Prelazione: totale, parziale, determinazione del prezzo, dazione in pagamento
Prelazione: totale, parziale, determinazione del prezzo, dazione in pagamento
di Alberto Lepri
Notaio in Varazze

Premessa

L'istituto della prelazione artistica [nota 1] ha dimostrato di essere, inevitabilmente, in continua evoluzione poichè occupa un punto di intersezione tra interesse della autonomia privata verso la contrattazione e la circolazione dei beni ed interesse dello Stato (e degli enti locali) al controllo, acquisizione e tutela dei beni culturali.

Basti pensare, anzitutto, alla evoluzione legislativa.

Nonostante l'impianto della normativa in tema di prelazione sia nella sostanza non di molto variato rispetto alla struttura adottata nella legge Bottai, si osservano continui interventi di precisazione ed ampliamento dell'ambito di applicazione della figura [nota 2].

L'evoluzione è costante anche per quanto riguarda la prassi. Il Ministero, infatti, più volte chiarisce le modalità del proprio operato [nota 3].

Forse meno innovativi i più recenti contributi della giurisprudenza, ove, sui temi maggiormente discussi, le diverse prese di posizione paiono piuttosto definite e non si segnalano mutamenti di orientamento di particolare rilevanza anche se, in alcuni ambiti, la conflittualità resta di un certo rilievo.

Non è certo questa l'occasione per una rassegna di giurisprudenza ma, tra i temi sui quali più sovente vertono i giudizi, si possono richiamare:

- la questione della competenza a conoscere delle controversie relative all'esercizio della prelazione [nota 4];

- il profilo relativo al termine di esercizio del diritto di prelazione, che la giurisprudenza conferma essere tassativo [nota 5];

- il profilo del pagamento del prezzo, regolato dal legislatore di settore limitatamente agli enti territoriali ed al relativo impegno di spesa, ma di grande rilevanza pratica, specie nel caso di esercizio tempestivo della prelazione magari non accompagnato da altrettanto tempestivo pagamento del prezzo [nota 6];

- il profilo relativo alla motivazione del provvedimento di esercizio della prelazione [nota 7]. In realtà questo della motivazione del provvedimento di prelazione è un tema di estremo interesse non solo per l'applicazione dell'istituto della prelazione in generale ma anche per i particolari riflessi che riveste in tema di esercizio parziale della prelazione stessa, come vedremo.

Nell'ottica di questo incontro, improntato all'esame della attualità e della criticità del settore dei beni culturali, mi propongo di coordinare ed evidenziare alcuni casi che - seppure già frequentati da dottrina e giurisprudenza - non paiono trattati in modo sistematico [nota 8], ed, in particolare, di esaminare la differenza esistente tra esercizio totale ed esercizio parziale della prelazione artistica e di verificare in quali fattispecie tali figure trovino applicazione.

Prelazione totale e prelazione parziale

Possiamo chiederci se esista una differenza strutturale tra prelazione totale e prelazione parziale, se l'ambito di applicazione pratica (e di esercizio) della prelazione possa essere graduato a seconda delle circostanze o per volontà della pubblica amministrazione e, infine, quali siano le conseguenze applicative di tale differenza.

Sin dalla legge Bottai le norme in tema di prelazione prevedevano la possibilità di esercitare tale facoltà non solo in caso di alienazione dell'intero bene culturale ma anche nei casi particolari che: - il bene sia trasferito in tutto o in parte (art. 30); - la cosa sia alienata con altre (art. 31, comma 2); - il Ministero eserciti la prelazione su parte delle cose alienate (art. 31 u.c.).

Analoghe disposizioni, se pure con qualche intervento di riformulazione, si trovano nei successivi interventi normativi del 1999 [nota 9], e del 2004 (codice Urbani) e precisamente - per quest'ultimo - all'art. 61, comma 6 ove si prevede la possibilità di esercitare la prelazione su parte delle cose alienate ed un diritto di recesso per l'acquirente [nota 10]; all'art. 59, comma 1 ove si fa riferimento agli atti che trasferiscono la proprietà «in tutto o in parte» [nota 11]; all'art. 60, comma 2 ove si prevede che, in caso di alienazione del bene culturale unitamente ad altri per unico corrispettivo, il valore del bene è determinato dal soggetto prelazionante [nota 12].

Tali disposizioni normative sono state variamente evocate per la soluzione di fattispecie assai diverse tra loro, tra le quali segnalo - sin da ora - le alienazioni pro-parte o pro-quota [nota 13] di bene culturale od anche i trasferimenti o le costituzioni di diritti reali limitati sui beni stessi o, infine, i casi di sussistenza del vincolo culturale solo su parti dell'immobile o su un solo particolare dello stesso.

Sovente, però, si è cercato di fornire una soluzione al singolo caso, senza approfondire quali siano le fattispecie in cui la pubblica amministrazione esercita la prelazione in modo totale e quali quelle in cui esercita la prelazione in modo parziale.

Per effettuare tale verifica intendo richiamare i criteri applicativi acquisiti in tema di prelazione, per tracciare, poi, una differenza tra prelazione totale e prelazione parziale anche in rapporto all'oggetto del contratto e/o dell'atto traslativo. Ciò consentirà di prendere, infine, in rassegna una serie di casi particolari per verificare se l'eventuale esercizio della prelazione possa considerarsi un esercizio totale o parziale della stessa.

Anticipando le conclusioni, ritengo si possa affermare che nella maggior parte delle fattispecie di alienazione di bene culturale variamente modulando l'oggetto della cessione (avvenga essa per intero, pro-parte, pro-quota o per diritti reali limitati) ed ove la pubblica amministrazione decida di esercitare la prelazione, si verifichi un esercizio totale della prelazione, mentre solo in casi assai limitati si può compiutamente parlare di prelazione parziale.

Ma procediamo con ordine, richiamando dapprima alcuni profili applicativi acquisiti in dottrina e in giurisprudenza in tema di prelazione.

a. Pare anzitutto opportuno ricordare che la prelazione presuppone un atto traslativo oneroso inter vivos; da tale presupposto si desume che la pubblica amministrazione non può assumere unilateralmente l'iniziativa di esercitare la prelazione. Tale diritto sorge solo in seguito a (ed in dipendenza di) un atto di autonomia privata. Qui il diritto della pubblica amministrazione consiste in una preferenza (prelazione) ma tale diritto sorge solo se le parti si decidono a trasferire a titolo oneroso [nota 14].

b. Non basta. L'ambito di esercizio della prelazione è strettamente connesso con l'oggetto del contratto, nel senso che la prelazione non può essere esercitata su beni non compresi nell'oggetto dell'atto traslativo. Per essere ancora più chiari, la prelazione è limitata non solo dall'oggetto dell'atto traslativo ma anche dal fatto che tale oggetto (o parte di esso) deve consistere in un bene vincolato (o più beni vincolati).

L'esercizio della prelazione, poi, non può ampliarsi oltre tale estensione.

L'ambito (massimo) della prelazione, infatti, deve a mio parere coincidere con il bene culturale oggetto dell'atto di disposizione, sia esso l'unico oggetto dell'atto dispositivo, sia esso l'oggetto dell'atto insieme ad altri beni non vincolati e non può estendersi ad altri beni o non compresi nell'oggetto del trasferimento o - seppure in oggetto - non vincolati.

La prelazione, poi, non può estendersi neppure quando oggetto di trasferimento sia stata una parte di un più ampio bene culturale.

La alienazione di una parte di un bene culturale, infatti, non pare possa essere l'occasione per la pubblica amministrazione di esercitare la prelazione sull'intero bene culturale, così estendendo gli effetti della prelazione anche alla parte di bene che non era stata oggetto di contratto.

Queste osservazioni, che parrebbero scontate e non meritevoli di sottolineatura, sono al contrario il frutto di un dibattito lungo ed articolato.

Pare opportuno, infatti, richiamare una fattispecie venuta a suo tempo all'esame dei giudici e che ha portato ad affermazioni giurisprudenziali che per un certo tempo hanno condizionato il dibattito sul tema [nota 15]. La Cassazione aveva affermato che, in caso di alienazione pro-parte, lo Stato non solo non può esercitare la prelazione pro-parte, ritenuta inammissibile, ma ha il diritto di esercitare la prelazione su tutto il bene vincolato in modo da procurarsene l'acquisto per intero.

Le critiche della dottrina a tale impostazione paiono da condividersi.

Non solo, come vedremo più avanti, deve ritenersi ammissibile la prelazione pro-parte.

Ma, ciò che qui interessa, la prelazione artistica, pur considerata nella sua particolare natura di atto autoritativo e non di prelazione civilistica in senso stretto, non deve e non può essere (perchè la legge non lo prevede) l'occasione per l'espropriazione della parte di bene non oggetto di trasferimento; non pare che il diritto riconosciuto dalla legge alla pubblica amministrazione possa estendersi ad un ampliamento dell'oggetto del contratto oltre quello determinato dalle parti, addivenendo ad una sostanziale espropriazione della parte non negoziata (v. supra nota 11).

