Capitolo 3 - Effetti dell'affitto sui beni
Capitolo 3
Effetti dell'affitto sui beni
di Maria Pia Nastri
3.1 La cessione dell'azienda concessa in affitto: le plusvalenze
L'azienda al termine del contratto, o anche in costanza dello stesso, può essere ceduta all'affittuario interamente o parzialmente; in tale ipotesi la plusvalenza realizzata concorrerà a formare il reddito complessivo come reddito diverso o come componente positiva di reddito, a seconda del soggetto cedente [nota 16].
La cessione potrà essere effettuata dall'imprenditore individuale proprietario dell'unica azienda, anche prima del termine del contratto, e durante il periodo di affitto dell'azienda; in tal caso le plusvalenze realizzate andranno a concorrere alla formazione del reddito complessivo come redditi diversi ai sensi dell'art. 67 comma 1, lett. h) e h-bis), non avendo perso il cedente la qualifica di imprenditore.
In tale ipotesi non si realizza la retrocessione dell'azienda, quindi, il concedente non avrà il requisito di imprenditore, bensì di persona fisica: pertanto la plusvalenza determinata ai sensi dell'art. 86 Tuir concorrerà a formare il reddito complessivo come reddito diverso nell'esercizio in cui verrà percepito, secondo il principio di cassa [nota 17].
La plusvalenza conseguita a seguito di cessione di azienda sarà percepita dal concedente ad eccezione del caso in cui l'affittuario convenga con lo stesso di conservare la titolarità dei beni da lui stesso acquistati per l'azienda.
La tassazione della plusvalenza potrà essere effettuata nel caso di soggetto non imprenditore, nell'anno di percezione per cassa o sulla base di tassazione separata.
Nel caso in cui il proprietario dell'azienda possieda la stessa da più di 5 anni ai sensi dell'art. 17 lett. g) del Tuir potrà optare per la tassazione separata, al fine di conseguire un'imposizione più favorevole. Tale modalità di tassazione sarà, infatti, calcolata sulla base dell'aliquota media determinata sulla metà del reddito complessivo netto del contribuente del biennio precedente la cessione. In tal modo l'imposta sulle persone fisiche calcolata potrebbe essere più conveniente rispetto a quella determinata nell'anno relativo alla cessione [nota 18].
Analogamente le plusvalenze realizzate dall'erede dell'imprenditore (conseguite per successione o per donazione) a seguito di cessione dell'azienda costituiranno redditi diversi: le plusvalenze saranno determinate secondo le modalità prescritte dagli artt. 58 e 86 del Tuir e concorreranno a formare il reddito del cedente come reddito diverso ai sensi del citato art. 67, comma 1 lett. h) del Tuir.
Tuttavia, è necessario precisare che se il proprietario dell'azienda muore, mentre è ancora vigente il contratto di affitto dell'unica azienda posseduta non si realizzeranno plusvalenze in capo agli eredi. Infatti, né l'acquisizione mortis causa, né la successiva cessione dell'azienda sono previste dall'art. 67 lett. h) citato come presupposti per la realizzazione di plusvalenze. Detto articolo collega la tassabilità delle plusvalenze all'ipotesi di vendita dell'azienda e non alla successione mortis causa19.
Appare evidente che il salto d'imposta non si verificherà se gli eredi riprenderanno, invece, l'attività aziendale prima della cessione della stessa [nota 20].
Nel caso in cui il cedente sia, invece, un soggetto imprenditore, o una società o ente commerciale la plusvalenza sarà tassata nel periodo di competenza o per quote costanti nello stesso periodo d'imposta e nei quattro successivi [nota 21].
La tassazione ordinaria prevede l'assoggettamento della plusvalenza nel periodo di competenza tra i componenti positivi del reddito d'impresa di cui all'art. 86 comma 2, del Tuir. Concorrerà in tal modo a formare il reddito d'impresa con assoggettamento, in base al requisito soggettivo del cedente, ad Irpef secondo gli scaglioni di appartenenza o ad Ires.
è possibile, inoltre, chiedere la tassazione frazionata ai sensi dell'art. 86 comma 4, del Tuir nel caso in cui l'azienda risulti posseduta da almeno tre anni, suddividendo la plusvalenza realizzata per quote costanti nell'anno di competenza e nei quattro successivi. Il frazionamento dell'imposta può essere effettuato in un massimo di cinque anni secondo quote costanti. Detta disposizione tiene conto della natura della plusvalenza quale reddito a formazione pluriennale, consentendo di ripartire il prelievo fiscale in un lasso di tempo più lungo. L'opzione per la rateizzazione deve risultare dalla dichiarazione dei redditi e da una variazione in diminuzione dell'utile civilistico per un'ammontare pari alla plusvalenza realizzata mediante cessione di azienda o una variazione in aumento dell'utile civilistico in una misura pari ad 1/5 della plusvalenza. Detto regime frazionato si ritiene non possa essere applicato nel caso in cui oggetto della cessione sia l'unica azienda dell'imprenditore individuale per carenza del requisito soggettivo e del relativo reddito d'impresa di cui all'art. 86 comma 4, del Tuir [nota 22].
La plusvalenza sarà costituita dalla differenza tra il prezzo di vendita pattuito ed il costo netto dall'azienda, così come fiscalmente riconosciuto in capo al cedente. In tale prezzo può essere incluso, anche il costo dell'avviamento se iscritto nell'attivo dello stato patrimoniale del cedente e non ancora ammortizzato del tutto al momento della cessione.
In relazione, poi, alla congruità del corrispettivo pattuito per la cessione dell'azienda rispetto al valore di mercato e all'eventuale azione di accertamento dell'amministrazione i fini della determinazione della plusvalenza imponibile, nonchè agli eventuali riflessi che il valore definito per l'imposta di registro, possa determinare in ambito di imposte dirette si rinvia a quanto sarà più ampiamente esposto nell'ultimo capitolo.
3.2 La cessione e l'acquisto di beni
La cessione e gli acquisti dei beni nell'affitto di azienda non trovano alcuna previsione legislativa, salvo quanto disciplinato dall'art. 2561 comma 4, c.c. in merito alle differenze inventariali in relazione al conguaglio al termine del contratto.
L'affittuario in conformità al disposto degli art. 2561 e 2562 c.c. ha la più ampia facoltà di disporre dei beni mobili, salvo che nel contratto non siano state inserite clausole particolari.
Durante il contratto di affitto potrà, quindi, alienare i beni mobili relativi all'azienda concessa in godimento, mentre per la cessione di beni mobili registrati e di immobili sarà necessario l'intervento del concedente.
Alla luce della nozione così come ricostruita dalla più recente giurisprudenza tributaria nel caso in cui si consideri l'azienda come un'universalità di beni, intesa come complesso organizzato in vista di una finalità produttiva, tutti i beni che saranno acquistati dall'affittuario per il raggiungimento delle finalità perseguite saranno compresi nel complesso aziendale, pertanto, la proprietà delle cose immesse resterà del proprietario dell'azienda, ma all'affittuario verrà riconosciuto un conguaglio che sarà determinato alla fine del contratto dalla consistenza dell'inventario sulla base dei valori correnti tra l'inizio e la fine del rapporto.
Sotto il profilo contabile, secondo detto orientamento, se consideriamo, quindi, l'azienda come centro di attrazione dei beni ivi immessi, ne consegue che l'affittuario non può iscrivere tali beni nel proprio stato patrimoniale, a prescindere dal fatto che siano stati trasferiti originariamente dal concedente o immessi successivamente dall'affittuario nello stato patrimoniale del bilancio, ma provvederà ad inserirli nei conti d'ordine, in quanto beni di terzi [nota 23].
Resta comunque nella libertà contrattuale delle parti prevedere che la proprietà dei beni acquisiti rimanga, invece, in capo all'affittuario [nota 24].
Le cessioni di cespiti in costanza di affitto di azienda trova una forte limitazione nel rispetto dell'obbligo posto a carico dell'affittuario di mantenimento della destinazione e dell'efficienza del complesso aziendale condotto in affitto.
Tuttavia, la cessione di un cespite da parte dell'affittuario deve essere considerata, nell'ambito della sostituzione di beni aziendali o del rinnovo di alcuni di essi obsoleti. Infatti, se all'affittuario è concessa la possibilità di alienare singoli cespiti appartenenti all'azienda condotta in affitto tale diritto sussiste in relazione al possesso di un diritto di godimento sull'azienda complessivamente intesa e non concernente i singoli beni.
Se, invece, riconosciamo la sussistenza, in capo all'affittuario, dei poteri-doveri di gestione nelle veci del proprietario e la conseguente disponibilità dello stesso del patrimonio aziendale, risulterebbe giustificabile l'inserimento dei beni aziendali nello stato patrimoniale dell'affittuario e non nei conti d'ordine. Secondo detta rappresentazione contabile i beni aziendali saranno eliminati dallo stato patrimoniale del concedente iscrivendo in contropartita un credito di restituzione verso l'affittuario di un importo pari al valore netto contabile dell'azienda trasferita.
In ultima analisi e secondo altro orientamento, sarà possibile effettuare una distinzione tra elementi patrimoniali fungibili e infungibili: i beni fungibili verranno iscritti nello stato patrimoniale dell'affittuario ed in maniera speculare in contropartita un debito o un credito di restituzione per un uguale importo [nota 25].
I cespiti infungibili per natura (beni immobili e mobili registrati) non potranno essere alienati senza il consenso del concedente, mentre per i cespiti infungibili per previsione contrattuale sarà necessario il preventivo consenso del concedente.
Naturalmente, aderendo al primo orientamento, se consideriamo i beni non di proprietà dell'affittuario e l'ammortamento del costo effettuato avente una funzione di mero reintegro del valore dei beni dell'azienda, il corrispettivo derivante dalla vendita di alcuni dei beni dell'azienda affittata costituirà per l'affittuario una sopravvenienza attiva ai sensi dell'art. 88 del Tuir quale reddito nel periodo d'imposta della cessione dei beni. In tale ipotesi i beni saranno iscritti nei conti d'ordine dell'affittuario. Diversamente se i beni trasferiti dal concedente all'affittuario vengono inseriti nello stato patrimoniale dell'affittuario si determinerà una plusvalenza imponibile nel periodo d'imposta di competenza.
Tuttavia, i beni sono posti in godimento dell'affittuario, ma restano di proprietà del concedente, pertanto, non potranno generare né plusvalenze, né minusvalenze.
Le teorie aziendalistiche infatti, con riferimento alla rilevazione in bilancio dei beni ricevuti in affitto prediligono la rilevazione tra i conti d'ordine del valore dei beni ricevuti in affitto. Al termine del contratto con la retrocessione dell'azienda l'affittuario rileverà una sopravvenienza passiva di pari importo a quella rilevata al momento della vendita in conseguenza dell'incremento del conguaglio dovuto al concedente. Se, invece, dalla cessione scaturisca una sopravvenienza passiva si ritiene prudenzialmente più corretto rinviare la deduzione di tale componente negativo al momento del conguaglio.
Appare evidente che per il concedente la cessione dei beni avrà rilievo solo con la restituzione dell'azienda in sede di conguaglio. Le variazioni nel patrimonio aziendale scaturenti dalla gestione del titolare del diritto reale di godimento, determineranno una plusvalenza o una minusvalenza in capo al concedente ed una sopravvenienza passiva o attiva in capo all'affittuario.
In relazione ai cespiti infungibili in mancanza di intervento o di preventivo assenso del concedente resteranno iscritti nello stato patrimoniale dello stesso. Infatti, considerato il ruolo attivo che riveste il proprietario dell'azienda in relazione alla cessione dei beni infungibili appare chiaro che la plusvalenza debba essere imputata nel periodo di competenza senza rinviare la rilevazione come sopravvenienza attiva al periodo d'imposta in cui scade il contratto e l'azienda viene restituita.
Anche in questo caso la determinazione pattizia dei limiti alle cessioni di beni da parte dell'affittuario eviterebbe incognite a carico del concedente limitando il rischio di assistere alla cessione dei propri beni e di dover inserire nel proprio reddito plusvalenze scaturenti dalle suddette cessioni.
Risulterebbe, altresì, utile concordare anche un termine per le comunicazioni delle avvenute cessioni, affinché il concedente possa aggiornare lo stato patrimoniale tempestivamente senza dover attendere il conguaglio finale.
Per quanto concerne, invece, gli acquisti l'affittuario al fine di conservare l'efficienza dei beni aziendali nell'ambito dei propri poteri di gestione potrà sostituire i beni deteriorati o acquistarne nuovi. La proprietà dei beni, come anzidetto, spetterà al concedente, mentre l'affittuario avrà diritto al termine del contratto di affitto ad un conguaglio. In caso di deroga dell'art. 2561 c.c. del dovere di mantenere integra ed efficiente l'azienda, il proprietario dedurrà gli ammortamenti e non sarà dovuto alcun conguaglio all'affittuario. L'autonomia contrattuale consente, inoltre, alle parti di tenere distinti gli acquisti effettuati dal concedente e dall'affittuario, anche in assenza di deroga del dovere di manutenzione dell'affittuario.
