Verifica e dichiarazione dell'interesse culturale
Verifica e dichiarazione dell'interesse culturale
di Giancarlo Lo Schiavo
Notaio in Prato
Ordinario di Sistemi Giuridici Comparati, Università degli Studi di Genova
I principi del codice dei beni culturali
Per una puntuale ricostruzione degli istituti in esame (verifica e dichiarazione) è necessario preliminarmente individuare, in maniera assolutamente sintetica, i principi cui si ispira il decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (in prosieguo definito "codice dei beni culturali" o, più semplicemente, "codice"), anche in riferimento alle relative norme costituzionali.
In ordine ai beni "culturali" l'interesse pubblico si concentra su tre funzioni principali (non aventi peraltro identica rilevanza):
- la conservazione;
- la fruizione;
- la valorizzazione.
E' stato sottolineato che il limite delle ragioni di tutela come condizionanti conservazione, fruizione e valorizzazione specifica la sovraordinazione gerarchica tra tutela e valorizzazione (G. Severini, p. 31).
L'articolo 1 del codice pone in rilievo il significato attribuito alle suddette funzioni specificando che «la tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale concorrono a preservare la memoria della comunità nazionale e del suo territorio e a promuovere lo sviluppo della cultura.
Lo Stato, le regioni, le città metropolitane, le provincie e i comuni assicurano e sostengono la conservazione del patrimonio culturale e ne favoriscono la pubblica funzione e la valorizzazione».
D'altro canto la Costituzione stabilisce all'articolo 9 che «la Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica.
Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione».
Solo tenendo presente le funzioni appena delineate è possibile un approccio corretto al tema in esame, in quanto i procedimenti volti alla individuazione e/o definizione del bene come "culturale" sono dirette derivazioni dei compiti istituzionali appena delineati.
L'ambito dell'indagine: i beni immobili
Per quanto riguarda l'argomento in esame, e cioè la verifica e la dichiarazione dell'interesse culturale, è necessario preliminarmente precisare che la relativa analisi riguarderà esclusivamente i beni immobili.
Inoltre è doveroso sottolineare che le relative classificazioni, che verranno formulate in prosieguo, terranno conto del fatto che il "codice", nelle varie formulazioni di riferimento, non presenta organicità sistematica.
Questo anche perché, come è stato sottolineato (Morbidelli, p. 115), la nozione di bene culturale non si presta ad una definizione tassativa e puntuale e quindi ad essere oggetto di una catalogazione preventiva ed esaustiva, così da ricondurre l'attività amministrativa di accertamento ad una mera attività di raffronto con la legge; tanto più che si è affermata da tempo una nozione di bene culturale che va ben oltre la cosa di interesse storico-artistico secondo i criteri della cultura classica, ma che ravvisa tale qualitas in tutti quei beni che costituiscono testimonianza di espressione di cultura o comunque di storia meritevole di considerazione e tutela.
I riferimenti normativi relativi ai beni culturali
Per poter affrontare il tema in esame è necessario preliminarmente individuare i riferimenti normativi relativi al concetto di "bene culturale".
Il primo articolo del codice che fornisce una definizione di bene culturale è l'articolo 2 comma 2 ove si precisa che «sono beni culturali le cose immobili e mobili che, ai sensi degli articoli 10 e 11, presentano interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, archivistico e bibliografico e le altre cose individuate dalla legge o in base alla legge quali testimonianze aventi valore di civiltà».
Il secondo articolo che delinea più puntualmente l'ambito relativo è l'articolo 10 che viene considerato, unitamente all'articolo 11, dettagliata specificazione dell'articolo 2 sopra citato in quanto, in questi due ultimi articoli, la suddetta specificazione avviene, come avremo modo di meglio puntualizzare in seguito, attraverso una sistematica molto più articolata.
Infine con l'articolo 11 si individuano «cose oggetto di specifiche disposizioni di tutela» che, secondo alcuni, devono considerarsi beni culturali "parziari" o "minori" (Morbidelli, p. 122). E' stato peraltro sottolineato «che, se tali beni hanno anche natura culturale ordinaria, saranno sottoposti ad entrambe le discipline, quella generale e quella speciale» (Morbidelli, p. 122).
Il limite cronologico fissato per i beni culturali
Uno dei punti più interessanti della normativa in tema di bene culturale è rappresentato dalla scelta del legislatore di escludere da tale categoria, con la unica eccezione di cui in prosieguo, tutti i beni costituenti opera di autore vivente e realizzati da meno di cinquanta anni, e questo principalmente per tutelare la produzione artistica di tali autori o quella di più recente esecuzione, «che deve essere mantenuta libera da vincoli amministrativi e normativi che ne limiterebbero la commerciabilità e che provocherebbero, di conseguenza, innegabili pregiudizi per le esigenze di tutela dei diritti d'autore e di rispetto della libera espressione della attività professionale dell'artista» (Tamiozzo, p. 23).
