di imprenditore sulla base dei requisiti di professionalità, organizzazione ed economicità dell'impresa, che deve essere tesa alla produzione ed allo scambio di beni o di servizi. Nel caso dell'affitto dell'unica azienda dell'imprenditore individuale, i requisiti indicati dall'art. 2082 c.c. non sussistono considerato che l'impresa nel complesso dei beni organizzati attraverso i quali viene esercitata, non potrà più essere svolta né in forma organizzata, né professionalmente dal soggetto concedente.
Infatti, per la durata della locazione, cesserà l'unica azienda e quindi l'attività di impresa svolta dall'imprenditore, mentre l'affittuario rivestirà la qualifica di imprenditore nello svolgimento dell'impresa.
L'attività d'impresa del concedente che affitta la sua unica azienda viene sospesa, ma non l'impresa in sé: l'affittuario infatti, assumerà il ruolo di imprenditore nella gestione dell'azienda [nota 24].
In costanza di tale contratto il concedente, se titolare dell'unica azienda, perderà, quindi, la qualifica di imprenditore, mentre se affitta solo un ramo d'azienda avrà la qualifica di imprenditore in virtù della continuazione della propria attività aziendale per la parte residua dell'azienda. Infatti, il contratto di affitto di azienda potrà essere costituito anche solo da una parte dei beni della stessa: il complesso dei beni aziendali oggetto del contratto dovrà però essere idoneo allo svolgimento dell'attività di impresa.
La qualifica imprenditoriale non verrà meno, invece, nel caso in cui l'imprenditore individuale continui l'esercizio dell'attività, il che avverrà in caso di proprietà di aziende ulteriori rispetto a quella affittata o, come innanzi precisato, di affitto di un semplice ramo dell'unica azienda.
1.7 Il divieto di concorrenza
L'art. 2557 c.c. prevede il divieto di concorrenza per il soggetto che inizia una nuova attività commerciale - che per oggetto, ubicazione o altre circostanze possa essere idonea a sviare la clientela dell'azienda ceduta - per i cinque anni successivi a far data dal momento in cui ha effetto il contratto, ferme restando le sue attività preesistenti. La disposizione in parola prevede al comma 3 la possibilità di inserire pattiziamente nel contratto un divieto di concorrenza di durata maggiore, purchè non sia di ostacolo all'attività del cedente.
La norma prevede, comunque, una durata più lunga del divieto in caso di affitto di azienda o di usufrutto in relazione alla durata del contratto; la disposizione si pone a tutela dell'acquirente (affittuario) che acquista l'azienda intesa come complesso di beni e di rapporti.
Il concedente potrà, comunque, ai sensi dell'art. 1619 c.c. esercitare il proprio diritto di controllo sulla corretta gestione produttiva dell'affittuario, accertando anche con accesso nei luoghi di esercizio dell'attività il rispetto degli obblighi contrattuali.
La cessione o il trasferimento della gestione dell'azienda attraverso il contratto di affitto implica una cessione dell'avviamento della stessa, sia sotto un profilo oggettivo, sia soggettivo. Si intende in tal senso, quindi, il trasferimento della potenzialità dell'azienda correlata al complesso di beni degli impianti e della capacità lavorativa dei dipendenti, nonché all'organizzazione dei fattori produttivi, alla conoscenza del mercato ed al rapporto con clienti e fornitori. Questi ultimi fattori sono strettamente connessi alla figura dell'imprenditore cedente o concedente e quindi non essendo trasferibili pattiziamente è imposto il divieto di concorrenza del proprietario nei confronti dell'affittuario [nota 25].
Sotto il profilo civilistico la lettura dell'art. 2557 c.c. è strettamente correlata con quella dell'art. 1374 c.c. che obbliga le parti non solo a quanto espressamente pattuito, ma anche a tutte le conseguenze secondo quanto previsto da disposizioni normative o in mancanza secondo usi o equità.
La ratio della norma è quella di garantire all'affittuario dell'azienda il pacifico godimento della stessa evitando che il concedente attraverso lo svolgimento di analoga attività nella medesima area, possa svuotare di contenuto il contratto di affitto stipulato.
è necessario precisare che il divieto di concorrenza è limitato all'attività del concedente che possa potenzialmente sviare la clientela dell'azienda ceduta per settore merceologico e ubicazione, pertanto il proprietario potrà intraprendere una nuova attività in una differente area con articoli di altra natura.
Resta comunque, nella facoltà delle parti escludere del tutto con clausola pattizia il divieto di concorrenza.
La mancata osservanza del divieto di concorrenza comporterà un effetto dannoso per l'acquirente, per l'usufruttuario o per l'affittuario dell'azienda, che potrà agire al fine di ottenere un risarcimento del danno o per la risoluzione del contratto.
Spesso, tuttavia, il divieto di concorrenza viene aggirato dal concedente attraverso lo svolgimento della medesima attività attraverso un prestanome (ad es. un familiare) oppure utilizzando la propria professionalità ed il proprio bagaglio di esperienza nel settore, svolgendo un ruolo di responsabilità in una società di comodo. Ovviamente in tali ipotesi l'affittuario si troverà nella difficoltà di dover dimostrare sotto il profilo sostanziale l'aggiramento della norma ai fini della determinazione del danno subìto commisurabile in mancanza di redditività e sviamento della clientela.
1.8 L'avviamento
Nel contratto di affitto di azienda generalmente l'avviamento non assume particolare rilievo, poiché l'affittuario ha l'obbligo di riconsegnare l'azienda conservandone l'efficacia e l'organizzazione degli impianti. Il canone pattuito tra proprietario e affittuario dipenderà anche dalla redditività e potenzialità dell'azienda come complesso di beni globalmente considerati come un'unica entità. L'avviamento non risulta, infatti, un elemento indispensabile per l'azienda: esso potrà anche non sussistere nell'ambito della stessa, tuttavia la mancanza non dovrà essere di tale portata da compromettere l'unitarietà del complesso dei beni.
Nel caso in cui, invece, le parti vogliano riconoscere particolare rilevanza all'avviamento potranno inserire una clausola che preveda il riconoscimento al termine del contratto di affitto del valore dell'avviamento [nota 26]. Il problema concerne la determinazione di suddetto valore che le parti liberamente possono decidere di commisurare secondo i parametri diversi quali ad es. il maggior fatturato o il maggior utile. Al termine del contratto potrà essere riconosciuto un maggior avviamento a favore dell'affittuario frutto della differenza tra quello determinato tra l'inizio e la fine del contratto: a tal fine sarà necessaria l'indicazione di parametri valutativi determinati secondo criteri oggettivi.
Naturalmente in mancanza di esplicita pattuizione e di indicazione dell'avviamento iniziale nel contratto di affitto non si realizzerà per l'affittuario né un incremento né un decremento di suddetto valore.
Sotto il profilo civilistico l'art. 2424 c.c. inserisce l'avviamento nello stato patrimoniale e l'art. 2426 c.c. disciplina i limiti dell'ammortamento; tuttavia nel caso di affitto di azienda possiamo assumere che l'avviamento non può essere inserito nello stato patrimoniale dell'affittuario d'azienda. Infatti, l'affitto di azienda è la continuazione della precedente attività e diversamente dai casi di conferimento o cessione di azienda non si realizza il trasferimento della proprietà, bensì il mero godimento dell'azienda.
Appare evidente che, non realizzandosi il trasferimento della proprietà, bensì il solo godimento, l'avviamento è un elemento non rinvenibile autonomamente, ma individuabile nelle varie parti del patrimonio dell'azienda. L'avviamento resterà latente e diffuso in tutti i beni aziendali e la determinazione del valore dovrà essere effettuata attraverso stime e perizie adeguate.
Ai fini della tassazione, se espressamente previsto, l'avviamento rappresenterà una differenza inventariale che determinerà al termine del contratto una plusvalenza o una minusvalenza. Le relative quote di ammortamento, salvo il caso in cui sia prevista una clausola esplicita saranno deducibili dall'affittuario.
Per una più ampia trattazione, ai fini delle imposte dirette si rinvia a quanto esposto nel successivo capitolo.
1.9 La forma e la pubblicità del contratto
L'art. 2556 comma 1, c.c. dispone che i contratti aventi per oggetto il trasferimento della proprietà o del godimento dell'azienda devono essere provati per iscritto. Si tratta di un contratto ad probationem e non ad substantiam, poiché pur in assenza di forma scritta sarà valido ed esplicherà i suoi effetti, ma non sarà opponibile ai terzi. Il mancato rispetto della forma scritta produce l'inammissibilità della prova testimoniale, mentre non ha alcuna conseguenza sulla validità dell'atto, che potrà essere concluso sia oralmente sia attraverso atto pubblico o scrittura privata autenticata.
Nel caso in cui nell'azienda siano compresi beni immobili il trasferimento richiederà la forma scritta ad substantiam o per atto pubblico o con scrittura privata autenticata.
Dall'analisi dell'art. 2556 c.c. si evince che il legislatore con il riferimento al trasferimento di proprietà e la concessione in godimento ha inteso estendere la forma scritta con finalità probatorie a tutti i trasferimenti di azienda compresi la costituzione di usufrutto, il conferimento in società ed il comodato di un'azienda commerciale.
La disposizione normativa richiede, quindi, la forma scritta prevedendo alternativamente la forma per atto pubblico o per scrittura privata autentica, ma ciò non ai fini della validità dell'atto, mai ai fini della pubblicità presso il Registro imprese.
Le imprese soggette a registrazione ai sensi dell'art. 2195 c.c. hanno, infatti, l'obbligo di iscrivere nel Registro delle imprese i contratti aventi ad oggetto il trasferimento della proprietà o il godimento dell'azienda ai sensi dell'art. 2556 comma 1, c.c.
Il comma 2 del predetto art. 2556 c.c. dispone, inoltre, che il contratto di affitto dovrà essere depositato entro trenta giorni presso il Registro delle imprese dal notaio rogante oppure che ha effettuato l'autentica [nota 27].
Il legislatore, nel modificare la disposizione dell'art. 2556 c.c., non ha infatti voluto imporre una forma negoziale obbligata, con la L. 12 agosto 1993, n. 310 è stato modificato il secondo comma dell'art. 2556 c.c., imponendo una forma finalizzata soltanto agli adempimenti pubblicitari (pubblicità dichiarativa).