3.3 La deducibilità degli ammortamenti
La deducibilità degli ammortamenti relativi ai beni aziendali è una delle questioni più complesse in relazione all'affitto di azienda.
In mancanza di deroga all'art. 2561 comma 2 c.c., l'affittuario, avrà sui beni dell'azienda gli stessi poteri del proprietario concedente, dovrà, quindi, conservare l'efficienza e l'organizzazione degli impianti assumendosi gli oneri relativi [nota 26].
L'art. 102, comma 8, del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 disciplina l'ammortamento del beni materiali delle aziende concesse in affitto individuando nel reddito dell'affittuario o dell'usufruttuario la deducibilità delle quote.
Le quote di ammortamento sono commisurate al costo originario dei beni così come risulta dalle scritture contabili del proprietario dell'azienda e deducibili fino a concorrenza del costo non ancora ammortizzato dei beni [nota 27]. Nel canone di affitto di azienda non sono generalmente comprese le quote di ammortamento dei beni strumentali: infatti, questo componente di reddito graverà sull'affittuario, sulla base del valore originario, così come determinato dal registro del concedente e per la parte residua da ammortizzare [nota 28].
Tuttavia, il legislatore in merito alla deducibilità delle quote di ammortamento ha disposto che l'affittuario non potrà dedurre più del 50% del loro ammontare se il concedente non ha tenuto regolarmente il registro dei beni ammortizzabili; inoltre, le quote relative al periodo di ammortamento decorso si considerano già dedotte.
Sotto il profilo contabile vi sono differenti modalità per la rilevazione di tale operazione: le quote di ammortamento vengono computate dall'affittuario per ciascun periodo d'imposta alimentando un fondo di ammortamento.
Allo scadere del contratto quando l'azienda verrà restituita al proprietario verrà effettuato un conguaglio in considerazione del deperimento delle merci e degli impianti attraverso una comparazione tra l'importo dovuto per l'usura dei beni e l'ammortamento effettuato (o accantonamento rischi) da cui emergerà una sopravvenienza attiva o passiva.
Infatti, nel caso in cui sia l'affittuario a dedurre le quote di ammortamento sui beni, il concedente avrà diritto ad un importo commisurato alla perdita del valore dell'azienda. Se le quote accantonate risulteranno maggiori rispetto al conguaglio dovuto al concedente, l'affittuario conseguirà una sopravvenienza attiva pari all'eccedenza delle quote di ammortamento accantonate; se invece le quote accantonate dovessero risultare inferiori rispetto alla perdita di valore dei beni nel reddito dell'affittuario si determinerà una sopravvenienza passiva [nota 29]. Simmetricamente il concedente rileverà una sopravvenienza attiva tassabile nel caso in cui il conguaglio incassato sia superiore alle quote di ammortamento accantonate e nel caso inverso una sopravvenienza passiva deducibile. Il legislatore con l'art. 102, comma 8, Tuir ha attribuito all'affittuario la possibilità della deduzione di quote di ammortamento dei beni dell'azienda condotta in affitto, tuttavia secondo la dottrina prevalente la deducibilità delle quote è legata all'imputazione di un fondo di ammortamento nel passivo dello stato patrimoniale dell'affittuario [nota 30]. Detto orientamento, come anzidetto, prevede che tutti i beni rimangano nello stato patrimoniale del concedente con iscrizione nei conti d'ordine dell'affittuario, analogamente ai beni acquistati in leasing31.
Tuttavia, il fondo di ammortamento non avendo natura rettificativa di valori patrimoniali iscritti nell'attivo del bilancio dell'affittuario (bensì del concedente) è, secondo detta impostazione un fondo anomalo non tanto legato all'effettivo deperimento dei beni, bensì alla necessità di accantonare una somma di denaro per reintegrare l'eventuale perdita di valore subita dai beni aziendali durante il periodo di affitto in conseguenza del loro logorio e consumo.
L'affittuario, in buona sostanza, dovrà per tutta la durata contrattuale accantonare una somma di denaro per compensare l'usura ed il deterioramento dei beni strumentali dell'azienda in affitto.
L'ammortamento sarà effettuato secondo il costo fiscalmente riconosciuto dei beni, e non al valore corrente, in quanto le quote prescindono dall'effettivo deperimento essendo calcolate secondo i coefficienti ordinari delle singole tipologie di beni [nota 32].
L'amministrazione finanziaria ha, infatti, chiarito che le quote di ammortamento che il conduttore stanzia sui beni ottenuti in locazione non hanno la funzione tipica dell'ammortamento, che consiste nel distribuire un costo pluriennale in tanti costi di esercizio nel rispetto del principio di competenza, ma costituiscono degli accantonamenti volti alla creazione di un apposito fondo in funzione del ripristino di valore dei beni strumentali deperiti o deteriorati [nota 33].
Detto orientamento è stato ribadito dalla stessa amministrazione finanziaria con una recente circolare che ha chiarito le modalità di accantonamento degli ammortamenti sotto il profilo contabile [nota 34]. Questi vengono dedotti dall'affittuario dal reddito d'impresa attraverso l'accantonamento al fondo ripristino di beni di terzi condotti in affitto: questa posta non ha natura di fondo rettificativo di valori patrimoniali iscritti in bilancio, ma rappresenta un fondo finanziato dall'affittuario per reintegrare la perdita di valore dei beni durante l'affitto, in conseguenza del deperimento degli stessi [nota 35].
Tuttavia, se consideriamo la posizione dell'affittuario, quale gestore dell'azienda esercente un'attività nell'interesse e nelle veci del proprietario, dovremo analizzare la responsabilità in relazione all'efficienza produttiva della azienda ed il potere di gestione rispetto ai beni dell'azienda.
Questo è l'orientamento dell'Assonime che ha sostenuto la necessaria iscrizione dei beni dell'azienda affittata nell'attivo patrimoniale dell'affittuario e non nei conti d'ordine, come se i beni fossero in realtà di proprietà di quest'ultimo [nota 36].
L'affittuario secondo detta interpretazione, nell'assumere la gestione dell'azienda, acquisisce un potere analogo a quello del proprietario sui singoli beni.
Infatti, anche i beni acquistati dall'affittuario nel corso del contratto dovranno essere iscritti tra le attività di bilancio, al pari degli altri beni già presenti nell'azienda all'inizio del contratto di affitto, riconoscendo comunque la proprietà di detti beni anche al proprietario, analogamente agli altri precedentemente acquistati, salvo conguaglio al termine del contratto.
In tal senso, si era già espressa la giurisprudenza della Corte di Cassazione secondo cui la proprietà di tutti i beni acquistati in costanza di contratto di affitto sono da considerarsi di proprietà del concedente, salvo diverse pattuizioni contrattuali [nota 37].
Sulla base di questa premessa gli ammortamenti dei beni affittati vanno, sempre secondo l'Assonime, imputati nel conto economico quali ammortamenti in senso tecnico.
La circolare precisa inoltre, che, contabilmente è corretta l'iscrizione di ammortamenti in senso tecnico e non di accantonamenti, non avendo nulla di differente rispetto ai normali ammortamenti, poiché le quote prescindono da ogni valutazione circa l'effettivo deperimento e sono commisurati secondo il costo fiscalmente riconosciuto e le quote calcolate secondo gli ordinari coefficienti prestabiliti [nota 38].
In caso, invece, di deroga all'art. 2561 comma 2 c.c., non trova applicazione l'obbligo di conservazione dell'efficienza dei beni ammortizzabili da parte dell'affittuario per cui l'ammortamento sui beni aziendali affittati competerà al concedente [nota 39].
La facoltà concessa alle parti di avvalersi del disposto dell'art. 102, comma 8 del Tuir, della deroga convenzionale all'art. 2561 c.c. relativamente all'obbligo di conservazione dell'efficienza dell'azienda, consente al concedente di assumere su di sé detto onere con la conseguenza che gli ammortamenti saranno deducibili dal suo reddito, anziché da quello dell'affittuario [nota 40]. Tuttavia, si ricorda che l'ammortamento delle quote relative ai beni aziendali sarà deducibile dal concedente solo se manterrà la qualifica d'imprenditore [nota 41].
Anche in questo caso, come innanzi chiarito, se il proprietario dell'azienda concessa in affitto è un soggetto che non riveste la qualifica di imprenditore (perché ha affittato l'unica azienda, o erede dell'imprenditore che non proseguirà l'attività di imprenditore) non potrà dedurre alcuna quota di ammortamento [nota 42].
La mancanza del requisito soggettivo e la deroga all'obbligo di mantenimento dell'efficienza aziendale produrrà la conseguenza di rendere indeducibile l'ammortamento sia per l'affittuario, sia per il concedente.
La deroga, inoltre, eviterà, al termine del contratto di affitto d'azienda, di dover procedere alla complessa determinazione delle sopravvenienze attive e passive scaturite dalla gestione dell'azienda [nota 43].
Quanto illustrato in tema di ammortamento sarà applicabile anche ai beni immateriali oggetto del contratto di affitto di azienda in virtù del rinvio che l'art. 103, comma 4, del Tuir, fa all'art. 102 comma 8, del Tuir.
è necessario sottolineare che la libertà contrattuale di derogare pattiziamente al disposto dell'art. 2561 c.c. dovrà risultare da una scrittura avente data certa a fini probatori. Infatti, la Corte di Cassazione con una recente sentenza ha disconosciuto la deducibilità delle quote di ammortamento in capo al concedente in mancanza di una pattuizione esplicita avente i suddetti requisiti ai fini probatori [nota 44].
Il concedente in giudizio adduceva quale elemento probatorio una scrittura privata non autenticata e quale ulteriore elemento le scritture contabili dell'affittuario da cui era desumibile la mancata deduzione delle quote di ammortamento da parte di quest'ultimo.
3.4 Cenni sulla rivalutazione degli immobili nell'affitto di azienda
Il tentativo di correlare le norme civili e quelle fiscali con la rivalutazione, anche alla luce delle recenti interpretazioni ministeriali, consente di individuare nell'affittuario il soggetto che potrà procedere alla rivalutazione dei beni che la compongono secondo le modalità previste dalle singole leggi d'imposta [nota 45].
La disciplina in tema di rivalutazione di immobili si colloca in maniera analoga a quanto previsto in tema di deducibilità di ammortamenti [nota 46].
Infatti, secondo la recentissima circolare dell'11 marzo 2009 n. 11/E, la rivalutazione potrà essere effettuata solo dall'affittuario o in caso di deroga all'articolo 2561 c.c., dal concedente [nota 47]. La circolare precisa che la riserva di rivalutazione, se non sia stata utilizzata per coprire perdite e non sia stata distribuita sarà restituita al concedente che vanterà un credito per l'imposta sostitutiva riferibile alla riserva trasferita. L'immobile verrà consegnato all'affittuario in base al valore contabile e secondo l'orientamento prevalente, iscritto tra i conti d'ordine. Durante la gestione ordinaria l'affittuario potrà stanziare accantonamenti per eventuali deterioramenti del bene di cui farsi carico e dedurre fiscalmente le quote di ammortamento spettanti, mentre il concedente non sarà fiscalmente legittimato a dedurre alcun ammortamento. In mancanza di deroga all'articolo 2561 c.c., la rivalutazione sarà effettuata dall'affittuario che verserà l'imposta sostitutiva. Al termine del contratto l'affittuario restituirà l'azienda trasferendo al concedente i benefici della rivalutazione e quest'ultimo potrà subentrarne negli effetti, iscrivendo, quindi, l'immobile al maggior valore, "ereditando" la riserva [nota 48].
3.5 Le differenze inventariali: i conguagli di fine affittanza
I rapporti tra concedente e affittuario, in relazione alle differenze inventariali sono determinati ai sensi dell'art. 2561, comma 4, c.c. sulla base del confronto tra l'inventario all'inizio del contratto di affitto e quello redatto al termine del suddetto contratto.
Il citato articolo tende ad assicurare la restituzione al concedente dei beni facenti parte della dotazione aziendale consegnata all'affittuario all'inizio del contratto, che tuttavia avrà subìto un logorio o deperimento a causa dell'uso durante il contratto di affitto, pertanto, la norma dispone un conguaglio in denaro per compensare il deperimento dei beni per effetto dell'uso dell'affittuario. Detto soggetto, avrà, come innanzi chiarito, effettuato degli accantonamenti attraverso delle quote di ammortamento tenendo conto anche dei beni obsoleti sostituiti e dei nuovi beni acquistati.
Al termine del contratto di affitto si effettuerà un raffronto tra le differenze inventariali di inizio e fine contratto secondo i valori correnti.