Questo principio trova la sua espressione esplicita nel dettato dell'articolo 10 comma 5 («salvo quanto disposto dagli articoli 64 e 178, non sono soggette alla disciplina del presente titolo le cose indicate al comma 1 e al comma 3, lettere a) ed e), che siano opera di autore vivente o la cui esecuzione non risalga ad oltre cinquant'anni») e dell'articolo 12 comma 1 («le cose immobili …, che siano opera di autore non più vivente e la cui esecuzione risalga ad oltre cinquanta anni, ...»).
Peraltro tale principio, apparentemente incontrovertibile, presenta una rilevante eccezione nello stesso disposto del citato comma 5 ove il suddetto riferimento (all'autore vivente ed alla datazione dell'opera) viene espressamente escluso per i beni definiti al comma 3 lettera d) del medesimo articolo e cioè alle «cose immobili e mobili, a chiunque appartenenti, che rivestono un interesse particolarmente importante a causa del loro riferimento con la storia politica, militare, della letteratura, dell'arte, della scienza, della tecnica, dell'industria e della cultura in genere, ovvero quali testimonianze dell'identità e della storia delle istituzioni pubbliche, collettive o religiose».
Da un punto di vista strettamente operativo rimane in ogni caso incerta, per quanto riguarda i beni immobili, la determinazione precisa della data di esecuzione dei manufatti stessi.
Peraltro, in linea con la soluzione prospettata per altre fattispecie, si deve ritenere che la data rilevante sia quella relativa alla conclusione dei lavori secondo le ordinarie regole di natura urbanistico-amministrativa.
La classificazione dei beni culturali
Non è certamente facile per l'interprete, stante quanto indicato in precedenza, procedere alla individuazione di sicuri ed esaustivi criteri di classificazione dei beni culturali.
Secondo taluno (Sciullo, p. 3) la nozione di bene culturale presenta i tratti della tipicità (in quanto il suddetto bene è creato dal legislatore), della pluralità (in quanto caratterizzato per tipi e categorie) e della materialità (in quanto si tratta sempre di cose immobili o mobili).
E' possibile peraltro proporre una complessa classificazione fondata su criteri diversificati.
Il primo criterio, fondato sulle norme di riferimento, può definirsi di natura oggettiva (o, per meglio dire , di natura procedimentale).
Infatti tale criterio si fonda sul rapporto tra il bene ed il relativo (ed eventuale) procedimento di verifica o di dichiarazione, a prescindere dalla relativa titolarità.
E' necessario in proposito fare riferimento alla sequenza prevista dall'articolo 10 del codice.
Al comma 1, infatti, vengono definiti come beni culturali quelli che, essendo di proprietà di determinati soggetti, e presentando «interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico», mantengono tale qualificazione fino all'eventuale verifica in senso negativo.
Al comma 2 vengono descritti beni che, per la loro natura , rivestono la qualifica di beni culturali senza che per essi si richieda alcuna verifica.
Al comma 3 sono ricompresi beni che, prescindendo dalla relativa titolarità, acquisiscono la suddetta qualifica solo dopo la conseguente dichiarazione.
Un secondo criterio può definirsi di carattere soggettivo.
Tale classificazione, infatti, si fonda sulla titolarità dei beni, con la conseguenza che:
tutti i beni dello Stato, delle regioni, degli altri enti pubblici territoriali (beni demaniali e/o beni patrimoniali indisponibili), di ogni altro ente ed istituto pubblico (solo beni patrimoniali indisponibili), delle persone giuridiche private senza fine di lucro, degli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti sono beni culturali, salvo verifica (articolo 10 comma 1);
tutti i beni dei privati non costituiscono beni culturali, salvo dichiarazione (articolo 10 comma 3).
A questo apparentemente univoco criterio di classificazione fanno peraltro eccezione le previsioni contenute nelle lettere d) ed e) del comma 3 dell'articolo 10 ove la relativa classificazione prescinde dalla specifica titolarità in quanto in esse si fa riferimento a beni «a chiunque appartenenti».
Un terzo criterio può trovare il suo fondamento sul diverso livello dell'interesse che il bene deve avere per assumere la qualità di bene culturale.
Così per i beni pubblici (ed assimilati) l'interesse di riferimento è solo quello "semplice" (comma 1 articolo 10) e cioè senza altra aggettivazione, mentre per i beni dei privati l'interesse deve essere «particolarmente importante» (lettera a) comma 3 articolo 10).
