Capitolo 2 - Effetti dell'affitto sui soggetti interessati
Capitolo 2
Effetti dell'affitto sui soggetti interessati
di Maria Pia Nastri
2.1. L'affitto dell'unica azienda: la tassazione dei canoni percepiti da un soggetto non imprenditore
Come evidenziato nel capitolo precedente il profilo soggettivo del concedente assume particolare rilievo sotto l'aspetto tributario.
Prima dell'entrata in vigore del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 si riteneva che l'affitto di azienda esplicasse, per i soggetti concedenti persone fisiche solo effetti patrimoniali esclusi dal campo di applicazione delle imposte sui redditi, fatta eccezione delle operazioni poste in essere dai soggetti titolari di reddito di impresa.
Con l'introduzione del Tuir il legislatore fiscale ha, invece, risolto le questioni controverse, ricomprendendo nell'ambito dei redditi diversi i canoni di locazione percepiti dal concedente a fronte dall'unica azienda affittata.
Infatti, la tassazione dei canoni percepiti dall'affitto di azienda, rientra, ai fini dell'imposizione diretta, nei redditi diversi ai sensi dell'art. 67 lett. h) del Tuir nel caso in cui l'imprenditore individuale affitti l'unica azienda posseduta; in tale ipotesi, appare evidente, che l'imprenditore non potrà svolgere un'attività d'impresa che sarà sospesa fino al termine del contratto [nota 1].
L'affitto di azienda avrà una durata prestabilita al cui termine il proprietario rientrerà nella disponibilità azienda e con essa anche del requisito soggettivo di imprenditore che riacquisterà [nota 2] alla scadenza del contratto, salvo il caso di vendita dell'azienda [nota 3].
Ai fini della determinazione della base imponibile è necessario precisare che il canone percepito in dipendenza dell'affitto dell'unica azienda non deve essere scorporato tra parte mobiliare ed immobiliare; l'intero importo, sarà attratto nell'ambito dei redditi diversi, in quanto l'immobile sarà parte integrante dell'azienda [nota 4] da cui saranno decurtati i costi specifici, ad es. costi di manutenzione sostenuti dal concedente, escluse le quote di ammortamento delle quali beneficerà l'affittuario [nota 5].
L'art. 71, comma 2 del Tuir prevede i criteri per la determinazione dell'imponibile: dall'ammontare dei canoni percepiti nel periodo d'imposta si dovranno dedurre le spese inerenti la sua produzione come ad esempio i costi notarili, quelli contrattuali o altre spese che sulla base di clausole contrattuali potranno gravare sul proprietario concedente [nota 6].
Il canone stabilito nel contratto non subirà alcuna modifica in relazione all'andamento dell'azienda, inoltre, dovrà essere assoggettato ad imposizione secondo il criterio di cassa, quindi, l'effettiva imponibilità dei canoni avverrà solo dopo la percezione da parte del concedente [nota 7].
Anche nel caso di affitto d'azienda concesso dagli eredi dell'imprenditore che non continuano l'attività d'impresa i canoni della locazione dell'azienda percepiti dagli stessi pro-quota, concorreranno alla formazione del reddito complessivo dei singoli soggetti come redditi diversi.
Le plusvalenze in caso di successiva cessione saranno determinate ai sensi dell'art. 86 del Tuir deducendo dal prezzo il costo fiscale dei beni così come risulta dai libri contabili.
Nel caso in cui, invece, un imprenditore individuale affitti solo un ramo dell'azienda, il concedente manterrà la qualifica d'imprenditore [nota 8].
Inoltre, anche nel caso in cui l'affitto di azienda viene posto in essere da un imprenditore titolare di più aziende o da una società commerciale di persone o di capitale, il reddito scaturente dai canoni di locazione costituirà reddito d'impresa e sarà determinato attraverso la contrapposizione dei costi ai ricavi.