Nel caso dell'atto di trasferimento del godimento di un'azienda, il legislatore del 1993 ha confermato l'obbligo di iscrizione al Registro imprese per esigenze di trasparenza connesse a interessi di ordine pubblico, imponendo però alle parti di procedere tramite atto pubblico e scrittura privata.
La disposizione si applica solo alle imprese soggette a registrazione: alle imprese individuali commerciali ai sensi dell'art. 2195 c.c., alle società commerciali, agli enti pubblici aventi per oggetto esclusivo o principale un'attività commerciale. Non sono soggette all'iscrizione nel suddetto registro l'imprenditore agricolo, salvo che la sua attività non sia considerata commerciale, le società semplici e le imprese la cui attività economica è organizzata con il lavoro dell'imprenditore e della famiglia.
Lo scopo della pubblicità prevista per il contratto di affitto di un'azienda non è quello di risolvere il conflitto tra più aventi causa dall'unico cedente: per stabilire la priorità nell'acquisto, bisogna rifarsi non tanto alla disposizione dell'art. 2556 comma 2 c.c., ma alla disciplina specifica dettata in materia con riguardo ai singoli beni aziendali: - per i beni immobili, si terrà conto della priorità della trascrizione, ex art. 2644 c.c.; - per i beni mobili registrati, si terrà conto della priorità della trascrizione ex art. 2688 c.c.; - per i beni mobili non registrati, si terrà conto della priorità del possesso di buona fede ex art. 1155 c.c.
La funzione della pubblicità non consiste, quindi, nel risolvere il conflitto tra più acquirenti dell'azienda per cui non vi è l'obbligo di accertare che le iscrizioni nel registro abbiano continuità; l'effetto dell'iscrizione nel Registro delle imprese per il trasferimento del godimento di un'azienda, occorre rifarsi alle regole generali previste dall'art. 2193 c.c. L'atto scritto è opponibile ai terzi senza possibilità di eccezioni, diversamente l'atto non avente forma scritta non può essere opposto ai terzi a meno che non si provi che ne abbiano avuto conoscenza.
L'espletamento della pubblicità è non solo un obbligo posto a carico delle parti, ai fini della trasparenza e della conoscenza di simili operazioni, obbligo sanzionato dagli artt. 2190 e 2194 c.c., ma è anche un onere per le parti, qualora, vogliano avvalersi dei citati effetti di cui all'art. 2193 c.c.
1.10 L'iscrizione nel Registro delle imprese
Fino al 3 settembre 1993, l'impresa era soggetta a registrazione ed il contratto doveva essere redatto in forma scritta ad probationem, salvo quanto previsto dalla legge per i singoli beni che concorrevano a formare l'azienda o per la natura del contratto. Pertanto, i beni immobili dovevano essere trasferiti con atto scritto a pena di nullità e la donazione dell'azienda doveva avvenire sempre per atto pubblico; era onere delle parti provvedere alla denuncia per l'iscrizione al Registro delle imprese entro il termine di 30 giorni dalla conclusione (ai sensi dell'art. 2556 c.c.) [nota 28].
Questa formalità, quindi, non risultava necessaria per attribuire compiutezza ed efficacia giuridica agli atti ed ai fatti registrati, avendo la funzione di rendere noti gli atti ed i fatti registrati.
La disposizione normativa, come anzidetto, è stata, poi, sostituita con l'art. 6 della L. 12 agosto 1993, n. 310, che ha modificato il comma 2 dell'art. 2556 c.c. [nota 29]
Infatti, sia i contratti di trasferimento della proprietà sia del godimento dell'azienda devono essere depositati per l'iscrizione nel Registro delle imprese entro 30 giorni, a cura del notaio rogante l'atto o autenticante indicando i dati necessari ad identificare l'impresa: l'oggetto dell'attività, la sede, i dati dell'imprenditore, la ditta, ecc. nonché tutti i dati dei suoi rappresentanti e le eventuali variazioni e cessazioni intervenute (ai sensi dell'art. 2196 c.c.).
Tuttavia, a prescindere dai casi in cui la forma sostanziale è richiesta dal particolare tipo di contratto (ad esempio, donazione e conferimento di azienda), la forma non è necessaria nei rapporti tra le parti contraenti. Il trasferimento del godimento dell'azienda nei rapporti tra le parti ed i terzi può essere dato con qualsiasi mezzo idoneo.
In qualsiasi caso, però, è da tener presente l'art. 2193 c.c. dispone che i fatti per i quali è prevista l'iscrizione non possono essere opposti ai terzi se non iscritti, salvo il caso in cui si provi che il terzo ne era a conoscenza: dal momento dell'iscrizione, il terzo, non potrà più opporre la mancata conoscenza degli stessi.
L'iscrizione nel Registro delle imprese di atti riguardanti la gestione dell'azienda assume, quindi, un particolare rilievo per l'opponibilità ai terzi: attraverso tale formalità atti e fatti giuridici sono portati a conoscenza di questi ultimi.
Appare evidente, che la registrazione di atti relativi alla gestione dell'azienda consentirà all'imprenditore, in caso di controversie di poter opporre ai terzi gli atti registrati e questi ultimi non potranno provare di non esserne a conoscenza. Diverso, invece, è il caso in cui l'imprenditore non abbia effettuato l'iscrizione di atti di gestione, quali ad esempio atti relativi alla limitazione dei poteri dell'istitore: in tale ipotesi dette limitazioni non saranno opponibili ai terzi per mancanza della relativa iscrizione.
L'omessa iscrizione di atti o fatti per i quali è prevista l'annotazione e che non sono stati regolarmente iscritti non possono essere opposti nei confronti dei terzi da colui che è obbligato a richiederne l'iscrizione, salvo che egli non riesca a dimostrare che i terzi ne erano a conoscenza (art. 2193, comma 1, c.c.).
L'efficacia dell'iscrizione nel Registro delle imprese è finalizzata alla pubblicità, infatti in caso di contrasto tra l'iscrizione e l'effettiva situazione di fatto gli effetti sono dubbi poiché l'iscrizione fa nascere a favore del terzo di buona fede una presunzione in relazione a quanto iscritto nel Registro delle imprese, tuttavia, detta presunzione è di tipo relativo. L'iscrizione dell'imprenditore nel Registro delle imprese ha un'efficacia dichiarativa, infatti, l'acquisto dello status in parola non è subordinato alla mancata iscrizione nel Registro delle imprese: il soggetto, a prescindere dall'iscrizione, rivestirà comunque la qualifica di imprenditore commerciale.
L'omissione può comportare l'applicazione di sanzioni impedendo anche l'iscrizione di atti o di fatti successivi. Tuttavia, il soggetto è sempre considerato imprenditore commerciale e resta vincolato a tale disciplina. Viceversa, il mancato esercizio di attività commerciale, anche in presenza di iscrizione nel suddetto Registro delle imprese non conferirà al soggetto lo status di imprenditore commerciale.
1.11 La successione dei contratti
La successione dei contratti in essere al momento in cui il concedente cede all'affittuario un diritto personale di godimento, costituisce un elemento critico dell'affitto di azienda.
La disciplina ordinaria della cessione dei contratti prevede che ciascuna parte può sostituire nella propria posizione contrattuale un terzo nei rapporti derivanti da un contratto con prestazioni corrispettive, se queste non sono state ancora eseguite, purchè l'altra parte vi consenta [nota 30].
Nell'ambito della disciplina relativa alla cessione d'azienda la disciplina degli artt. 1406 e 1410 c.c. viene, tuttavia, derogata da quella speciale per la circolazione dell'azienda di cui agli artt. 2555 a 2562 c.c.
L'art. 2558 comma 1, c.c. dispone, infatti, che in mancanza di diversa pattuizione l'acquirente subentra nei contratti stipulati per l'esercizio dell'azienda che non abbiano carattere personale, identificando tale aspetto o nel contenuto oppure nella natura dello stesso contratto.
In entrambi i casi si tratta di rapporti professionali in cui risulta determinante l'intuitu personae individuato dall'art. 1429 c.c.: il contratto avente contenuto o natura personale rappresenterebbe un'arbitraria modificazione dello stesso in deroga al principio sancito dall'art. 1372 c.c.
La norma consente, in deroga alle disposizioni generali, una diversa e maggiore autonomia contrattuale tra le parti, limitando l'eventuale opposizione alla cessione da parte del contraente ceduto. In detto quadro normativo si colloca l'affitto di azienda ed il disposto dell'articolo 2558 comma 3, c.c. ove viene espressamente prevista l'applicabilità del disposto del comma 1 anche ai casi di usufrutto e affitto di azienda.
Pertanto, in assenza di esplicite pattuizioni, l'affittuario subentra in tutti i rapporti giuridici esistenti, fatta eccezione per i contratti aventi natura personale strettamente connessi all'imprenditore.
Oggetto di trasferimento saranno, quindi, quei contratti aventi un collegamento diretto con l'attività aziendale e non con l'imprenditore, o il godimento di beni aziendali non di proprietà dell'impresa, come ad es. i contratti commerciali con clienti e fornitori.
In mancanza di clausole derogatorie si considerano trasferiti tutti i contratti ancora ineseguiti al momento del trasferimento dell'azienda.
Se una delle parti ha, invece, adempiuto alla propria obbligazione si avrà cessione di crediti o di debiti e non ovviamente dell'intero contratto ai sensi degli articoli 2559 e 2560 c.c., come meglio si vedrà nel successivo paragrafo. Il trasferimento di un contratto parzialmente eseguito da una delle parti realizzerà una cessione di debiti o di crediti per la parte parzialmente eseguita ed una cessione di contratto per la parte da eseguirsi.
Con la cessione del contratto si realizza una sostituzione soggettiva senza mutare gli elementi essenziali dello stesso e senza precludere la possibilità per le parti di apportare modifiche al contenuto originario del contratto [nota 31].
Il codice civile fa esplicito riferimento ai contratti perfezionati al momento del trasferimento dell'azienda, tuttavia, è pacifico in dottrina che saranno oggetto di cessione anche tutti i rapporti prenegoziali, conclusi dall'imprenditore anteriormente alla stipula del contratto di affitto [nota 32].