In merito a detto profilo l'art. 2561 comma 4, cit. fa riferimento ai valori correnti in relazione al termine del contratto; tuttavia i valori posti a confronto dovranno essere omogenei non risultando corretto un raffronto tra valori contabili a inizio contratto e valori correnti a fine contratto.
L'inventario di inizio contratto sarà redatto sulla base di valori contabili ed al termine del contratto si redigerà un inventario che terrà conto dei valori iscritti per poter effettuare le eventuali rettifiche contabili. Sarà necessario redigere anche un inventario di fine affittanza secondo i valori correnti e ricalcolare l'inventario iniziale secondo i suddetti valori. Infatti, i valori da comparare, al fine della determinazione della differenza inventariale, dovranno essere omogenei.
Gli inventari redatti in base al valore di mercato dovranno essere elaborati effettuando una rilevazione del patrimonio completa e nel rispetto dei principi di chiarezza e precisione: saranno, infatti, iscritti tutti gli elementi attivi e passivi che compongono il patrimonio affittato.
I criteri di valutazione da utilizzare terranno conto per i crediti e debiti, del valore nominale diminuito delle presunte perdite da realizzo e le immobilizzazioni saranno valutate secondo il valore corrente; infatti il valore di bilancio è un costo storico rettificato indirettamente dalle quote di ammortamento, mentre le immobilizzazioni immateriali valutabili autonomamente secondo i valori di mercato verranno valutate come le immobilizzazioni materiali. Le altre immobilizzazioni immateriali ad es. l'avviamento che non è in genere annoverabile tra gli elementi oggetto del contratto di affitto, in presenza di differenti previsioni contrattuali potrà essere valutato in sede extracontabile comparando la differenza inventariale.
Per quanto concerne le differenze di magazzino è necessario distinguere prodotti finiti e semilavorati che potranno essere valutati secondo il valore di realizzo, o il valore corrente o, ancora, la somma del costo di produzione, per le merci e le materie prime ai sensi dell'art. 2425 c.c. la valutazione verrà effettuata confrontando il valore di realizzo e quello desunto dall'andamento di mercato ed assumendo il minor valore tra i due.
I fondi rischi e oneri sono valutati secondo gli stessi criteri utilizzati per la redazione del bilancio di esercizio [nota 49].
Ovviamente i valori scaturenti si discosteranno dai valori iscritti in bilancio, poiché saranno influenzati sia da fenomeni economici, sia dal deperimento o obsolescenza di taluni beni: si determineranno in tal modo variazioni in aumento o in diminuzione. Risulterà difficile, infatti, una valutazione reale dell'azienda per mancata conoscenza della gestione della stessa nel suo complesso.
Dal punto di vista dell'attribuzione dei valori emergono problemi di stima che dovrà essere effettuata da un perito; anche in questo caso la previsione contrattuale dei criteri da utilizzare ai fini della redazione del bilancio iniziale e finale potrà risolvere eventuali contrasti in sede di conguaglio.
Si pensi, ad esempio, alla difficile valutazione dei beni immateriali al termine di un contratto.
Dal raffronto delle differenze inventariali potrà evidenziarsi una maggiore o minore consistenza dell'azienda, dando luogo nel primo caso ad un conguaglio in denaro a favore dell'affittuario, mentre nel secondo caso ad un conguaglio in denaro a favore del concedente; se dal raffronto non emergerà alcuna differenza non saranno, naturalmente, dovuti conguagli.
L'affittuario dovrà, quindi verificare se gli accantonamenti (ammortamenti) effettuati nel corso del rapporto contrattuale siano sufficienti o meno ai fini del conguaglio.
Se l'ammontare delle quote di accantonamento sarà superiore al conguaglio dovuto al concedente, si determinerà una sopravvenienza attiva a carico dell'affittuario, se invece dette quote saranno inferiori al conguaglio dovuto la differenza costituirà per l'affittuario una sopravvenienza passiva.
L'amministrazione finanziaria ha, infatti, chiarito che il concedente dovrà, al termine del rapporto tenere conto degli ammortamenti effettuati dall'affittuario, pertanto i valori fiscali costituiranno una sopravvenienza attiva tassabile se il conguaglio sarà superiore alle differenze inventariali, oppure se inferiore, determinerà una sopravvenienza passiva deducibile [nota 50].
Con riferimento ai beni acquistati dall'affittuario in costanza di affitto di azienda la Corte di Cassazione, come evidenziato in precedenza, ritiene che i beni acquistati dall'affittuario sono da considerarsi di proprietà del concedente salvo il diritto di conguaglio dell'affittuario al termine del contratto [nota 51]. Tuttavia, la disciplina pattizia potrà diversamente prevedere che i beni acquistati dall'affittuario durante il contratto di affitto saranno di sua proprietà e non rileveranno in sede di conguaglio [nota 52].
Eliminare l'obbligo di conguaglio di fine affittanza pone però dei problemi in relazione alle quote di ammortamento: infatti, ai sensi dell'art. 102 comma 8 del Tuir all'affittuario è riconosciuta la deduzione delle quote di ammortamento in considerazione della circostanza che all'atto di riconsegna dell'azienda, incomberà sullo stesso la reintegrazione patrimoniale per l'eventuale deperimento dell'azienda stessa [nota 53].
Appare evidente che in mancanza di una normativa specifica, si potranno evitare contrasti tra il concedente e l'affittuario solo attraverso preventivi accordi inseriti nel contratto di affitto.
Spesso infatti, i conguagli finali sono fonte di divergenze se non vengono definiti i criteri da seguire nella determinazione dei prezzi delle scorte e dei criteri di valutazione dei beni materiali e immateriali.
Infatti, è opportuno ribadire che la mancanza di deroga dall'art. 2561 c.c. potrà determinare una certa autonomia dell'affittuario anche in relazione all'acquisto di nuovi beni eliminandone altri obsoleti e, quindi, un miglior andamento dell'azienda, tuttavia il concedente sarà spogliato dei suoi beni senza venirne a conoscenza preventivamente, pur se reintegrato di altri beni di nuova acquisizione.
Ciò potrebbe determinare, se esaminiamo le singole fattispecie anche un contrasto in relazione alle scelte di gestione effettuate.
Naturalmente inserire una clausola contrattuale che subordini le cessioni al consenso preventivo del concedente o limitare l'acquisto e la cessione a determinate tipologie di beni potrebbe risolvere l'insorgere di un eventuale contenzioso.
è necessario, però, chiarire che nella prassi contrattuale è più facile rinvenire casi di esclusione dei conguagli di fine affittanza con relative iscrizioni in capo all'affittuario di sopravvenienze attive ed in capo al concedente di sopravvenienze passive.
3.6 L'indennizzo per avviamento
Come innanzi esaminato alla scadenza del contratto si verificheranno le consistenze dell'inventario e l'eventuale differenza rispetto all'inizio del rapporto sarà regolata con un conguaglio in denaro ai sensi dell'art. 2561 c.c. sulla base dei valori correnti al termine dell'affitto [nota 54].
Il problema della quantificazione del conguaglio può porsi anche con riferimento all'avviamento. Sinteticamente, in questa sede senza entrare nel merito dell'annosa querelle dottrinaria in merito alla nozione di avviamento, possiamo definire quest'ultimo come la capacità dell'impresa di conseguire profitto: detta potenzialità viene commisurata rispetto alle capacità future dell'azienda, tuttavia, talvolta vengono presi in considerazione anche gli anni precedenti [nota 55].
Infatti, considerate le responsabilità della gestione e i riflessi sul valore dell'azienda, l'avviamento rappresenta un valore soggetto a forti oscillazioni. Il problema si pone in relazione alla determinazione del valore in caso di retrocessione dell'azienda, sempre che, sia stata inserita una clausola relativa al conguaglio.
L'indennizzo per l'avviamento è un tema dibattuto in dottrina ed in giurisprudenza, tuttavia, partendo dal costante orientamento della Cassazione che ritiene detto elemento potenziale una qualità dell'azienda e non un elemento autonomo, si può sostenere che seguirà le sorti della stessa rientrando nel patrimonio del proprietario al termine del contratto di affitto.
Pertanto, l'avviamento non sarà computato tra gli elementi dell'indennizzo ai sensi dell'art. 2561 ultimo comma citato, trattandosi di una qualità dell'azienda e non di un elemento materiale o immateriale [nota 56].
La giurisprudenza, giunge alla medesima conclusione anche attraverso altre motivazioni, quali ad esempio l'impossibilità di riconoscere la proprietà commerciale dell'avviamento.
La giurisprudenza, in passato, ammetteva addirittura l'esistenza del diritto dell'affittuario al rimborso del valore corrispondente all'incremento dell'avviamento ovvero delle somme erogate per l'incremento stesso.
Tuttavia, la dottrina dominante ritiene che nel caso in cui l'incremento dell'avviamento sia effetto di spese dell'affittuario, questo sarebbe indennizzabile [nota 57].
Nell'ambito dell'affitto di azienda l'avviamento dovrà essere calcolato nell'inventario iniziale e finale per poter determinare l'effettivo incremento o decremento dell'attività aziendale [nota 58].
L'indennità dovrebbe, però, essere individuata solo per l'incremento di avviamento determinato dai miglioramenti apportati direttamente dall'affittuario [nota 59].
Infatti, nel potere di gestione è compreso il potere di apportare miglioramenti dell'affittuario dell'azienda, pertanto, per gli incrementi apportati all'azienda nel suo complesso - costituito dall'incremento dell'avviamento - l'affittuario ha il diritto di ricevere un'indennità data dalla differenza tra l'aumento del valore dell'azienda e le spese sostenute per tale incremento e non confluite nella determinazione dei singoli elementi aziendali [nota 60].
Nonostante l'ampia autonomia delle parti in merito, spesso sorgono controversie anche nei casi in cui non sia stato contrattualmente previsto alcun indennizzo per le eventuali variazioni di avviamento [nota 61].
Come innanzi evidenziato, l'indennizzo per avviamento strettamente connesso con l'attività di gestione dell'azienda ad opera dell'affittuario dovrà essere commisurato tenendo conto della redditività futura dell'azienda [nota 62]. Infatti, le scelte aziendali compiute dall'affittuario nello svolgimento della sua attività di gestione possono determinare il mutamento dell'azienda. La previsione di un compenso per l'avviamento potrà sollecitare l'affittuario a condurre l'attività in modo efficiente e con mezzi adeguati ed il concedente al termine del contratto potrà ottenere un'azienda con una maggiore redditività.
Sotto il profilo contabile il compenso per il maggior avviamento non farà parte delle variazioni delle consistenze di fine affittanza che ex art. 2561 c.c. vengono annualmente accantonate tramite il procedimento di ammortamento, salvo che il cedente abbia considerato l'avviamento al momento dell'acquisizione dell'azienda.
Il compenso in parola non scaturisce da disposizioni di carattere normativo, ma dalla volontà delle parti, e pertanto dovrà essere contabilizzato (e diverrà fiscalmente rilevante) secondo le ordinarie norme che regolano le componenti di costo e di ricavo aziendale. Detto compenso non sarà deducibile negli anni in cui matura (ovvero nei vari esercizi in cui l'avviamento viene creato), ma solo al momento di estinzione del contratto, in cui l'onere stesso viene individuato e quindi diviene certo ed oggettivamente determinabile ai sensi degli artt. 64 e 109 del Tuir. Il proprietario dell'azienda non potrà imputare annualmente a conto economico un apposito costo, addebitando in contropartita una voce a debito verso il proprietario dell'azienda, ma eventualmente creare un apposito fondo in cui stanziare quanto presumibilmente dovrà essere pagato al conduttore.
3.7 Le rimanenze di magazzino
Il proprietario dell'azienda potrà inserire tra i beni oggetto del contratto di affitto anche l'eventuale magazzino includendolo tra i beni oggetto delle pattuizioni su cui determinare il corrispettivo [nota 63].
Tuttavia, le caratteristiche delle rimanenze di magazzino, soggette a deperimento o trasferite nel tempo ad altri soggetti terzi, crea difficoltà in relazione al ripristino della medesima tipologia di beni da restituire al concedente. Inserire dette rimanenze nell'ambito del contratto di affitto potrebbe, dunque, generare ulteriori problemi in sede di conguaglio.
Per evitare dette difficoltà le merci possono essere trasferite separatamente prima del contratto di affitto con fattura, oppure è possibile stipulare un contratto estimatorio che consenta all'affittuario di pagare il concedente subordinatamente alla vendita delle merci frazionata nel tempo.
Come precisato nel capitolo precedente l'affittuario subentra di fatto nella titolarità dei rapporti giuridico-tributari relativi agli elementi patrimoniali trasferiti.
Il valore fiscale dei crediti e dei beni in magazzino, viene trasferito nell'ambito del contratto di affitto di ramo d'azienda entrando a far parte della sfera giuridica dell'affittuario.
Le svalutazioni tassate in capo al concedente sono dedotte dall'affittuario se risultano da elementi certi e precisi [nota 64].