Addirittura "eccezionale" (lettera e) comma 3 articolo 10) deve essere l'interesse per i beni indicati nel comma da ultimo citato.
E' stato affermato (Sciullo, p. 10) che «previsioni di tal genere, per quanto capaci di determinare incertezze applicative, rispondono all'esigenza di graduare l'ambito di operatività della disciplina vincolistica, evitando una sua non ragionevole ipertrofia».
In riferimento poi alla classificazione cosiddetta soggettiva sono di particolare interesse le due norme che regolamentano, in maniera peraltro parzialmente diversificata, la particolare fattispecie del mutamento della natura giuridica del soggetto.
Infatti il comma 9 dell'articolo 12 (riferibile, ad esempio, alla privatizzazione degli enti pubblici o alla trasformazione di persone giuridiche private senza fini di lucro in soggetti con finalità di lucro) stabilisce che le disposizioni del suddetto articolo si applicano alle cose di cui al comma 1 dello stesso, anche qualora i soggetti cui esse appartengono mutino in qualunque modo la loro natura giuridica.
Sul punto è stato correttamente sottolineato che «il presupposto applicativo della norma è il mutamento di natura giuridica di un ente pubblico o privato non lucrativo, tale da sottrarlo - in astratto - alla sfera applicativa dell'art. 12 … i beni appartenenti ai soggetti in questione - nonostante il mutamento di veste giuridica che li sottrarrebbe alla sfera di applicazione soggettiva dell'art. 12 - restano comunque sottoposti al regime di tale articolo … Peraltro, posto che nella fattispecie regolata dal comma 9 in analisi il soggetto richiedente la verifica - come si è già osservato - non può essere altro che una persona giuridica privata con scopo di lucro, sembra ragionevole ritenere che, ai fini della verifica positiva, debba essere accertato l'interesse particolarmente importante del bene (e non il mero interesse c.d. semplice), in analogia a quanto previsto per la generalità dei soggetti privati con scopo di lucro dall'art. 10, comma 3 del Codice.
E' da escludere, inoltre, che l'applicazione del comma 9 possa estendersi anche ai beni entrati nel patrimonio dei soggetti in questione dopo la loro trasformazione» (Aicardi, p. 1144).
Si è inoltre sul punto sottolineato (Sciullo, p. 14) che se la eventuale trasformazione interviene prima che sia stata effettuata la verifica, la cosa è soggetta a verifica e non a dichiarazione ex articolo 13, mentre, se la trasformazione avviene successivamente, la verifica effettuata mantiene inalterati i suoi effetti.
Diversa, nella sostanza se non nella forma, è la previsione del comma 2 dell'articolo 13.
Tale norma si riferisce espressamente ai beni di cui all'articolo 10, comma 2 e cioè a quei beni che, come abbiamo avuto modo di evidenziare in precedenza, assumono la qualifica di beni culturali per la loro stessa natura, senza alcun accertamento procedimentale.
E' stato rilevato che le disposizioni contenute nel comma 9 dell'articolo 12 e nel comma 2 dell'articolo 13 «solo apparentemente raggiungono i medesimi effetti. Infatti, la permanenza della qualificazione disposta dal comma 2 dell'articolo 13 è di segno positivo, nel senso cioè che i beni indicati al comma secondo (cioè quelli di cui al comma 2 dell'articolo 10) sono a priori considerati dalla legge beni culturali, e dunque il mutamento della natura giuridica del proprietario non elimina tale qualificazione né la sottopone a verifica. Viceversa, il comma 9 dell'articolo 12 introduce una disposizione di segno opposto, poiché obbliga alla verifica i beni anche nel caso di mutamento della natura giuridica del proprietario, anche al fine di evitare che tale mutamento possa essere strumentale ad una surrettizia liberazione dal vincolo» (Zucchelli, p. 165).
La diversa tutela conseguente alla classificazione
Stante la classificazione sopra evidenziata (e qualificata come soggettiva) è opportuno mettere in rilievo le differenti conseguenze in ordine al sistema della relativa tutela.
Infatti per i beni di proprietà pubblica (o ad essi assimilati) è espressamente prevista una tutela immediata, nel senso cioè che tali beni, per il solo fatto di appartenere a determinati soggetti ed essere stati realizzati da autore non più vivente e da oltre cinquanta anni, sono sottoposti alle disposizioni concernenti la tutela, fino a quando non sia stata effettuata la relativa verifica (così dispone il comma 1 dell'articolo 12).
Conseguente a tale disposizione è anche il regime della inalienabilità assoluta.