2.2 La tassazione dei canoni di affitto percepiti dall'imprenditore o da società
La mancanza del requisito soggettivo impedisce la qualificazione del reddito scaturente dai canoni di affitto come reddito d'impresa.
Analogamente, come si vedrà in tema di imposizione indiretta, la carenza dello status di imprenditore precluderà la realizzazione di operazioni imponibili Iva ed il relativo assoggettamento a detta imposta dei canoni di affitto.
L'esclusione dalla categoria del reddito d'impresa è, ovviamente, da attribuire alla mancanza di un'attività d'impresa [nota 9]. Tuttavia, nel caso in cui un imprenditore o una società affitti un'azienda o un ramo di essa, il canone percepito costituirà un componente positivo del reddito di impresa generando ricavi ai sensi, rispettivamente, degli artt. 57 e 85 del Tuir.
Il canone dovrà essere imputato per competenza in base a quanto previsto dall'art. 109 comma 2, lett. b) del Tuir, essendo il contratto di affitto caratterizzato dalla corresponsione di importi periodici, ed in quanto tali si considereranno conseguiti alla maturazione del corrispettivo.
Naturalmente, sotto il profilo soggettivo non vi sono particolari problemi in relazione ai requisiti soggettivi dell'affittuario che sarà necessariamente un soggetto imprenditore.
I problemi, ai fini dell'imposizione diretta, si pongono, in caso di deroga al disposto dell'art. 2561 comma 2, c.c. con riferimento alla deducibilità delle quote di ammortamento dei beni oggetto del contratto di affitto d'azienda e alle spese di manutenzione e riparazione.
Il proprietario concedente che ha sostenuto il costo di acquisizione del bene strumentale non potrà, salvo diversa pattuizione, beneficiare della deduzione della quota di ammortamento, poiché non ha il materiale possesso del bene che è, invece, nella disponibilità dell'affittuario in presenza del contratto di affitto. La temporanea disponibilità dei beni in virtù del contratto di affitto conferisce all'affittuario il pieno godimento di tutti i beni aziendali.
Ad una prima analisi potrebbe apparire che il concedente subisca un aggravio, sotto il profilo fiscale, non potendo dedurre le quote di ammortamento relative ai beni di sua proprietà, tuttavia, il canone pattuito potrà tenere conto anche del deperimento dei beni che si realizzerà a seguito di un normale impiego per la produzione degli stessi; il concedente, al termine del contratto, avrà il diritto alla restituzione dei beni secondo le condizioni d'uso esistenti al momento della sottoscrizione del contratto, oppure ad una somma in denaro equivalente al valore dei beni che sono stati affittati con l'azienda, che se risulteranno deteriorati determineranno un conguaglio in denaro per compensare l'utilizzo degli stessi.
Le parti possono, altresì, prevedere l'inserimento di clausole contrattuali specifiche, diversamente da quanto previsto dal codice civile, comprendendo nel canone di affitto, le quote di ammortamento e non prevedendo il conguaglio in denaro per le differenze inventariali al termine del contratto di affitto.
2.3 L'affitto dell'impresa familiare
L'art. 230-bis c.c. disciplina l'impresa familiare: al primo comma vengono disciplinati i diritti riconosciuti al familiare dell'imprenditore che collabora all'attività aziendale, salvo i casi in cui sia configurabile un diverso rapporto [nota 10].
Il collaboratore familiare, (il coniuge, i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo, come disposto al comma 3 del citato art. 230-bis) che partecipa attivamente con il suo lavoro all'impresa familiare ha diritto, in proporzione alla quantità e alla qualità del lavoro prestato, di mantenimento secondo la condizione patrimoniale della famiglia, di partecipare agli utili conseguiti dall'impresa, di beneficiare degli incrementi conseguiti dalla stessa anche con riferimento all'avviamento. Ha, inoltre, il diritto, sempre ai sensi del primo comma del citato art. 230-bis, di partecipare alle decisioni da prendere a maggioranza sull'impiego degli utili, sull'impiego degli incrementi patrimoniali, sulle scelte inerenti la gestione straordinaria, sugli indirizzi produttivi e sulla cessazione dell'azienda.