Si può affermare - probabilmente - che le parti, nel determinare l'oggetto del contratto, fissino anche il limite oggettivo massimo della prelazione esercitabile.

c. Occorre, infine, richiamare le conclusioni più recenti in tema di coesistenza di titolarità pubblica e privata sul bene culturale.

Pare, oramai, acquisita dalla opinione prevalente la tesi che ritiene ammissibile la coesistenza, sullo stesso bene, di titolarità pro-parte o pro-quota in capo a privati e di titolarità in capo alla pubblica amministrazione. Tale conclusione è alla base della ammissibilità dell'esercizio della prelazione anche su parte o su quota di bene culturale. Su questo tema la stessa sentenza risalente della Suprema Corte sopra citata era giunta a conclusioni negative [nota 16] ma tali conclusioni sono state criticate e pare ormai prevalere la tesi contraria nel senso della ammissibilità della coesistenza [nota 17].

Con queste seppur brevi premesse si può iniziare a verificare la struttura totale o parziale della prelazione ed il funzionamento in concreto dell'istituto prendendo le mosse dalle ipotesi generali.

Nel caso in cui la pubblica amministrazione decida di esercitare la prelazione sul bene culturale unico bene oggetto di trasferimento, ebbene in tale caso pare ovvio ritenere di essere in presenza di un esercizio totale della prelazione.

Non appena, però, si articoli la fattispecie, si possono effettuare osservazioni particolari.

Si noti sin da ora, infatti, che la caratteristica di "totalità" della prelazione non muta se oggetto dell'atto è un bene culturale considerato pro-parte.

Se, ad esempio, si aliena una parte sola di un più ampio bene tutto di interesse culturale, la pubblica amministrazione ha diritto ad esercitare la prelazione solo sulla parte di bene culturale alienata, e si tratta comunque di una prelazione totale, perchè ha ad oggetto tutto il bene oggetto dell'atto.

La caratteristica di "totalità" della prelazione, poi, non muta neppure se oggetto dell'atto è un bene culturale considerato pro-quota e come tale oggetto di alienazione.

In tali ipotesi, secondo la tesi oramai dominante, la pubblica amministrazione può esercitare la prelazione sulla quota alienata ma anche in questo caso - a mio avviso - si tratta di una prelazione totale perchè viene esercitata su tutto il bene in contratto suscettibile di prelazione (bene che, nella particolare fattispecie, è costituito da una quota di comproprietà indivisa).

Pare, quindi, che si possa configurare una prelazione parziale solo ove la stessa pubblica amministrazione ritenga di limitare l'esercizio della prelazione ad una parte soltanto (considerata pro-parte o pro-quota) del più ampio bene culturale oggetto di contratto.

In tali casi la prelazione è parziale perchè la pubblica amministrazione, invece di esercitare interamente la facoltà di prelazione concessale dalla legge acquisendo l'intero bene oggetto di contratto (sia esso un bene a sua volta interamente considerato ovvero sia esso una quota indivisa o una parte determinata di un più ampio bene culturale), decide di limitare questa facoltà, concentrando l'esercizio della prelazione (e limitandolo) ad una parte sola del bene oggetto di contratto.

Si tratta, però, di casi particolari e di difficile riscontro pratico.

Sulla base delle considerazioni sin qui svolte, quindi, e ribadendo le conclusioni sopra anticipate - prendendo in esame un elenco di fattispecie - pare che - nonostante le peculiarità - debbano considerarsi fattispecie di esercizio totale della prelazione le seguenti:

I. Trasferimento di una porzione di un più ampio bene, dichiarato per intero di interesse e tutto di proprietà dell'alienante, con riserva - quindi - di parte di esso a favore dell'alienante.

Qui le parti, nel determinare l'oggetto del contratto, fissano anche il limite oggettivo massimo della prelazione esercitabile.

In questi casi la prelazione spetta alla pubblica amministrazione limitatamente alla parte di bene oggetto di trasferimento.

Non si tratta di una prelazione parziale rispetto all'oggetto del contratto, poichè la pubblica amministrazione esercita la prelazione su tutto l'oggetto del contratto che consiste in una porzione di un più ampio bene. Tale circostanza non modifica la portata della prelazione: la prelazione è integrale, su tutto quanto è oggetto di contratto (ma non su tutto il bene vincolato) [nota 18].

II. Trasferimento della unica parte di proprietà dell'alienante di un più ampio bene tutto culturale.

E' il caso - ad esempio - del trasferimento di appartamento in un fabbricato dichiarato tutto di interesse, come i casi di trasferimento di porzioni di terreno comprese in una porzione di territorio dichiarata tutta di interesse [nota 19].

III. Trasferimento di uno o più beni culturali, unitamente ad altri beni non culturali.

Si noti che questa ipotesi, da un punto di vista strettamente letterale, rientra nell'ambito di applicazione dell'articolo 61, comma 6 codice Urbani, poichè qui la pubblica amministrazione finisce per esercitare la prelazione su «parte delle cose alienate».

Non si tratta, però, di un vero e proprio esercizio "parziale" della prelazione ma di un esercizio totale della stessa. Conforme a tali conclusioni la giurisprudenza più recente [nota 20].

In questo caso il rapporto tra prelazione e oggetto del contratto differisce dalle ipotesi che precedono: qui si tratta di una prelazione che possiamo definire parziale quanto all'oggetto del contratto ma, a mio avviso, è una prelazione che resta piena (o totale) quanto al diritto esercitabile, perchè la prelazione viene esercitata sull'intero bene culturale compreso (o sui beni culturali compresi) tra quelli trasferiti e quindi per la totalità dei diritti di prelazione spettanti alla pubblica amministrazione nella fattispecie. Non si tratta di una prelazione parziale (o limitata): la pubblica amministrazione non esercita parzialmente i propri diritti ma li esercita anche qui per intero: assoggetta a prelazione tutti i beni culturali che sono oggetto di trasferimento e sui quali vanta diritto di preferenza. Ne deriva probabilmente l'opportunità pratica di non prevedere un unico corrispettivo o comunque - nell'ambito dell'unico corrispettivo - l'opportunità di indicare la porzione dello stesso riferibile al bene culturale (o ai beni culturali) oggetto dell'atto [nota 21].

IV. Trasferimento di una quota di contitolarità su bene vincolato del quale l'alienante ha la proprietà piena.

Ritengo che in questo caso di cessione pro-quota la prelazione spetti alla pubblica amministrazione, limitatamente alla quota alienata (e ovviamente non sull'intera piena proprietà).

Qui, quanto al rapporto tra prelazione e oggetto del contratto, si avrà (nuovamente) un esercizio per intero dei diritti di prelazione spettanti alla pubblica amministrazione (quindi un esercizio totale della prelazione), diritti esercitati sull'intero oggetto del contratto (la quota indivisa) [nota 22].

Si tratta dei casi in cui il pieno proprietario trasferisca solo una quota di contitolarità indivisa.

Il caso non è espressamente previsto dalla legge, ove si fa riferimento, nelle norme di maggior interesse per il tema che ci occupa, o al concetto di "parte" (art. 59, comma 1 codice; art. 61, comma 5 codice) o alla possibilità che il bene culturale sia alienato con "altri" beni (art. 60, comma 2); manca quindi una espressa regolamentazione dell'esercizio della prelazione in caso di alienazione pro-quota.

Anche per la cessione pro-quota si fa notare che non ammettendo la prelazione si aprirebbe la via alla elusione delle norme di tutela dei beni culturali mediante cessioni di quote successive, fino ad ottenere la cessione dell'intero [nota 23].

E' per questo che la giurisprudenza più recente, in caso di prelazione pro-quota, sottolinea l'esigenza che il provvedimento ablatorio sia fornito di adeguata motivazione, con particolare riferimento alla compatibilità della situazione di comunione con la destinazione del bene stesso [nota 24].

V. Trasferimento dell'unica quota di contitolarità posseduta dall'alienante, quota interamente riferita a bene vincolato.

Può ritenersi che questo caso debba essere trattato sostanzialmente come il precedente punto IV, al quale si rinvia.

VI. Trasferimento dell'unica quota di comproprietà posseduta dall'alienante, quota avente ad oggetto sia beni vincolati che beni non vincolati.

La pubblica amministrazione esercita la prelazione per una parte dell'oggetto del contratto ma è pur sempre una prelazione piena e totale, nel senso che il diritto della pubblica amministrazione non viene limitato ma viene circoscritto all'unico bene sul quale può essere esercitata la prelazione, cioè la quota sul bene vincolato [nota 25].

Sulla base degli stessi criteri, alla prelazione totale debbono essere ricondotti anche i casi in cui si ammette l'esercizio della prelazione in occasione di alienazioni/costituzioni di diritti reali c.d. limitati; si tratta principalmente delle ipotesi collegate al trasferimento della nuda proprietà [nota 26] ed al trasferimento del diritto di proprietà superficiaria [nota 27].

Molte fattispecie, quindi, ad un attento esame, pur avendo ad oggetto il trasferimento di parti o quote di beni vincolati, finiscono per comportare ipotesi di esercizio totale della prelazione.