L'Agenzia delle entrate con la risoluzione n. 424/E del 5 novembre del 2008, ha risposto ad un interpello presentato da una società affittuaria di un ramo d'azienda in relazione al corretto trattamento fiscale delle svalutazioni operate in precedenza dal locatore.
L'Amministrazione finanziaria ha chiarito che in caso di affitto di un ramo d'azienda, l'affittuario «subentra nei contratti stipulati per l'esercizio dell'azienda stessa che non abbiano carattere personale» e, quindi, si sostituisce al locatore nella gestione dell'azienda affittata, subentrando nella titolarità dei rapporti giuridici e dei relativi valori patrimoniali del ramo d'azienda. Ai fini dell'imposizione diretta l'affittuario subentra al concedente nelle posizioni fiscali relative agli elementi patrimoniali trasferiti: i relativi valori fiscali che si erano formati in capo al concedente entrano a far parte della sfera giuridico – tributaria dell'affittuario e rilevano nella determinazione del suo reddito d'impresa.
In relazione ai crediti, l'Agenzia precisa che sono riconosciuti in capo all'affittuario i valori fiscali dei crediti e le relative svalutazioni tassate e nel caso in cui tali crediti vengano, poi, incassati dall'affittuario, questo potrà dedurre le eventuali perdite, sempre a patto che «risultino da elementi certi e precisi» [nota 65].
3.8 Le spese di manutenzione
Il presupposto su cui si fonda la deducibilità delle spese di manutenzione è lo stesso su cui è basato il diritto di dedurre gli ammortamenti, per cui generalmente spetterà all'affittuario, salvo deroga all'art. 2561 c.c.
è necessario ricordare, come più volte evidenziato, che l'affittuario, in mancanza di deroga è obbligato a gestire l'azienda in modo da conservare l'efficienza dell'organizzazione, degli impianti e le normali dotazioni di scorte. Tale obbligo si traduce nell'onere per l'affittuario di sostenere le spese di manutenzione ordinaria e di sostituzione dei beni deteriorati o logorati, mentre le c.d. spese di manutenzione straordinaria sono poste a carico del proprietario, salvo che una specifica clausola non disponga che anche tali spese sono sostenute dall'affittuario.
Come noto, le spese di manutenzione straordinaria incrementano il valore del bene aumentandone la produttività o la vita utile con il fine di conseguire un miglioramento del risultato economico, invece, quelle di manutenzione ordinaria rappresentano un costo volto a mantenere in buono stato di funzionamento i beni aziendali.
La deducibilità delle spese di manutenzione, tuttavia, differisce a seconda se i beni siano di proprietà, oppure di terzi [nota 66].
Infatti, per i beni di proprietà le spese di manutenzione straordinaria sono capitalizzate sul costo storico del bene su cui sono stati eseguiti gli interventi stessi: il costo andrà computato in bilancio sotto forma di maggiore quota di ammortamento con la medesima aliquota cui i beni si riferiscono. In tal modo le quote di ammortamento subiranno un incremento imputabile ad ogni esercizio [nota 67].
Le spese di manutenzione ordinaria sono deducibili ai sensi dell'art. 102, comma 6, del Tuir nei limiti del 5% del costo complessivo di tutti i beni materiali ammortizzabili quale risulta all'inizio dell'esercizio dal registro degli stessi beni.
Il limite del 5% alla deducibilità in sede di determinazione del reddito d'impresa comporta, nel periodo di competenza, una variazione in aumento dell'utile civilistico in misura pari all'eccedenza di spese di manutenzione ordinarie su beni propri di competenza dell'esercizio, rispetto al limite massimo deducibile e nei cinque periodi d'imposta successivi a quello di competenza e una ripresa in diminuzione dell'utile civilistico in misura pari ad un quinto dell'eccedenza delle spese di manutenzione ordinarie su beni propri rispetto al limite massimo che l'imprenditore ha portato in deduzione nel periodo d'imposta di competenza.
Le spese di manutenzione ordinaria sui beni di terzi, sono deducibili integralmente nel periodo d'imposta in cui vengono sostenute, mentre le spese di manutenzione straordinaria, relative a più esercizi, sono deducibili, ai sensi dell'art. 108 comma 3 del Tuir nel minore periodo tra la durata residua del contratto di locazione.
In relazione al contratto di affitto di azienda sembrerebbe applicabile la descritta disciplina per quanto concerne le spese di manutenzione ordinaria, su beni di terzi (del concedente) [nota 68].
Tuttavia, è stata propettata anche una diversa soluzione secondo cui tali spese sono deducibili nei limiti dell'art. 102, comma 6, del Tuir e in tal senso, il limite del 5% andrebbe calcolato in funzione di un valore complessivo dei cespiti che comprenderà sia i beni acquistati in corso di contratto, sia i beni presi in affitto in origine come risultanti dal registro dei cespiti dell'affittuario.
In merito la nota del 7 ottobre 1996, n. 42049 della Direzione regionale dell'Emilia Romagna ha affermato che l'affittuario dovrà, quindi, prendere visione del registro dei cespiti ammortizzabili del concedente e tenere un proprio registro dei beni ammortizzabili, sul quale saranno effettuate le annotazioni relative ai beni strumentali.
Naturalmente se le spese di manutenzione saranno dedotte dall'affittuario secondo il citato limite del 5% del valore dei beni, il concedente in qualità di imprenditore non potrà dedurre le suddette spese per i beni concessi in affitto.
Le spese di manutenzione straordinaria, se a carico dell'affittuario per espressa pattuizione, in quanto spese sostenute su beni di terzi saranno disciplinate dall'art. 108, comma 3 del Tuir, potranno, inoltre, essere poste a incremento del costo dei beni cui afferiscono calcolando un maggior ammortamento deducibile dall'affittuario, salvo deroga al codice civile.
Tuttavia, può talvolta accadere che contrattualmente venga prevista una diversa ripartizione: gli oneri straordinari a carico del concedente e quelli ordinari a carico dell'affittuario. In tal caso la deducibilità delle spese sarà ripartita tenendo conto dei rispettivi oneri a carico delle parti.
3.9. Cenni sugli aspetti contabili dell'affitto di azienda
Le parti, come ampiamente chiarito, possono disciplinare il contratto ponendo condizioni e vincoli che saranno inserite in apposite clausole; naturalmente le disposizioni pattizie del contratto di affitto saranno rilevanti sotto il profilo della rilevazione contabile.
Sinteticamente è opportuno riepilogare gli aspetti salienti: con il contratto di affitto, infatti, non viene trasferita la titolarità dell'azienda, ma solo un diritto di godimento del complesso aziendale in capo all'affittuario dietro corresponsione di un canone periodico per un periodo di tempo prestabilito contrattualmente; alla scadenza del contratto di affitto, l'azienda tornerà nella disponibilità del concedente, ma sarà necessario procedere ad una valutazione del patrimonio aziendale in modo da rilevare un'eventuale differenza di valore rispetto alla situazione iniziale e corrispondere un conguaglio in denaro ex art. 2561 c.c. pari alla differenza tra le consistenze di inventario iniziali e finali oppure, l'azienda può essere ceduta all'affittuario a titolo definitivo.
Contabilmente sarà, quindi, necessario procedere ad effettuare le relative scritture contabili, che risentiranno però di differenti orientamenti. Vi sono, infatti, tre diverse possibilità di effettuare le rilevazioni contabili delle operazioni relative all'affitto di azienda.
Secondo l'orientamento prevalente la proprietà degli elementi patrimoniali compresi nell'azienda affittata resta del concedente, pertanto, l'evidenziazione nello stato patrimoniale dell'affittuario potrebbe indurre ad erronee considerazioni da parte dei terzi, in ordine alla effettiva consistenza patrimoniale, laddove il suo attivo patrimoniale evidenziasse valori relativi a beni non di sua proprietà. Appare, quindi più corretto l'inserimento nei soli conti d'ordine di entrambi i contraenti dei beni aziendali in affitto.
La seconda teoria prevede l'inserimento parziale nello stato patrimoniale dell'affittuario e nei conti d'ordine di entrambi i contraenti; in particolare la contabilizzazione è differente per: i beni infungibili (beni immobili e beni mobili registrati), dotati di una loro precisa caratterizzazione, non suscettibili di poter essere sostituiti con altri di analoga natura o specie e che permangono nello stato patrimoniale dell'affittante in quanto non possono essere esclusi dal complesso aziendale senza un intervento attivo dello stesso, mentre, i beni fungibili (beni mobili materiali e immateriali), sostituibili con altri di analoga natura o specie senza che ciò determini una variazione significativa nella qualità e nella struttura del complesso aziendale del quale fanno parte, vengono trasferiti nello stato patrimoniale dell'affittuario contro l'iscrizione di un credito da riconsegna nello stato patrimoniale dell'affittante.
La terza teoria prevede l'inserimento totale nello stato patrimoniale dell'affittuario e nei conti d'ordine di entrambi i contraenti di tutti i beni di cui è costituito il complesso aziendale, con rilevazione, per l'affittuario del debito di restituzione verso il concedente e, per quest'ultimo, del credito da riconsegna verso l'affittuario. Detto orientamento si fonda sull'assunto che oggetto del contratto di affitto è l'azienda e non direttamente i singoli elementi patrimoniali che la compongono, ed anche se il trasferimento avviene sulla base di un titolo non traslativo della proprietà, in ogni caso per l'affittuario discende un obbligo di restituzione del complesso aziendale nella sua globalità [nota 69].
La prima teoria è certamente la più accreditata: infatti la modalità più diffusa di rilevazione contabile prevede il mantenimento di tutti gli elementi patrimoniali trasferiti all'affittuario nello stato patrimoniale del concedente e l'iscrizione tra i conti d'ordine dell'affittuario dell'impegno verso il concedente per "beni di terzi presso di noi" e la contemporanea iscrizione tra i conti d'ordine del concedente dell'impegno di terzi per "beni nostri presso terzi".
Quindi, alla data di stipula del contratto d'azienda, l'affittuario non inserisce le immobilizzazioni dell'azienda affittata nello stato patrimoniale del proprio bilancio, ma soltanto nel sistema secondario dei conti d'ordine. Simmetricamente, il concedente mantiene i beni dell'azienda nel suo stato patrimoniale e provvede alla registrazione nei conti d'ordine del passaggio dell'azienda presso la disponibilità dell'affittuario.
Pur in mancanza di un esplicito riferimento nell'art. 2424 c.c., si ritiene necessario indicare nei conti d'ordine la natura e il valore dei beni di terzi che, temporaneamente, si trovano nella disponibilità dell'affittuario in virtù del contratto stipulato.
Inoltre, sempre nella fase iniziale l'affittuario inserisce l'importo del proprio impegno complessivo, costituito dai canoni d'affitto che dovrà corrispondere al concedente per la durata del contratto. Nel caso in cui l'affitto d'azienda comprenda rimanenze di magazzino queste non devono essere inserite tra i conti d'ordine, ma rientrano fra le operazioni di gestione, quindi, da contabilizzare nel sistema principale del trasferimento delle rimanenze.
Se l'affitto comprenda, anche, il fondo Tfr in capo all'azienda affittata, questo non deve essere indicato nei conti d'ordine, ma come per il magazzino, rientrerà a far parte del sistema principale.
Nel corso del contratto l'affittuario contabilizza le operazioni ordinarie di un'impresa in funzionamento, fra le quali rientrano il ricevimento delle fatture relative ai canoni di locazione dovuti per l'affitto dell'azienda, i canoni sono soggetti ad Iva ad aliquota ordinaria, fatta eccezione del caso in cui l'imprenditore individuale affitti l'unica azienda, in tal caso il canone è assoggettato ad imposta di registro.
L'affittuario procederà alla rettifica dell'impegno indicando la diminuzione dell'impegno nei conti d'ordine per il canone riscosso che può avvenire a scadenze periodiche oppure, direttamente alla riconsegna.
Tuttavia, sotto un profilo meramente teorico-contabile la rilevazione più corretta di un contratto d'affitto d'azienda appare essere quella descritta con la seconda interpretazione. La distinzione tra beni fungibili e infungibili permette di distinguere in modo più chiaro il rapporto contrattuale che consiste nel trasferimento a titolo non traslativo della proprietà di un insieme di elementi patrimoniali, che ha per oggetto non i singoli elementi patrimoniali trasferiti, bensì il complesso organico da essi costituito. Pertanto, la scelta di mantenere a priori tali beni nella contabilità del concedente non appare del tutto coerente alla particolare natura dell'accordo, in considerazione del fatto che, pur trattandosi di trasferimento non traslativo della proprietà, l'affitto d'azienda attribuisce all'affittuario un'ampia facoltà di disposizione dei beni facenti parte dell'azienda, ivi inclusa l'alienazione a terzi, con i soli limiti che derivano dalle norme inderogabili di legge (ad es. per i beni immobili e ai beni mobili registrati e dalle pattuizioni contrattuali intercorse tra le parti nel caso in cui venga pattuita la non alienabilità da parte dell'affittuario). Il contratto di affitto potrebbe prevedere per determinati beni, espressamente individuati, un divieto di alienazione a terzi, pertanto non sembra corretta la scelta di trasferire, in ogni caso, i beni aziendali nella contabilità dell'affittuario.
