La circolazione giuridica dei beni immobili culturali nella prassi notarile: un inventario di questioni
La circolazione giuridica dei beni immobili culturali nella prassi notarile: un inventario di questioni
di Andrea Fusaro
Notaio in Genova
Ordinario di Sistemi Giuridici Comparati, Università degli Studi di Genova

Il codice dei beni culturali segue notoriamente a numerose leggi succedutesi attraverso oltre un secolo [nota 1] e la sua versione attuale è, a propria volta, frutto di integrazioni. Esso è stato adottato sulla base dell'art. 10 legge 137/2002; è, poi, intervenuto il decreto legislativo 156/2006 a modificare l'art. 12 (escludendo il silenzio assenso circa la verifica di interesse culturale [nota 2] al decorso del centoventesimo giorno), nonché l'art. 22 (eliminando il silenzio assenso per la richiesta di autorizzazione all'esecuzione di interventi edilizi sui beni vincolati). Il decreto legislativo 26 marzo 2008, n. 62, per quanto qui maggiormente rileva, ha introdotto la menzione degli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti (art. 1, comma 5, nonché all'art. 10, comma 1); ha altresì istituito un archivio delle dichiarazioni (art. 13); ha modificato gli articoli 54 e seguenti [nota 3], circa l'autorizzazione all'alienazione dei beni degli enti pubblici e degli enti senza scopo di lucro, tra l'altro aggiungendo la regola (art. 55-bis) secondo la quale le clausole contenute nell'autorizzazione devono esser riportate nell'atto di alienazione, assumendo la portata di clausola risolutiva ai sensi dell'art. 1456 c.c., espressamente richiamato, e devono essere trascritte [nota 4]. Il nuovo art. 57-bis ha inoltre esteso gli articoli 54 e seguenti alla dismissione di beni pubblici [nota 5], cui hanno fatto seguito regole di settore [nota 6].

Questo attivismo legislativo non ha, tuttavia, apportato miglioramenti significativi sul versante della disciplina della circolazione giuridica [nota 7].

Il codice ha mantenuto la distinzione di regime fondata sull'appartenenza, distinguendo tra enti pubblici oppure privati senza scopo di lucro - cui sono stati affiancati gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti -, da un lato, e persone fisiche e società commerciali, dall'altro. L'art. 56, comma 1, lett. b), si riferisce testualmente alle persone giuridiche, cosicché sarebbero da escludere le associazioni non riconosciute, che verrebbero pertanto a condividere la condizione delle società commerciali [nota 8] (peraltro, com'è stato sottolineato, la distinzione tra gli enti del libro primo ha perso attualità in ragione degli interventi legislativi che, dopo aver abrogato la necessaria autorizzazione per gli acquisti immobiliari delle associazioni riconosciute [nota 9], hanno poi ammesso le non riconosciute a ricevere lasciti e donazioni [nota 10]).

Per gli uni, l' art. 10, comma 1, dispone la presunzione di interesse culturale in ordine a tutti i beni la cui esecuzione risalga ad oltre cinquant'anni, fino a che non intervenga la verifica dell'inesistenza del suddetto requisito (art. 12). Si tratta di una regola innovativa rispetto alla disciplina passata per la quale non era necessaria alcuna dichiarazione e si ritenevano sufficienti gli elenchi compilati dall'ente titolare del bene, cui peraltro si negava valore ricognitivo; in precedenza, d'altra parte, il cinquantennio rilevava in negativo per escludere il riconoscimento dell'interesse culturale al bene di origine più recente, mentre oggi esso gioca in positivo quale criterio per presumere l'esistenza del suddetto interesse. Il codice ha fatto proprie le innovazioni introdotte dal D.lgs. 269/2003, richiedendo una schedatura di tutti i beni, con trascrizione del vincolo; peraltro, nell'attesa, al bene che presenti quella vetustà si applicano le disposizioni del titolo primo, parte seconda, del testo unico, quindi tutti i limiti afferenti la circolazione dei beni culturali, tranne quelli relativi all'esercizio della prelazione [nota 11].

Per le persone fisiche e le società l'art. 10 comma 3 subordina il riscontro del carattere culturale ad una specifica dichiarazione in tal senso (art. 13).

Questo schematismo è marginalmente interrotto con riferimento ad alcuni beni "esemplificati" [nota 12], nonché in dipendenza di trasformazione del tipo, poiché l'art. 12 sancisce la sopravvivenza dello statuto del bene all'avvicendamento della forma [nota 13].

Da quanto sopra esposto, appare evidente che se sotto il vecchio regime si versava in un sistema caratterizzato da una rarefazione di dati ed indicazioni, oggi si rischia l'eccesso opposto, con conseguenze negative per la circolazione giuridica, come è testimoniato dalla momentanea paralisi che ha interessato i beni degli enti pubblici e privati non lucrativi, circolazione tuttora intralciata anche perché, da un lato, non tutti i titolari sono stati così solerti nel trasmettere i richiesti elenchi e, dall'altro, le Soprintendenze competenti non sono riuscite a sbrigare in tempi contenuti la mole di lavoro accumulato [nota 14].