Si è dunque affermato che «l'apparente illogicità di tale previsione - che richiede la verifica della sussistenza dell'interesse culturale (art. 12, comma 2) su cose che presentano interesse culturale (art. 10, comma 1) - può essere ragionevolmente superata ritenendo che la norma introduca una presunzione legale di culturalità di tutte le cose di proprietà pubblica o di enti privati non lucrativi che siano opera di autore non più vivente e la cui esecuzione risalga ad oltre cinquanta anni (art. 12, comma 1) e, di conseguenza, sottoponga tali cose a tutela (art. 12, comma 1) in quanto beni culturali (art. 10, comma 1), facendo tuttavia salva la possibilità della prova contraria, mediante il riscontro effettivo e concreto della sussistenza o meno di tale interesse, da effettuarsi attraverso il procedimento amministrativo di verifica, disciplinato dai commi successivi dell'articolo» (Aicardi, p. 1138).
Per quanto riguarda invece i beni di appartenenza privata il regime di tutela viene rinviato al momento della relativa dichiarazione o, per meglio dire, al momento dell'inizio della fase procedimentale, individuato dalla norma nella comunicazione dell'avvio del procedimento (articolo 14 comma 1).
Secondo il disposto del comma 4 dell'art. 14 «la comunicazione comporta l'applicazione, in via cautelare, delle disposizioni previste dal capo II, dalla sezione I del capo III e dalla sezione I del capo IV del presente titolo».
Nel dettaglio si rendono applicabili ai suddetti beni i poteri di vigilanza ed ispezione (articoli 18 e 19), le misure di protezione (divieti ed obblighi in materia di realizzazione di interventi e connessi poteri cautelari di inibizione e sospensione articoli 20-28), i poteri di controllo sulla circolazione in ambito nazionale (divieti ed obblighi in materia di alienazione di beni pubblici e privati articoli 53-59).
L'ambito di applicazione della verifica
L'ambito di applicazione della verifica riguarda tutti i beni pubblici (ed assimilati), e cioè quelli indicati nel comma 1 dell'articolo 10, fatta eccezione:
per i beni individuati dall'articolo 10 comma 2 che assumono la qualifica di beni culturali direttamente in virtù della loro particolare natura, senza necessità di essere sottoposti ad alcun iter procedimentale (di verifica e/o di dichiarazione) secondo il disposto dell'articolo 13 comma 2;
per i beni individuati dall'articolo 10 comma 3 lettere d) ed e) per i quali, a differenza dei beni di cui sopra, è previsto il procedimento di dichiarazione anziché di verifica.
Si ritengono altresì esclusi dalla verifica dell'interesse culturale «quei beni che l'art. 54 del codice indica come beni demaniali inalienabili» (Alterio, p. 78) in quanto viene considerato inutile l'assoggettamento al procedimento di verifica che ha la funzione, come vedremo in seguito, di attrarre i beni nel relativo sistema vincolistico ovvero di liberalizzarne la circolazione.
Il procedimento di verifica ed i suoi effetti
Le ragioni della scelta del legislatore per il sistema previsto dall'articolo 12 (verifica dell'interesse culturale) si fondano su due esigenze contrapposte.
Da un lato la necessità di una tutela preventiva per tutti quei beni che, per la loro natura e per la loro appartenenza, rivestono un potenziale interesse culturale, dall'altro la necessità di un procedimento che consenta la liberalizzazione della circolazione (esigenza quest'ultima particolarmente avvertita allorché si è attuata una politica di alienazione di parte del patrimonio pubblico).
Il legislatore ha così previsto un procedimento per il quale i beni individuati dal comma 1 dell'articolo 10 vengono verificati da parte del Ministero per i beni e le attività culturali (in sigla Mibac) in ordine alla esistenza o meno dell'interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico.
L'esito della verifica, che viene proposta d'ufficio o su richiesta formulata dai soggetti cui le cose appartengono (comma 2 articolo 12), può risultare negativo ovvero positivo.
La previsione dell'operatività d'ufficio deriva dalla opportunità di evitare ogni eventuale incertezza in ordine al regime di tutela (ed indirettamente alla alienazione, giusta la diversificata regolamentazione degli articoli 54, 55 e 56 del codice), mentre l'attivazione su richiesta della parte si fonda sulla possibilità che, attraverso tale procedura, si ottenga la liberalizzazione del bene da ogni vincolo in ordine alla tutela ed alla circolazione.
Qualora nelle cose sottoposte a verifica non sia stato riscontrato l'interesse sopra evidenziato, le cose medesime sono escluse dal regime di tutela (comma 4 articolo 12).
Per chi ritiene che l'articolo 12 del codice ha introdotto una «presunzione legale relativa» (Aicardi, p. 1138) di culturalità per i beni oggetto di verifica il relativo esito negativo costituirebbe la "prova contraria", con la logica conseguenza che i beni stessi verrebbero sottratti al regime di tutela.