Il familiare, può esercitare il diritto di prelazione sull'azienda nel caso di successione per causa di morte o per atto tra vivi.
In caso di successione ereditaria l'azienda, solitamente, viene assegnata ad uno degli eredi che, già, presta il suo lavoro nell'impresa stessa, mentre nel caso di trasferimento tra vivi il familiare potrà esercitare il proprio diritto di prelazione e quindi concludere il contratto anche a parità di condizioni rispetto ad un terzo soggetto interessato all'acquisizione dell'impresa [nota 11].
Se non viene rispettato detto diritto di prelazione il collaboratore familiare potrà agire nei confronti dell'assegnatario oppure del terzo acquirente estraneo. Il comma 4 dell'art. 230-bis prevede, inoltre, la facoltà del familiare di opporsi all'estensione della partecipazione a favore di terzi ed al trasferimento ad altri familiari nell'impresa; quest'ultima ipotesi richiede l'unanimità dei consensi dei familiari partecipanti all'impresa.
L'imprenditore titolare dell'impresa familiare può anche decidere di concederla in affitto: in tal caso, trattandosi di un atto di gestione straordinaria, ai sensi dell'art. 230-bis c.c. i collaboratori vanteranno un diritto di prelazione sull'affitto dell'azienda stessa.
Naturalmente per la durata del contratto, l'imprenditore perderà il requisito soggettivo e, quindi, anche l'impresa familiare non potrà sussistere, salvo successiva ripresa dell'attività al termine del contratto da parte del medesimo titolare dell'impresa.
Il familiare imprenditore dovrà, quindi dare comunicazione ai collaboratori familiari della propria intenzione di affittare l'azienda e delle condizioni contrattuali previste.
In particolare dovrà comunicare l'intenzione di cedere l'azienda in affitto, le condizioni ed i termini dell'accordo, il canone convenuto ed il nome dell'affittuario.
I collaboratori come previsto dall'art. 732 c.c. potranno esercitare il diritto di prelazione entro due mesi dalla comunicazione ricevuta sia singolarmente, ed in tale ipotesi i diritti oggetto del nuovo contratto saranno oggetto di nuova determinazione tra le parti, sia congiuntamente con gli altri collaboratori in misura proporzionale alle quote di partecipazione.
Nel caso in cui i collaboratori decidano, invece, di non esercitare detto diritto di prelazione l'imprenditore dovrà liquidare al collaboratore familiare il diritto di credito ad esso spettante [nota 12].
Se il collaboratore familiare deciderà di cessare le proprie prestazioni, non potrà più percepire la propria quota di utile, ma vanterà il diritto di ottenere una quota di patrimonio dell'impresa.
Ai fini della determinazione della quota di liquidazione sarà necessario confrontare il valore dell'azienda, con quello corrente alla data di inizio della collaborazione del familiare.
In caso di recesso del familiare dall'impresa la somma corrisposta a titolo di liquidazione non ha alcuna rilevanza sotto il profilo fiscale, poiché non è ricollegabile all'attività dell'imprenditore e non è riconducibile ad alcuna categoria reddituale del collaboratore familiare [nota 13]. Pertanto, la liquidazione non sarà soggetta a tassazione per il percipiente ai fini Irpef, né sarà rilevante come componente negativa: non sarà, quindi, deducibile dal reddito d'impresa, non ricorrendo il requisito dell'inerenza previsto dall'art. 109, comma 5 del Tuir, che si realizza per le spese riferite ad attività da cui derivano proventi che concorrono a formare il reddito [nota 14].
2.4 L'affitto dell'azienda coniugale
L'art. 177 lett. d) c.c. dispone che le aziende gestite da entrambi i coniugi la cui gestione è iniziata dopo aver contratto matrimonio rientrano nell'ambito della comunione legale.