L'atto di disposizione posto in essere da soggetti pubblici (laddove non si tratti di beni inalienabili: art. 54), ovvero da persone giuridiche private senza fine di lucro (art. 56, comma 1, lett. b)) richiede una preventiva autorizzazione del Ministero (artt. 55-56); dalla denuncia dell'alienazione onerosa seguente può scaturire l'esercizio della prelazione artistica (da parte dello stesso Ministero o, come previsto dall'art. 62, comma 3, della regione o di altro ente pubblico territoriale). Tale esercizio determina un acquisto coattivo il quale viene ad incidere su di un regolamento contrattuale già chiuso e in sé perfezionato.

In ordine ai privati opera soltanto la prescrizione relativa all'obbligo della denuncia di ogni trasferimento, come è noto anche di quelli a titolo gratuito, in funzione dell'aggiornamento dei registri.

La suddetta autorizzazione richiesta per gli atti di alienazione, secondo la giurisprudenza è necessaria anche per costituire diritti reali di godimento e di garanzia [nota 15]. La richiesta dell'autorizzazione da parte di enti pubblici o di enti privati non lucrativi presuppone, dunque, la preventiva verifica circa l'interesse culturale del bene, cosicché il ritardo di questa impedisce il rilascio di quella. Si è, peraltro, registrata la prassi di inoltrare ugualmente l'istanza e contare su di una verifica all'uopo occasionata.

L'autorizzazione deve essere preventiva, ma si è tentato di raggiungere l'auspicata accelerazione della procedura sul piano negoziale, perfezionando l'alienazione nelle more, e subordinandola alla condizione sospensiva dell'ottenimento del richiesto provvedimento. L'accorgimento è apparso di controversa praticabilità: per un verso, la soluzione negativa poggia sullo sbarramento opposto generalmente dagli interpreti verso simili soluzioni finalizzate a scavalcare autorizzazioni tutorie; per altro verso, quella positiva riceve conforto da qualche precedente giurisprudenziale - ovviamente formato sulla base dell'applicazione della legislazione anteriore - che assegna all'autorizzazione valenza di condizione sospensiva dell'efficacia.

Similmente, si è discusso se il negozio stipulato in assenza di autorizzazione possa venire sanato dal successivo rilascio della stessa; la questione si allaccia al problema della reale natura giuridica del vizio dell'atto, sbrigativamente definito in termini di nullità dal citato art. 164, ma - come vedremo - suscettibile di qualificazioni alternative [nota 16].

Il conseguimento dell'autorizzazione non dispensa dall'obbligo di denunzia del successivo trasferimento ai fini dell'esercizio della prelazione ai sensi dell'art. 60, posto il diverso obiettivo dell'uno e dell'altro procedimento, nonché il differente tenore dei provvedimenti in cui essi possono sfociare. Un tale regime, tuttavia, assai meno si giustifica sul piano della circolazione giuridica che ne risulta invero ulteriormente intralciata. Il discorso merita, quindi, di essere approfondito facendolo rifluire sul versante delle regole operanti in tema di prelazione artistica ed in particolare con riguardo ai presupposti per il suo esercizio.

L'art. 59 impone la denuncia al Ministero dei trasferimenti della proprietà e della detenzione. In ipotesi di cessione a fronte di un corrispettivo [nota 17], l'art. 60 accorda al medesimo, nonché alla regione ed agli enti pubblici interessati, la facoltà di acquistare in via di prelazione i beni culturali alienati o conferiti in società (la prelazione degli altri soggetti pubblici territoriali è disciplinata dal già citato art. 62, comma 3). La violazione di tali prescrizioni comporta per l'art. 164 la sanzione civilistica della nullità, mentre per l'art. 173 essa configura un reato punibile con multa e reclusione.

In proposito, si ritiene essenziale la presenza di un negozio idoneo a sortire effetti reali [nota 18], effetti per così dire "congelati" - certamente almeno nei confronti della mano pubblica - dal procedimento finalizzato a consentire l'esercizio della prelazione artistica.

Da tale premessa si è fatta derivare l'insufficienza di un contratto preliminare per avviare il suddetto procedimento [nota 19]. Se la conclusione appare condivisibile con riguardo all'obbligo della denuncia sancito dall'art. 59 - nel senso che è corretto escluderne l'obbligatorietà a seguito della stipula di un compromesso -, essa risulta invece incongrua se rivolta a precludere un'iniziativa spontanea intesa a sollecitare anticipatamente il procedimento amministrativo, tanto più che in materia - a differenza dalle altre prelazioni legali - il trasferimento non si appoggia al negozio, ma si realizza in forza di un autonomo provvedimento [nota 20]. Nella prospettiva di accelerare i tempi dovrebbe, quindi, consentirsi la trasmissione della denuncia già ad esito del perfezionamento di un contratto preliminare.