Seppure non numerose restano però significative le ipotesi nelle quali pare configurabile un esercizio parziale della prelazione; si considerino le seguenti:

A. Trasferimento di un intero bene tutto culturale; ci si può chiedere se la pubblica amministrazione possa esercitare la prelazione solo su una parte del bene.

B. Trasferimento di diversi beni tutti culturali; ci si può chiedere se la pubblica amministrazione possa esercitare la prelazione solo su alcuni degli stessi.

In sostanza si tratta di verificare se, nel caso di trasferimento di un intero bene culturale, la pubblica amministrazione possa decidere di esercitare la prelazione solo su parte di esso, ovvero se, nel caso in cui più beni culturali siano congiuntamente oggetto del contratto, la pubblica amministrazione possa decidere di esercitare la prelazione solo su alcuni degli stessi.

Le fattispecie non risultano direttamente affrontate negli studi sul tema nè vi è traccia nella normativa vigente. Ritengo, comunque, che la legge giustifichi l'ammissibilità di una prelazione parziale della pubblica amministrazione in tali casi. Si tratta di casi che possono rientrare nell'ambito normativo dell'art. 61, comma 6 codice Urbani, ove si prevede la possibilità dell'esercizio della prelazione «su parte delle cose alienate».

In questo caso particolare l'esercizio della prelazione sarebbe parziale, perchè avrebbe ad oggetto una parte del bene culturale alienato (ovvero solo alcuni dei beni trasferiti), mentre la pubblica amministrazione avrebbe anche il più ampio potere di esercitare una prelazione totale su tutto il bene vincolato alienato o su tutti i beni vincolati alienati ed oggetto dell'atto.

Qui la pubblica amministrazione farebbe valere i propri diritti solo su una parte dell'oggetto contrattuale, auto-limitando un diritto di prelazione che potrebbe essere più ampio.

Per ipotesi come queste, la lettera della legge a mio avviso smentisce esplicitamente quella affermazione risalente che tendeva a limitare l'esercizio della prelazione all'acquisto della sola piena proprietà dell'intero bene culturale. La legge, al contrario, pare proprio riconoscere alla pubblica amministrazione la discrezionalità di procedere anche ad un acquisto parziale.

Qualche spunto a favore della ricostruzione proposta pare giungere dalla giurisprudenza amministrativa recente. Così si trova affermato che rientra nella potestà discrezionale dell'amministrazione l'esercizio della prelazione nell'acquisto di beni che solo in parte soddisfano l'interesse alla conservazione, nel quale sono coinvolti altri beni (sempre di interesse storico culturale) di maggiore consistenza, non essendo presupposto essenziale dell'acquisto predetto nè la formazione di un piano organico di acquisto dell'intero comprensorio storico archeologico nè la contestualità degli acquisti, che è in facoltà dell'amministrazione di dilazionare nel tempo, in coerenza con ragioni di pubblico interesse [nota 28].

Il tutto si inserisce nell'ambito della visione che riconosce un ambito di discrezionalità alla pubblica amministrazione nell'esercizio della prelazione artistica, di cui si trova traccia nella giurisprudenza che è stata chiamata a giudicare i casi in cui si è optato per l'esercizio stesso dopo che, in precedenza e per beni contigui, si era optato per il non esercizio [nota 29] (v. anche infra e nota 7).

C. Trasferimento di una quota di contitolarità; ci si può chiedere se la pubblica amministrazione possa esercitare la prelazione su quota minore.

Non ritengo che in questo caso si possa escludere a priori l'esercizio della prelazione, ma nutro forti dubbi sulla legittimità in concreto di tale esercizio. La motivazione - necessaria - del provvedimento di esercizio della prelazione dovrebbe essere particolarmente dettagliata, basata su argomentazioni riferite al caso concreto, che siano fondate nell'ottica della conservazione del bene e che dimostrino le ragioni che giustificano la opportunità dell'esercizio della prelazione per una quota minore di quella alienata e che escludono l'opportunità di subentrare per intero nella quota alienata.

Particolare il caso in cui si sia in presenza di cessione di quota ma risulti che lo Stato non abbia esercitato il diritto di prelazione in occasione di precedenti cessioni (per intero o, soprattutto, per altre quote).

Non ritengo che il precedente comportamento della pubblica amministrazione vincoli nel senso di precludere l'esercizio della prelazione in occasione di altri trasferimenti pro-quota.

Alle ipotesi sin qui ricordate occorrerebbe infine aggiungere - per mero tentativo di completezza - i casi - ipotizzabili - in cui, in presenza di un trasferimento avente ad oggetto un diritto reale limitato, la pubblica amministrazione optasse per l'esercizio della prelazione solo per una parte o per una quota del diritto alienato sul bene ovvero (il che è forse un caso veramente di scuola) che sia ipotizzabile l'esercizio della prelazione parziale limitata ad un diritto reale minore che sia compreso nel diritto reale limitato oggetto di vendita.

Dopo aver delineato uno schema di operatività della prelazione, totale o parziale, in relazione a varie fattispecie, tre temi ancora paiono meritevoli di segnalazione, in conclusione dell'argomento.

Anzitutto pare curioso dover prendere atto che diverse altre ipotesi particolari, piuttosto frequenti nella prassi e che avevano fatto riflettere sull'ambito di applicazione delle norme sulla prelazione, alla luce della evoluzione della giurisprudenza e della prassi ministeriale, paiono oramai - secondo la tesi prevalente - escluse dall'esercizio della prelazione, sia essa totale o parziale, comportando il solo obbligo di comunicazione.

Sono i casi di:

1) Vincolo apposto sulla facciata dell'edificio.

La migliore dottrina ha affermato che non sussiste il diritto di prelazione e che sia dovuta, comunque, la denunzia di avvenuto trasferimento [nota 30].

2) Vincolo apposto su un solo particolare architettonico o comunque artistico del fabbricato (portale, affresco).

In questo caso può essere opportuno distinguere il trasferimento di una singola unità facente parte del fabbricato, nel qual caso secondo l'opinione preferibile [nota 31] deve ritenersi non operante la prelazione [nota 32] ma opportuna la denunzia del trasferimento, dal caso del trasferimento di tutto il fabbricato [nota 33].

3) Bene autonomo inglobato nell'immobile (esempio: iscrizione storica o stele murata nella parete).

Ritengo non ammissibile la prelazione in questo caso e necessaria la denunzia dell'avvenuto trasferimento [nota 34].

In secondo luogo - e contrariamente a quanto sopra - restano nell'ambito delle tematiche qui trattate e nell'ambito del fenomeno della prelazione, ma con aspetti di particolarità, le ipotesi di:

- Alienazione di porzione individuata (1. fisicamente; ed eventualmente anche 2. catastalmente) esempio: edificio composto da torre antica e manufatto in aderenza di recente costruzione.

Pare ovvio, in questi casi, che l'ammissibilità della prelazione dipenda dall'oggetto del trasferimento: non vi è prelazione se l'oggetto della vendita fa parte solo del manufatto di recente costruzione [nota 35].

- Acquisto in tempi differenti del bene, pro-parte e/o pro-quota, ad opera di amministrazioni diverse dello Stato. Nessun particolare problema, se non quelli soliti della gestione del bene comune (pro-parte o pro-quota) da parte di diversi soggetti contitolari, pare sorgere nel caso in cui, nel tempo, a fronte di diverse cessioni (parziali o pro-quota) del bene culturale, siano diverse amministrazioni ad esercitare la prelazione (ad esempio una volta il Ministero ed altra volta un Comune).

Questa ultima ipotesi consente di chiarire che esercizi parziali della prelazione da parte di soggetti diversi, nel tempo ed in differenti circostanze, possono portare alla coesistenza, sullo stesso bene, non solo di proprietà privata e di proprietà pubblica ma anche di proprietà pubbliche diverse, riferite al Ministero o a enti locali diversi (con o senza privati in aggiunta).

Ancora differente, infine, e degno di essere segnalato - in conclusione di rassegna - è il caso in cui, in occasione di un unico trasferimento, si possa verificare un conflitto tra più enti pubblici esercenti. Si tratta di un caso rilevante e relativamente al quale il codice dei beni culturali tace: in particolare è l'ipotesi di conflitto positivo tra più enti locali, ciascuno intenzionato ad esercitare la prelazione su un determinato bene.

In dottrina sono state ipotizzate sostanzialmente tre soluzioni.

Secondo alcuni occorrerebbe far prevalere il criterio della priorità cronologica, attribuendo il diritto all'ente che sia stato più sollecito nella risposta [nota 36].

Altra tesi affiderebbe la soluzione della fattispecie ad una decisione autoritativa del Ministero in favore dell'ente che offra maggiori garanzie per la conservazione e la valorizzazione del bene [nota 37].

Ancora si trova affermato che dovrebbe essere preferito l'ente nel cui più stretto ambito il bene si trovi e quello che offre maggiori garanzie per una maggiore tutela e fruizione del bene.