Nel caso in cui l'azienda sia risalente ad un periodo antecedente la data del matrimonio e la gestione sia comunque estesa al coniuge la comunione esplicherà i suoi effetti, ma limitatamente agli utili ed agli incrementi.
La disposizione, alla lett. d) citata disciplina la comunione con specifico riferimento alle aziende diversamente dal disposto dell'art. 230-bis che dispone gli effetti per i collaboratori familiari.
La comunione cessa in due ipotesi: se i coniugi sciolgono la comunione ai sensi dell'art. 191 c.c. con le modalità dell'atto pubblico o quando decidono di cedere l'azienda a terzi.
è quest'ultimo il caso oggetto della presente indagine: infatti, la cessione a terzi della gestione dell'azienda richiede, in quanto atto di straordinaria amministrazione (ex art. 180 c.c.), il consenso e la sottoscrizione di entrambi i coniugi.
Può accadere, tuttavia che un coniuge non sia d'accordo nel cedere in affitto l'azienda coniugale, in tal caso all'altro coniuge non resterà altra facoltà che chiedere all'autorità giudiziaria competente l'autorizzazione quando la stipula dell'atto sia necessaria nell'interesse dell'azienda o della famiglia [nota 15].
Taluni atti non possono essere realizzati senza il consenso del coniuge, come, ad esempio, gli atti aventi ad oggetto beni immobili o beni mobili elencati nell'art. 2683 c.c., che saranno annullabili entro un anno dalla data in cui l'altro coniuge ne è venuto a conoscenza o dalla data di iscrizione e in loro mancanza non oltre l'anno di scioglimento della comunione.
Nel caso in cui siano, invece, trasferiti altri beni mobili il coniuge sarà obbligato a ripristinare la comunione o se ciò non sia realizzabile a pagare l'equivalente secondo i valori riferiti al momento dell'operazione.
Diversa è la situazione nel caso in cui l'azienda sia stata costituita in epoca anteriore al matrimonio in relazione al diritto che vanta il coniuge sugli utili e sugli incrementi patrimoniali realizzati a far data dall'inizio della cogestione di entrambi i coniugi. L'inserimento nel contratto di affitto di una clausola specifica con cui si distingue l'ammontare del canone proporzionalmente tra i due coniugi, tenendo conto del patrimonio antecedente alla gestione congiunta, comparato con quello successivo alla costituzione dell'azienda coniugale, è certamente una questione complessa, ma risolutiva al fine di una corretta ripartizione delle quote attribuibili ai due coniugi.
Sotto il profilo tributario, in caso di locazione dell'unica azienda, il canone percepito dai coniugi costituirà reddito diverso per carenza del requisito soggettivo di imprenditore, negli altri casi per il coniuge imprenditore il canone confluirà nel reddito d'impresa, mentre per l'altro coniuge costituirà reddito di partecipazione.
Nel caso in cui i coniugi siano in regime di separazione dei beni l'azienda è gestita sotto forma di società irregolare e, pertanto, si applicheranno gli artt. 2557 e 2558 c.c.
[nota 1] Sul punto più ampiamente v. A. FEDELE, Considerazioni generali sulla disciplina fiscale degli atti e delle vicende dell'impresa, in AA.VV. Il reddito d'impresa nel nuovo testo unico, Padova, Cedam, 1988.
[nota 2] Cfr. L. CARPENTIERI, «L'affitto di azienda nella prospettiva …», cit., p. 91.
[nota 3] Circ. min. 19 marzo 1985, n. 26/321285, in banca dati Big Ipsoa; F. RICCA, «L'affitto dell'unica azienda dell'imprenditore persona fisica», in Corr. trib., 2008, p. 1858 e ss.
[nota 4] In ambito di imposta di registro, come meglio si vedrà nel relativo capitolo, è invece possibile scomporre il canone di affitto, distinguendo tra la parte riferibile ai beni mobili e quella relativa ai beni immobili per procedere, in presenza di aliquote differenti ad una più corretta tassazione.