La prassi registra il frequente impiego dell'unico contratto, soluzione che deve però coordinarsi con la presenza della condizione legale, la sua pubblicità e la constatazione dell'avveramento. Alcuni interrogativi ricorrono frequenti: se occorra menzionare in atto la condizione; se sia indispensabile assegnarle evidenza pubblicitaria (in caso positivo, se nel quadro A oppure nel D); qualora menzionata, se debba farsi constare il mancato avveramento e se all'uopo occorra un apposito atto; se quest'ultimo debba rivestire forma notarile, se debba essere bilaterale, oppure possa formarsi unilateralmente.

La dottrina notarile risponde che, trattandosi di condizione legale [nota 21], sarebbe consentito omettere sia la menzione in atto, sia la evidenza pubblicitaria, avvertendo peraltro come ne derivi minore chiarezza [nota 22]. L'obbligo dell'annotazione del mancato esercizio della prelazione è controverso: secondo una tesi essa va esclusa «in quanto la condizione ... è il mancato esercizio del diritto di prelazione, del cui avveramento (e non del mancato avveramento) si deve dare atto nell'atto ricognitivo e quindi nella relativa formalità pubblicitaria di annotazione» [nota 23].

La giurisprudenza consente alle parti di dedurre in condizione volontaria il termine entro cui quella legale deve avverarsi ed altresì stabilire che esso sia posto nell'interesse esclusivo di una di esse, la quale può così rinunciare a farla valere [nota 24].

L'operazione è talora disarticolata in due segmenti, subordinando la compravendita ad una doppia condizione sospensiva, l'una relativa al mancato esercizio della prelazione artistica, l'altra riferita alla stipula di un atto in occasione del cui perfezionamento viene versato il prezzo - ovviamente già pattuito dall'origine - ed è trasferita la disponibilità del bene [nota 25]. La compravendita è registrata con imposta in misura fissa, rinviando al secondo atto il versamento delle proporzionali.

La prima condizione è riproduttiva della prescrizione legislativa, che vuole il trasferimento subordinato al mancato esercizio della prelazione artistica a seguito della notifica della denuncia della cessione (come è noto, il termine è di sessanta giorni [nota 26], laddove dei precedenti trasferimenti sia stata data regolare notizia [nota 27]). La seconda è invece "volontaria", in quanto collega ulteriormente il prodursi degli effetti contrattuali alla stipula di un successivo atto - necessariamente "bilaterale" - di "avveramento" non solo della prima condizione (il mancato esercizio della prelazione), ma anche del pagamento del prezzo [nota 28]. Il differimento di quest'ultimo al consumarsi del termine per la prelazione, onde prevenire il rischio di dover ripetere la somma nella (remota) ipotesi di un esercizio della stessa, ed altresì evitare il versamento dell'imposta proporzionale - diversamente di incerto recupero - non esaurisce i pregi di questa impostazione.

L'accortezza della doppia condizione, in particolare della seconda c.d. "volontaria", è invero, da un lato, adatta a rassicurare il venditore, prevenendo il rischio che l'acquirente rediga un atto unilaterale successivamente allo spirare del termine, in questo modo determinando l'efficacia del trasferimento pur senza aver pagato il prezzo; è, dall'altro, conveniente anche sotto il profilo tributario, poiché impedisce all'Erario di considerare dovuto il versamento dell'imposta proporzionale allo scadere del termine per la prelazione, comminando sanzioni in caso di ritardo. Tra i due atti occorre evidentemente prevedere il decorso di un periodo superiore rispetto ai sessanta giorni (oppure ai centottanta, a seconda dei casi), dovendosi sommare i tempi tecnici per la registrazione e la notifica [nota 29].

L'art. 61, comma 4, stabilisce che nella pendenza del termine per l'esercizio della prelazione l'atto rimane «sospensivamente condizionato»; l'art. 164 (più volte citato) definisce nullo l'atto con riguardo al quale la denuncia sia stata omessa.

Il disegno del legislatore non è prettamente geometrico. Si tratta di una nullità che si converte in inefficacia? Oppure, viceversa, l'atto è inefficace, salvo divenire poi nullo? Forse si può pensare ad uno stato di "quiescenza" nei primi trenta giorni dalla stipula, termine entro il quale occorre inviare la denuncia, poi al subentro dell'inefficacia a seguito dell'inoltro o della nullità in caso di inerzia. Il codice, al comma 2 dell'art. 61 ha tuttavia previsto anche la denuncia tardiva, la quale pure determina inefficacia. Questa intermittenza tra nullità ed inefficacia rispecchia, in definitiva, una logica non ineccepibile.