Il criterio della priorità cronologica non pare del tutto soddisfacente, specie perchè l'esercizio della prelazione è connesso alle esigenze di tutela e conservazione del bene vincolato e non pare opportuno - date anche le differenti modalità operative e deliberative dei singoli enti locali - far prevalere in una scelta così delicata un criterio meramente temporale.

Il criterio dell'ambito di interesse e dell'offerta di maggiori garanzie sarebbe il criterio astrattamente più completo e soddisfacente, in quanto evidenzia sia il collegamento tra bene ed ente di tutela sia le opportunità di compiere effettivamente la tutela del bene. Tale criterio, tuttavia, rischia di essere di difficile applicazione pratica perchè non sempre, tra enti locali diversi, può essere agevole dimostrare l' "ambito" di interesse e ancora più difficile può essere la dimostrazione delle garanzie di tutela offerte da ciascun ente. Mancherebbe, comunque, la indicazione normativa del soggetto tenuto ad effettuare questi accertamenti e tenuto a decidere quale sia l'ente più idoneo ad esercitare la prelazione così che, allo stato attuale, il criterio rischia di trovare una verifica solo a seguito di contenziosi che produrrebbero solo ritardi nell'esercizio delle prelazioni.

Allo stato attuale della normativa pare, pertanto, preferibile la tesi che fa affidamento ad una decisione autoritativa del Ministero, il quale evidentemente opererà la scelta in sintonia con le finalità della legislazione sui beni culturali e quindi privilegiando l'ente che si dimostri maggiormente idoneo alla conservazione e valorizzazione del bene.

Determinazione del prezzo

Una normativa particolare è prevista per il caso in cui il bene culturale sia alienato con altri per un unico corrispettivo o sia ceduto senza previsione di un corrispettivo in danaro ovvero sia dato in permuta. In tali casi, si rammenta, l'articolo 60, comma 2, codice Urbani prevede che il valore economico del bene ceduto è determinato d'ufficio dal soggetto che procede alla prelazione.

Ove l'alienante non ritenga di accettare tale determinazione, il valore è stabilito da un terzo secondo quanto disposto dal comma 3 del medesimo articolo 60 del codice.

Su questo tema occorre prendere atto della evoluzione della normativa.

Le regole sulle modalità della determinazione del corrispettivo sono mutate rispetto al T.U. 1999 ed alla legge Bottai.

L'art. 59 T.U. affidava la determinazione del prezzo non ad un unico arbitratore, ma ad una apposita commissione costituita da ben tre membri, designati dal Ministero, dall'alienante e dal presidente del Tribunale [nota 38].

La riforma Urbani, che affida tale determinazione ad un solo soggetto, si giustifica evidentemente con la necessità di assicurare una maggiore celerità a questa procedura.

Ritengo di dover segnalare, in questa sede, poche questioni che paiono più rilevanti in ottica pratica [nota 39].

Si osservi, innanzitutto, che manca nel codice Urbani una disposizione che regoli la durata del procedimento di determinazione del corrispettivo, ove l'alienante non accetti la determinazione fatta d'ufficio (ex art. 61, comma 2 codice) ed un termine finale di tale processo. E' vero che la previsione di un unico soggetto determinatore del corrispettivo tende, come sopra già segnalato, ad abbreviare la durata della procedura, ma nulla si statuisce sul tempo per la determina e nessuna "pressione" temporale è posta sul determinatore.

Avvenuta la determinazione, poi, se una delle parti intenda impugnare la determinazione del terzo (impugnazione ammessa in caso di errore o di manifesta iniquità, come previsto dall'art. 60, comma 3, codice), la durata del relativo procedimento è invece rimessa, secondo le regole generali, alla durata del processo conseguente, con i tempi a tutti noti.

Un altro profilo di interesse riguarda la sorte dell'atto di trasferimento oltre i sessanta giorni previsti per l'esercizio della prelazione e nel successivo periodo di mancato accordo sulla determinazione del corrispettivo e conseguente procedimento - prima - di determina e - poi eventualmente - di impugnazione della determina. Non pare, in questo caso, applicabile l'art. 61 comma 4, codice, ove si dispone che in pendenza del termine per l'esercizio della prelazione l'atto di alienazione rimane condizionato sospensivamente all'esercizio della prelazione.

Va evidenziata invece la previsione dell'art. 61, comma 3, codice, ove, dopo aver indicato che, entro i termini previsti, il provvedimento di prelazione è notificato all'alienante ed all'acquirente, si prescrive espressamente che «la proprietà passa allo Stato dalla data dell'ultima notifica».

Con l'esercizio della prelazione e con l'ultima delle notifiche relative, quindi, la proprietà passa alla pubblica amministrazione e quindi tutta la parte del procedimento di determinazione del corrispettivo (di cui ai commi 3 e 4 dell'art. 60) si svolge dopo la avvenuta notifica dell'esercizio della prelazione e quindi dopo che la proprietà è già passata all'ente pubblico e l'atto ha già esplicato i suoi effetti.

Pare opportuno, infine, segnalare alcune sentenze che si sono occupate della misura della determinazione del prezzo d'acquisto e se debba comprendere anche i costi di negoziazione del bene, fornendo al quesito una risposta, in prevalenza, negativa [nota 40].

Dazione in pagamento

La scarna norma di cui all'art. 60, comma 5, codice Urbani è coerente con la ratio della normativa in tema di prelazione, assoggettando alla prelazione anche la datio in solutum, e fornisce l'occasione per operare qualche puntualizzazione [nota 41].

Sotto il profilo causale si può notare che la norma assoggetta a prelazione la dazione in pagamento effettuata "a qualunque titolo"; la locuzione pare di non agevole inquadramento, dal momento che la dazione in pagamento, tipicamente caratterizzata da causa estintivo-solutoria, difficilmente pare possa essere strutturata a titolo differente.

Sotto il profilo della fattispecie tipica, poi, a fianco della ipotesi più semplice della datio in solutum tra privati, si può ipotizzare la ipotesi di datio in solutum a favore dello Stato o in adempimento di obblighi tributari. Resta aperto e di non agevole soluzione il problema di verificare se la normativa in tema di prelazione sia applicabile a tale fattispecie da ultimo segnalata.

Si ricorda solo - nel diverso settore della autorizzazione - l'art. 57 del codice, come modificato dal D.lgs. 26 marzo 2008, n. 62, ai sensi del quale gli atti che comportano alienazione di beni culturali a favore dello Stato ivi comprese le cessioni in pagamento di obbligazioni tributarie non sono soggetti ad autorizzazione.

Ancora per la esatta delimitazione dell'ambito applicativo dell'istituto pare opportuno verificare l'applicabilità della norma a figure affini alla datio in solutum.

Quanto alla dazione in pagamento ritengo che l'applicabilità della prelazione sia riferita all'istituto tipico della datio in solutum e che sia ammissibile - seppur discutibile - la estensione della normativa, per identità di ratio, ad eventuali altri contratti traslativi a causa solutoria onerosa [nota 42].

Contrariamente a quanto sostenuto di recente in dottrina, non pare condivisibile la assimilazione della datio in solutum ad «ogni ipotesi di contratto di scambio in cui la cosa di interesse artistico o storico venga ceduta verso un corrispettivo non in denaro»; tali contrattazioni - rientranti nella categoria dei contratti do ut des o do ut facias - già sono oggetto di prelazione ma in base a diversa norma: non in base al comma 5 ma in base al comma 2 dell'art. 60 del D.lgs. 42/2004.

Neppure pare condivisibile, poi, la estensione della prelazione ai casi di cessio bonorum43 e neppure in caso di procedure concorsuali ove la ricomprensione nella massa attiva sia qualificata non come trasferimento della proprietà ma come mero spossessamento del debitore assoggettato alla relativa procedura.

Ben diverso, infine, è il caso di trasferimento che si attui nell'ambito di procedure di vendita forzata o fallimentare o in forma di provvedimenti aventi effetti traslativi, per i quali casi la possibilità di esercitare la prelazione è ammessa senza dubbio [nota 44].

Considerazioni conclusive

Dall'esame degli sviluppi della prassi, della giurisprudenza e della dottrina in tema di prelazione, appaiono ormai definitivamente superati gli orientamenti che negavano la ammissibilità della prelazione parziale e della prelazione pro-quota, pur in presenza sin dalla legge del 1939, di una normativa che prevedeva la possibilità dello Stato di esercitare la prelazione su parte delle cose alienate.

Tali osservazioni confermano - per l'attualità - il più ampio margine di operatività e di discrezionalità della pubblica amministrazione in tema di prelazione.

E' stato quindi possibile delineare una differenza tra ipotesi di prelazione totale ed ipotesi di prelazione parziale, constatando che assai più numerose sono le prime.

Dal punto di vista operativo e pratico il diverso atteggiarsi della prelazione comporta - a seconda dei casi - la applicabilità o meno di due regole di particolare rilevanza: la facoltà di recesso per l'acquirente [nota 45] e la determinazione d'ufficio del corrispettivo, così che pare opportuno, in talune fattispecie, specificare la porzione di corrispettivo riferita al bene culturale o anche corrispettivi distinti.