[nota 5] Non sono deducibili gli ammortamenti dei cespiti compresi nell'unica azienda concessa in affitto anche se è prevista una deroga all'art. 2561 c.c., poiché il concedente con l'affitto perde il requisito soggettivo di imprenditore.
[nota 6] Cfr. G. FERRANTI - L. MIELE, Beni materiali e immateriali, Milano, Ipsoa, 2008, p. 334.
[nota 7] Il canone sarà determinato in misura fissa, anche se potrà essere previsto un aggiornamento periodico per evitare la svalutazione. Le parti potranno, però, prevedere anche un canone variabile commisurato al volume di affari con la previsione di un minimo prestabilito garantendo al concedente un rendimento sicuro a seguito dell'affitto della propria azienda.
[nota 8] Cfr. D. STEVANATO, Inizio e cessazione dell'impresa nel diritto tributario, Padova, Cedam, 1994; C. UNGARI TRASATTI, «Profili civili e fiscali della continuazione dell'impresa in forma individuale da parte dell'unico socio superstite di società di persone», in Riv. not., 2009, 2, p. 168.
[nota 9] In tal senso F. PAPARELLA, Gli aspetti fiscali dell'affitto d'azienda, in AA.VV., L'affitto d'azienda, Atti del Convegno organizzato dall'Unione Giovani Dottori Commercialisti di Roma il 25 luglio 1996, Roma, Buffetti, 1996, p. 323.
[nota 10] Per ulteriori approfondimenti v. A. FANTOZZI, Impresa familiare, dir. trib., in Nov. Dig. it., App. IV, Torino, Utet, p. 86 e ss.; P. FILIPPI, «L'impresa familiare nella riforma tributaria», in Riv. dir. fin., 1976, I, p. 601 e ss.
[nota 11] Il trasferimento dell'azienda in favore di un figlio che collabori già nell'esercizio dell'attività non determina il trasferimento dell'avviamento, poiché non si verifica un passaggio effettivo della titolarità dell'azienda, né il pagamento di un corrispettivo.
[nota 12] Cfr. G. MUSOLINO, «Il diritto di prelazione nell'impresa familiare», in Riv. not., 2010, 2, p. 105.
[nota 13] In base alle disposizioni contenute nell'art. 5 del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, i redditi delle imprese familiari, limitatamente al 49% dell'ammontare risultante dalla dichiarazione dei redditi dell'imprenditore, sono imputati a ciascun familiare collaboratore proporzionalmente alla sua quota di partecipazione agli utili. La situazione giuridica dell'impresa familiare è comparabile a quella dell'impresa individuale, pertanto, con riferimento all'affitto ed alla cessione dell'impresa familiare, trova applicazione la disciplina di cui all'art. 67, comma 1, lettera h), del D.P.R. n. 917 del 1986, in base alla quale l'affitto nonché la successiva cessione dell'unica azienda rientra nell'ambito dei redditi diversi.