La giurisprudenza si è raramente allontanata dalla configurazione della nullità come relativa, costruita quale inopponibilità allo Stato dell'alienazione non comunicata [nota 30]. Una tale soluzione non ha mai convinto del tutto la dottrina, peraltro più sul piano dei concetti che in ordine alle conseguenze, posto che l'esito della tesi criticata non è molto distante da quello sortito da una ricostruzione in termini di inefficacia dell'atto [nota 31].

Alla luce di questo incerto quadro, sarebbe stato auspicabile che il legislatore, anziché avanzare verso la nullità - neppure temperata dal carattere relativo -, fosse indietreggiato verso la più ragionevole soluzione dell'inefficacia. Ciò anche a proposito del difetto di autorizzazione, così da rimuovere ogni pregiudizio con riguardo all'impiego della condizione sospensiva del rilascio e rispetto all'efficacia sanante del conseguimento successivo.

L'abbandono della nullità avvantaggerebbe di certo la conservazione dei negozi; eviterebbe, inoltre, di drammatizzare le conseguenze di omissioni che in realtà il più delle volte sono indotte dall'ignoranza del vincolo, il cui regime pubblicitario è certamente perfettibile, dal momento che gli elenchi tenuti dalle Soprintendenze non sono affidabili per espressa avvertenza delle stesse [nota 32] e comunque risultano di difficile consultazione, mentre la giurisprudenza, attraverso la teoria della pubblicità sanante, inclina ad emarginare il rilievo della trascrizione.

Quale esempio delle rilevate incertezze può segnalarsi quella di individuare il bene riguardato da un vincolo apposto su di un particolare della facciata (si pensi ad un'edicola votiva od un sovraportale); in tale evenienza il Ministero, con un noto parere reso qualche anno addietro [nota 33], ha bensì escluso la sussistenza dei presupposti per la prelazione artistica rispetto alla vendita delle singole unità immobiliari, ma ha sancito l'obbligatorietà della denuncia e - qualora alienante sia un ente pubblico oppure una persona giuridica privata non lucrativa - la necessità della preventiva autorizzazione.

Ancora, si segnala il caso del terreno nudo, il cui collegamento con l'arte e la storia può farlo rientrare nella categoria identificata dal comma 3 dell'art. 10 [nota 34].

La circolazione giuridica dei beni immobili culturali rimane, insomma, afflitta da lacune ed incongruenze, variamente atteggiate [nota 35], ma accomunate dall'incidenza della insufficiente valorizzazione della distanza che nei fatti separa l'ambito mobiliare dall'immobiliare [nota 36].

In definitiva, l'appellativo di "codice" assegnato affrettatamente al testo oggetto del nostro esame appare più che altro una scelta indotta dal prestigio culturale che tale forma normativa riveste nel nostro sistema e dall'aspirazione a fruire dei larghi canoni ermeneutici che genericamente gli si applicano, dal momento che alla formula adottata non corrisponde una disciplina improntata a quel rigore terminologico che dovrebbe, invece, caratterizzare un "codice", come è esemplarmente dimostrato dall'inerziale ricorso alla nullità per sanzionare i negozi non preceduti dalla preventiva autorizzazione o non seguiti da denuncia.

Numerosi risultano, dunque, i profili problematici su cui il legislatore non ha fatto chiarezza. Ma forse ha ragione chi ammonisce che da nessun codice (e soprattutto da quelli degli ultimi anni definiti pomposamente tali, ma assai lontani da quelli consegnatici dalla storia meno recente) ci si può attendere troppo, ed ancora meno ci si può aspettare sul piano privatistico da un testo preoccupato dell'opposto versante pubblicistico e tagliato su di esso.

Si tratta, in conclusione, di un testo certamente poco adatto a corrispondere alle aspettative del civilista circa la sussistenza delle prerogative che si addicono ad un codice; ma appunto per questo esso appare particolarmente idoneo a costituire l'oggetto di riflessioni quali sono condotte in questa sede.


[nota 1] La cronologia prende avvio con le leggi del 1871, del 1902 e 1909, prosegue con la legge 1089/1939 (c.d. Bottai), il T.U. beni culturali D.lgs. 490/1999, ancora il D.P.R. 283/2000 relativo prevalentemente ai beni culturali in mano pubblica.

[nota 2] Ai sensi dell'art. 17 del D.P.R. 26 novembre 2007, n. 233 (Regolamento di riorganizzazione del Ministero per i beni e le attività culturali, a norma dell'articolo 1, comma 404, della L. 27 dicembre 2006, n. 296 pubblicato nella G.U. 15 dicembre 2007, n. 291, S.O.) è la Direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici che verifica la sussistenza dell'interesse culturale nei beni appartenenti a soggetti pubblici e a persone giuridiche private senza fine di lucro, ai sensi dell'articolo 12 del codice; ai sensi del comma 4 stesso art. 17 il direttore regionale può 'delegare' a tale verifica la Soprintendenza.

[nota 3] Una puntuale analisi è fornita da A. PISCHETOLA, «La "nuova" autorizzazione all'alienazione di beni culturali», in Notariato, 2008, p. 695.