La mancanza di disposizioni normative e le possibili variabili inserite con clausole nell'ambito del contratto creano la necessità di utilizzare una rilevazione contabile elastica. Appare, quindi, più corretto, mantenere i beni infungibili nello stato patrimoniale del concedente, mentre per gli altri beni (c.d. fungibili) sarebbe preferibile il trasferimento nello stato patrimoniale dell'affittuario contro l'iscrizione di un credito di restituzione nello stato patrimoniale del concedente.
Le scritture del concedente
Il concedente dovrà, redigere l'inventario iniziale a valori contabili per gli elementi patrimoniali dell'azienda oggetto di affitto evidenziando nei conti d'ordine le attività e passività relative all'azienda data in affitto; se il locatore prosegue un'attività d'impresa, dovrà anche contabilizzare i canoni periodici d'affitto, fatturati all'affittuario.
Il locatore, al momento della retrocessione dovrà eseguire le scritture di assestamento, al fine di rispettare il criterio della competenza economica in merito ai componenti reddituali relativi alla frazione di esercizio antecedente il giorno di consegna dell'azienda all'affittuario ed effettuare lo storno dei conti d'ordine accesi alla stipulazione del contratto e, se non già effettuato al momento della riscossione dei vari canoni, lo storno degli impegni di corresponsione dei fitti dell'affittuario.
Alla conclusione del contratto, sarà necessario contabilizzare le differenze emergenti tra inventario iniziale e finale, con l'obiettivo di adeguare i valori rispetto a quelli emergenti dall'azienda riconsegnata dall'affittuario. Il concedente dovrà, poi, contabilizzare la differenza tra il capitale netto emergente all'inizio del contratto e quello finale, entrambi rivalutati in base ai valori correnti al termine del contratto, con l'obiettivo d'individuare la differenza inventariale, regolabile in denaro, e la eventuale sopravvenienza attiva o passiva.
Le scritture dell'affittuario
L'affittuario deve evidenziare nei conti d'ordine le attività e passività relative all'azienda avuta in affitto, oltre all'importo dei canoni complessivamente stabiliti in contratto; dovrà anche contabilizzare, secondo il criterio di competenza i canoni periodici d'affitto, fatturati dal locatore, nonché i relativi pagamenti, con connesse registrazioni nei conti d'ordine relativi alla diminuzione del complessivo debito verso il locatore.
Al termine del contratto, il locatore deve eseguire le scritture di assestamento, al fine di rispettare il criterio della competenza economica in merito ai componenti reddituali relativi alla frazione di esercizio antecedente il giorno di riconsegna dell'azienda al locatore (es. quote di accantonamento al fondo ripristino azienda in affitto, al Tfr, ai debiti per fatture da ricevere).
Per quanto concerne gli ammortamenti saranno calcolati in base alle aliquote fiscali al costo di acquisizione dei cespiti sostenuto dal concedente nel periodo precedente la stipulazione del contratto di affitto. Inoltre, si dovrà contabilizzare la differenza tra il saldo contabile degli elementi di credito e di debito nei confronti del locatore includendovi il fondo ripristino azienda in affitto, riferito agli ammortamenti ed il conguaglio in denaro: da tale differenza emergerà una sopravvenienza attiva o passiva. Infine, verranno chiusi i conti principali attivati nella gestione aziendale, sia i saldi dei conti d'ordine.
Le sopravvenienze attive e passive. La tassazione del conguaglio
Le modalità di tassazione della differenza tra l'importo del conguaglio in denaro ed il saldo dei valori fiscalmente riconosciuti, sono subordinate alla verifica del requisito soggettivo del concedente in relazione alla qualifica d'imprenditore. Il conguaglio in denaro che l'affittuario deve corrispondere al termine del contratto costituisce un provento per il concedente nella misura in cui esso eccede la differenza tra il netto patrimoniale - a valori fiscali - iniziale e quello finale: tale provento configura una sopravvenienza attiva se il concedente manterrà la qualifica di imprenditore.
Se, invece, l'imprenditore ha affittato l'unica azienda, perdendo lo status imprenditoriale, l'eccedenza costituirà un reddito diverso che sarà assoggettato ad una tassazione per cassa.
Il conguaglio in denaro, che l'affittuario deve corrispondere al termine del contratto, costituisce una sopravvenienza passiva del concedente, nella misura in cui esso è inferiore alla differenza tra il netto patrimoniale, secondo i valori fiscali, iniziale e quello finale (se il concedente resti un imprenditore).
Gli ammortamenti
Come già evidenziato il fondo di ammortamento, seguendo l'orientamento dominante, non assolve alla normale funzione di fondo da ripartire su più esercizi il costo sostenuto per l'acquisto dei beni strumentali, bensì quello di una sorta di fondo accantonamento a fronte di spese future.
Ciò in considerazione del fatto che, al termine del contratto, l'affittuario generalmente, e salvo deroga, versa al concedente le somme di denaro corrispondenti al deperimento e consumo dei beni concessi in affitto, e dovrà corrispondere una eventuale somma a titolo di differenza tra le consistenze d'inventario iniziale e finale che dovrebbero corrispondere al deperimento e consumo dei beni concessi in affitto.
Quindi, se l'indennizzo corrisposto è superiore al deperimento subìto, cioè al fondo di ammortamento, si realizzerà una sopravvenienza attiva, diversamente nel caso in cui l'indennizzo sia inferiore al deperimento subìto, si avrà una sopravvenienza passiva.
In sede di bilancio, il fondo ammortamento avente la funzione di reintegrare la perdita di valore che i cespiti possono subire durante il periodo d'affitto, verrà riclassificato nella voce fondo rischi ed oneri mentre, gli altri fondi del passivo dello stato patrimoniale, non avendo natura rettificativa saranno considerati al pari degli ordinari fondi di ammortamento.
è importante sottolineare che nell'ambito dell'affitto di azienda, spesso coesistono sia il bilancio redatto secondo i valori contabili per determinare il risultato economico infrannuale ed un bilancio straordinario redatti a valori correnti per stimare il valore del capitale economico dell'azienda. Infatti, prima della stipulazione del contratto di affitto dell'azienda, si redigono un inventario iniziale sia a valori contabili che a valori correnti, comprendente gli elementi attivi e passivi oggetto del trasferimento.
La valutazione a valori correnti consente di stimare il capitale economico d'azienda e di evidenziare eventuali plusvalori conseguiti.
[nota 16] In tal senso G. FALSITTA, Le plusvalenze nel nuovo testo unico: profili critici e ricostruttivi della nuova disciplina, in AA.VV., Il reddito d'impresa nel nuovo testo unico, Padova, Cedam, 1988, p. 39.
[nota 17] Le plusvalenze da cessione d'azienda qualificate come redditi diversi sono imponibili secondo il principio di cassa, che caratterizza i redditi diversi; in tal modo concorrono a formare il reddito del cedente al momento dell'effettivo incasso del corrispettivo pattuito, diversamente dai redditi d'impresa imponibili secondo il principio di competenza.
[nota 18] Cfr. M. LEO, Le imposte sui redditi nel testo unico, Milano, Giuffrè, 2006, p. 395. Secondo l'autore è dubbio se la plusvalenza derivante dalla cessione di azienda concessa in affitto dall'imprenditore individuale possa essere assoggettata a tassazione separata ai sensi dell'art. 17 del Tuir. L'art. 67 comma 1, lett. h), del Tuir. stabilisce che tale plusvalenza concorre alla formazione del reddito complessivo e, pertanto, non sembrerebbe applicabile la tassazione separata. Tuttavia, l'art. 17, comma 3, del Tuir consente l'assoggettamento alla predetta tassazione anche per i redditi conseguiti da soggetti non imprenditori e, quindi, potrebbe ravvedersi la possibilità di applicare la lett. g) del comma 1 del medesimo art. 17 che subordina la tassazione separata al possesso dell'impresa da più di cinque anni. Nel computo dei cinque anni, dovrebbero essere esclusi quelli in cui l'azienda è stata oggetto di affitto in quanto nel corso degli stessi vi è stata una sospensione dell'esercizio dell'attività. Invero, il periodo di affitto potrebbe essere, comunque, considerato in quanto il proprietario ha mantenuto la proprietà dell'azienda ancorché gestita dal conduttore. In tal senso circ. min. 18 dicembre 1997, n. 320/E che ha chiarito le modalità di verifica del possesso quinquennale in senso favorevole al contribuente: l'eventuale periodo in cui l'azienda è stata concessa all'affittuario non interrompe il decorso del quinquennio per il proprietario ai fini della tassazione separata.
[nota 19] Cfr. ris. min 18 luglio 2001, n. 237/E, in banca dati Fisconline secondo cui: «... Nel caso prospettato con l'interpello, la donazione viene effettuata nei riguardi di un soggetto diverso dai familiari e, pertanto, la disposizione agevolativa di cui all'art. 54, comma 5, del Tuir, si applica per effetto dell'art. 16 della L. n. 383 del 2001, a condizione che il donatario continui nell'esercizio dell'attività economica».
[nota 20] Il principio di continuità dei valori fiscalmente riconosciuti rappresenta il principio cardine del nostro sistema tributario per evitare doppie imposizioni o salti d'imposta.
[nota 21] Antecedentemente alla riforma di cui al D.lgs. 344/2003 la plusvalenza derivante dalla cessione di azienda poteva essere assoggettata a tassazione, mediante l'applicazione dell'imposta sostitutiva del 19% ai sensi del D.lgs. 358/97 abrogato al 1 gennaio 2004.
[nota 22] In tal senso anche l'orientamento dell'amministrazione finanziaria che con circ. min. 19 dicembre 1997, n. 320 in tema di conferimento dell'unica azienda dell'imprenditore individuale chiarisce: «… L'art. 3, comma 3, del provvedimento in esame disciplina l'ipotesi della cessione, anche a titolo gratuito, delle partecipazioni ricevute dall'imprenditore individuale a seguito del conferimento dell'unica azienda posseduta. La disposizione di cui trattasi ha natura antielusiva in quanto intende evitare che il conferimento dell'unica azienda da parte di un imprenditore individuale, il quale per effetto della cessione medesima perde tale qualifica, venga posto in essere al solo scopo di aggirare la disciplina sui beni di impresa, trasformando la plusvalenza insita nell'azienda in una plusvalenza su partecipazioni assoggettabili in capo alla persona fisica ad una tassazione più favorevole rispetto a quella che verrebbe a gravare sulla plusvalenza conseguita su beni in regime d'impresa. Il comma in esame stabilisce che la cessione, anche a titolo gratuito, delle partecipazioni ricevute a seguito del conferimento si presume effettuata nell'esercizio dell'impresa ed è fatta salva l'applicazione dell'art. 16, comma 1, lettera g), del Tuir, qualora ne sussistano i presupposti alla data del conferimento. Nell'ipotesi in esame, la plusvalenza realizzata sarà assoggettata a tassazione ordinaria interamente nell'esercizio del realizzo della cessione senza poter usufruire della rateizzazione prevista dall'art. 54, comma 4, del Tuir. Ciò in quanto la presunzione operata dalla norma in ordine al mantenimento del regime di impresa ha rilievo soltanto nei confronti della cessione della partecipazione medesima …».
[nota 23] Per ulteriori approfondimenti in relazione alla pluralità di sistemi contabili, nel diverso ambito tributario e sulla presenza di imponibili diversi a seconda del sistema contabile adottato cfr. E. RUGGIERO - G. MELIS, «Pluralità di sistemi contabili, diritto commerciale e diritto tributario: l'esperienza italiana», in Rass. trib., 2008, p. 1624; P. FABBROCINI, Inquadramento sistematico della fiscalità dei soggetti Ias Adopter, a cura di S. Fiorentino, in www.innovazionediritto.unina.it.
[nota 24] Cfr. Cass. 12 ottobre 1973, n. 2574, in banca dati dejure.giuffre.it.
[nota 25] Cfr. Cass. 24 agosto 1998, n. 8364; Cass., sez. trib., 28 gennaio 2002, n. 993, in banca dati dejure.giuffre.it.
[nota 26] V. D. STEVANATO, «Affitto di azienda e ammortamenti. Note a margine di una recente risoluzione», in Rass. trib., 1997, p. 405.