Resta da approfondire la questione relativa alla determinazione del corrispettivo in caso di esercizio parziale della prelazione. Fermo restando che - in caso di unico corrispettivo o di corrispettivo non ripartito - l'esercizio parziale comporta di regola la determinazione d'ufficio del corrispettivo relativo al bene prelazionato, poichè si acquisisce un bene culturale che era stato trasferito (pro-parte o pro-quota) unitamente ad altri, può ipotizzarsi una volontà delle parti di indicare un criterio di determinazione del corrispettivo totale che sia applicabile anche in caso di alienazione (o anche prelazione) parziale, nel tentativo di evitare la determinazione d'ufficio. Tale eventualità non pare possa essere esclusa a priori ma la sua eventuale attuazione pratica richiede una cura particolare e probabilmente un approfondimento.

Segnalare gli ambiti tematici con maggiore incidenza di contenzioso quali vere e proprie criticità e come ambiti normativi per i quali auspicare un intervento normativo sarebbe, poi, una operazione superficiale e sbrigativa.

Nell'ambito della prelazione totale, ad esempio, la disputa sull'obbligo di motivazione del provvedimento di esercizio della prelazione probabilmente può essere lasciata al confronto degli argomenti ed alla sensibilità dei giudici a seconda delle fattispecie, anche se, con riferimento alle ipotesi di esercizio parziale della prelazione, pare da condividere la tendenza ad una maggiore attenzione ai profili motivazionali dei relativi provvedimenti, stante la particolarità del tipo di prelazione da esercitare e dei relativi effetti.

Dall'operare concreto delle fattispecie si desume, poi, che nella prelazione totale la determinazione d'ufficio del corrispettivo è ipotesi limitata (oltre ai casi di corrispettivo non in danaro) ai casi in cui il bene culturale sia ceduto con altri, mentre la prelazione parziale porta con sè molto più spesso l'esigenza della determinazione d'ufficio del valore economico, con il relativo conseguente rischio di contenzioso.

Sui temi del regime dell'atto traslativo, del meccanismo condizionale, del termine di esercizio della prelazione e delle relative forme di pubblicità, in presenza di qualche criticità operativa, occorrerebbe una riflessione di più ampio respiro ed altri interventi a questo incontro offrono proposte di intervento legislativo di estremo interesse.

Sono forse le tensioni in tema di versamento del prezzo in tema di prelazione, già segnalate da attenta dottrina [nota 46], a suggerire una ulteriore ipotesi di eventuale intervento normativo, da valutare con la dovuta cautela, per avvicinare la tempestività dell'esercizio della prelazione (e del trasferimento della proprietà) al soddisfacimento delle esigenze economiche del venditore, e per far sì che - riducendo il disagio delle parti alle quali il provvedimento di prelazione è diretto - risulti ancora migliore la operatività di una normativa dettata a tutela di interessi, di conservazione e valorizzazione, che sono così largamente condivisi.


[nota 1] La natura giuridica della prelazione c.d. artistica è, secondo la dottrina e la giurisprudenza oramai concordi, del tutto particolare e diversa dalla prelazione legale prevista da altre norme. Si tratta, in questo caso, di un atto a contenuto espropriativo. La prelazione artistica differisce dall'omonimo istituto civilistico, costituendo tipica espressione di potestà autoritativa a carattere ablatorio, in quanto la pubblica amministrazione non acquista la proprietà attraverso un mero rapporto negoziale, subentrando nella regolamentazione giuridica posta in essere dai privati, bensì attraverso un provvedimento amministrativo a contenuto sostanzialmente espropriativo, come tale idoneo a degradare le posizioni soggettive dei privati contraenti al rango di meri interessi legittimi. In tal senso Cons. Stato, sez. VI, 08 aprile 2002, n. 1899, in Foro amm. CDS, 2002, p. 962. In dottrina, per un primo orientamento A.M. SANDULLI, Codice dei beni culturali e del paesaggio, Giuffrè, Milano, 2006, p. 456 e ss.; A. GIUFFRIDA, Contributo allo studio della circolazione dei beni culturali in ambito nazionale, Giuffrè, Milano, 2008, p. 234 e ss. Si vedano anche G. CELESTE, «La prelazione in materia di beni culturali», ne Il commercio giuridico dei beni culturali, Quaderni di Notariato, 5, 2001, p. 93-94; A. VENDITTI, «Denuncia degli atti di trasferimento e individuazione degli atti che danno luogo a prelazione artistica», in Il commercio giuridico dei beni culturali, Quaderni di Notariato, 5, 2001, p. 78 e, in particolare, G. CASU, «Codice dei beni culturali. Prime riflessioni», Studio n. 5019, in Consiglio Nazionale del Notariato, Studi e Materiali 2, 2004, 2004, p. 711; D. BOGGIALI – C. LOMONACO, «Ulteriori riflessioni sul codice dei beni culturali», Studio n. 5140, in Consiglio Nazionale del Notariato, Studi e Materiali, 2, 2004, p. 736, favorevoli alla ammissibilità della prelazione pro-quota. Per quanto mi riguarda, torno, in questa occasione, su alcuni temi che sono stati oggetto di un mio contributo: A. LEPRI, Il rapporto tra oggetto del trasferimento e prelazione (vincolo parziale, cessione parziale pro-parte o pro-quota, diritti limitati; determinazione del corrispettivo), elaborato nell'ambito Seminario di studi "Regime e circolazione giuridica dei beni immobili culturali" tenutosi in Genova il 21 novembre 2008, organizzato dal Consiglio Notarile dei distretti riuniti di Genova e Chiavari e dalla Facoltà di Giurisprudenza della Università di Genova - Cattedra di Sistemi Giuridici Comparati, ed al quale mi permetto di rinviare (in corso di pubblicazione).

[nota 2] In questo senso si possono segnalare: - il D.lgs. n. 62 del 2008 per i profili di disciplina degli effetti della denuncia tardiva; - il D.lgs. n. 156 del 2006, portante disposizioni correttive e integrative del D.lgs. 42/2004, prevedendo la prelazione anche per il caso di conferimento in società; il D.P.R. n. 233 del 2007 portante regolamento per la riorganizzazione della struttura del Ministero, ove si regola - tra l'altro - il procedimento per l'esercizio della prelazione.

[nota 3] Può segnalarsi - tra i più recenti - il parere dell'Ufficio legislativo del Ministero dei beni culturali prot. 3438 del 18 febbraio 2009 sull'esercizio della prelazione legale in caso di costituzione di trust.

[nota 4] Le Sezioni Unite della Cassazione hanno affermato che, ove si deduca la carenza, in capo alla pubblica amministrazione, del potere ablatorio ovvero l'acquisizione del diritto di proprietà sul bene senza l'esercizio del diritto di prelazione nel termine per esso stabilito, la relativa controversia spetta alla giurisdizione del giudice ordinario, venendo in rilievo la tutela del diritto soggettivo di proprietà del privato (Cass. civ., S.U., 17 aprile 2003, n. 6221, in Gius., 2003, 18, p. 1956; in Arch. civ., 2004, p. 226). Si trova poi affermato che, in caso di non tempestivo esercizio del diritto di prelazione culturale da parte dello Stato - diritto che comporta, ex art. 59 e 60, D.lgs. 1999/490, l'esercizio di un potere di acquisizione coattiva del bene concretizzantesi nell'emanazione di un provvedimento amministrativo e nella sua comunicazione all'interessato nel termine di decadenza di due mesi, comunicazione che assume il valore di elemento costitutivo della fattispecie e non di strumento di conoscenza - non affievolisce il diritto dell'alienante, di tal che la controversia concernente la tempestività dell'esercizio della prelazione si sostanzia nella deduzione della carenza del potere e spetta, pertanto, alla giurisdizione del giudice ordinario, avuto riguardo alla tutela del corrispondente diritto soggettivo del privato. (Tar Trentino-A. Adige Bolzano, 31 gennaio 2002, n. 42 , in Foro amm. Tar, 2002, p. 42).

[nota 5] Sul tema si veda Tar Puglia Lecce, sez. I, 08 giugno 2006, n. 3343. L'atto con cui viene esercitata la prelazione artistica va emanato e notificato ad alienante e acquirente entro il termine perentorio di sessanta giorni dalla data in cui la compravendita è stata denunciata all'amministrazione dei beni culturali; nel silenzio della legge sul punto, deve affermarsi che anche per la prelazione dell'ente territoriale il decreto di esercizio della prelazione debba essere entro tale termine non solo emesso ma anche notificato al venditore e al compratore, pena la decadenza, e che tale decreto acquisisce effetto dalla data dell'ultima notificazione. (Cons. Stato, sez. VI, 01 ottobre 2003, n. 5705 , in Guida dir., 2003, 43, p. 83). La notificazione del provvedimento di prelazione artistica, poi, non assolve funzione di mera conoscenza legale del provvedimento, ma costituisce requisito costitutivo dell'efficacia del provvedimento medesimo e deve trovare perfezionamento entro il termine di legge in base ad un regime giuridico che trae la sua ragion d'essere nell'esigenza di non esporre, a tempo indeterminato, a possibile ablazione beni rientranti nelle categorie sottoposte a regime di tutela ed oggetto di atti di trasferimento iure privatorum (cfr. Tar Lazio, sez. II, 23 agosto 2001, n. 7012 ed, in questo senso Tar Trentino-A. Adige Trento, 27 febbraio 2006, n. 49). Più di recente in tema di termini per la notificazione e di competenza per la adozione del provvedimento di esercizio della prelazione (da riferirsi alla Giunta Comunale e non al Consiglio Comunale) Cons. Stato 22 settembre 2008, n. 4569. Ed ancora cfr. Cons. Stato 4 dicembre 2007 - 27 febbraio 2008, n. 713 sulla perentorietà del termine per l'esercizio della prelazione.