Appare necessario quindi, che le parti definiscano, nell'ambito del contratto, i contratti che intendano trasferire e quelli che, invece, vorranno escludere. In mancanza di esplicite pattuizioni si considereranno trasferiti in capo all'affittuario tutti i contratti perfezionati e tutte le proposte accettate dall'imprenditore. è necessario precisare che, nel caso in cui le parti prevedano di escludere espressamente dal trasferimento determinati rapporti giuridici posti in essere in detta scelta, è insita la valutazione di lasciare integra la capacità aziendale e la relativa unitarietà dell'azienda. L'esclusione di un determinato rapporto contrattuale potrebbe, come già evidenziato e come meglio verrà evidenziato sotto il profilo elusivo, inficiare la natura stessa del contratto di affitto, svuotandolo del contenuto di trasferimento di azienda e realizzando, invece, una locazione di immobili: in tal caso la disciplina del contratto di affitto non troverebbe applicazione [nota 33].
L'art. 2558, comma 2 c.c. prevede, inoltre, a tutela del terzo contraente la possibilità, qualora vi sia una giusta causa, di recedere dal contratto entro tre mesi dalla notizia del trasferimento. La prestazione dell'affittuario anche se analoga a quella del concedente potrebbe determinare qualche pregiudizio derivante da altre cause. Pertanto, la giusta causa può essere definita come il possibile pregiudizio che il terzo può subire per effetto dell'affitto d'azienda.
La dichiarazione di recesso del terzo impedisce il trasferimento del contratto e costituisce l'inadempimento del concedente che sarà tenuto al risarcimento del danno.
Nel caso in cui il concedente si assuma la responsabilità dell'esecuzione del contratto da parte dell'affittuario il recesso del terzo sarà illegittimo in quanto verrà meno la giusta causa, cioè, la nascita del pregiudizio nei confronti di quest'ultimo.
Infatti, i contratti stipulati dall'azienda antecedenti all'affitto dell'azienda dovranno in tutto o in parte essere trasferiti; da qui nasce la necessità per le parti di chiarire la titolarità e la responsabilità in relazione agli stessi.
Appare, quindi, necessario senza la pretesa di essere esaustivi, fare cenno ad alcuni contratti specifici quali ad esempio: il contratto di locazione d'immobile, i contratti di lavoro subordinato, i contratti di agenzia, i contratti di fornitura, i contratti di leasing ed i contratti di assicurazione.
Il contratto di locazione d'immobile
Al contratto di locazione d'immobile subentra, se non diversamente pattuito, l'affittuario.
L'art. 36 della legge 392/78 (legge istitutiva dell'equo canone) prevede quanto segue: «Il conduttore può sublocare l'immobile o cedere il contratto di locazione anche senza il consenso del locatore, purché venga insieme ceduta o locata l'azienda, dandone comunicazione al locatore mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento. Il locatore può opporsi per gravi motivi entro 30 giorni dal ricevimento della comunicazione. In caso di cessione, il locatore, se non ha liberato il cedente, può agire contro il medesimo se il cessionario non adempia le obbligazioni assunte. Le indennità previste dall'art. 34 citato sono liquidate a favore di colui che risulta conduttore al momento della cessazione effettiva della locazione». L'affittuario conserva l'insieme dei diritti già acquisiti dal concedente quali: il diritto di prelazione, il diritto di essere compensato dal locatore per la perdita che l'azienda subirà se non gli verrà rinnovato il contratto [nota 34]. La cessione del contratto di locazione deve perentoriamente essere comunicata dal concedente al proprietario dell'immobile mediante raccomandata, il quale potrà opporsi entro 30 giorni dal ricevimento della stessa nell'unico caso in cui sussistano gravi motivi reali e documentabili quali ad esempio l'assoggettamento a procedure concorsuali dell'affittuario.
Nel caso in cui l'immobile è parte di un condominio, di norma le spese condominiali vengono regolate tra affittante ed affittuario alla data del subentro. Ai sensi dell'art. 63, comma 2, disposizioni attuative, c.c., il condomino subentrante è obbligato, solidalmente con il condomino originario, «al pagamento dei contributi relativi all'anno in corso ed a quello precedente». Ciò rende opportuno per l'affittuario dell'azienda richiedere all'amministrazione del condominio una dichiarazione attestante l'avvenuto pagamento da parte dell'affittante delle spese di condominio alla data del subentro del contratto di locazione.
I contratti di lavoro subordinato
I rapporti di lavoro subordinato nel passaggio da affittante ad affittuario sono tutelati nella loro continuità poichè il contratto di affitto di azienda non comporta la risoluzione del rapporto di lavoro in quanto non costituisce motivo di licenziamento. L'art. 2112 c.c. prevede, infatti, che in caso di trasferimento d'azienda, il rapporto di lavoro continua con il cessionario ed il lavoratore conserva tutti i diritti che ne derivano. Il cedente e il cessionario sono obbligati, in solido, per tutti i crediti che il lavoratore aveva al tempo del trasferimento.
Ai sensi degli artt. 410 e 411 del c.p.c. il lavoratore può consentire la liberazione del cedente dalle obbligazioni derivanti dal rapporto di lavoro. Il cessionario è tenuto ad applicare i trattamenti economici e normativi, previsti dai contratti collettivi nazionali, territoriali ed aziendali vigenti alla data del trasferimento, fino alla loro scadenza, salvo che siano sostituiti da altri contratti collettivi applicabili all'impresa del cessionario. è comunque prevista la facoltà di esercitare il recesso ai sensi della normativa in materia di licenziamenti, poichè il trasferimento d'azienda non costituisce di per sè motivo di licenziamento. Il lavoratore, le cui condizioni di lavoro subiscono una sostanziale modifica nei tre mesi successivi al trasferimento d'azienda, può rassegnare le proprie dimissioni con gli effetti di cui all'articolo 2119, comma 1 c.c. [nota 35] Ai sensi di detto articolo si intende per trasferimento d'azienda qualsiasi operazione che in seguito a cessione contrattuale o fusione, determini il mutamento nella titolarità di un'attività economica organizzata, con o senza scopo di lucro, preesistente al trasferimento, a prescindere dalla tipologia negoziale o dal provvedimento sulla base del quale il trasferimento è attuato, ivi compresi l'usufrutto o l'affitto d'azienda.
Le disposizioni di detto articolo si applicano, altresì, al trasferimento di parte dell'azienda intesa come un'attività economica organizzata, identificata come tale dal cedente e dal cessionario al momento del suo trasferimento. Infatti, la norma evidenzia che l'affitto non può essere inteso come un modo per ridurre il personale dipendente in organico dell'azienda; la continuazione del rapporto comporta, a favore del lavoratore, la conservazione delle mansioni, della qualifica e della retribuzione percepita al momento del passaggio all'affittuario. In sintesi, in caso di affitto di azienda la sostituzione del datore di lavoro consente il proseguimento inalterato del rapporto di lavoro in capo all'affittuario.
L'art. 2112 c.c. disciplina, poi, la responsabilità solidale del concedente e dell'affittuario per i crediti sorti in capo al lavoratore. La responsabilità solidale dei crediti sorti a favore del lavoratore non solo limitatamente a quella parte di crediti che emergono dai libri contabili dell'azienda trasferita, ma anche, esistenti all'atto della stipula, può definirsi oggettiva.
Possono, infatti, verificarsi casi particolari in cui l'affittante prima del contratto o l'affittuario dopo l'affitto intenda sciogliere il contratto di lavoro: il soggetto che promuove tale azione deve dare preavviso e corrispondere il trattamento di fine rapporto. Qualora la disdetta sia, invece, effettuata dal concedente ed il termine del contratto si sia esaurito prima che l'azienda venga trasferita è l'affittante a corrispondere quanto dovuto, altrimenti sarà l'affittuario a dover assolvere detto onere.
Viceversa, l'affittuario potrà far liquidare il personale dal concedente per riassumerlo immediatamente dopo ed iniziare un nuovo rapporto.
Gli unici casi in cui il lavoratore può sollevare il cedente dalle obbligazioni derivanti dal rapporto di lavoro sono quelle che prevedono l'applicazione delle procedure di conciliazione ex artt. 410 e 411 c.p.c., e per espressa volontà del lavoratore.
Ai sensi dell'art. 2103 c.c., il prestatore di lavoro non può essere adibito a mansioni di lavoro inferiori a quelle per le quali è stato assunto. è solo con il consenso di entrambe le parti che si rende possibile la stipula di un nuovo contratto di lavoro in sostituzione del precedente. Nel caso in cui non vi sia accordo tra le parti ed il lavoratore si ritrovi in una condizione lavorativa peggiore di quella di cui era titolare prima del trasferimento, ad esso è riservato un periodo di tre mesi successivi al trasferimento per presentare le proprie dimissioni richiedendo il recesso per giusta causa (art. 2119 c.c.). Ai lavoratori rimasti alle dipendenze dell'affittante o licenziati all'atto del trasferimento viene riconosciuto un diritto di precedenza nei confronti dell'affittuario per le assunzioni da questi fatte.
Al momento del trasferimento dell'azienda o di un ramo di essa in relazione ai rapporti di lavoro subordinato sarà, altresì, importante prendere in considerazione alcuni aspetti rilevanti quali: aziende con più di 15 dipendenti e aziende in crisi.