«La sottrazione al regime di tutela è da ritenere, evidentemente, anche ad effetto retroattivo, dal momento che la verifica negativa non solo fa cessare l'efficacia della presunzione legale di culturalità, ma costituisce altresì prova della non veridicità di quanto sino a quel momento legalmente presunto, ossia della sussistenza dell'interesse culturale: l'applicazione, anche per il passato, del regime di tutela risulterebbe perciò priva di fondamento giuridico» (Aicardi, p. 1142).
Gli ulteriori commi (5 e 6 dell'articolo 12) regolamentano conseguenze specifiche della verifica negativa.
Nel comma 5 si regolamenta la sdemanializzazione del bene attraverso la trasmissione della scheda e del provvedimento di verifica negativa all'ente proprietario del bene che provvederà al conseguente provvedimento se il precedente vincolo derivava esclusivamente dalla presunzione di culturalità.
«Diversamente, qualora la demanializzazione del bene fosse stata dichiarata anche ad altri titoli o, comunque, il requisito della demanialità del bene sussista in concreto anche ad altri titoli (ad esempio, in quanto il bene sia comunque ascrivibile al demanio stradale ovvero acquedottistico, portuale, della difesa ecc.), la sdemanializzazione non potrà essere dichiarata dall'amministrazione interessata, perché vi ostano - come recita il comma 5 in analisi - altre ragioni di pubblico interesse, diverse da quelle della tutela del patrimonio culturale» (Aicardi, p. 1143).
Nel comma 6 si stabilisce espressamente che le cose sdemanializzate sono liberamente alienabili, ai fini del codice.
Norma quest'ultima assolutamente tautologica, in quanto la verifica negativa comporta l'esclusione del bene dal sistema di tutela, anche circolatoria, previsto dal codice dei beni culturali.
Le conseguenze della verifica positiva (commi 7 ed 8) possono sintetizzarsi nel superamento della cosiddetta presunzione legale relativa alla sussistenza dell'interesse culturale del bene con la conseguenza che la qualifica di bene culturale diventa definitiva.
«Per tale ragione, correttamente il comma 7 equipara la verifica positiva alla dichiarazione ex art. 13 del codice: ossia ad un atto di accertamento avente effetto costitutivo dell'applicazione del regime di tutela a tempo indeterminato (definitivamente, dice la norma in analisi, salvo eventuale revoca adottabile, tuttavia, unicamente dal Ministero d'ufficio (nel senso che un'eventuale richiesta di avvio del procedimento di revoca da parte del proprietario del bene non determinerebbe comunque - secondo i principi - alcun obbligo di procedere in capo all'amministrazione).
L'equiparazione della verifica positiva alla dichiarazione appare inoltre utile ed opportuna perché consente di applicare ad una fattispecie giuridica nuova (la verifica positiva) l'intero regime giuridico valido per un istituto (la dichiarazione) già ben consolidato nell'ordinamento» (Aicardi, p. 1144).
Il comma 7 prevede altresì espressamente la trascrizione del provvedimento anche per i beni pubblici.
Delle conseguenze di tale prevista formalità avremo modo di parlare in prosieguo, di concerto con l'esame della medesima previsione prevista per la dichiarazione (comma 2 articolo 15).
Nell'ipotesi di silenzio sul vincolo, trascorsi i centoventi giorni dal ricevimento della richiesta (comma 10 dell'articolo 12), è possibile il ricorso al giudice amministrativo, non oltre un anno dalla scadenza del suddetto termine, ai sensi dell'articolo 2 comma 8 della legge 241/1990.
La dichiarazione
L'articolo 13 stabilisce che «la dichiarazione accerta la sussistenza, nella cosa che ne forma oggetto, dell'interesse richiesto dall'articolo 10, comma 3».
I soggetti interessati da tale procedimento sono i privati e le persone giuridiche private con scopo di lucro, con la conseguenza che «trattandosi in definitiva di competizione di diversi interessi entrambi di rango costituzionale, quale quello alla tutela del patrimonio artistico da un lato, e quello della proprietà privata dall'altro» (Cons. Stato, sez. VI, 27 agosto 2001, n. 4508, in Riv. giur. ed., 2001, I, p. 1167) è stato previsto un procedimento particolarmente rigoroso e tuzioristico.
Sulla natura giuridica della suddetta dichiarazione sono state espresse opinioni diversificate.