[nota 6] Alcuni casi di contenzioso sono riferiti a fattispecie ove non era avvenuto l'impegno di spesa contestualmente all'esercizio della prelazione ma in un momento successivo. Si trova affermato che l'assunzione di un impegno di spesa in un esercizio finanziario diverso da quello in cui la prelazione è avvenuta non inficia sul piano della legittimità l'atto amministrativo laddove l'impegno venga assunto in termini tali da garantire la sfera patrimoniale dell'alienante (Cons. Stato, sezione II, parere 12 dicembre 1984, n 1759; CGA 2 marzo 1990, n. 22), specie nei casi in cui la delibera di impegno di spesa sia intervenuta prima dell'effettivo acquisto della proprietà del bene e, quindi, del concreto perfezionamento dell'obbligazione patrimoniale conseguente in capo al Comune medesimo; in tale senso Cons. Stato, sez. VI, 01 ottobre 2003, n. 5705. E' oramai risalente la sentenza con cui si è affermato che l'impegno di spesa necessario all'esercizio della prelazione artistica deve riguardare il solo prezzo dell'acquisto, non anche quanto dovuto a titolo di Iva e spese accessorie (Cons. Stato, sez. IV, 07 ottobre 1998, n. 1296, in Foro it., 1998, III, c. 606; Foro amm., 1998, fasc. 10). La giurisprudenza ha avuto modo di precisare che: - il pagamento del prezzo non costituisce elemento costitutivo della prelazione nè condizione di efficacia del relativo atto amministrativo; cfr. Cass. 5 agosto 1996, n. 7142, in Foro it. Rep., 1996 (ove si trova affermato che il provvedimento con il quale l'amministrazione esercita il diritto di prelazione segna il passaggio allo Stato della proprietà del bene, mentre il pagamento del prezzo in favore dell'avente diritto non integra condizione o requisito di detto trasferimento, salva restando, ove l'amministrazione stessa non provveda nei modi e nei termini all'uopo prescritti, la sua responsabilità quale debitrice inadempiente); Cass. 29 novembre 1989, n. 5206, in Giur. it., 1990, I, 1, p. 1125; Tar Lazio, 9 novembre 1994, n. 1396, in Foro amm., 1995, p. 682; - non è indispensabile la fissazione di un termine per il pagamento del prezzo da parte della pubblica amministrazione in conseguenza dell'esercizio della prelazione; in questo senso Tar Lombardia, 30 aprile 2004, n. 1574 in www.giustizia-amministrativa.it. Cass. 29 novembre 1989, n. 5206, cit., precisa che le disposizioni in tema di espropriazione che subordinano al pagamento del prezzo l'emanazione dell'atto ablatorio non trovano applicazione nel sistema normativo della prelazione artistica.

[nota 7] Non deve restare sullo sfondo ma va richiamata qui, a garanzia della corretta operatività della norma, la tendenza oramai prevalente in dottrina (A. GIUFFRIDA, op. cit., p. 240; V. DIVIZIA, «Rapporti tra prelazione artistica ed alienazione di quota di bene», in Notariato, 5, 2008, p. 566 e ss.) - e che pare da condividere -, a richiedere adeguata motivazione al provvedimento di esercizio della prelazione, il che discende non solo dalla attitudine di tale provvedimento ad incidere in peius nella sfera giuridica dei contraenti originari, ma anche dalla oramai prevalente opinione che accomuna gli atti di esercizio della prelazione agli atti amministrativi ablatori (A. GIUFFRIDA, ibidem), come tali necessitanti di adeguata motivazione. Pare auspicabile che la particolare rilevanza dell'obbligo motivazionale divenga criterio prevalente e condiviso anche per la giurisprudenza, ancora sostanzialmente divisa in due principali orientamenti interpretativi contrapposti. Nel senso della rilevanza dell'obbligo motivazionale si trova affermato in giurisprudenza che l'atto, mediante il quale è esercitato il diritto di prelazione, deve essere motivato dall'amministrazione in merito all'interesse pubblico attuale all'acquisizione al patrimonio statale al fine della tutela del bene; in un caso in cui il bene doveva essere destinato a sede di pubblici uffici, in tal senso Cons. Stato, sez. VI, 21 febbraio 2001, n. 923, in Foro amm., 2001, p. 590 e Riv. giur. edil., 2001, I, p. 398. In senso contrario altre sentenze manifestano la tendenza ad alleggerire l'obbligo di motivazione; cfr. ad esempio Cons. Stato 22 novembre 2004, n. 7652, in www.giustizia-amministrativa.it, ove si trova tra l'altro affermato che per l'esercizio della prelazione legale artistica «è sufficiente una indicazione anche sommaria delle ragioni di tutela culturale dell'acquisto». Fino ad arrivare alla affermazione che nella dichiarazione di interesse storico di un bene è insito l'interesse all'acquisizione del bene stesso da parte della pubblica amministrazione, la quale nell'esercitare il diritto di prelazione per acquisire il bene non deve addurre giustificazioni. L'acquisizione del bene è la logica conseguenza, mentre, la decisione contraria richiede una motivazione, in quanto in contrasto con l'interesse pubblico che si consacra nel caso in cui il bene sia assoggettato al vincolo (così Tar Sardegna, 24 luglio 2003, n. 900). Per una rassegna giurisprudenziale sul tema v. A.M. SANDULLI, op. cit., p. 462 e ss.

[nota 8] Nuovamente rinvio al mio contributo sopra citato alla nota 1.

[nota 9] D.lgs. 29 ottobre 1999, n. 490 (T.U. 1999) rispettivamente art. 59, comma 5; art. 58, comma 1; art. 59, comma 2.

[nota 10] Nel caso in cui il Ministero eserciti la prelazione su parte delle cose alienate, l'acquirente ha facoltà di recedere dal contratto.

[nota 11] Gli atti che trasferiscono in tutto o in parte, a qualsiasi titolo, la proprietà o la detenzione di beni culturali, sono denunciati al Ministero.

[nota 12] Qualora il bene sia alienato con altri per un unico corrispettivo o sia ceduto senza previsione di un corrispettivo in danaro ovvero sia dato in permuta, il valore economico è determinato d'ufficio dal soggetto che procede alla prelazione ai sensi del comma 1.

[nota 13] V. DIVIZIA, «Rapporti tra prelazione artistica ed alienazione di quota di bene», in Notariato, 5, 2008, p. 559 e ss.

[nota 14] Chiara in questo senso, e a mio avviso da condividere, la posizione di A. GIUFFRIDA, op. cit., p. 241, ove si afferma - tra la'altro - che se pure è certamente consentito affermare che attraverso l'esercizio della prelazione artistica emerga la potestà d'imperio dello Stato (o dell'ente pubblico interessato) diretta ad assicurare al bene culturale una adeguata protezione e conservazione ... oltre a ciò non è consentito andare: pare eccessivo giungere a sostenere che l'esercizio di questa potestà sia addirittura espressione di una procedura espropriativa in quanto finalizzata a realizzare l'acquisto coattivo della proprietà. A monte di questa fattispecie rimane sempre il negozio traslativo della proprietà, liberamente concluso tra le parti private. L'esercizio del potere da parte dell'ente prelazionario viene rigorosamente condizionato dall'esistenza del negozio traslativo tra le parti, dal quale l'amministrazione non può prescindere.

[nota 15] Cass. 17 gennaio 1985, n. 117, in Giur. it., 1985, I, 1, p. 1045 e in Vita not., 1985, p. 148. Ancora prima, nel senso della inammissibilità della prelazione in caso di alienazione parziale del bene cfr. Cass. 21 agosto 1962, n. 2613, in Foro it., 1963, I, p. 303.

[nota 16] Cass. 17 gennaio 1985, n. 117, cit.

[nota 17] Da subito critico il commento alla sentenza di R. CENICCOLA, «Osservazioni in tema di prelazione dello Stato su beni di interesse artistico o storico», in Vita not., 1985, p. 148 e ss.; analogamente critici G. CASU, ibidem, e D. BOGGIALI – C. LOMONACO, ibidem. Correttamente a mio avviso V. DIVIZIA, op. cit., p. 562, afferma che la ricerca nell'ordinamento di ipotesi tipizzate da cui desumere un generale divieto, o quanto meno un tendenziale disfavore, verso un esercizio parziale delle prelazioni di matrice legale appare inconcludente.