Nel primo caso facciamo riferimento all'art. 47 della legge 29 dicembre 1990, n. 428 il quale nel recepimento di una direttiva comunitaria ha introdotto nel nostro ordinamento una apposita disciplina. Quando si intenda effettuare, ai sensi dell'articolo 2112 c.c., un trasferimento d'azienda in cui sono complessivamente occupati più di quindici lavoratori, anche nel caso in cui riguardi una parte d'azienda, ai sensi del medesimo art. 2112 c.c, il cedente ed il cessionario devono darne comunicazione per iscritto almeno venticinque giorni prima che sia perfezionato l'atto da cui deriva il trasferimento o che sia raggiunta un'intesa vincolante tra le parti, se precedente, alle rispettive rappresentanze sindacali aziendali unitarie, ovvero alle rappresentanze sindacali costituite, a norma dell'articolo 19 della legge 20 maggio 1970, n. 300, nelle unità produttive interessate, nonché ai sindacati di categoria che hanno stipulato il contratto collettivo applicato nelle imprese interessate al trasferimento. In mancanza delle predette rappresentanze aziendali, resta fermo l'obbligo di comunicazione nei confronti dei sindacati di categoria comparativamente più rappresentativi e può essere assolto dal cedente e dal cessionario per il tramite dell'associazione sindacale alla quale aderiscono o conferiscono mandato. La comunicazione deve riguardare: a) la data o la data proposta del trasferimento; b) i motivi del programmato trasferimento d'azienda; c) le sue conseguenze giuridiche, economiche e sindacali per i lavoratori; d) le eventuali misure previste nei confronti di questi ultimi. Le rappresentanze sindacali o dei sindacati di categoria, con richiesta scritta comunicata entro sette giorni dal ricevimento della comunicazione di cui al comma 1, il cedente ed il cessionario sono tenuti ad avviare, entro sette giorni dal ricevimento della predetta richiesta, un esame congiunto con i soggetti sindacali richiedenti. La consultazione si intende esaurita quando, decorsi dieci giorni dal suo inizio, non sia stato raggiunto un accordo. Il mancato rispetto, da parte del cedente o del cessionario, degli obblighi previsti dai commi 1 e 2 costituisce condotta antisindacale ai sensi dell'articolo 28 della legge 20 maggio 1970, n. 300. Gli obblighi d'informazione e di esame congiunto previsti dal citato articolo devono essere assolti anche nel caso in cui la decisione relativa al trasferimento sia stata assunta da altra impresa controllante. La mancata trasmissione da parte di quest'ultima delle informazioni necessarie non giustifica l'inadempimento dei predetti obblighi.
è in tal modo inserito, nel nostro sistema normativo un metodo d'informazione e consultazione sindacale a tutela dei lavoratori nel caso in cui questi siano in misura superiore a quindici unità.
Il numero degli occupati è determinato escludendo gli apprendisti, il coniuge, i parenti entro il secondo grado in linea retta e collaterale, i lavoratori interinali, i prestatori di lavoro che sostituiscono dipendenti assenti con diritto alla conservazione del posto, i lavoratori a domicilio, i lavoratori assunti con contratto di reinserimento e non, i lavoratori a tempo determinato ed i part-time in proporzione all'orario svolto. Nel secondo caso, ossia quello relativo alle aziende in crisi, non viene applicato il regime previsto dall'art. 2122 c.c.
Inoltre, al momento della retrocessione dell'azienda non risulta essere pacifica l'applicazione dell'art. 2112 c.c. Infatti, qualora fosse applicabile l'art. 2112 c.c. l'affittante si potrebbe trovare nella condizione di dovere fare fronte a tutte le inadempienze dell'affittuario ed a dover proseguire i rapporti di lavoro sorti durante la gestione di quest'ultimo. Potrebbe ritrovarsi, al momento della retrocessione, debiti e dipendenti scelti dall'affittuario. Si ritiene che la responsabilità solidale viga anche nel momento in cui termini il contratto d'affitto. A tale proposito appare opportuno che il concedente predisponga clausole contrattuali per tutelarsi in relazione al corretto adempimento, da parte dell'affittuario, di tutti gli obblighi imposti dalla legge a carico del datore di lavoro, all'applicazione delle tariffe previste nei contratti collettivi di lavoro e, in caso di mancata cessazione del rapporto al momento della retrocessione dell'azienda, all'esperimento, da parte dell'affittuario, delle procedure previste dagli artt. 410 e 411 c.p.c. Oltre a ciò risulta altrettanto necessario l'inserimento di una clausola inerente il risarcimento di eventuali danni subiti e la richiesta di garanzie.
I contratti di agenzia
L'affittuario subentra in modo automatico nei contratti di agenzia stipulati dall'impresa affittante secondo quanto stabilito, salvo che non sia diversamente pattuito. Il rapporto di lavoro degli agenti prosegue con l'affittuario conservando tutti i diritti compresa l'anzianità. Il concedente e l'affittuario sono obbligati in solido per tutti i crediti che gli agenti vantavano al momento del trasferimento. Nel caso in cui l'affittante non acconsentisse alla successione, il contratto di agenzia si risolverebbe e l'agente dovrebbe essere risarcito di tutte le indennità spettanti per la risoluzione del rapporto. L'agente, estraneo all'accordo intercorso tra l'affittante e l'affittuario, può recedere dal contratto entro tre mesi dalla notizia del trasferimento nell'unico caso in cui vi sia una giusta e motivata causa: l'agente deve essere liquidato dalla persona con cui ha stipulato il contratto in origine.
I contratti di fornitura
Pur lasciando alle parti piena autonomia contrattuale, qualora non sia diversamente stabilito si applica l'art. 2558 c.c. per i contratti che ancora devono essere perfezionati da entrambe le parti. Per quelli già perfezionati unilateralmente sia totalmente sia parzialmente, si fa riferimento alla disciplina della cessione dei debiti e dei crediti. Altra clausola che può essere inserita nel contratto a tutela dell'affittante può riguardare il possibile recesso del terzo contraente. In tale caso, se previsto dalle parti, l'affittante è esonerato da responsabilità.
I contratti di leasing
Il contratto di leasing stipulato dall'affittante si trasferisce all'affittuario secondo l'art. 2558 c.c., fatta eccezione del caso in cui il contratto di leasing rechi una clausola ostativa o nel caso in cui l'affittante dichiari di opporsi alla cessione del contratto, oppure alla continuazione dello stesso in capo all'affittuario. Il corrispettivo teorico della cessione del contratto di leasing è pari al valore economico del bene oggetto del contratto, dedotto del valore attualizzato dei canoni ancora dovuti e dell'eventuale prezzo di riscatto. è inoltre possibile, eccetto i casi in cui sia contrattualmente escluso, stipulare un subcontratto. Per quanto concerne l'aspetto procedurale, è necessaria la notifica alla società di leasing indicando il nuovo affittuario.
I contratti di assicurazione
Per definire quale sia la regolamentazione dei contratti di assicurazione al momento del trasferimento d'azienda, qualora non sia diversamente pattuito dalle parti, il contratto di assicurazione contro i danni in relazione ai rischi inerenti l'attività d'impresa che sia stato stipulato dall'affittante esula dalla previsione dell'art. 1918 c.c. e resta soggetto alla disciplina dettata dall'art. 2558 c.c. Pertanto, al momento del sub-ingresso dell'affittuario nel contratto assicurativo, il recesso può essere riconosciuto soltanto all'assicuratore, ai sensi delle condizioni del secondo comma dell'art. 2558 c.c. e non anche all'assicurato, a differenza di quanto previsto dal secondo comma dell'art. 1918 c.c riguardante l'alienazione della cosa assicurata. La comunicazione da effettuare all'assicuratore non essendo un obbligo è da ritenere prudenzialmente più corretta.
1.12 Crediti e debiti dell'azienda
I crediti ed i debiti dell'azienda, con il contratto di affitto si trasferiscono insieme con l'azienda -intesa come complesso di beni - salvo che non sia stato diversamente previsto dalle parti contrattualmente.
In merito al trasferimento dei crediti l'art. 2559 c.c. non prevede il caso di affitto di azienda, tuttavia, se nel contratto è previsto il trasferimento dei crediti, la cessione degli stessi sarà opponibile secondo la procedura prevista dall'art. 1265 c.c. (notifica e accettazione).
La cessione dei debiti in caso di affitto di azienda non trova regolamentazione nell'art. 2560 c.c. che prevede l'accollo dei debiti da parte dell'acquirente di un'azienda, in caso di trasferimento se essi risultano dai libri contabili obbligatori; infatti, il concedente sarà obbligato per i debiti contratti anteriormente al trasferimento, se non risulta che i creditori abbiano aderito alla cessione del debito.
Nell'affitto di azienda i crediti ed i debiti possono essere accollati o ceduti solo se è stato previsto contrattualmente, si applicherà quindi l'art. 1273 c.c. relativo all'accollo dei debiti. Infatti, il debitore ed un terzo possono prevedere il trasferimento del debito, ma il debitore originario sarà liberato solo con l'adesione espressa del creditore. In mancanza di espressa pattuizione in favore del debitore originario, questi resterà obbligato in solido con il terzo; quest'ultimo sarà, invece, obbligato nei confronti del creditore nei limiti del debito assunto.
L'affittuario risponderà dei debiti assunti nel corso della gestione, mentre il concedente dei debiti pregressi salvo esplicito accollo ai sensi del descritto art. 1273 c.c., pertanto, non sarà attribuibile alcuna responsabilità alle parti se non connessa, rispettivamente, con i debiti assunti nei periodi di competenza o secondo le espresse pattuizioni.
L'art. 2560 comma 2, c.c. disciplina la responsabilità dell'acquirente dell'azienda per i debiti della stessa che risultano in caso di trasferimento dalle scritture contabili; tuttavia, in genere i debiti ed i crediti restano a carico del cedente.
Diversa è la situazione in caso di affitto di azienda: l'affittuario assumerà, infatti, una responsabilità autonoma per i debiti contratti durante la gestione dell'azienda ed una responsabilità solidale con il concedente per i debiti rilevabili dalle scritture contabili obbligatorie di quest'ultimo.
Tuttavia, non si ritiene applicabile all'affitto d'azienda il citato art. 2560 c.c. non essendovi un esplicito richiamo all'usufrutto e all'affitto, ma solo alla cessione d'azienda.
La scarna disciplina civilistica in tema di affitto di azienda, come evidenziato, conferisce a detto contratto un'estrema elasticità lasciando libera la regolamentazione dei rapporti tra i soggetti secondo le pattuizioni che saranno espressamente inserite nel contratto.
I debiti che risultano dalle scritture contabili, relativi a rapporti di lavoro e ad imposte si presume vengano trasferiti dal concedente all'affittuario a prescindere dalle disposizioni pattizie, mentre per altri debiti del concedente in mancanza di clausole specifiche non si verificherà alcun accollo per l'affittuario.
I debiti del concedente per essere esigibili dai creditori direttamente dall'affittuario devono risultare dal contratto di affitto ed essere annotati nelle scritture contabili obbligatorie.
Risponde alla ratio del legislatore la mancanza di responsabilità del concedente per i debiti contratti dall'affittuario durante la gestione dell'azienda: l'affittuario, infatti, risponderà dei debiti assunti nel periodo di durata del contratto.
1.13 Obblighi e responsabilità delle parti
Il proprietario dell'azienda concessa in affitto deve consegnare all'affittuario i beni costituenti l'azienda in condizioni tali da consentire l'utilizzo per la produzione, nonché garantire il pieno e pacifico godimento per tutta la durata contrattuale.