[nota 27] Per ulteriori approfondimenti cfr. G. FALSITTA, voce Ammortamenti, dir. trib., in Enc. giur. Trecc., vol. II, Roma, 1988; A. MONTI, Gli ammortamenti, in AA.V.V., L'imposta sul reddito delle persone fisiche, in Giurisprudenza sistematica di diritto tributario a cura di F. Tesauro, Torino, Utet, 1994, p. 865; F. NAPOLITANO, Gli ammortamenti, in Il reddito d'impresa a cura di G. Tabet, Padova, Cedam, 1997, p. 189.
[nota 28] In tal senso Cass., sez. trib., 15 gennaio 2007, n. 675, con nota di D. MURARO, «Affitto di azienda e disciplina dei costi fiscalmente riconosciuti», in Corr. trib., 2007, p. 1233.
[nota 29] Cfr. G. AULETTA, «Logorio e perimento di beni nell'usufrutto di azienda», in Riv. soc., 1967, p. 1180; M. MICCINESI, Affitto e usufrutto d'azienda, in Commentario al testo unico delle imposte sui redditi, Roma - Milano, 1989, p. 411.
[nota 30] F. NAPOLITANO - P. MUCCARI, «L'ammortamento dei beni dell'azienda affittata», in Boll. trib. 1997, p. 1350; F. DEZZANI - P. PISONI - L. PUDDU, Il bilancio, Milano, Giuffrè, 1996, p. 163.
[nota 31] Cfr. Dir. reg. entr. Emilia Romagna, nota 7 ottobre 1996, n. 42049, in banca dati Fisconline, in cui è chiarito che: «… La deducibilità delle quote è legata all'imputazione al conto economico con contropartita contabile di un fondo di ammortamento; i beni saranno iscritti tra i conti d'ordine in analogia ai beni acquistati in leasing. Trattandosi di un fondo di ammortamento che non ha natura rettificativa di valori patrimoniali iscritto nell'attivo del bilancio appare evidente che si tratta di un fondo anomalo, improprio; in sostanza non legato tanto all'effettivo deperimento e logorio dei beni stessi quanto all'accantonamento necessario per reintegrare l'eventuale perdita di valore subìta dai beni aziendali durante il periodo di affitto in conseguenza del loro deperimento e consumo. L'innovazione introdotta dal richiamato testo unico con riferimento alla possibilità di deduzione delle quote di ammortamento da parte dell'affittuario va interpretata come riconoscimento del costo derivante dalla differenza tra le consistenze, iniziale e finale, dell'inventario; costo che si forma nell'intero periodo di affitto dell'azienda. La determinazione in base ai coefficienti di ammortamento assume un carattere parametrico. In relazione a quanto precede, è l'importo del conguaglio che deve incidere fiscalmente sul bilancio dell'affittuario, con la conseguenza che sarà determinata una sopravvenienza attiva o passiva a seconda che le quote accantonate siano superiori o inferiori all'importo del conguaglio. Per quanto riguarda la posizione del locatore, i proventi derivanti dall'affitto sono redditi diversi o d'impresa a seconda che lo stesso sia o meno titolare di un'unica azienda. Con riferimento al conguaglio, si ricorda che esso deriva dalla differenza, effettuata sulla base dei valori correnti, delle consistenze inventariali di inizio e termine locazione. Quindi, l'affittuario dovrà procedere alla chiusura dei conti, riconosciuti ai fini fiscali, per la riconsegna al locatore che, in caso di continuazione dell'attività, dovrà proseguire dagli stessi valori fiscali. Il saldo emergente dal raffronto, a valori fiscali, dei netti patrimoniali, iniziale e finale, rappresenta la reintegrazione patrimoniale per il deperimento dell'azienda riconosciuto fiscalmente; la differenza tra l'importo del conguaglio e il suddetto saldo costituisce una sopravvenienza tassabile o deducibile in capo al locatore».
[nota 32] Il fondo ammortamento in questione non ha, quindi, natura rettificativa di valori patrimoniali, poiché riduce il residuo costo ammortizzabile dei beni del concedente al termine del contratto. Detta considerazione ha ovviamente conseguenze anche in sede di determinazione della plusvalenza fiscalmente rilevante, in tal senso, S. DESIDERI, «Il regime fiscale del fondo di ammortamento dei beni dell'azienda affittata», in Corr. trib., 1996, p. 3770.
[nota 33] Cfr. circ. min. 26 luglio 2000 n. 148/E, in banca dati Fisconline, che in materia di Irap chiarisce la natura delle quote di ammortamento che l'affittuario iscrive contabilmente per i beni concessi in godimento; dette quote pur non avendo la funzione tipica prevista per l'ammortamento che consiste nel distribuire un costo pluriennale in tanti costi d'esercizio nel rispetto del preordinato principio di competenza, costituiscono degli accantonamenti per il ripristino di valore dei beni utilizzati in costanza di contratto di affitto.
[nota 34] Cfr. ris. 6 ottobre 2008, n. 375/E, in banca dati Fisconline, che testualmente chiarisce: «... Da ultimo, si ricorda che nel contratto di affitto di azienda gli ammortamenti che l'affittuario deduce dal reddito d'impresa sono effettuati, dal punto di vista contabile, mediante l'imputazione a conto economico di appositi "accantonamenti" al fondo di ripristino dei beni di terzi condotti in affitto. Tale ultima posta non ha, evidentemente, natura di fondo rettificativo di valori patrimoniali iscritti nel bilancio (nel caso specifico nei conti d'ordine), ma rappresenta un vero e proprio autofinanziamento effettuato dall'affittuario per reintegrare a vantaggio del locatore (ai sensi dell'art. 2561 c.c.) la perdita di valore subìta dai beni durante il periodo di affitto in conseguenza del loro deperimento e consumo ...» Sul punto v. F. Dezzani - L. Dezzani, «Ris. min. 6 ottobre 2008, n. 375/E - Aziende date in affitto o in usufrutto: la deducibilità dell'ammortamento dei beni», in Fisco, 3 novembre 2008, p. 7317.
[nota 35] Sul punto per ulteriori considerazioni sul disallineamento tra valori civilistici e fiscali dei beni, v. F. GALLIO - F. BADIOLI - E. BRESSAN, «Deduzioni extracontabili ed affrancamento delle differenze di valori in caso di affitto di azienda», in Dial. trib., 2009, p. 97.
[nota 36] Cfr. circ. Assonime del 10 maggio 2000, n. 34, «… Intendiamo riferirci, in particolare, alle problematiche concernenti il trattamento agli effetti dell'Irap degli ammortamenti relativi ai beni strumentali ricompresi nei contratti di affitto o usufrutto d'azienda …». Si ricorderà, in proposito, che nella circolare n. 141/E del 1998 (cfr. il par. 3.2.1.3.3.) il ministero delle finanze, muovendo dall'asserita classificabilità - secondo i criteri indicati dal richiamato documento integrativo dei principi contabili nazionali - degli ammortamenti relativi ai cespiti dell'azienda condotta in affitto o in usufrutto nella voce B13 del conto economico, ritenne di non poter riconoscere tali costi in deduzione dall'Irap. Nella nostra circolare n. 52 del 1998 (cfr. il par. 3.10), avemmo modo di esprimere alcune perplessità sulla fondatezza dell'affermazione ministeriale; tanto da ipotizzare la possibilità che il ministero intendesse, in effetti, riferirsi, più precisamente, ai fondi costituiti dal conduttore (affittuario-usufruttuario) per il rinnovo, in corso di contratto, dei cespiti aziendali ovvero per l'effettuazione di opere di manutenzione straordinaria. D'altra parte, ove riferita agli ammortamenti in senso tecnico - che, in quanto tali, sono idonei ad abbattere il costo fiscale dei cespiti cui si correlano - la soluzione ministeriale sul punto sarebbe risultata inconciliabile con la regola di carattere generale, introdotta dal D.lgs. n. 176 del 1999 con effetto già per il periodo d'imposta 1998, secondo cui a prescindere dalla collocazione nel conto economico concorrono comunque a formare il valore della produzione gli oneri (e i proventi) correlati a componenti positivi o negativi rilevanti ai fini del valore della produzione di periodi d'imposta precedenti o successivi. Invero, anche muovendo dal presupposto, tutt'altro che pacifico, della classificabilità degli ammortamenti in questione nella voce B13 anziché nella voce B10, gli stessi avrebbero dovuto ugualmente rilevare ai fini dell'Irap proprio perché "collegati" al costo fiscale dei beni assunti in carico dal conduttore (affittuario-usufruttuario) e, quindi, correlati a eventuali componenti imponibili (plusvalenze o minusvalenze) che tali beni possono generare.
Comunque, il nuovo assetto normativo elimina, ove ve ne fosse bisogno, ogni residua incertezza sulla questione. In ragione, tuttavia, dell'importanza che il tema riveste, sia agli effetti delle rappresentazioni di bilancio sia agli effetti della disciplina fiscale in genere, riteniamo opportuno, di seguito, esprimere più compiutamente il nostro pensiero. Al riguardo, occorre anzitutto sottolineare che la regola posta dall'articolo 67, comma 9, del Tuir, la quale individua nel conduttore (usufruttuario o affittuario) l'imprenditore abilitato a dedurre gli ammortamenti, non sottende finalità, per così dire, agevolative; essa, piuttosto, fissa un criterio per adeguare la determinazione del reddito imponibile all'utile economico effettivo dell'impresa condotta in affitto (o in usufrutto); ciò, nel presupposto che lo stanziamento delle quote di ammortamento nelle scritture contabili del conduttore sia una diretta conseguenza della natura e degli effetti civilistici del contratto. Riprova ne è che l'articolo 14, comma 2, del D.P.R. 4 febbraio 1988, n. 42, recante disposizioni correttive e di coordinamento del Tuir, stabilisce espressamente che la ricordata regola non si applica «… nei casi di deroga convenzionale alle norme dell'articolo 2561 del codice civile, concernenti l'obbligo di conservazione dell'efficienza dei beni ammortizzabili». Ciò premesso, occorre riconoscere che sotto il profilo civilistico il tema dell'iscrizione di questi beni nell'impresa del conduttore e del loro ammortamento ha, da sempre, generato incertezze. In ossequio, infatti, ad una meccanica applicazione del principio tradizionale, secondo cui non potrebbero trovare rappresentazione nello stato patrimoniale i beni che non sono di proprietà dell'imprenditore - e che quindi non sono avocabili dai creditori in occasione di un suo eventuale fallimento - la prassi contabile si è indirizzata nel senso di provvedere all'iscrizione di tali cespiti nei conti d'ordine del bilancio dell'impresa dell'affittuario o usufruttuario. Al contrario, la migliore dottrina civilistica, cui riteniamo di dover aderire, afferma che anche tali beni vanno iscritti nel patrimonio dell'impresa dell'affittuario o usufruttuario proprio in virtù dei poteri-doveri contrattuali che questi assume; poteri-doveri che (ove, beninteso, non derogati dalle parti) trascendono quelli di un normale usufrutto o affitto di singoli beni, esplicandosi - come accennato - nell'assunzione da parte del conduttore della posizione di gestore dell'azienda nell'interesse e nelle veci del proprietario e, quindi, nell'assunzione di analogo dominio sui singoli cespiti per mantenere l'efficienza produttiva della azienda stessa, quale "universitas".
D'altra parte, nessuno dubita che l'usufruttuario (o affittuario) può e deve disporre, ad esempio, delle merci al fine di realizzare i correlati ricavi e che, pertanto, per misurare esattamente l'utile deve contrapporre ai ricavi i costi di tali merci iscrivendole fra i propri cespiti aziendali. Così come non suscita incertezze il fatto che fra tali cespiti vadano iscritti i beni immessi nell'azienda dallo stesso conduttore tanto in sostituzione delle scorte cedute quanto delle immobilizzazioni dismesse. In quest'ottica, anche l'iscrizione nel patrimonio aziendale - come taluni propongono - solo dei beni sostituiti e il mantenimento nei conti d'ordine di quelli originari ancora presenti nella azienda "affittata" (o concessa in usufrutto) suscita notevoli riserve. è pacifico, infatti, in giurisprudenza e in dottrina civile, che, salvo patto contrario, sui beni sostituiti si instauri fin dal momento dell'acquisto l'identica situazione giuridica esistente sui beni originari successivamente dismessi: e cioè, il diritto di proprietà del locatore (o la nuda proprietà del concedente in caso di usufrutto) e il potere-dovere gestorio dell'affittuario o usufruttuario. Quindi, la descritta impostazione contabile finirebbe per rappresentare i componenti di un'unica azienda, e per di più sottoposti alla medesima situazione giuridica, parte nello stato patrimoniale e parte nei conti d'ordine del bilancio dell'affittuario (o usufruttuario).