Ai sensi dell'art. 230-bis c.c., il collaboratore familiare partecipa agli utili dell'impresa familiare ed ai beni acquisiti con essi, nonché agli incrementi dell'azienda, anche in ordine all'avviamento, in proporzione alla quantità e qualità del lavoro prestato. Pertanto, in caso di cessione dell'azienda familiare, la somma attribuita al familiare collaboratore costituisce plusvalenza assoggettabile a tassazione a carico del collaboratore stesso. Nel caso in cui venga ceduta l'unica azienda dell'imprenditore concessa in affitto, quest'ultimo non solo perderà la qualifica di imprenditore, ma verrà meno anche l'impresa familiare che si contraddistingue per il rapporto di collaborazione di soggetti legati da vincoli di parentela con l'imprenditore titolare. Verranno di conseguenza a mancare i collaboratori cui imputare pro quota la plusvalenza derivante dalla vendita dell'azienda stessa che sarà viceversa imputata al soggetto ex imprenditore dell'impresa familiare. Qualora a seguito della cessione dell'azienda venga attribuita una quota della plusvalenza realizzata agli ex collaboratori familiari per il lavoro prestato nel periodo in cui hanno partecipato all'impresa familiare, le somme erogate a tale titolo non potranno costituire costo fiscalmente rilevante per il soggetto ex imprenditore dell'impresa familiare e quindi non concorreranno a diminuire l'ammontare del reddito diverso che lo stesso è tenuto a dichiarare. Detta diminuzione trova applicazione nel caso in cui i collaboratori dell'impresa familiare siano ancora tali all'atto della cessione dell'impresa e, conseguentemente, i redditi della stessa nonché gli incrementi patrimoniali di cui al citato art. 230-bis, c.c. vanno portati in diminuzione dal reddito dell'impresa familiare attribuibile all'imprenditore, in relazione all'entità delle relative quote dei collaboratori familiari medesimi. Diversamente, nel caso di cessione dell'unica azienda concessa in affitto, i collaboratori dell'impresa familiare non sono considerati tali all'atto della cessione dell'impresa, in quanto l'impresa familiare, unica azienda posseduta dall'imprenditore, risulta affittata al momento dell'operazione di cessione. Pertanto, le somme erogate ai collaboratori familiari a titolo di ripartizione della plusvalenza derivante dalla cessione dell'azienda, non costituiscono crediti verso il patrimonio dell'impresa familiare, bensì nei confronti di un soggetto privato non imprenditore il quale corrisponde le somme stesse a titolo personale. D'altronde, tali somme non appaiono assoggettabili a tassazione nei riguardi dei collaboratori familiari, in quanto non sembrano rientrare in nessuna delle categorie reddituali previste dal D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, né in quelle residuali di cui all'art. 6, né tra i redditi diversi di cui agli artt. 67 e successivi, dello stesso decreto presidenziale.
[nota 14] Cfr. Ris. min. 28 aprile 2008, n. 176/E, in banca dati Fisconline.
[nota 15] Cfr. Cass., sez. trib., 21 maggio 2008, n. 13010, in tema di acquisto pro indiviso con il coniuge di fondo rustico e affitto a soggetto della stessa azienda familiare diretto-coltivatrice. La Suprema Corte in relazione alla concessione dei benefici di coltivatore dispone come segue: «… considerato che, nel caso, in cui è pacifico (Cass. n. 1540/2007, n. 20454/2005, n. 14075/2002), che la F. non ha disposto nè della proprietà, nè di altri diritti reali, ma si è solo limitata, per le evidenziate e non contestate esigenze formali, all'affitto della sua quota indivisa sul fondo, al marito convivente e facente parte della medesima famiglia coltivatrice, deve escludersi ogni compromissione delle predette finalità, restando, sostanzialmente, inalterato l'assetto di interessi realizzato dall'atto di acquisto, ed impregiudicato, anche sul piano operativo, l'obiettivo della formazione e dell'arrotondamento della piccola proprietà contadina, tenuto conto del fatto che l'affitto della quota indivisa è stato effettuato in favore del marito convivente, nonchè contitolare del fondo e dell'azienda familiare diretto-coltivatrice; considerato che deve, dunque, escludersi, alla stregua della disciplina applicabile ratione temporis, che in tema di benefici fiscali concessi per la formazione e arrotondamento della piccola proprietà contadina, ai sensi della L. n. 604 del 1954, e successive modifiche, al mero affitto del bene, possano riconnettersi effetti preclusivi del beneficio stesso, ove resti inalterato l'assetto di interessi realizzato con il rogito di acquisto, il soggetto continui a dare il proprio apporto alla diretta coltivazione del fondo, e l'affitto, riguardante nel caso quota indivisa del fondo, avvenga in favore del contitolare, facente parte della medesima azienda familiare diretto-coltivatrice …».
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