[nota 4] Secondo Tar Lazio, sez. II, 14 maggio 2008, n. 4114, in Foro amm. Tar, 2008, 5, p. 1331, «La circostanza che l'art. 57 comma 5, D.lgs. n. 42 del 2004 condizioni il rilascio dell'autorizzazione alla vendita - parimenti a quanto previsto dal precedente comma 4 per i beni demaniali - alla condizione che "dalla alienazione non derivi un danno alla conservazione o al pubblico godimento" induce a ritenere che anche per i beni appartenenti a persone giuridiche private l'autorizzazione possa contenere prescrizioni e limitazioni d'uso, in quanto volte, appunto, a tutelare "la conservazione" o "il pubblico godimento". In altri termini, se per i beni demaniali l'indicazione delle prescrizioni e delle condizioni ha natura obbligatoria, per gli altri beni ha soltanto natura facoltativa. Ne consegue che legittimamente l'Amministrazione, già in sede di autorizzazione alla vendita, può imporre alle persone giuridiche private quelle limitazioni al mutamento di destinazione d'uso incompatibili con le caratteristiche storico-artistiche del bene che potrebbe imporre in sede di autorizzazione degli interventi sui beni medesimi».

[nota 5] Illustrato da C. LOMONACO, «Le modifiche al codice dei beni culturali: una prima lettura del D.lgs. 26 marzo 2008, n. 6», in CNN Notizie del 23 aprile 2008; G. CASU - C. LOMONACO, «Ambito di applicazione dell'art. 57-bis del codice dei beni culturali. Alienazione ai sensi della legge 560/1993. Possibile interpretazione», Quesito n. 671-2008/C, in Consiglio Nazionale del Notariato, Studi e Materiali, 2009, 2, p. 767 e ss.

[nota 6] Si rinvia alla relazione di P. SIRENA, «Autorizzazione all'alienazione dopo le modifiche del 2006 e del 2008: il problema degli immobili ex Scip», in questo volume, nonché allo studio di G. CASU - C. LOMONACO, «Dismissione dei beni pubblici e beni culturali alla luce della più recente normativa», Studio n. 411-2009/C, in Consiglio Nazionale del Notariato, Studi e Materiali, 2009, 4, p. 1351 e ss. dove si legge : «Il D.l. 30 dicembre 2008, n. 207, convertito in legge, con modificazioni, dall' art. 1 della legge 27 febbraio 2009, n. 14, recante proroga di termini previsti da disposizioni legislative, e pertanto comunemente indicato come "decreto mille proroghe", ha disposto all'art. 43-bis una norma specifica sulla liquidazione della Scip e sul trasferimento dei beni già assegnati alla Scip ai singoli enti che ne erano proprietari prima dell'instaurazione del procedimento di dismissione generalizzata. Viene espressamente stabilito che "i beni immobili che alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto sono di proprietà della Scip sono trasferiti in proprietà ai soggetti originariamente proprietari degli stessi, nello stato di fatto e di diritto in cui si trovano e senza garanzia per vizi ed evizione" (comma 2 dell'art. 43-bis). E si specifica che "il trasferimento degli immobili di cui al comma 2 ha effetto dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, la cui pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale produce gli effetti previsti dall'articolo 2644 del codice civile. Dalla medesima data i soggetti originariamente proprietari sono immessi nel possesso degli immobili ad essi trasferiti" (comma 3). E' sorto il dubbio se, per effetto di queste norme, sia cambiato qualcosa nella procedura di dismissione già instaurata e, specificamente se, allorquando gli enti pubblici già titolari di questi beni ne siano divenuti nuovamente titolari per effetto di legge, questi enti, nel proseguire la dismissione già anticipata dalla liquidata Scip, debbano osservare le norme previste dal codice dei beni culturali in ordine alla verifica, all'autorizzazione, alla denuncia ai fini dell'esercizio da parte dello Stato della prelazione artistica».

[nota 7] Mentre sulla disciplina complessiva dei beni culturali è reperibile una bibliografia notevole (per tutti, cfr. M. GRAZIADEI, voce Beni culturali (Circolazione dei), dir. int. priv., in Enc. dir., annali II, tomo II, Milano, 2009), ben più esigua è la letteratura disponibile sulla circolazione giuridica degli immobili e buona parte dei contributi più attenti alla varietà dei tecnicismi implicati è di matrice notarile: A. PISCHETOLA, Circolazione dei beni culturali e attività notarile, Milano, Ipsoa, 2006; ID., «Profili di criticità nella circolazione dei beni culturali», in Imm. e propr., 2006, p. 413; ID., «Circolazione dei beni culturali e riflessi sull'attività notarile», in Notariato, 2005, p. 505; M. PLASMATI, «La negoziazione dei beni culturali», in Vita not., 2007, p. 440, nonché in Contr. impr., 2007, p. 771; G. CASU, «Il nuovo codice dei beni culturali: aspetti generali e problematiche», in Notariato, 2005, p. 203; A. VENDITTI, «Il codice dei beni culturali e del paesaggio: prime considerazioni», in Notariato, 2004, p. 302.