è, altresì, previsto il divieto di concorrenza ai sensi dell'art. 2557 c.c. che impone al concedente di iniziare una nuova impresa che per oggetto localizzazione o altri fattori possa sviare la clientela dell'azienda affittata.
Il contratto di affitto di azienda determina numerosi obblighi in capo all'affittuario che possono assumere rilevanza in relazione alla responsabilità per inadempimento.
L'affittuario avrà, infatti, l'obbligo di esercitare l'impresa sotto la ditta che contraddistingue l'azienda garantendo in tal modo la continuità dell'avviamento durante il contratto di locazione e successivamente quando il proprietario rientrerà in possesso dell'azienda. L'art. 2565 comma 1, c.c. vieta il trasferimento della ditta separatamente dall'azienda, ed al comma 2 dispone negli atti tra vivi il trasferimento della ditta all'acquirente previo consenso dell'alienante. Si ritiene, quindi, necessario precisare nel contratto di affitto che il trasferimento della ditta avverrà insieme con l'azienda per tutta la durata del contratto.
Accanto al diritto di godimento l'affittuario è tenuto a gestire l'azienda senza modificarne la destinazione data dal concedente. L'art. 1615 c.c. prevede, infatti, che in caso di locazione di bene produttivo mobile o immobile il locatario deve curarne la gestione in conformità alla destinazione economica e nell'interesse dell'azienda. Anche in questo caso l'interesse tutelato è relativo alla conservazione dell'avviamento per evitarne la dispersione.
L'art. 2561 comma 2, c.c. prevede la restituzione dell'azienda da parte dell'affittuario senza modificarne la destinazione e conservandone l'efficienza dell'organizzazione degli impianti e delle normali scorte, ed al comma 3 prevede in caso di inadempienza dei suddetti obblighi o di cessazione dell'azienda l'applicazione dell'art. 1015 c.c. Detta norma prevede in caso di abusi dell'usufruttuario o dell'affittuario la possibilità di cessazione del contratto, circostanza che si verifica qualora i beni aziendali vengano alienati o deteriorati o distrutti per mancata manutenzione. In caso di inadempimento dell'affittuario il concedente potrà invocare la risoluzione del contratto ai sensi dell'art. 1618 c.c. se l'affittuario non destini al servizio dell'azienda i mezzi necessari per la gestione della stessa, se non osservi le regole della buona tecnica, se muti stabilmente la destinazione economica della cosa.
Il mutamento di destinazione può, però, derivare da differenti fattori, quali mancanza di profitti per cause non imputabili al comportamento dell'affittuario o da scelte imprenditoriali sbagliate. Diverso è il caso in cui l'introduzione di nuove tecnologie imponga un cambiamento dell'oggetto sociale; in tal caso il cambiamento preserverà l'attività aziendale ed anche l'avviamento. Il concedente dovrà accertare attentamente le cause del mutamento della destinazione dell'azienda ed eventualmente avvalersi dell'art. 1015 c.c. o dell'art. 1618 c.c. oppure concedere il cambiamento di destinazione per evitare la crisi dell'azienda.
In merito alla conservazione dell'efficienza e dell'organizzazione degli impianti e della normale dotazione di scorte, è possibile prevedere contrattualmente il riconoscimento di un maggior avviamento a favore dell'affittuario che abbia incrementato l'attività aziendale, anche se nella prassi raramente detto valore viene contemplato come innanzi evidenziato.
Le scorte, dovranno essere restituite dall'affittuario al proprietario dell'azienda in pari misura evitando, da un lato, al concedente di dover sostenere costi per il ripristino delle stesse e dall'altro evitando il rischio di rimanenze di scarso valore e di difficile smobilizzo.
L'affittuario sarà tenuto al pagamento periodico, solitamente mensile o trimestrale, del canone pattuito. Il canone potrà essere determinato in misura fissa con periodico aggiornamento mediante l'applicazione di determinati indici ancorati alla svalutazione. Tuttavia, le parti potranno prevedere anche un canone variabile commisurato al volume di affari con la previsione di un minimo garantito che consente al concedente di percepire un rendimento sicuro dall'affitto della propria azienda; diversamente l'assenza di una previsione di un canone minimo predeterminato snaturerebbe il contratto di affitto di azienda rendendolo di fatto una compartecipazione agli utili aziendali.
1.14 La cessazione dell'affitto di azienda e la retrocessione
Come si è esaminato nei paragrafi precedenti, l'affittuario ha l'obbligo di gestire l'azienda senza modificarne la destinazione ed in modo da conservare l'efficienza degli impianti e delle normali dotazioni di scorte. Al termine del contratto l'affittuario restituirà i beni aziendali secondo la loro mutata consistenza derivante dalla gestione stessa. A tale scopo è prevista la redazione di un inventario iniziale e finale come disciplina l'art. 2561 comma 4, c.c. che dispone la relativa regolamentazione a conguaglio del valore dei beni al termine dell'affitto. Detto valore sarà determinato secondo il valore corrente al termine del contratto di affitto.
In genere alla scadenza del contratto di affitto l'azienda sarà restituita al proprietario, tuttavia nel caso in cui non sia stato previsto alcun termine alla predetta gestione dell'affittuario, ai sensi dell'art. 1616 c.c. ciascuna delle parti potrà recedere dal contratto previo congruo preavviso. Anche in caso di rinnovo del contratto a tempo indeterminato resta ferma la possibilità di recesso anticipato delle parti.
Tuttavia, in caso di inadempimento dell'affittuario e violazione degli obblighi di destinazione e conservazione dell'efficienza dell'azienda, il concedente potrà chiedere la cessazione del contratto con retrocessione dell'azienda.
Si avrà poi, lo scioglimento del contratto in caso di alienazione dell'azienda: l'acquirente dovrà concedere all'affittuario un congruo termine prima di procedere alla disdetta per consentire a detto soggetto l'eventuale conclusione di un nuovo contratto.
Può talvolta essere causa di scioglimento del contratto anche l'eccessiva onerosità del canone di affitto convenuto per contratto, per sopravvenute e mutate condizioni di mercato; in tale ipotesi l'affittuario potrà chiedere lo scioglimento per impossibilità di proseguire la propria prestazione.
La morte dell'affittuario costituisce anch'essa causa di scioglimento, infatti l'art. 1627 c.c. dispone che il proprietario e gli eredi dell'affittuario potranno, entro 3 mesi dalla morte, recedere dal contratto mediante disdetta comunicata all'altra parte con un preavviso di sei mesi.
Al momento della retrocessione, prescindendo dalla causa determinante, il concedente ha diritto alla restituzione dei beni aziendali [nota 36]. Tali beni, nella disponibilità dell'affittuario per la durata del contratto, potranno essere alienati o sostituiti nell'ambito della normale attività aziendale garantendo all'affittuario l'eventuale conguaglio in denaro come risultante dalla differenza tra la consistenza dell'inventario iniziale e finale.
L'azienda al termine del contratto di affitto risulterà composta da beni diversi da quelli presenti al momento della redazione dell'inventario iniziale, infatti si dovrà tenere conto dei beni immessi dall'affittuario nel patrimonio dell'azienda nel rispetto degli obblighi di efficienza della stessa, dei contratti pregressi all'affitto e stipulati in costanza del contratto di gestione, nonché dei crediti esistenti.
In relazione ai beni acquistati dall'affittuario appare evidente che l'espressa previsione di un conguaglio in denaro costituisce il riconoscimento di eventuali incrementi patrimoniali effettuati nell'ambito della gestione ed evita il depauperamento dell'azienda per mancati e necessari investimenti da parte dell'affittuario. è evidente che la ratio dell'art. 2561 comma 4, c.c. è quella di invogliare lo stesso ad una corretta e funzionale gestione dell'azienda.
I contratti esistenti si trasferiscono al concedente fatta eccezione di quelli di natura strettamente personale ed esclusi per espressa pattuizione delle parti, mentre si trasferiscono al concedente solo i crediti espressamente inclusi nelle pattuizioni contrattuali.
Ai contratti stipulati dall'affittuario nel corso della sua gestione al momento della retrocessione dell'azienda si estende la disciplina dell'art. 2558 c.c. secondo il principio della successione ex lege in capo all'affittuario degli stessi [nota 37]. Pertanto può essere opportuno inserire nel contratto una clausola che disciplini il trasferimento dei contratti in corso al momento della cessazione dell'affitto d'azienda.
1.15 L'affitto d'azienda nel fallimento
Con la legge 14 maggio 2005, n. 80 di conversione del D.l. 15 marzo 2005, n. 35 e del D.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5 e del D.lgs 12 settembre 2007, n. 169 il legislatore ha rivisitato le procedure concorsuali, intervenendo sul R.D. 16 marzo 1942, n. 267. Le modifiche abrogazioni e sostituzioni, hanno in sostanza completamente innovato la vecchia legge fallimentare modificando le disposizioni in materia.
In primo luogo è necessario evidenziare che l'art. 79, L. fall. contempla espressamente l'affitto di azienda evitando, come accadeva nel vigore della vecchia normativa, il ricorso per analogia alla disciplina della locazione immobiliare [nota 38]. è infatti, prevista la continuazione automatica del contratto in caso di fallimento di una delle parti ed il diritto di recesso delle parti contraenti, corrispondendo un equo indennizzo, entro sessanta giorni dalla dichiarazione di fallimento. La ratio dell'introduzione di un termine è legata, ovviamente, ad una rapida definizione del contratto di affitto sia in relazione alla prosecuzione dello stesso, sia in caso di risoluzione. In caso di dissenso tra le parti il giudice delegato disporrà l'indennizzo, ed il relativo credito sarà inserito secondo le disposizioni contenute nell'art. 111 L. fall. [nota 39]
La stipula del contratto di affitto di azienda può anche scaturire dalla scelta del curatore di concedere in affitto a terzi l'azienda fallita al fine di conservare la redditività dell'impresa, oppure può accadere che in costanza di contratto di affitto di azienda insorga il fallimento del concedente o dell'affittuario.
Il contratto di affitto d'azienda può rappresentare, infatti, una valida soluzione per la gestione del patrimonio dell'imprenditore assoggettato a fallimento, in attesa della successiva cessione dell'azienda stessa; con tale strumento la curatela realizza il salvataggio dell'impresa assicurando la conservazione e la prosecuzione dell'attività aziendale [nota 40].