In ordine alla efficacia, è prevalente l'opinione che il provvedimento ha natura meramente dichiarativa in quanto concernente una qualità oggettiva del bene, «in esso intrinsecamente presente. Quest'ultima tesi - che in passato la Corte costituzionale ha fatto propria respingendo ogni dubbio di incostituzionalità della L. n. 1089/39 ed ogni tentativo di pretendere la corresponsione di un indennizzo a ristoro del pregiudizio derivante dall'imposizione del vincolo - appare preferibile, ove si consideri che l'interesse culturale di un bene non viene creato dal provvedimento amministrativo, che si limita a riconoscerlo, rivelarlo e dichiararlo pubblicamente, ma esiste sin dall'origine» (Aicardi, p. 1147).
Peraltro che il provvedimento abbia una rilevanza di natura costitutiva per la nascita del relativo vincolo, e per ulteriori determinati effetti, è stato posto in rilievo allorché si è affermato che «va distinto il momento dichiarativo del vincolo cui va sottoposto il bene dal momento costitutivo del vincolo stesso, in quanto si tratta di una sequenza procedimentale nella cui prima fase dall'amministrazione competente viene riconosciuta nel bene di cui trattasi una determinata qualità, mentre nella successiva fase tale determinazione viene dalla stessa amministrazione portata a conoscenza del privato interessato, a carico del quale, dalla data di tale notificazione, derivano gli obblighi previsti dalla legge» (Cons. Stato, sez. VI, 24 febbraio 1981, n. 71, in Riv. amm., 1981, p. 317).
Si conclude pertanto ritenendo la dichiarazione dell'interesse culturale quale atto di accertamento costitutivo e che l'attività svolta dalla amministrazione riconducibile all'esercizio di discrezionalità tecnica (Cons. Stato, sez. IV, 24 marzo 2003, n. 1496, in Foro amm. CDS, 2003, p. 1102).
Per quanto poi concerne i soggetti destinatari della comunicazione concernente l'avvio del relativo procedimento, gli stessi sono testualmente indicati nel comma 1 dell'articolo 14 (e cioè proprietario, possessore o detentore a qualsiasi titolo), così come nel comma 1 del successivo articolo 15 che individua i soggetti cui notificare la dichiarazione.
E' da porre in rilievo come, nel sistema dei beni culturali, esista una sostanziale identità tra i soggetti sopra indicati nel senso che l'attività di controllo e tutela dei beni culturali si rivolge nei confronti di qualsiasi soggetto abbia, rispetto al bene culturale, una diretta relazione e/o una materiale e concreta disponibilità dello stesso, con la ulteriore considerazione che se anche il possessore e/o detentore della cosa non potrebbero essere considerati «destinatari diretti del provvedimento impositivo del vincolo, sarebbero sicuramente annoverabili tra coloro che dal provvedimento medesimo possono risultare pregiudicati» (Aicardi, p. 1154).
Conseguentemente si ritiene necessario che, se individuabili, i suddetti soggetti dovranno tutti ricevere la relativa comunicazione nonché la conseguente dichiarazione.
Mentre per le modalità di comunicazione della dichiarazione dispone, come vedremo in prosieguo, esplicitamente la legge (comma 1 articolo 15), nulla si dice relativamente alla comunicazione iniziale.
Si ritiene peraltro che, con esclusione della forma orale, è possibile portare a conoscenza dei soggetti interessati la comunicazione «in qualsiasi modo, purché in forma scritta, quindi sia mediante formale notificazione che attraverso semplice comunicazione, magari con raccomandata con ricevuta di ritorno, così da poter eventualmente provare di aver provveduto all'incombente. Deve, di contro, escludersi che la comunicazione possa dirsi assolta mediante affissione degli atti all'albo pretorio del comune» (Aicardi, p. 1156).
Il contenuto della comunicazione è individuato puntualmente nel comma 2 dell'articolo 14, ove si configura la necessità di evidenziare «gli elementi di identificazione e di valutazione della cosa risultanti dalle prime indagini, l'indicazione degli effetti previsti dal comma 4» (e cioè l'applicazione, in via cautelativa, delle norme riguardanti la vigilanza e l'ispezione nonché la protezione, e quelle concernenti l'alienazione), «nonché l'indicazione del termine, comunque non inferiore a trenta giorni, per la presentazione di eventuali osservazioni».
Gli effetti cautelari appena evidenziati cessano alla scadenza del termine del procedimento di dichiarazione, che il Ministero stabilisce ai sensi delle vigenti disposizioni di legge in materia di procedimento amministrativo (comma 5 articolo 14).