In definitiva, l'iscrizione degli uni e degli altri nella contabilità dell'imprenditore-conduttore (o usufruttuario) verrebbe a realizzare la rappresentazione omogenea e coerente di un patrimonio avente, per il tempo contrattuale, identica natura e destinazione: un patrimonio, cioè, disponibile per l'affittuario (usufruttuario) e, viceversa, indisponibile per il proprietario ma che, al contempo, esprime un debito di restituzione del primo nei confronti del secondo al termine del rapporto. Sotto altro profilo, e in via più generale, non può non osservarsi che per la corretta determinazione degli utili di gestione occorre necessariamente detrarre gli ammortamenti conseguenti al deperimento e al logorio degli elementi aziendali: è questo un principio che ha assunto carattere normativo generale per tutti gli imprenditori che esercitino l'attività mediante aziende in proprietà, in virtù dell'applicazione delle norme sui bilanci delle società per azioni e che - secondo la migliore dottrina - deve conseguire analoga forza normativa anche in relazione alle ipotesi di usufrutto o affitto d'azienda, posto che anche in tali ambiti contrattuali i beni aziendali vanno computati alla fine del rapporto concessorio nello stato anche di logorio in cui si trovano per misurare i debiti e i crediti reciproci fra le parti. In conclusione, l'ammortamento, quale tipico strumento di conservazione dell'integrità del patrimonio aziendale e di individuazione, per differenza, degli accrescimenti costituenti utili effettivi, è un principio portante del bilancio dell'impresa e tanto più essenziale, nel rapporto di affitto o usufrutto di azienda, in quanto dà conto con criteri di competenza durante lo svolgimento del rapporto concessorio, degli obblighi di restituzione facenti capo all'usufruttuario o affittuario.
Ovviamente, è utile ribadire, l'ammortamento non compete all'usufruttuario o affittuario dell'azienda quando le parti hanno derogato all'obbligo di mantenere in efficienza i beni ammortizzabili; di conseguenza, non spettando ai fini civilistici, esso non può trovare riconoscimento - come già accennato - neanche ai fini tributari, giusta la citata disposizione dell'articolo 14, comma 2, del D.P.R. n. 42 del 1988. Al riguardo, è appena il caso di segnalare che la volontà delle parti va ricostruita in base a tutti gli elementi contrattuali. Non sarebbe, ad esempio, di per sé sufficiente, perché l'ammortamento spetti all'usufruttuario o affittuario, che questi abbia assunto esclusivamente l'onere della manutenzione dei cespiti aziendali, essendo una tale incombenza insita naturalmente nel rapporto concessorio. Occorre acclarare, invece, che i poteri-doveri gestori siano stati trasferiti in misura piena all'usufruttuario o affittuario: in particolare, sia stato trasferito a tale soggetto il potere-dovere di decidere anche la cessione o la sostituzione dei cespiti in parola nell'interesse più generale della conservazione dell'integrità del patrimonio aziendale nel suo insieme e, conseguentemente, il rischio del deterioramento tecnico-fisico dei cespiti stessi, cui si correla, per l'appunto, lo stanziamento dell'ammortamento.
Per motivi di completezza, giova accennare infine anche ad un altro profilo del contratto di affitto o usufrutto di azienda, parallelo alle tematiche fin qui esaminate.
Intendiamo riferirci al fatto che, secondo la dottrina civilistica, le scritture contabili relative alla azienda gestita dovrebbero essere redatte dall'usufruttuario o affittuario conformemente all'inventario di consegna dell'azienda nel quale i beni aziendali dovrebbero essere rilevati, ai fini civilistici, al loro valore attuale al momento della consegna stessa (e non ai costi storici dell'imprenditore-concedente): ciò, in funzione dell'esecuzione in futuro degli obblighi di restituzione assunti dall'affittuario o usufruttuario per la conclusione del rapporto.
Ai fini fiscali, viceversa, la norma sancisce, come è noto, il principio di continuità dei valori dei beni assunti con quelli esistenti presso l'impresa del concedente (cfr. citato articolo 14 del D.P.R. 42 del 1988). Vi è, quindi, una non perfetta coincidenza fra questi regimi che suscita taluni inconvenienti. Manca, in altri termini, nella disciplina fiscale la possibilità di rilevare per competenza l'intero ammontare del debito di valore che l'imprenditore-concessionario viene ad assumere con l'instaurazione del rapporto di affitto o di usufrutto e conseguentemente di correlare il relativo maggior onere ai redditi prodotti nel periodo di svolgimento del rapporto medesimo. Stante il delineato assetto normativo, sembrerebbe logico che queste differenze assumano rilievo fiscale per l'affittuario o l'usufruttuario a chiusura della relazione contrattuale, analogamente agli eventuali conguagli attivi e passivi che le parti regolino in denaro ai sensi del più volte citato articolo 2561 del codice civile».
[nota 37] Cfr. Cass. 12 ottobre 1973, n. 2574, in banca dati dejure.giuffre.it, secondo cui tutti i beni che vengono immessi nell'azienda dall'affittuario fanno parte integrante del complesso aziendale; infatti la proprietà dei beni immessi è del concedente divenendo parte integrante dell'azienda. L'affittuario avrà diritto solo ad un conguaglio da calcolare sulla base delle differenze inventariali, a valori correnti, tenendo conto delle consistenze tra inizio e fine del contratto di affitto; Cass. 20 aprile 1994, n. 3775, in banca dati dejure.giuffre.it, ove è precisato che il concedente non potrà pretendere un indennizzo per aver incrementato l'avviamento dell'azienda, costituendo detto elemento una qualità essenziale della stessa e non un bene materiale o immateriale; Cass. 24 agosto 1998, n. 8364, in banca dati dejure.giuffre.it. In tale sentenza la Corte chiarisce che ai fini del calcolo delle differenze inventariali si dovrà fare riferimento al termine effettivo del contratto e non alla data di rilascio dell'azienda; Cass., sez. trib., 28 gennaio 2002, n. 993, cit., in cui la Corte chiarisce che nell'affitto di azienda la differenza tra consistenze di inventario tra inizio e fine contratto è regolata in denaro sulla base dei valori correnti al termine dell'affitto. A tal fine sarà necessario concretamente un inventario iniziale.
[nota 38] In tal senso L. CARPENTIERI, «L'affitto di azienda nella prospettiva …», cit., p. 791.
[nota 39] Cfr. P. BERTOLASO - R. BODONI, «Affitto di azienda, conservazione dell'efficienza e variazioni delle consistenze di fine inventario: implicazioni civilistico fiscali», in Rass. trib., 2003, p. 1698; F. NAPOLITANO, «Affitto di azienda: disciplina e problemi pratici», in Corr. trib., 1991, p. 802.
[nota 40] Cfr. Cass., sez. trib., 21 gennaio 2008, n. 1172, con nota di F. MENTI, «Affitto di azienda e opponibilità della convenzione che deroga al principio di deduzione degli ammortamenti da parte dell'affittuario», in Dir. e prat. trib., II, 2008, p. 689 e ss.; A. MONTI, «Affitto, e usufrutto di azienda nella normativa del testo unico delle imposte sui redditi», in Rass. trib., 1990, p. 590; L. CARPENTIERI, «L'affitto di azienda nella prospettiva …», cit., p. 797.
[nota 41] L'art. 108, comma 8 del Tuir è stato aggiunto dall'art. 6 comma 9 del D.lgs. 18 novembre 2005, n. 247, che in sostanza riproduce il contenuto dell'art. 14 comma 2 del D.P.R. 4 febbraio 1988, n. 42, abrogato contestualmente, secondo cui: la deduzione delle quote di ammortamento da parte del proprietario dell'azienda che conservi la qualifica di imprenditore. La deroga contrattuale dell'art. 2561, comma 2, c.c. ripristina, quindi, quanto già disciplinato in precedenza.
[nota 42] In tale ipotesi i canoni di affitto saranno classificati come redditi diversi ex art. 67, comma 1, lett. h), del Tuir.
[nota 43] Cfr. M. VANNI, «Affitto d'azienda: aspetti civilistici e fiscali», in Fisco, 1995, p. 5353; F. DEZZANI, «Contrasto tra Direzione regionale delle entrate per l'Emilia-Romagna ed Assonime: azienda data in affitto. Ammortamento dei beni», in Fisco, 2000, p. 12267; D. DAVID - D. DEOTTO, «Ammortamento dei beni nell'affitto d'azienda», in Corr. trib., 2000, p. 902; Cass., sez. trib., 18 dicembre 2006, n. 27077; Cass., sez. trib., 11 dicembre 2006, n. 26360; Cass., sez. trib., 13 settembre 2003, n. 13391; Cass., sez. trib., 31 marzo 2006, n. 7636; Cass., sez. trib., 3 marzo 2000, n. 2402; Cass. 25 ottobre 1997, n. 10539; Cass., sez. trib., 10 maggio 2006, n. 10758, in banca dati dejure.giuffre.it.
[nota 44] Cfr. Cass., sez. trib., 21 gennaio 2008, n. 1172, in banca dati Fisconline, che testualmente chiarisce come «secondo la giurisprudenza di questa Corte, nell'ipotesi di affitto di ramo d'azienda, al proprietario non compete, in via di principio, alcuna deduzione delle quote di ammortamento (Cass. 997/01, 675/07), cosicché non vi è dubbio che gravi sul proprietario stesso, il quale adduca il proprio diritto di effettuare gli ammortamenti in virtù di una specifica pattuizione con l'affittuario D.P.R. n. 42 del 1988, ex art. 14, comma 2, l'onere di fornire la relativa prova. Se tale prova è costituita, come nella specie, da una scrittura privata non autenticata, la data certa della scrittura non può certamente desumersi dal fatto, di per sè non univoco, che l'affittuario non abbia a sua volta dedotto gli ammortamenti, e in ogni caso deve escludersi, in base ai principi generali in materia di onere probatorio, che gravi sull'Amministrazione come la ricorrente pretende l'onere di compiere indagini al fine di accertare la suddetta circostanza, allegata (ma non provata) dal contribuente. Ed è infine indubbio quanto al terzo motivo di ricorso che la circostanza che l'affittuario non abbia dedotto l'ammortamento, essendo inidonea a dimostrare la data certa della scrittura privata, non è a fortiori sufficiente a fornire da sola la prova dell'esistenza di una pattuizione in deroga, cosicchè anche sotto tale profilo la sentenza impugnata appare immune da censura …».
[nota 45] Contra D. BONDAVALLI, L'affitto d'azienda, Milano, Giuffrè, 2007, p. 100.
[nota 46] V. circ. min. 13 giugno 2006, n. 18/E, Imposta sostitutiva - Rivalutazione dei beni d'impresa e delle aree fabbricabili - art. 1 commi 469-476, della L. 23 dicembre 2005, n. 266, in banca dati Fisconline che chiarisce: «… Nell'ipotesi di affitto o usufrutto di azienda, ove non sia stata contrattualmente prevista la deroga alle disposizioni dell'art. 2561 del codice civile concernenti l'obbligo di conservazione dell'efficienza dei beni ammortizzabili, gli ammortamenti vengono calcolati e dedotti dall'affittuario o usufruttuario, il quale potrà pertanto effettuare la rivalutazione. Al termine dell'affitto o dell'usufrutto, l'azienda sarà trasferita al concedente, comprensiva dei beni rivalutati e della relativa riserva di rivalutazione, sempre che quest'ultima non sia stata già utilizzata per copertura di perdite o distribuita. L'imposta sostitutiva riferibile alla riserva trasferita al concedente costituirà per quest'ultimo credito d'imposta ...».
[nota 47] Cfr. circ. min. 11 marzo 2009, n. 11/E, in banca dati Fisconline, prevede: «... Come precisato nella medesima circolare, nell'ipotesi di affitto o usufrutto di azienda, ove non sia stata contrattualmente prevista la deroga alle disposizioni dell'art. 2561 c.c. concernenti l'obbligo di conservazione dell'efficienza dei beni ammortizzabili, la rivalutazione potrà essere eseguita solo dall'affittuario o usufruttuario, quale soggetto che calcola e deduce gli ammortamenti. Al termine dell'affitto o dell'usufrutto, l'azienda sarà trasferita al concedente, comprensiva dei beni rivalutati e della relativa riserva di rivalutazione, sempre che quest'ultima non sia stata già utilizzata per copertura di perdite o distribuita. L'imposta sostitutiva riferibile alla riserva trasferita al concedente costituirà per quest'ultimo credito d'imposta. Nell'ipotesi in cui, invece, le parti, in deroga all'art. 2561 del c.c., abbiano previsto che il concedente continui a calcolare gli ammortamenti, la rivalutazione potrà essere effettuata solo da quest'ultimo …».