[nota 8] C. LOMONACO, «Codice dei beni culturali e associazioni non riconosciute», Quesito n. 5789/C, in Consiglio Nazionale del Notariato, Studi e Materiali, 2006, 1, p. 869 e ss.

[nota 9] Art.17 c.c. già abrogato dall'art.13, comma 1, legge 15 maggio 1997, n. 127 e poi espressamente dall'art. 1, comma 1, legge 22 giugno 2000, n. 192.

[nota 10] Artt. 600 e 786 c.c. abrogati dall'art.13, comma 1, legge 15 maggio 1997, n. 127 come sostituito dall'art. 1, comma 1, legge 22 giugno 2000, n. 192.

[nota 11] L'applicazione cautelare sancita dall'art. 14, comma 4, non comprende le norme della sezione seconda del capo IV, che appunto si riferisce alla prelazione.

[nota 12] L'art. 10 elenca alcuni beni «a chiunque appartenenti».

[nota 13] Ne avevo segnalato l'attitudine a neutralizzare gli effetti della trasformazione in «La trasformazione delle associazioni in società di capitali e delle società di capitali», in Le operazioni societarie straordinarie: questioni di interesse notarile e soluzioni applicative, I Quaderni della Fondazione Italiana per il Notariato, Milano, 2007, p. 245- 256.

[nota 14] Esiste una procedura informatica - spesso ignota anche agli enti - che potrebbe velocizzare i tempi di verifica: http://www.benitutelati.it/default.asp).

[nota 15] G. CASU, «Codice dei beni culturali. Prime riflessioni», in Consiglio Nazionale del Notariato, Studi e Materiali, 2004, p. 686 e ss.; G. CASU - C. LOMONACO, «In tema di beni culturali: autorizzazione alla costituzione di ipoteca. Ipotesi particolare», Quesito n. 462-2008/C, in Consiglio Nazionale del Notariato, Studi e Materiali, 2008, 4, p. 1737 e ss.

[nota 16] Il dibattito è nitidamente riepilogato da A. PISCHETOLA, Circolazione dei beni culturali e attività notarile, cit., p. 23.

[nota 17] Ad opera dell'art. 2 comma 1 lett. a), D.lgs. 24 marzo 2006, n. 156, l'art. 60 D.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 è stato modificato includendo il conferimento in società tra i negozi che danno luogo alla prelazione: «il Ministero o, nel caso previsto dall'art. 62 comma 3, la regione o l'altro ente pubblico territoriale interessato, hanno facoltà di acquistare in via di prelazione i beni culturali alienati a titolo oneroso o conferiti in società, rispettivamente, al medesimo prezzo stabilito nell'atto di alienazione o al medesimo valore attribuito nell'atto di conferimento» (si segnala, in proposito, il commento di M. CACCAVALE, «Conferimento in società di beni culturali e diritto di prelazione artistica», in Notariato, 2007, p. 685). La giurisprudenza ha escluso che tale innovazione rivesta carattere interpretativo, rilevando che essa «introduce delle vere e proprie integrazioni alla precedente disciplina e, pertanto, non ha valore che per l'avvenire, stante la radicale diversità tra il caso di alienazione e quello di conferimento in società» (Tar Puglia Lecce, sez. I, 13 giugno 2007, n. 2335, in Foro amm. Tar, 2007, 6, p. 2183).

[nota 18] Rispetto al quale il bene culturale rappresenti l'oggetto immediato e non quello c.d. di secondo grado, ciò che conduce ad escludere la prelazione rispetto alla cessione del pacchetto della società titolare del bene medesimo: «con riferimento ad una fattispecie non regolata ratione temporis dall'art. 60, D.lgs. n. 42/2004, come modificato dal D.lgs. n. 156/2006, la vendita dell'intera partecipazione azionaria della società titolare di un bene assoggettato a vincolo di interesse archeologico non dà luogo al diritto di prelazione di un bene culturale, atteso che oggetto del contratto è il trasferimento della partecipazione sociale e non del patrimonio della società, che rimane in capo al medesimo soggetto giuridico» (Cons. Stato, sez. VI, 19 marzo 2008, n. 1205, in Vita not. 2008, 1, p. 209). Inoltre è pacifico che la prelazione opera soltanto rispetto ai beni oggetto di vincolo diretto: si afferma infatti che «ai sensi degli artt. 60 e ss. del D.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, per l'applicazione della prelazione amministrativa il bene sottoposto ad interesse pubblico essendo soggetto a pubblicità mobiliare o immobiliare, deve essere trascritto a richiesta del Soprintendente nei relativi registri, in modo che sia opponibile nei confronti di ogni successivo proprietario possessore o detentore a qualsiasi titolo» (Tar Veneto Venezia, sez. II, 08 settembre 2006, n. 2901).