Come ogni provvedimento amministrativo la dichiarazione deve essere supportata da un valida motivazione con particolare riguardo «all'esistenza degli elementi fattuali e di giudizio giustificativi dell'interesse artistico o storico atto a determinare l'imposizione del vincolo, così da rendere possibile la ricostruzione dell'iter logico seguito dall'amministrazione» (Tar Veneto, sez. II, 29 ottobre 1996, n. 1801, in Giur. mer., 1997, p. 603), nonché «deve accertare il collegamento dei beni e della loro utilizzazione con gli accadimenti della storia e della cultura, individuando l'interesse particolarmente importante del bene, che può dipendere o dalla qualità dell'accadimento che col bene appare collegato o dalla particolare rilevanza che il bene stesso ha rivestito per la storia politica, militare, della letteratura, dell'arte e della cultura» (Cons. Stato, sez. VI, 24 marzo 2003, n. 1496, in Cons. Stato, 2003, I, p. 684).
Come si è detto la dichiarazione di interesse deve essere notificata ai soggetti precedentemente identificati; non si ritiene pertanto sufficiente la notifica al solo proprietario, se sono note le generalità anche degli altri soggetti.
A differenza di quanto concerne la comunicazione dell'inizio del procedimento, per quanto riguarda la modalità della comunicazione della dichiarazione è lo stesso codice (comma 1 articolo 15) a stabilire che quest'ultima deve essere notificata tramite messo comunale o a mezzo posta raccomandata con avviso di ricevimento.
In riferimento alla detta notificazione c'è da aggiungere che il significato giuridico della sua effettuazione si ricollega direttamente alla natura giuridica della dichiarazione in precedenza sinteticamente evidenziata.
Si ripropone, in proposito, di nuovo il dilemma se la notificazione ritualmente prevista possa attribuire al relativo provvedimento natura costitutiva, pur nella considerazione che il testo attuale, a differenza di quelli precedenti, stabilisce espressamente (comma 3 articolo 10) che la natura di bene culturale viene acquisita quando sia intervenuta la dichiarazione prevista dall'articolo 13 (e non la sua notificazione).
Ci si è dunque posto (Sandulli, p. 1023) il dubbio se la notificazione: a) debba considerarsi tra gli elementi costitutivi dell'efficacia della dichiarazione sì che essa abbia natura ricettizia, b) se abbia efficacia meramente informativa; c) se si debba attribuire ad essa una funzione per così dire intermedia.
«Quanto al primo punto la natura ricettizia deve escludersi poiché la notificazione non deve essere necessariamente indirizzata a tutti i proprietari del bene … ma può raggiungere chiunque sia in una relazione qualsivoglia con il bene, tale da influenzarne, per così dire, la vita stessa. Essa è, quindi, efficace al momento stesso della sua attuazione, ma in verità ciò significa al momento della emanazione dell'atto presupposto, vale a dire il vincolo. Quanto al secondo punto … un provvedimento non conosciuto da alcuno, ma soprattutto dal soggetto posto in relazione con il bene, giuridicamente non è in grado di svolgere alcun effetto pratico, ma ciò non di meno esiste e, come provvedimento amministrativo, è caratterizzato dalla sua capacità di innovare nell'ordinamento amministrativo e di mutare le posizioni giuridiche soggettive. Non quindi mera informazione, ma nemmeno elemento costitutivo. Si fa luce una terza soluzione che risponde anche al terzo quesito: la notificazione è un elemento integrativo dell'efficacia del vincolo» (Zucchelli, p. 145).
Oltre alla notificazione è prevista, ove si tratti di cose soggette a pubblicità immobiliare, la trascrizione della dichiarazione nei relativi registri (comma 2 articolo 15).
Pressoché identica la formulazione per quanto riguarda la verifica dell'interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico che, equiparato alla dichiarazione, deve essere trascritta con le medesime modalità (comma 7 articolo 12).
La natura di tale forma di pubblicità è stata sempre particolarmente controversa, anche in riferimento alla natura dei due provvedimenti (verifica e/o dichiarazione).
Si discute cioè se tale trascrizione assuma carattere costitutivo, dichiarativo ovvero di mera pubblicità notizia.
Secondo un tradizionale orientamento, fondato su una ricostruzione ormai storicamente in parte superata dell'istituto, la pubblicità in questione rappresenterebbe una delle forme consentite di "pubblicità notizia". Così si è affermato che «l'efficacia della notifica e la sua opponibilità ai terzi deve porsi in relazione non con la trascrizione, ma con il carattere del vincolo che con la notifica viene costituito sulla cosa; si che la trascrizione non ha il carattere dichiarativo che le attribuisce il codice civile, ma soltanto il carattere di pubblicità-notizia» (Cantucci, p. 371).
Secondo altri autori per la fattispecie in esame si dovrebbe parlare di "pubblicità rafforzativa" in quanto non potendo ammettere una siffatta pubblicità di natura costitutiva, ben si potrebbe concludere che le forme di pubblicità dei provvedimenti in questione «funzionano secondo il meccanismo della pubblicità cosiddetta rafforzativa, che è quella particolare specie di pubblicità informativa, che vale a determinare, a ogni effetto, una presunzione assoluta di conoscenza da parte dei terzi» (Proto Pisani, p. 1969).