[nota 18] Conseguentemente, sotto il profilo delle norme applicabili, ritengo che in questo caso non si applichi l'art. 61, comma 6, sulla facoltà di recesso dell'acquirente, poichè la pubblica amministrazione consegue tutto quanto è oggetto di contratto e quindi l'acquirente non si trova in quella contitolarità pro-parte che la legge ritiene meritevole di tutela conferendo all'acquirente la facoltà di recesso. Quanto all'art. 60, comma 2, sulla determinazione d'ufficio del corrispettivo, ritengo che la applicazione sia limitata ai trasferimenti senza corrispettivo in danaro o in caso di permuta; nei casi, invece, di corrispettivo determinato in danaro la norma non si applica, poichè la pubblica amministrazione esercita la prelazione su tutto quanto è oggetto di contratto (bene interamente vincolato) e quindi è tenuta a pagare l'intero corrispettivo, senza alcuna esigenza di determinazione del corrispettivo del bene culturale da distinguersi da quello di altri beni.

[nota 19] Vedi Consiglio Stato 8 luglio 2003 - 11 settembre 2003, n. 5104, in www.giustizia-amministrativa.it. Conseguentemente, anche in questo caso II, (come nel precedente caso I), non si applica l'art. 61, comma 6, sulla facoltà di recesso dell'acquirente, nè l'art. 60, comma 2, sulla determinazione d'ufficio del corrispettivo se non nei casi di mancanza di corrispettivo in danaro e di permuta.

[nota 20] Si deve considerare essere stato correttamente esercitato il diritto di prelazione sulle aree interessate da vincolo archeologico diretto, ma solo su queste, a fronte di un contratto di compravendita che aveva ad oggetto anche altre aree, con conseguente determinazione d'ufficio del corrispettivo ai sensi dell'art. 31, comma 1, L. n. 1089 del 1939; in questo senso Cons. Stato, sez. VI, 30 ottobre 2006, n. 6447, in Giur. it. Rep.

[nota 21] Non ritengo, poi, che l'esercizio della prelazione, in questa fattispecie, possa consentire allo Stato di acquisire anche i beni compresi nell'oggetto contrattuale ma non oggetto di vincolo.
A mio avviso, qui si applicano sia l'art. 61, comma 6, sulla facoltà di recesso dell'acquirente (il quale si è deciso ad acquistare un complesso di beni e non può essere costretto a vedere ridotto l'oggetto del suo acquisto o a diventare contitolare pro-parte con la pubblica amministrazione dei beni acquistati) sia l'art. 60, comma 2, sulla determinazione d'ufficio del corrispettivo, dal momento che va individuato, in presenza di unico corrispettivo, quanta parte dello stesso debba essere pagata dalla pubblica amministrazione per la parte del bene soggetto alla prelazione. Da tale osservazione può trarsi l'indicazione operativa della opportunità di distinguere il corrispettivo relativo ai beni non culturali (magari anche specificando - nell'ambito di questi ultimi - il corrispettivo relativo a ciascuno di essi); in tale modo dovrebbe evitarsi l'applicazione dell'art. 60, comma 2 e della determinazione d'ufficio del corrispettivo, con il conseguente rischio di contenzioso.

[nota 22] In giurisprudenza, ai contributi più risalenti nel tempo, che negano l'ammissibilità della prelazione pro-quota (cfr. - anche con riferimento alla alienazione pro-quota - in senso contrario alla ammissibilità della prelazione, le sentenze sopra citate alla nota 15) principalmente argomentando che non sarebbe legittimo l'esercizio della prelazione poichè, ove lo Stato esercitasse la prelazione, si verificherebbe la inammissibile sussistenza di un doppio regime sullo stesso immobile (di diritto privato per i quotisti soggetti privati e di diritto pubblico per la quota prelazionata dallo Stato), si contrappongono contributi più recenti che ammettono la prelazione.
In senso favorevole all'esercizio della prelazione pro-quota indivisa v., per la giurisprudenza amministrativa, Tar Toscana, sez. I, 30 maggio 1990, n. 511 in Trib. amm. reg., 1990, I, p. 2672. Si trova affermato che è legittimo l'esercizio del diritto di prelazione per quota indivisa di beni d'interesse storico e artistico, stante l'espressa previsione della possibilità da parte della pubblica amministrazione di esercitare il diritto medesimo su parte della quota alienata; peraltro, il contrario avviso negherebbe in concreto la possibilità di esercizio del diritto di prelazione, essendo sufficiente che ogni alienazione avvenga in tempi diversi per quote indivise; in questo senso già Tar Lazio, sez. II, 17 ottobre 1983, n. 900, in Trib. amm. reg., 1983, I, p. 3112 e in Foro amm., 1984, p. 159. Nel caso, peraltro, di esercizio della prelazione rispetto a quota indivisa di immobile culturale, incombe alla pubblica amministrazione il dovere di enunciare le ragioni che la determinino all'acquisto della quota, sotto il particolare profilo della compatibilità della situazione di comunione con la destinazione del bene stesso; in questo senso Cons. Stato, sez. VI, 09 marzo 1988, n. 323, in Foro amm., 1988, p. 498 e Riv. giur. ed., 1988, I, p. 357. Nello stesso senso della ammissibilità della prelazione in caso di alienazione pro-quota, per la giurisprudenza di merito, App. Roma, 18 giugno 1979, in Vita not., 1980, p. 1284 (ove si fa riferimento alla «alienazione di quota ideale del bene»). Anche la più recente dottrina in questo senso: cfr. V. DIVIZIA, op. cit., p. 564, 566 e 567 ove, in nota, ulteriori riferimenti giurisprudenziali) sottolineando che, anche con la acquisizione di quote indivise si possono perseguire gli scopi essenziali di incrementare il patrimonio artistico nazionale, di mantenere l'integrità dei beni vincolati e di evitare che di questi ultimi si faccia un uso non conforme alla loro natura. La dottrina ha evidenziato, poi, che la quota in mano pubblica ben può essere esclusa dal regime demaniale e sottoposta al regime dei beni patrimoniali, evitando qualsiasi incompatibilità di regime giuridico sullo stesso bene (Tra gli altri, v. G. CASU, op. cit., p. 710. Nello stesso senso V. DIVIZIA, op. cit., p. 563); affermazione condivisa anche dalla giurisprudenza (la Cass. 20 novembre 1996, n. 10160, in www.demaniore.com, espressamente esclude che facciano parte del demanio accidentale dello Stato o degli enti locali - per intero o pro-quota ideale - gli immobili di interesse storico, artistico o archeologico rispetto ai quali detti soggetti pubblici siano titolari unicamente del diritto di comproprietà indivisa in comunione con un soggetto privato; ... in quella ipotesi il soggetto pubblico vanta sul bene soltanto un diritto di comproprietà pro indiviso col soggetto privato di natura meramente privatistica).
Pare, tuttavia, più agevole giustificare l'esercizio della prelazione per una porzione determinata di un bene vincolato, magari evidenziando le particolarità della porzione assoggettata a prelazione e/o la autonomia del bene parziale acquisito; meno agevole pare, invece, giustificare un acquisto pro-quota indivisa, portatore di una comunione tra Stato e privati, con conseguenti difficoltà di gestione e di amministrazione.

[nota 23] Le possibilità elusive delle norme di tutela ove si escludesse l'esercizio della prelazione in caso di cessione pro-quota sono bene segnalate in Cons. Stato 1 ottobre 2003, n. 5705, in www.giustizia-amministrativa.it; analogamente Cons. Stato, 23 febbraio 2004, n. 708, ibidem.

[nota 24] Il provvedimento di prelazione da parte dello Stato relativamente a beni vincolati ai sensi della L. 1° giugno 1939, n. 1089, riconducibile nella categoria dei provvedimenti ablatori reali di natura discrezionale, richiede la motivazione circa la rilevanza dell'acquisto del bene, ai fini della funzione pubblica che questo deve svolgere nell'ottica dell'interesse pubblico storico ambientale; nel caso, pertanto, di esercizio della prelazione rispetto a quota indivisa di immobile avente i requisiti di cui alla cit. L.N. 1089 del 1939, incombe alla pubblica amministrazione il dovere di enunciare le ragioni che la determinino all'acquisto della quota condominiale, sotto il particolare profilo della compatibilità della situazione di comunione con la destinazione del bene stesso; così Cons. Stato, sez. VI, 09 marzo 1988, n. 323, in Foro amm., 1988, p. 498; nello stesso senso Tar Campania Napoli, sez. VII, 12 aprile 2007, n. 3422, in Giur. it. Rep. Per la necessità della motivazione anche V. DIVIZIA, op. cit., p. 566 e ss., il quale giunge a proporre addirittura un obbligo di motivazione "rinforzato".