In tale ottica l'affitto diventa strumento utile al fine di facilitare e promuovere il passaggio della gestione di imprese in crisi ad altri imprenditori. Se, invece, il contratto di affitto è stato stipulato dall'imprenditore prima dell'apertura della procedura fallimentare, l'applicabilità dell'art. 79 L. fall. non comporta lo scioglimento del contratto ed il curatore subentra al locatore. In questo caso la curatela cercherà, ove possibile, di rinegoziare alcune clausole contrattuali e di garantirsi contro i rischi di una cattiva gestione da parte dell'affittuario.
La riforma della legge fallimentare ha riformulato l'art. 104-bis introducendo disposizioni finalizzate alla continuazione dell'attività dell'azienda fallita, allo scopo di preservare l'attività d'impresa [nota 41].
Detto articolo in particolare conferma la possibilità di autorizzare l'esercizio provvisorio dell'impresa dalla sentenza di fallimento, nel caso in cui l'interruzione dell'attività possa determinare un danno grave anche se non irreparabile; viene, altresì, prevista la possibilità di autorizzare l'esercizio provvisorio anche solo di singoli rami di azienda [nota 42].
Naturalmente la finalità perseguita è quella di garantire la continuazione dell'attività aziendale, che quindi potrà essere perseguita anche attraverso la stipula di un contratto di affitto di azienda anche limitatamente a singoli rami della stessa, nel caso in cui si debba, invece, procedere alla vendita di altre parti dell'azienda.
La disposizione descritta volge a riempire un vuoto normativo, introducendo espressamente l'affitto di azienda nell'ambito delle procedure concorsuali. L'ammissibilità di detto strumento contrattuale nell'ambito del fallimento è stata oggetto di dibattito sia per la mancanza di esplicite disposizioni nella precedente versione della legge fallimentare, sia per la finalità perseguita dal curatore volta alla realizzazione di liquidità da distribuire ai creditori. Sotto tale profilo l'affitto di azienda, inteso come proseguimento dell'attività aziendale, non risulta secondo alcuni orientamenti attività propedeutica alla trasformazione del valore dei beni aziendali in liquidità. Tuttavia, l'affitto di azienda risulta essere un contratto attraverso cui i creditori, tramite il curatore, possano conservare i beni aziendali, materiali e immateriali, ai fini della realizzazione di un corrispettivo adeguato all'atto di vendita dell'azienda [nota 43].
Il curatore ai sensi dell'art. 104-ter, anche prima della presentazione del programma di liquidazione propone al giudice delegato, previo parere del comitato dei creditori, l'affitto dell'azienda del fallito a terzi; la scelta dell'affittuario è compito del curatore che ai sensi dell'art. 107 L. fall. dovrà dare ampia pubblicità e informazione ai possibili interessati.
Al fine di assicurare la massima informazione e partecipazione saranno utilizzati i mezzi di stampa e i siti internet specializzati. Nella scelta il curatore dovrà tenere conto oltre che del canone offerto anche delle garanzie prestate e dell'attendibilità del programma di prosecuzione dell'attività aziendale tenendo presente, soprattutto, la conservazione dei livelli occupazionali.
Il contratto di affitto sarà stipulato nel rispetto della forma prevista ai sensi dell'art. 2556 c.c. e secondo le prescrizioni dell'art. 2562 c.c. e salvo il diritto di recesso del curatore; la durata del contratto sarà determinata tenuto conto della liquidazione dei beni. Detto contratto stipulato in corso di procedura fallimentare deve necessariamente prevedere: il diritto del curatore di procedere all'ispezione dell'azienda, la prestazione di idonee garanzie quali la fideiussione bancaria o assicurativa ed il diritto di recesso del curatore, previo parere del comitato dei creditori e corresponsione all'affittuario di un giusto indennizzo.
Nel caso in cui sia previsto l'affitto di azienda prima della presentazione del programma di liquidazione di cui all'art. 104-ter la proposta sarà formulata dal curatore previo parere favorevole del comitato dei creditori ed autorizzata dal giudice delegato; talvolta infatti, i tempi della vendita potranno risultare lunghi e sarà, quindi, necessario salvaguardare l'integrità dell'azienda ed evitare l'interruzione dell'attività per effetto del dichiarato fallimento.
Anche se ai sensi dell'art. 104-bis il curatore può disporre l'affitto di azienda, prima della presentazione del programma di liquidazione, è necessario precisare che il legislatore con la nuova legge fallimentare ha voluto attribuire al curatore detto strumento per disporre un valido programma di realizzazione dell'attivo da distribuire ai creditori. Pertanto, l'affitto di azienda disposto dal curatore in una fase antecedente alla redazione definitiva del programma potrebbe rivelarsi uno strumento incompatibile o poco idoneo rispetto a quello di liquidazione redatto entro il termine di sessanta giorni dalla redazione dell'inventario.
La legge fallimentare all'art. 104-bis comma 5, dispone che convenzionalmente possa essere concesso il diritto di prelazione a favore dell'affittuario dell'azienda o di un ramo della stessa condotto in affitto. Il giudice delegato, secondo la disposizione in parola, previo parere favorevole del comitato dei creditori può autorizzare la prelazione a favore dell'affittuario.
In tal caso il curatore, determinato il prezzo di vendita dell'azienda sulla base di stime (ex art. 107 comma 1 L. fall.), entro dieci giorni avrà l'onere di comunicarlo all'affittuario il quale può esercitare il diritto di prelazione entro cinque giorni dal ricevimento della comunicazione. La ratio dell'introduzione del diritto di prelazione è di motivare l'affittuario ad effettuare una corretta e scrupolosa gestione anche attraverso l'acquisto e la sostituzione di beni strumentali, nonché di invogliare l'affittuario all'acquisto dell'azienda.
Con l'introduzione dell'art. 104-bis L. fall. è stata, quindi, prevista la possibilità di convenire detto diritto di prelazione anche nei casi in cui non ricorrono i presupposti della L. 223/91. Il curatore potrà procedere all'affitto di azienda in tutti i casi in cui la stipula di detto contratto potrà giovare all'andamento dell'azienda in vista della successiva alienazione. Appare evidente l'intento conservativo e non meramente liquidatorio perseguito dal legislatore conforme al nuovo sistema concorsuale indirizzato al recupero delle componenti attive dell'impresa.
è, inoltre, importante sottolineare che nel caso di retrocessione dell'azienda al fallimento della stessa o di suoi rami non è prevista alcuna responsabilità per i debiti maturati fino alla restituzione in deroga alle relative disposizioni del codice civile [nota 44]. La deroga agli artt. 2112 c.c. e 2560 c.c. trova la sua ratio nella tutela dei creditori anteriori in funzione della cui tutela è stato concesso l'affitto affinché non vengano penalizzati da una gestione poco oculata dell'affittuario. L'art. 104-bis prevede inoltre, l'applicazione delle disposizioni di cui alla sezione IV del capo III del titolo II.
Nel caso in cui, invece, venga stipulato un contratto di affitto di azienda prima dell'apertura della procedura concorsuale, potrebbe celarsi dietro tale contratto il tentativo dell'imprenditore di sottrarre l'azienda all'azione esecutiva concorsuale, intestandola formalmente a prestanomi [nota 45]. L'azienda in tal modo proseguirà l'attività ad opera dell'affittuario, tuttavia la curatela fallimentare potrebbe trovare delle difficoltà nel sottrarre i beni aziendali per acquisirli all'attivo fallimentare privando l'imprenditore della materiale facoltà di disporne.
In tale ipotesi il curatore fallimentare può esercitare l'azione revocatoria ai sensi dell'art. 67 della L. fall. per poter acquisire l'azienda all'attivo fallimentare, ad esempio nel caso in cui il canone di affitto non sia congruo rispetto al valore dell'azienda [nota 46]. Tuttavia, se il contratto di affitto di azienda è stato stipulato nei sei mesi antecedenti la dichiarazione di fallimento, il curatore potrà esperire l'azione revocatoria dimostrando che l'affittuario conosceva lo stato di insolvenza del debitore al momento della stipula del contratto.
1.16 Altre fattispecie di godimento dell'azienda: cenni
In dottrina è discusso se siano configurabili altre ipotesi di gestione dell'impresa altrui attraverso differenti fattispecie espressamente previste per legge.
Nel comodato è ravvisabile un diritto di godimento: infatti, il comodatario, titolare dell'impresa potrà gestire l'azienda secondo le disposizioni applicabili all'affitto di azienda.
Anche in caso di conferimento di azienda è possibile individuare altre ipotesi di gestione di azienda, mentre in caso di uso non è configurabile detta ipotesi, poiché attraverso detto istituto si realizza il godimento di beni diversi dal denaro e l'appropriazione di frutti diversi dal denaro, diversamente dal caso dell'affitto di azienda i cui frutti sono somme di denaro [nota 47].
L'imprenditore in dissesto economico può, inoltre, utilizzare il ricorso al credito mediante pegno d'azienda; la relativa disciplina è analoga a quella dell'usufrutto d'azienda nel rispetto delle disposizioni relative al pegno. Il creditore pignoratizio potrà gestire personalmente l'azienda, in tal caso sarà titolare di poteri e doveri propri dell'usufruttuario, oppure la gestione sarà lasciata al debitore con potere di controllo del creditore pignoratizio che potrà approvare particolari operazioni.
[nota 1] Per ulteriori approfondimenti in tema di azienda v. U. MINNECI, Il trasferimento di azienda e regime dei debiti, Torino, Giappichelli, 2007; G. CAMPOBASSO, Diritto commerciale I, Diritto dell'impresa, Torino, Utet, 2003; A. GRAZIANI - G. MINERVINI - U. BELVISO, Manuale di diritto commerciale, Padova, Cedam, 2004; O. CIPOLLA, «Note in tema di cessazione del contratto di affitto di azienda e di successione dei contratti da parte del locatore», in Giur. it., 2004, I, p. 1204 e ss.
[nota 2] Cfr. Cass., sez. trib., 10 ottobre 2008, n. 24913, in I contratti, 2009, p. 463 e ss.; Cass., sez. trib., 11 giugno 2007, n. 13580, in Dir. e prat. soc., 2007, p. 20, con nota di G. CARDAMELLIS; Cass., sez. trib., 30 maggio 2005, n. 11457, in banca dati Fisconline.