[nota 48] Cfr. ris. min. 6 ottobre 2008, n. 375/E in banca dati Fisconline che precisa: «... Al riguardo si osserva che la medesima possibilità - che, ovviamente, prescinde dalla circostanza che, per effetto del contratto di affitto di azienda, i beni oggetto della nuova valutazione non siano nella disponibilità del concedente - è riconosciuta anche in relazione alla rivalutazione dei beni d'impresa e delle aree fabbricabili di cui all'articolo 1 commi 469-476 della legge 23 dicembre 2005, n. 266: in tale ultima ipotesi si tratta, a ben vedere, di una modalità di affrancamento (a pagamento) di maggiori valori fiscali i cui effetti sono, in definitiva, del tutto assimilabili a quelli determinati dal riconoscimento fiscale previsto (seppure a titolo gratuito) dall'articolo 115 del Tuel. Più in particolare, nella circolare n. 18/E del 13 giugno 2006 è stata ammessa la possibilità di riconoscere i maggiori valori fiscali dei beni oggetto della rivalutazione anche nell'ipotesi in cui gli stessi si riferiscono ad un'azienda in affitto, precisando che - ove (come nel caso oggetto del presente interpello) non sia contrattualmente prevista la deroga alle disposizioni dell'articolo 2561 del codice civile - la rivalutazione è effettuata dall'affittuario che calcola (e deduce) i relativi ammortamenti su tali maggiori valori; nella predetta circolare è stato, altresì, osservato che al termine del contratto di affitto, l'azienda sarà trasferita al concedente, comprensiva dei beni rivalutati (il cui nuovo valore sarà riconosciuto fiscalmente anche in capo a tale ultimo soggetto). Sul piano negoziale, inoltre, rileva la circostanza che, come affermato nell'istanza, le parti contraenti intendono stipulare "un addendum contrattuale", in virtù del quale è pattuito che l'affittuario possa effettuare gli ammortamenti "sulla base del nuovo valore di stima determinato con la perizia giurata". Emerge dalla volontà delle parti, pertanto, l'intenzione di integrare l'originario contratto di affitto di azienda con i nuovi valori civilistici emersi nella perizia redatta ai sensi dell'articolo 115, comma 3, del Tuel e riconosciuti in capo al concedente anche ai fini fiscali per effetto del successivo comma 6 del medesimo articolo 115; poiché nel contratto di affitto d'azienda l'affittuario deve assumere il costo dei relativi beni al valore fiscale risultante dalla contabilità del concedente, ne deriva che deve riconoscersi in capo all'affittuario la possibilità di determinare gli ammortamenti deducibili sui maggiori valori risultanti dalla menzionata valutazione peritale …». Per ulteriori approfondimenti, F. DEZZANI - L. DEZZANI, «Circ. min. 13 giugno 2006 n. 18/E: rivalutazione dei beni. Chiarimenti dell'Agenzia delle entrate», in Fisco, 2006, p. 3986; M. ORLANDI, «La rivalutazione delle aree edificabili e degli immobili strumentali ammortizzabili (alla luce degli ultimi chiarimenti ministeriali)», il quale ribadisce la facoltà di rivalutare tra le scelte dell'affittuario o dell'usufruttuario, in Fisco 2006, p. 4699; circ. min. 18 giugno 2001, n. 57/E, in Fisco, 2001, p. 8971.
[nota 49] La valutazione del fondo imposte sarà di particolare rilievo considerato il vincolo di solidarietà che intercorre tra affittuario e concedente.
[nota 50] Cfr. circ. min., 26 luglio 2000, n. 148/E, cit.
[nota 51] Cfr. Cass. sez. trib., 21 gennaio 2008, n. 1172, cit.
[nota 52] La previsione dell'assenza di conguaglio costituisce per l'affittuario la risoluzione del problema dal punto di vista finanziario di mantenere la liquidità necessaria per compensare il concedente delle differenze inventariali, tuttavia è necessario valutare sotto il profilo fiscale che gli ammortamenti effettuati costituiranno, per l'affittuario, al termine del contratto una sopravvenienza attiva tassabile nell'esercizio in cui l'azienda verrà retrocessa.
[nota 53] Cfr. M. LEO, Le imposte sui redditi …, cit., p. 395 e ss.
[nota 54] Per approfondimenti in relazione agli aspetti contabili dell'affitto d'azienda si rinvia a P. BERTOLASO - R. BODONI, «Affitto d'azienda, conservazione dell'efficienza …», cit., p. 1689.
[nota 55] Cfr. G. AULETTA - N. SALANITRO, Diritto commerciale, Milano, Giuffrè, 2003, p. 32 e ss.
[nota 56] Cfr. Cass. 20 aprile 1994, n. 3775, in banca dati dejure.giuffre.it. La definizione dello Ias 38 è fondamentale per stabilire se un elemento si qualifica come immateriale e iscrivibile nell'ativo di bilancio. è intangibile un'attività non monetariamente identificabile. L'avviamento è escluso dal campo di applicazione dello Ias 38 per mancanza di identificabilità, sarà iscrivibile in bilancio solo se acquisito attraverso un'agregazione d'impresa.
[nota 57] Per ulteriori approfondimenti G.E. COLOMBO, Usufrutto ed affitto dell'azienda, in Tratt. dir. comm. e dir. pubbl. ec. diretto da F. Galgano, III, Padova, Cedam, 1979, p. 280 e ss.; G. AULETTA, Fine dell'usufrutto e variazioni nella composizione della azienda, Scritti in memoria di A. Graziani, Impresa e società, vol. I, Napoli, Morano, p. 61 e ss.; G. AULETTA, Logorio e perimento di beni nell'usufrutto d'azienda, in Studi in onore di G. Scaduto, I, Padova, Cedam, 1970, p. 1179; G. AULETTA, voce Azienda, in Enc. giur. Trecc., 1996, p. 28 e ss.; G. AULETTA, Variazioni di avviamento in azienda in usufrutto od affitto, voce Azienda, in Enc. giur. Trecc., 1996, p. 53 e ss.
[nota 58] Cfr. G.E. COLOMBO, Usufrutto ed affitto dell'azienda, cit., p. 280.
[nota 59] Detto orientamento trae origine dalle disposizioni comuni sull'affitto, cioè dall' 1592 c.c., comma 1, secondo cui se il locatore consente al locatario di effettuare dei miglioramenti alla cosa locata, dovrà pagare un'indennità corrispondente alla minor somma tra l'importo della spesa e il valore del risultato utile al tempo della riconsegna, in tal senso P. BERTOLASO - R. BODONI, «Affitto d'azienda, conservazione dell'efficienza …», cit., p. 1689 e ss.
[nota 60] Se limitiamo i casi di indennizzo all'ipotesi di miglioramenti apportati nel corso della gestione dall'affittuario, in caso di diminuzione di detto valore non si determina un debito dell'affittuario, se tale decremento non è imputabile a mancata o negligente gestione. In tal senso G.E. COLOMBO, Usufrutto ed affitto dell'azienda, cit., p. 282 e ss.
[nota 61] In merito all'autonomia contrattuale si rinvia a quanto più ampiamente esposto nell'ultimo capitolo.
[nota 62] Più ampiamente sul punto F. CINTIOLI - G. D'AMICO - F. GUERRERA - D. LATELLA, I trasferimenti d'azienda, Milano, Giuffrè, 2000. M. DI SIENA - M.T. BIANCHI, «Ias/Ifrs ed aggregazioni aziendali: profili tributari», in Ras. trib., 2007, p.474.
[nota 63] Cfr. M.D. CORRADO, La valutazione del magazzino, in AA.VV., Giurisprudenza sistematica di diritto tributario, tomo II, Torino, Utet, 1996.
[nota 64] Più in generale per ulteriori approfondimenti v. S. FIORENTINO, «La valutazione fiscale dei crediti nella disciplina Ires», in Rass. trib., 2006, p. 1435.
[nota 65] Cfr. ris. min. 5 novembre 2008, n. 424/E in banca dati Fisconline, che in risposta ad un istanza di interpello chiarisce: «… L'articolo del codice civile stabilisce che al contratto di affitto di azienda si applicano le medesime disposizioni previste dall'articolo 2561 c.c. per l'usufrutto di azienda. In particolare, parimenti all'usufruttuario, l'affittuario deve "gestire l'azienda senza modificarne la destinazione e in modo da conservare l'efficienza dell'organizzazione e degli impianti e le normali dotazioni di scorte" (cfr. art. 2561 c.c.). Nell'ultimo comma del menzionato articolo 2561 c.c. è poi previsto che "la differenza tra le consistenze d'inventario all'inizio e al termine dell'usufrutto è regolata in danaro, sulla base dei valori correnti al termine dell'usufrutto". Disposizione quest'ultima che trova applicazione anche in ipotesi di affitto di azienda, in virtù del ricordato rinvio operato dall'articolo 2562 alla disciplina codicistica dell'usufrutto di azienda. All'affitto di azienda si applicano, inoltre, talune disposizioni relative alla successione nei contratti in ipotesi di cessione di azienda, per effetto del rinvio contenuto nel terzo comma dell'art. 2558 c.c. Anche relativamente all'affitto di azienda vale, pertanto, il principio stabilito nel primo comma dello stesso art. 2558 del codice civile secondo cui se non è pattuito diversamente, l'affittuario dell'azienda "subentra nei contratti stipulati per l'esercizio dell'azienda stessa che non abbiano carattere personale". In linea generale, quindi, la disciplina civilistica del contratto in questione delinea in capo all'affittuario il diritto ad utilizzare, sebbene a titolo di mero godimento pro tempore, gli elementi dell'organizzazione aziendale trasferita (rectius, ricevuta in carico nell'ambito del negozio di affitto), obbligandolo, tuttavia, a mantenerne l'efficienza produttiva nonché le abituali dotazioni di scorte (nell'ottica della restituzione - al termine contrattualmente stabilito - di un complesso aziendale economicamente equivalente a quello a suo tempo ricevuto in gestione). L'affittuario, peraltro, può discrezionalmente disporre, in via generale, dei predetti elementi patrimoniali, fermo restando l'obbligo di mantenere l'efficienza dell'azienda, ai sensi dei citati artt. 2561e 2562 del codice civile. Emerge, alla luce della disciplina civilistica sin qui sinteticamente assunta, come l'affittuario, di fatto, si sostituisca al locatore nella gestione dell'azienda affittata, subentrando nella titolarità dei rapporti giuridici (se non diversamente pattuito e, comunque, limitatamente a quelli non aventi carattere personale ex articolo 2558, comma 1, c.c.) e dei relativi valori patrimoniali dell'azienda oggetto del contratto di affitto. Il rappresentato regime di subentro civilistico dell'affittuario nella situazione gestionale del concedente, comporta, ai fini dell'imposizione diretta, che l'affittuario si sostituisca a quest'ultimo nelle relative "posizioni fiscali" (eccezion fatta per quelle che abbiano carattere eminentemente personale o siano legate ad elementi patrimoniali non compresi nel ramo d'azienda concesso in affitto) riferibili agli elementi patrimoniali trasferiti, con la conseguenza che i relativi valori fiscali (formatisi in capo al locatore) risultano attratti nella sfera giuridico-tributaria dell'affittuario. L'affittuario prende, conseguentemente, in carico gli elementi patrimoniali dell'azienda affittata secondo i "valori fiscali" che gli stessi assumevano in capo al locatore: saranno, dunque, tali valori a rilevare in ordine alla determinazione del reddito d'impresa dell'affittuario. Così, con specifico riferimento al caso di specie, i valori fiscali dei crediti e dei beni costituenti il magazzino trasferiti in affitto, nonché i relativi fondi svalutazione tassati, sono riconosciuti in capo all'affittuario: di conseguenza, nell'eventualità che gli stessi siano realizzati in pendenza del rapporto di affitto (come, ad esempio, nel caso dell'incasso di crediti compresi nel patrimonio aziendale affittato), l'affittuario potrà dare rilevanza alle eventuali perdite - ovviamente, solo se le stesse "risultano da elementi certi e precisi", secondo quanto prescritto dall'articolo 101 comma 5, del Tuir - effettuando una variazione in diminuzione per l'importo del fondo tassato utilizzato a copertura delle predette perdite».
[nota 66] Cfr. Cass., sez. trib., 12 gennaio 2010, n. 281, in banca dati Fisconline che in tema di detrazioni per spese sostenute per la ristrutturazione dei locali dati in concessione a terzi evidenzia che le spese sostenute dalla contribuente non sono inerenti all'attività imprenditoriale in questione, considerato che la ricorrente non svolgeva di fatto detta attività, gestita invece da un soggetto terzo, limitandosi a percepire i compensi derivanti dalla concessione in affitto della propria azienda.
[nota 67] Cfr. circ. min. 17 maggio 2000 n. 98/E, in banca dati Fisconline, secondo cui, se si procede a patrimonializzare le spese incrementative il valore su cui calcolare l'ammortamento è costituito dal costo originario aumentato dalle spese dovendo in ogni caso escludere che detti costi possano essere considerati autonomamente.
[nota 68] In tal senso, si è espressa la Direzione delle imposte dirette con nota 8 febbraio 1979, n. 9/543, in banca dati Fisconline..
[nota 69] Cfr. Dir. reg. Emilia Romagna, nota 7 ottobre 1996 n. 42049, cit.; Circ. Assonime 10 maggio 2000, n. 34, cit.
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