[nota 25] Si applica l'art. 61, comma 6 (facoltà di recesso) mentre, ove del caso, potrà essere effettuata la determinazione d'ufficio ex art. 60, comma 2. Anche in questo caso, quindi, si può ritenere opportuna una precisazione analitica del corrispettivo.

[nota 26] In tal senso A. PISCHETOLA, op. cit., p. 46.

[nota 27] Mi si permetta di rinviare al mio contributo Il rapporto tra oggetto del trasferimento…, cit.

[nota 28] Cons. Stato, sez. VI, 18 luglio 1997, n.1125, in Foro amm., 1997, p. 2014.

[nota 29] In tali sentenze si riconosce assoluta libertà per la pubblica amministrazione nella scelta discrezionale sull'esercizio o meno della prelazione. Tale riconoscimento porta anche alla conseguenza di svalutare gli argomenti che sostenevano la necessità di un acquisto soltanto integrale del bene vincolato, ammettendo quindi acquisti anche parziali, pro-parte ed anche non organici e/o sistematici. Si trova, tra l'altro, affermato che il fatto che il Ministero dei beni culturali non abbia esercitato in passato il diritto di prelazione sugli acquisti di taluni beni culturali è irrilevante al fine di qualificare con la censura di contraddittorietà l'esercizio del medesimo diritto, in tempo successivo, nei confronti di un bene analogo contiguo a quelli di cui sopra; così Tar Lazio, sez. II, 09 giugno 1988, n. 799, in Foro amm., 1988, p. 3780. Si può ipotizzare, infine, per concludere su questo gruppo di ipotesi, una fattispecie lievemente più complessa, chiedendoci se, in caso di alienazione di bene culturale unitamente ad altri beni non culturali, lo Stato possa esercitare la prelazione solo su parte del bene culturale facente parte di un più ampio oggetto contrattuale. Varrebbero, a mio avviso, in questo caso, le considerazioni sopra svolte sulla prelazione parziale.

[nota 30] Come bene chiarito da A. PISCHETOLA (op. cit., p. 60) in questo caso l'esercizio della prelazione contrasterebbe con un razionale principio di conservazione del bene (non potendo quella facciata essere separata e sopravvivere "distaccata" dal resto), e non avrebbe senso che lo Stato soggiacesse all'onere dispendioso di acquistare l'intero immobile o l'intera porzione non culturale, in quanto ("forse") non esisterebbero (ed a mio avviso non esistono) i presupposti di legge per esercitare la prelazione stessa. Analogamente lo stesso Autore, ibidem, segnala una risposta del 20 ottobre 2004 della Direzione Generale per i beni architettonici e paesaggistici prot. SBA 32882 del Ministero per i Beni e le Attività Culturali pubblicata in Notariato, 3, 2005, p. 338-339. Nello stesso senso pare anche V. DIVIZIA, op. cit., p. 561.

[nota 31] In tal senso, per un caso di vincolo parziale relativo alla scala di accesso, C. LOMONACO, «Ancora in tema di vendita parziale di bene vincolato», Risposta al Quesito 117-2006/C.

[nota 32] Semprechè, ovviamente, la parte alienata non comprenda in toto l'affresco o il portale o comunque il particolare vincolato.

[nota 33] In tale ultima ipotesi, ove si palesi una esigenza per lo Stato di acquisire il bene tutelato, si apre il problema dell'ambito di esercizio della prelazione. Tale diritto dovrebbe essere limitato al bene tutelato (particolare architettonico) ma si creano problemi applicativi e pratici di non poco conto (ove si ipotizzi il distacco o il frazionamento del bene a fini di tutela e conservazione). A mio parere dovrebbe escludersi la possibilità per lo Stato di acquistare l'intero stabile (non vincolato ad eccezione del particolare) cogliendo l'occasione della vendita dell'intero fabbricato ove tale particolare è posto.

[nota 34] Questione diversa si pone se lo Stato manifesti esigenze di conservazione del bene, qui particolarmente individuato, con i relativi problemi (giuridici) di acquisto della proprietà e (materiali) di distacco del bene culturale dal bene maggiore non vincolato. Tali temi esulano dalla prospettiva qui adottata: si fa rinvio alle norme in tema di distacco di beni culturali, di interventi conservativi imposti (artt. 32 e ss. codice) ed eventualmente alle norme in tema di espropriazione (artt. 95 e ss. codice).

[nota 35] La eventuale fattispecie più complessa, data dal caso in cui il bene culturale e quello non culturale insistono su unico mappale catastale, richiede la trattazione di profili in tema di trascrizione del vincolo ma, dal punto di vista sostanziale, a me pare debba essere risolto limitando la prelazione al caso in cui il trasferimento abbia ad oggetto il bene culturale o parte (o quota) di esso, escludendola ove il trasferimento abbia ad oggetto la porzione recente non vincolata.

[nota 36] D. ANTONUCCI, Commentario al codice dei beni culturali e del paesaggio, Napoli, 2005, p. 118, citato da A. GIUFFRIDA, op. cit., p. 321.

[nota 37] PAPPALARDO, citato da A. GIUFFRIDA, ibidem, nota 260.

[nota 38] G. CELESTE, op. cit., 126 e ss.

[nota 39] Si rinvia alle trattazioni specifiche per le questioni relative alla natura giuridica della determinazione del corrispettivo e alla natura giuridica (prima) della commissione e (ora) del terzo investito del ruolo di determinatore del corrispettivo, questioni rilevanti, sulle quali si segnalano difformi orientamenti di giurisprudenza, divisa tra natura amministrativa e natura privatistica. Analogamente solo un rinvio può farsi in questa sede al dibattito giurisprudenziale sulla misura del corrispettivo determinato ex lege, con particolare riferimento alla inclusione o meno nello stesso degli oneri diversi connessi alla conclusione del contratto. Nel senso che il valore del bene alienato è unicamente il valore economico del bene indicato nell'atto di alienazione, ed è soltanto questo che lo Stato, nell'esercitare il proprio diritto di prelazione, è tenuto a corrispondere al venditore, senza la possibilità di ricomprendervi ulteriori oneri sopportati per giungere alla conclusione del contratto, quali perizie trasporti, mediazioni, custodia ecc., che attengono al concetto di "costo" e non a quello di valore economico del bene, v. Tar Lazio Roma, sez. II-quater, 02 marzo 2007, n. 1960, in Giur. it. Rep. In senso parzialmente difforme, affermando che nel prezzo deve computarsi anche l'ammontare del costo della negoziazione del bene qualora questa sia eseguita da mediatore professionale, v. Cons. Stato, sez. VI, 19 giugno 2001, n. 3241, in Foro amm., 2001, 6. Analogamente afferma che vanno ristorate (interamente o "pro quota"), nei limiti tariffari, le spese inutilmente sopportate da parte di soggetti che abbiano stipulato con il proprietario del bene vincolato un contratto di acquisto del bene stesso, privo di effetti per l'intervenuto esercizio da parte dell'autorità statale del diritto di prelazione ad essa attribuito, il Cons. Stato, sez. II, 04 giugno 1997, n. 1248, in Cons. Stato, 1999, I, p. 136.

[nota 40] Nel senso che la determinazione del prezzo di acquisto del bene oggetto del diritto di prelazione debba computarsi anche l'ammontare del costo della negoziazione del bene, qualora questa sia eseguita da mediatore professionale, cfr. Cons. Stato, sez. VI, 19 giugno 2001, n. 3241, in Foro amm., 2001, 6. Ma in osservanza alla tesi prevalente si trova affermato che, essendo riconsciuto il diritto di prelazione «al medesimo prezzo stabilito nell'atto di alienazione», detto prezzo è unicamente il valore economico del bene indicato nell'atto di alienazione, ed è soltanto questo che lo Stato, nell'esercitare il proprio diritto di prelazione, è tenuto a corrispondere al venditore, senza la possibilità di ricomprendervi ulteriori oneri sopportati per giungere alla conclusione del contratto (quali perizie trasporti, mediazioni, custodia ecc., che attengono al concetto di "costo" e non a quello di valore economico del bene); così Tar Lazio Roma, sez. II-quater, 02 marzo 2007, n. 1960.

[nota 41] La ipotesi di «alienazione a titolo oneroso» è ravvisabile quando la cosa sia a qualunque titolo «data in pagamento» secondo Tar Campania Napoli, sez. I, 28 settembre 1999, n. 2546, in Foro amm., 2000, p. 1033.

[nota 42] A. GIUFFRIDA, op. cit., p. 288.

[nota 43] Ove secondo la tesi prevalente non si ha trasferimento di beni; nello stesso senso contrari CANTUCCI e A. VENDITTI citati da A. GIUFFRIDA, op. cit., p. 288, nota 172.

[nota 44] A. PISCHETOLA, op. cit., p. 100.

[nota 45] Sia in caso di prelazione totale sulla parte culturale di un più ampio oggetto (o sui beni culturali alienati con altri) sia - probabilmente sempre - in caso di prelazione parziale vera e propria.

[nota 46] A. GIUFFRIDA, op. cit., p. 344 e ss.

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