[nota 19] Tar Lazio, 17 ottobre 1983, n. 900, in Trib. amm. reg., 1983, I, p. 3112.

[nota 20] «Il diritto di prelazione su un bene culturale può legittimamente essere esercitato anche in relazione ad un bene che sia stato oggetto di espropriazione forzata, restando irrilevante la circostanza che l'ente interessato all'esercizio del diritto di prelazione avrebbe potuto partecipare al procedimento di vendita forzata» (Cons. Stato, sez. VI, 22 settembre 2008, n. 4569, in Vita not., 2008, p. 139).

[nota 21] Per il cui approfondimento si rinvia a G. PETRELLI, La condizione "elemento essenziale" del negozio giuridico. Teoria generale e profili applicativi, Giuffré, Milano, 2000, p. 333 e ss.

[nota 22] D. BOGGIALI, «Beni culturali: menzione della condizione in atto e nella nota di trascrizione», Quesito n. 251 b-2006/C, in Consiglio Nazionale del Notariato, Studi e Materiali, 2009, 1, p. 1934 e ss.

[nota 23] A. PISCHETOLA, Circolazione dei beni culturali e attività notarile, cit., p. 56; opposta è l'opinione di G. CASU, «Codice dei beni culturali. Prime riflessioni», cit., nota 9.

[nota 24] Cass. 21 maggio 1997, n. 4514, in Giur. it., 1998, p. 2293.

[nota 25] Nel senso dell'ammissibilità di una disciplina pattizia della condizione legale, in quanto non ne anticipi l'avveramento rispetto all'iter previsto, D. BOGGIALI, «Beni culturali: disciplina pattizia della condizione legale», Quesito n. 95-2006/C, in Consiglio Nazionale del Notariato, Studi e Materiali, 2006, 2, p. 1903 e ss.

[nota 26] Cass. 22 febbraio 2008, n. 4629, con riferimento agli artt. 30 e 32 legge 1089/1939, ha ritenuto che il termine decorra dal ricevimento della denuncia da parte del Ministero, con una decisione persuasivamente criticata dalla dottrina notarile: A. PISCHETOLA, in CNN Notizie, 14 marzo 2008; C. LOMONACO, «Autorità competente a ricevere la denuncia di cui all'art. 59 del codice dei beni culturali», Quesito n. 678-2008/C, in Consiglio Nazionale del Notariato, Studi e Materiali, 2009, 1, p. 386 e ss. Invece Cons. Stato, sez. VI, 27 febbraio 2008, n. 713, in Foro amm. CDS, 2008, 2, p. 564 ha fatto capo alla trasmissione alla Soprintendenza.

[nota 27] C. Cost. 20 giugno 1995, n. 269 in Riv. giur. ed., 1996, I, p. 10, con nota di M.R. COZZUTO QUADRI, «La prelazione artistica: princìpi costituzionali e valorizzazione del patrimonio culturale», ha dichiarato non fondata, in riferimento agli artt. 3 e 42 Cost., la questione di legittimità costituzionale del disposto coordinato degli artt. 61, 31 e 32 L. 1° giugno 1939, n. 1089 (tutela delle cose di interesse artistico e storico), nella parte in cui, in mancanza di regolare denuncia dell'alienazione di bene vincolato, consente in ogni tempo l'esercizio della prelazione statale su cose di interesse storico-artistico al prezzo dichiarato nell'atto di alienazione. In proposito rileva, tuttavia, la decisione della Corte europea dei diritti dell'uomo, 5 gennaio 2000 (ricorso n. 33202/96), caso Beyeler contro Italia, relativo al "Giardiniere" di Van Gogh, in Foro it., 2000, IV, c. 97, che ha ravvisato in questa regola - in particolare nella sua applicazione con riferimento al prezzo storico - la violazione dell'art. 1 del protocollo n.1 aggiuntivo alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo.

[nota 28] Questa impostazione rende inevitabile la menzione della condizione della nota di trascrizione della compravendita ed agevola l'annotazione dell'avveramento.

[nota 29] Senza contare il prolungamento del termine indotto dall'interpretazione secondo cui «ove il competente Ministero rinunci all'esercizio della prelazione dei beni culturali, trasferendone la facoltà all'ente interessato, affinché quest'ultimo eserciti tempestivamente il diritto di prelazione, è sufficiente che entro il termine di 60 giorni abbia adottato e consegnato il relativo provvedimento all'agente incaricato della notificazione al privato acquirente del bene culturale, senza che sia necessario che il procedimento di notificazione si sia perfezionato anche per il destinatario» (Cons. Stato, sez. VI, 22 settembre 2008, n. 4569, in Vita not., 2008, 3, p. 1393).