[nota 3] Per ulteriori approfondimenti v. E. DE MITA, Diritto tributario e diritto civile. Profili costituzionali, in Le ragioni del diritto, Scritti in onore di L. Mengoni, III, Milano, 1995, p. 1834 e ss.; S. CIPOLLINA, La legge civile e la legge fiscale, Padova, Cedam, 1992; L. CARPENTIERI, «L'affitto di azienda nella prospettiva della continuità dei valori fiscalmente riconosciuti», in Riv. dir. trib., 1992, I, p. 792 e ss.; M. ALLENA, «Sull'applicabilità dei principi civilistici al diritto tributario», in Dir. e prat. trib., 1999, I, p. 1776 e ss.; G. BARALIS, «Influenze della legislazione tributaria sulla legislazione civile. Anche modifiche "indotte" alla legislazione civile?», Studio n. 4129/2002, in Consiglio Nazionale del Notariato, Studi e Materiali, 2003, 2, p. 403; V. PAPAGNI, «La conservazione dell'identità sui singoli beni dell'impresa attraverso "un coordinamento e un'organizzazione" è requisito imprescindibile ad integrare la cessione d'azienda», in Dir. giust., 2009, p. 169.
[nota 4] Cfr. Cass., sez. trib., 16 aprile 2008, n. 17613, in banca dati Fisconline.
[nota 5] V. F. GALGANO, L'impresa, in Tratt. dir. comm. e dir. pub. ec. diretto da F. Galgano, II, Padova, Cedam, 1978, p. 47 e ss.; Cass. 27 maggio 2002, n. 2940, in Riv. not., 2003, p. 134.
[nota 6] Cfr. Cass., sez. V, 11 giugno 2007, n. 13580, con nota a sentenza di F. FIMMANò, «La morfologia della res azienda», in Notariato, 2008, p. 16 e ss.
[nota 7] V. Cass., sez. trib., 14 maggio 2008, n. 12049 in banca dati Fisconline; Cass., sez. trib., 10 ottobre 2008, n. 24913, cit.
[nota 8] Cfr. Cass., sez. trib., 11 giugno 2007, n. 13580, cit., secondo cui occorre procedere ad una valutazione complessiva dell'operazione stessa, anche se articolata in più atti (c.d. cessione spezzatino).
[nota 9] Cfr. Cass., sez. trib., 10 ottobre 2008, n. 24913, cit.
[nota 10] Cfr. Cass., sez. trib., 30 gennaio 2007, n. 1913, in banca dati Fisconline.
[nota 11] In tal senso, anche, Cass., sez. trib., 26 settembre 2007, n. 22526; Cass., sez. trib., 14 gennaio 2009, n. 685, in banca dati Fisconline, secondo cui la redazione di un progetto di acquisizione di un ramo aziendale non è sufficiente a far desumere che l'acquisto di taluni immobili integri una precedente cessione d'azienda.
[nota 12] Si distingue il contratto di locazione di immobili da quello di alloggio (es. appartamenti mobiliati) che prevede oltre al godimento dell'appartamento una serie di servizi a carattere alberghiero che integrano una prestazione di servizi assimilabile a quella alberghiera da assoggettare ad Iva se effettuata nell'esercizio dell'impresa. Il contratto di alloggio non può essere considerato esente ai sensi dell'art. 10 n. 8) del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, poiché, come noto, le disposizioni esentative non consentono di essere interpretate analogicamente. In merito cfr. G. MANDò, D. MANDò, Manuale dell'imposta sul valore aggiunto, Milano, Ipsoa, 2007, p. 227; Corte di Giustizia, 12 febbraio 1998, C- 346/95, in Corr. trib., 1998, p. 2039, secondo cui l'art. 13 sub B) lett. b) n. 1 della sesta direttiva eccettua dall'esonero Iva la locazione di spazi ad uso abitativo e camere da letto a soggetti diversi da amici e parenti; sono da considerasi, invece, operazioni imponibili assimilabili a prestazioni di alloggio effettuate nell'ambito di settori aventi funzioni analoghe a quello alberghiero.
[nota 13] Cfr. M. FRAGALI, voce Affitto in generale, in Enc. dir., vol. I, Milano, Giuffrè, 1958, p. 729 e ss.; A. CICOGNANI, voce Azienda, in Enc. Trecc., II, Roma, 1988, p. 7 e ss.; A. URICCHIO, voce Affitto e locazione, in Enc. Trecc., vol. II, Roma, 2007.
[nota 14] Cfr. Cass., sez. trib., 30 gennaio 2007, n. 1913, cit.
[nota 15] Cfr. Cass., sez. trib., 27 giugno 2002, n. 9354, in banca dati dejure.giuffre.it.
[nota 16] In alcuni casi in presenza di un immobile attrezzato, l'Amministrazione finanziaria ha ravvisato una vera e propria azienda, e quindi un esercizio di impresa, con conseguente assoggettamento ad Iva dei canoni di affitto, mentre in altre ipotesi in presenza di un contratto di affitto d'azienda, l'Amministrazione finanziaria ha ravvisato la mera locazione di immobile, con conseguente assoggettamento ad imposta di registro a quelle fattispecie che la normativa Iva ritiene esenti da imposta. Come evidenziato il confine tra il concetto di azienda e quello di immobile attrezzato è estremamente sottile. Il legislatore in materia alberghiera è intervenuto disponendo, con la legge 118/85, all'art. 1, comma 9-septies, che «si ha locazione di immobile e non affitto d'azienda in tutti i casi nei quali l'attività alberghiera sia stata iniziata dal conduttore». Cfr. Cass. 9 marzo 1984, n. 1640, in banca dati Big Ipsoa, che chiarisce come l'affitto di azienda sussista anche quando il complesso organizzato di beni destinato all'organizzazione produttiva non sia completo; pertanto, non è rilevante che la produttività non sussista ancora, bastando che essa sia conseguenza potenziale, prevista dalle parti.
[nota 17] Più ampiamente cfr. A. CICOGNANI, voce Azienda, in Enc. Trecc., cit., p. 7 e ss.
[nota 18] L'art. 6 della legge 12 agosto 1993, n. 310, in vigore dal 4 settembre 1993, ha modificato il comma 2 dell'art. 2556, c.c.
[nota 19] La ris. min. 30 ottobre 2008, 405/E sulla scorta della sentenza Good Wonen ha equiparato l'usufrutto su beni immobili alla locazione, considerando esente l'usufrutto. Tuttavia, l'usufrutto è, ai sensi dell'art. 2 comma 1 del D.P.R. 633/72, invece, una cessione di beni. è evidente che l'equiparazione viene effettuata dall'Agenzia delle entrate in chiave antileusiva, nel caso in cui l'usufrutto sia utilizzato come uno strumento giuridico per aggirare la norma che assoggetti ad esenzione l'operazione effettuata. Tuttavia, la risoluzione svuota di contenuto la norma nazionale assoggettando indiscriminatamente ad una riclassificazione l'usufrutto. V. P. CENTORE, «L'usufrutto immobiliare tra cessione e prestazione», in Corr. trib., 2009, p. 43; Corte di Giustizia Ce, 8 maggio 2003 causa C-269/00 Wolfgang Feeling/Finanzamt Starnberg, con nota di M.P. NASTRI, «La costituzione di usufrutto come operazione elusiva», in Riv. dir. trib., 2002, III, p. 148 e ss.
[nota 20] Cfr. G. COTTINO, Diritto commerciale, Padova, Cedam, 1986, vol. I, p. 219.
[nota 21] Cfr. G.E. COLOMBO, L'azienda e il mercato, in Trattato di diritto commerciale, Padova, Cedam, 1979.
[nota 22] Cfr. Cass. 9 agosto 1973, n. 2339; Cass. 24 agosto 1978, n. 3969; Cass. 3 luglio 1980, n. 4210; Cass. 25 giugno 1979, n. 3550; Cass. 23 febbraio 1981, n. 1076; Cass. 28 novembre 1981, n. 6361; Cass. 9 marzo 1982, n.1527; Cass. 27 novembre 1982, n. 6480; Cass. 6 luglio 1983, n. 4566; Cass. 27 novembre 1984, n. 6480; Cass. 4 marzo 1987, n. 2261; Cass. 9 novembre 1993, n.11054; Cass. 1 agosto 1995, n. 8388; Cass. 25 maggio 1995, n. 5787; Cass. 17 aprile 1996, n. 3627, in banca dati dejure.giuffre.it.
[nota 23] Naturalmente sulla base delle pattuizioni delle parti contraenti e della consistenza dei beni dedotti in contratto, anche prescindendo dalle espressioni usate per qualificare il rapporto, si può affermare che «la cessione in godimento di un immobile adibito allo svolgimento di attività produttiva integra una locazione di immobile ovvero un affitto di azienda a seconda che oggetto del contratto sia l'immobile, inteso come unità non produttiva, ovvero una più vasta ed organica unità, capace di autonoma vita economica di cui l'immobile costituisce una componente legata da un rapporto di complementarietà e di interdipendenza con gli altri elementi aziendali», Cass. 17 aprile 1996, n. 3627, cit.
[nota 24] Ai sensi dell'art. 2082 c.c. l'imprenditore individuale che concede in affitto la sua unica azienda cessa di essere un imprenditore: l'affitto di azienda va considerato non tanto come atto economico, ma come atto dispositivo del proprio patrimonio personale.
[nota 25] Il divieto di concorrenza trova applicazione soltanto in caso di alienazione dell'azienda o in caso di usufrutto e di affitto dell'azienda; l'art. 2557 c.c. non è applicabile agli atti aventi natura dichiarativa, ad es. in caso di divisione di beni di una società con assegnazione di azienda o divisione dell'azienda pervenuta da successione ereditaria. Anche in caso di donazione non è applicabile il divieto di concorrenza trattandosi di un atto a titolo gratuito.