La giurisprudenza finora non si era dimostrata particolarmente sensibile e coerente sul punto, oscillando tra ricostruzioni tradizionali, in termini di mera pubblicità notizia, ed altre più sensibili al tema della diretta opponibilità.
L'ingresso nel nostro codice civile della norma contenuta all'articolo 2645-ter, e l'evoluzione interpretativa da parte della giurisprudenza in merito ai vincoli di destinazione, sembrano ormai consentire una lettura della norma in esame in maniera certamente più funzionale.
Si può cioè sostenere che la trascrizione dei provvedimenti concernenti la culturalità del bene assuma carattere costitutivo, nel limitato senso di rendersi necessaria ai fini della opponibilità delle dichiarazioni medesime agli aventi causa.
Il ricorso
Avverso la dichiarazione di cui all'articolo 13 è ammesso ricorso al Ministero, per motivi di legittimità e di merito, entro trenta giorni dalla notifica della dichiarazione (articolo 16).
La modifica del sistema introdotta dalla norma in esame rappresenta una intelligente soluzione volta a «garantire in concreto l'omogeneità (oggi di difficile realizzazione) delle decisioni adottate dalle soprintendenze in tale materia; dall'altro lato, al cittadino è fornito uno strumento di tutela, sicuramente meno oneroso nonché in grado di assicurare una risposta alle proprie doglianze in tempi (si auspica) più ristretti» (Figorilli, p. 1164).
Di rilievo il fatto che, in virtù del disposto del comma 2, la proposizione del ricorso comporta la sospensione degli effetti del provvedimento impugnato, ferma restando l'applicazione, in via cautelare, delle misure dettate in tema di vigilanza e di ispezione, ivi compreso l'obbligo di denunciare eventuali trasferimenti del bene.
E' stato peraltro sottolineato (Tamiozzo, p. 101) che, stante il mancato richiamo esplicito nel comma 2, fra le misure cautelari immediatamente applicabili, delle disposizioni previste alla sezione II del capo IV, si deve ritenere inapplicabile l'articolo 6, e quindi escludere la possibilità, per gli organi competenti, di esercitare il diritto di prelazione in ordine ai beni alienati a titolo oneroso.
Casistica minima
Volendo da ultimo affrontare alcuni temi, di particolare interesse notarile, è opportuno riflettere sulla incidenza della normativa sopra esaminata riguardo, per esempio, ai terreni privi di manufatti significativi.
Il problema riveste particolare delicatezza soprattutto in riferimento ai beni culturali definiti dal comma 1 dell'articolo 10, stante la loro particolare regolamentazione, ed a quelli individuati dalla lettera d) del comma 3 del medesimo articolo.
Le perplessità operative iniziali sono state in parte risolte dalla nota dell'Ufficio legislativo del Ministero per i beni e le attività culturali protocollo n. 12089 del 30 giugno 2004 nella quale, in linea di principio, si afferma che ai terreni non sono certo applicabili i presupposti fissati dalle norme di riferimento, mancando sugli stessi manufatti realizzati dall'uomo.
Peraltro, nella stessa nota, si sottolinea l'esigenza di un'analisi in ordine al fatto che il terreno presenti, di per sé, valenza storica o la presenti in quanto collegato con eventi della storia; in questo caso, sebbene conservi la sua destinazione, esso è stato indubbiamente inciso dai fatti della storia di cui è stato testimone, diventando pertanto bene di potenziale interesse culturale.
Attenzione va poi prestata alla tematica delle pertinenze, in quanto, a prescindere dal rapporto civilistico tra la cosa principale e la relativa pertinenza, non sempre la natura di bene culturale viene assunta dalla cosa principale. Infatti non è infrequente il caso che solo il bene pertinenziale assuma la veste di bene culturale, con la conseguente applicazione, solamente a quest'ultimo, di tutte le relative norme di riferimento.
Situazione sostanzialmente analoga è quella che riguarda i beni comuni, accessori di beni di proprietà esclusiva, per i quali la qualifica di bene culturale riguarda solo porzioni e non l'intera consistenza (ad esempio un manufatto di rilievo storico-artistico insistente su un bene condominiale).
Altra ipotesi di particolare difficoltà operativa è quella che si verifica allorché la definizione di bene culturale riguarda un immobile individuato, al momento della relativa verifica o dichiarazione, in maniera diversa dalla attualità.
Occorre in questo caso prestare molta attenzione in ordine alla puntuale identificazione catastale del bene "culturale", in quanto successive modificazioni catastali dello stesso (frazionamenti, fusioni, ecc.) non incidono sulla particolare natura dello stesso
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