[nota 30] Tra le più recenti, Cass. 10 marzo 2009, n. 5773, pronunciata in relazione alla nullità prevista dall'art. 61 legge 1089/1939 (corrispondente all'art. 164 n. 1 decreto legislativo 42/2004), nel senso che la nullità è di carattere relativo in quanto stabilita nell'esclusivo interesse dello Stato e quindi non invocabile dai privati.

[nota 31] Efficace sintesi dei termini tecnici del dibattito è offerta da A. PISCHETOLA, Circolazione dei beni culturali e attività notarile, cit., p. 20.

[nota 32] Di certo occorre la trascrizione nei registri immobiliari: «ai sensi degli art. 60 e ss. del D.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, per l'applicazione della prelazione amministrativa il bene sottoposto ad interesse pubblico essendo soggetto a pubblicità mobiliare o immobiliare, deve essere trascritto a richiesta del Soprintendente nei relativi registri, in modo che sia opponibile nei confronti di ogni successivo proprietario possessore o detentore a qualsiasi titolo» (Tar Veneto Venezia, sez. II, 8 settembre 2006, n. 2901). Tuttavia, in ragione dell'impostazione personale anziché reale dei registri, essa consente notevoli margini di errore: si afferma infatti che «il vincolo culturale gravante su un immobile (con il conseguente diritto di prelazione) può essere validamente opposto all'acquirente in vendita forzata del medesimo, ancorché nella trascrizione nei registri immobiliari del provvedimento impositivo del vincolo culturale sia erroneamente indicata la data di nascita del proprietario-debitore esecutato, ove non soltanto l'esistenza del vincolo era indicata nell'avviso di vendita forzata, ma anche risulta che l'acquirente abbia individuato correttamente il conto intestato presso la conservatoria dei registri immobiliari al proprio dante causa» (Cons. Stato, sez. VI, 22 settembre 2008, n. 4569, in Vita not., 2008, 3, p. 1393). E' poi, nota l'inclinazione giurisprudenziale a degradare il rilievo di questa trascrizione, assegnandole il ruolo di pubblicità notizia, come avevo già posto in luce in «Vincoli temporanei di destinazione e pubblicità immobiliare», in Contr. impr., 1993, p. 815.

[nota 33] Ministero per i beni e le attività culturali, risposta del 20 ottobre 2004, pubblicata in Notariato, 2005, p. 338.

[nota 34] Nota dell'Ufficio legislativo del Ministero per i beni e le attività culturali ed ambientali del 30 giugno 2004, n. 12089: «poiché non si può escludere che rimangono ancora fattispecie di terreni ascrivibili a categorie rilevanti da un punto di vista culturale e non monitorate, sarà onere dell'ente che intende procedere alla vendita dei propri beni chiedere la verifica su quelle aree agricole che ... possano considerarsi cose ai sensi dei commi uno e due dell'art. 12».

[nota 35] Tra le innumerevoli, la replica della denuncia nel leasing finanziario: «Nell'ipotesi di leasing finanziario, il diritto di prelazione di cui all'art. 60, D.lgs. n. 42 del 2004 va riconosciuto sia al momento dell'acquisto da parte del finanziatore che in quello in cui l'opzione dell'utilizzatore-locatario realizza, anche a distanza di anni, un secondo trasferimento a favore di quest'ultimo» (Tar Lazio Roma, sez. II, 03 aprile 2008, n. 2843, in Foro amm. Tar, 2008, 4, p. 1028). In tema si è pronunciata anche Corte Cost. 21 giugno 2007, n. 221, in Giust. civ., 2007, 9, p. 1810, e in Foro it., 2008, c. 1073.

[nota 36] Ne rappresenta clamoroso esempio la previsione della medesima sanzione penale per il trasferimento non segnalato, un comportamento che evidentemente rispetto ai beni mobili è dotato di una capacità offensiva enormemente superiore: «In tema di tutela penale dei beni culturali, anche a seguito dell'entrata in vigore dell'art. 2-decies, L. 25 giugno 2005, n. 109 (di conversione del D.l. 26 aprile 2005, n. 63, recante "Disposizioni urgenti per lo sviluppo e la coesione territoriale, nonché per la tutela del diritto d'autore, e altre misure urgenti"), integra il reato di cui agli artt. 59 e 173 D.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 la violazione dell'obbligo di denunciare il trasferimento della proprietà o della detenzione di collezioni numismatiche, salvo che si tratti di monete antiche e moderne di modesto valore o ripetitive, o conosciute in molti esemplari o non considerate rarissime, ovvero di cui esiste un notevole numero di esemplari tutti uguali, per le quali è escluso sia l'obbligo di denuncia sia ogni altro obbligo di notificazione alle autorità competenti» (Cass. pen., sez. III, 21 ottobre 2008, n. 42516, in Cass. pen., 2008, p. 241540). Si segnalano anche: Cass. pen., sez. III, 15 febbraio 2005, n. 21400; Cass. pen., sez. III, 15 gennaio 2002, n. 12099.

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