[nota 26] La Corte Costituzionale con l'ordinanza 23 del 31 marzo 1988, n. 384, in www.cortecostituzionale.it, ha stabilito che nell'affitto di azienda, l'avviamento costituisce uno degli elementi del complesso aziendale ceduto in godimento, pertanto in caso di perdita, per cessazione del contratto non si realizza il diritto dell'affittuario all'indennizzo. Da ciò discende il diverso trattamento tra locazione di immobili non abitativi ed affitto di azienda: mentre nella locazione di immobile commerciale l'avviamento è una qualità che viene creata dal conduttore da ciò il diritto all'indennizzo al termine della locazione, nell'affitto di azienda, invece, l'avviamento è già insito nel complesso aziendale, privo generalmente di una propria autonomia e come tale indennizzabile. Per evitare l'insorgere di controversie interpretative, le parti potranno accordarsi preventivamente, prevedendo in contratto se intendono attribuire o meno rilevanza economica al maggior avviamento. La clausola potrà, quindi, esplicitamente indicare che al termine dell'affitto, nessun valore potrà essere attribuito all'avviamento oppure indicare che l'affittuario non potrà pretendere alcun indennizzo al termine del contratto per avviamento dell'azienda. In mancanza di esplicite pattuizioni al momento della restituzione dell'azienda il concedente dovrà corrispondere l'eventuale avviamento al conduttore.
[nota 27] L'affitto di azienda, nonché la cessione e l'usufrutto, è stato innovato dapprima dalla L. 12 agosto 1993, n. 310 (legge Mancini) e successivamente dall'art. 8 L. 580/93 attuato con D.P.R. 581/95 con cui è stato istituito il Registro delle imprese. Prima dell'entrata in vigore della L. 310/93 era previsto l'obbligo di denuncia per l'iscrizione nel Registro delle imprese entro trenta giorni dalla conclusione del contratto, tuttavia, la disposizione in mancanza dell'istituzione del suddetto registro non aveva trovato applicazione.
[nota 28] In realtà il Registro delle imprese è stato istituito nel 1996 e prima vi era una sostanziale carenza di pubblicità.
[nota 29] A. RUOTOLO, «Il trasferimento di azienda del piccolo imprenditore e l'obbligo di iscrizione nel Registro delle imprese», Studio n. 5517/I, in Consiglio Nazionale del Notariato, Studi e Materiali, 2005, 2, p. 1176.
[nota 30] Cfr. Cass., sez. trib., 28 marzo 2007, n. 7652, in banca dati Fisconline.
[nota 31] Cfr. Cass. 9 agosto 1990, n. 8098; Cass. 6 dicembre 1995, n. 12576, in banca dati dejure.giuffre.it.
[nota 32] Cfr. G.E. COLOMBO, L'azienda…, cit., p. 117. Possono essere oggetto di trasferimento anche i contratti unilaterali ed i contratti ad effetti reali, nonché i contratti in relazioni ai quali sia stata eseguita una delle prestazioni al momento del trasferimento. In tal senso Cass. 2 giugno 2000, n. 7319 e Cass. 24 giugno 1992, n. 7752, Cass. 23 aprile 1980, n. 2674, in banca dati dejure.giuffre.it
[nota 33] Sul punto si rinvia all'ultimo capitolo ove sono più ampiamente trattati i profili elusivi dell'operazione di affitto di azienda.
[nota 34] Resta a carico dei due soggetti, affittante ed affittuario, il dovere di assolvere al versamento dell'imposta di registro.
[nota 35] V. Art. 2119 c.c.: «Ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto prima della scadenza del termine, se il contratto è a tempo determinato, o senza preavviso, se il contratto è a tempo indeterminato, qualora si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto. Se il contratto è a tempo indeterminato, al prestatore di lavoro che precede per giusta causa compete l'indennità indicata nel secondo comma dell'articolo precedente …».
[nota 36] Cfr. Cass. 24 gennaio 2001, n. 997, in banca dati Fisconline, ha affermato che anche nel caso di affitto di azienda rende applicabile l'art. 1591 del c.c, in base al quale «Il conduttore in mora a restituire la cosa è tenuto a dare al locatore il corrispettivo convenuto fino alla riconsegna, salvo di risarcire il maggior danno». è, quindi, legittima la mancata contabilizzazione dei proventi derivanti dal ritardo nella consegna dei locali, sul presupposto che non possono contabilizzarsi proventi da canoni di affitto oltre la scadenza del contratto. In relazione dalla deducibilità delle quote di ammortamento, nell'ipotesi di finita locazione, la deduzione spetta al proprietario in quanto i locali sono occupati abusivamente dall'affittuario. E ciò in quanto, secondo l'interpretazione sopra illustrata, nei casi di specie non esiste alcun titolo giuridico (contratto di locazione) che legittimi l'affittuario ad operare gli ammortamenti sui beni strumentali aziendali. La Corte di Cassazione, con la sentenza in parola è giunta a differenti conclusioni sostenendo che «il principio di diritto che va affermato è che fino a quando i beni restano nella libera disponibilità dell'affittuario, al proprietario non può competere alcuna deduzione delle quote di ammortamento».
[nota 37] In deroga all'art. 2558 c.c. nell'ipotesi di cessazione anticipata del contratto di affitto la Corte di Cassazione ha negato la successione dell'affittante nei contratti stipulati dall'affittuario, Cass. 29 gennaio 1979, n. 632, in banca dati dejure.giuffre.it.
[nota 38] L'art. 79 L. fall. rubricato "Contratto di affitto d'azienda" testualmente recita: «il fallimento non è causa di scioglimento del contratto di affitto d'azienda, ma entrambe le parti possono recedere entro sessanta giorni, corrispondendo alla controparte un equo indennizzo, che, nel dissenso tra le parti, è determinato dal giudice delegato, sentiti gli interessati». L'indennizzo dovuto dalla curatela è regolato dall'articolo 111, n. 1; il testo dell'articolo è stato così sostituito a seguito dell'abrogazione dell'art. 80-bis dall'articolo 65, comma 1, lettere a) e b) del D.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5 e successivamente sostituito dall'articolo 4, comma 11, del D.lgs. 12 settembre 2007, n. 169, con la decorrenza indicata nell'articolo 22 del medesimo D.lgs. 169/2007.
[nota 39] Cfr. F. FIMMANò, L'affitto di azienda preesistente al fallimento, in www. il caso.it.
[nota 40] Cfr. Cass., sez. trib., 15 maggio 2008, n. 12209, che in merito alla presunzione di cessione di azienda ha sottolineato che la società Fattorie Toscane Riunite Srl è stata costituita in data 9 febbraio 1995, cioè ... immediatamente dopo la stipula del «contratto di affitto» e il «contratto di cessione aziendale» concluso il 16 gennaio 1998 «in virtù del diritto di opzione previsto nel contratto di affitto precedentemente stipulato» aveva ad oggetto una «azienda» che «al momento della cessione era svuotata di fatto di ogni contenuto economico».
[nota 41] Cfr. Art.104-bis L. fall. - Affitto dell'azienda o di rami dell'azienda: «Anche prima della presentazione del programma di liquidazione di cui all'articolo 104-ter su proposta del curatore, il giudice delegato, previo parere favorevole del comitato dei creditori, autorizza l'affitto dell'azienda del fallito a terzi anche limitatamente a specifici rami quando appaia utile al fine della più proficua vendita dell'azienda o di parti della stessa.
La scelta dell'affittuario è effettuata dal curatore a norma dell'articolo 107 L. fall., sulla base di stima, assicurando, con adeguate forme di pubblicità, la massima informazione e partecipazione degli interessati. La scelta dell'affittuario deve tenere conto, oltre che dell'ammontare del canone offerto, delle garanzie prestate e della attendibilità del piano di prosecuzione delle attività imprenditoriali, avuto riguardo alla conservazione dei livelli occupazionali.
Il contratto di affitto stipulato dal curatore nelle forme previste dall'articolo 2556 c.c. deve prevedere il diritto del curatore di procedere alla ispezione della azienda, la prestazione di idonee garanzie per tutte le obbligazioni dell'affittuario derivanti dal contratto e dalla legge, il diritto di recesso del curatore dal contratto che può essere esercitato, sentito il comitato dei creditori, con la corresponsione all'affittuario di un giusto indennizzo da corrispondere ai sensi dell'articolo 111, comma 1, n. 1).
La durata dell'affitto deve essere compatibile con le esigenze della liquidazione dei beni.
Il diritto di prelazione a favore dell'affittuario può essere concesso convenzionalmente, previa espressa autorizzazione del giudice delegato e previo parere favorevole del comitato dei creditori. In tale caso, esaurito il procedimento di determinazione del prezzo di vendita dell'azienda o del singolo ramo, il curatore, entro dieci giorni, lo comunica all'affittuario, il quale può esercitare il diritto di prelazione entro cinque giorni dal ricevimento della comunicazione.
La retrocessione al fallimento di aziende, o rami di aziende, non comporta la responsabilità della procedura per i debiti maturati sino alla retrocessione, in deroga a quanto previsto dagli artt. 2112 e 2560 c.c. Ai rapporti pendenti al momento della retrocessione si applicano le disposizioni di cui alla sezione IV del capo III del titolo II». Articolo inserito dall'articolo 91 del D.lgs. 5/2006, con effetto a decorrere dal 16 luglio 2006. Sul punto cfr. A. PESSINA, «Gli aspetti fiscali dell'affitto d'azienda nel fallimen-to», in Fisco, 10 marzo 2008, p. 1770.
[nota 42] Cfr. FONDAZIONE LUCA PACIOLI, La riforma del diritto fallimentare - Il fallimento: esercizio provvisorio ed affitto di azienda, documento n. 2 del 22 gennaio 2007, in banca dati Fisconline.
[nota 43] Si rinvia per una più ampia trattazione a Bonfatti S., Panzani L. (a cura di), La riforma organica delle procedure concorsuali, Milano, Giuffrè, 2008; F. FIMMANò, «La liquidazione dell'attivo fallimentare nel correttivo della riforma», in Dir. fall., 2007, p. 845.
[nota 44] V. art. 2112 c.c. in tema mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento di azienda e art. 2560 c.c.
[nota 45] La stipula del contratto con familiari e prestanome consente l'esercizio dell'azione di simulazione.
[nota 46] Per ulteriori approfondimenti in merito all'esecuzione di piani di risanamento ed esonero dalla revocatoria cfr. P. PISCITELLO, I piani di risanamento, in Il nuovo diritto fallimentare a cura di G. Olivieri, P. Piscitello, Edit. Scient., Napoli, 2007, p. 117 e ss.
[nota 47] In tal senso, G.E.COLOMBO, L'azienda…, cit., p. 295.
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