Autorizzazione all'alienazione dopo le modifiche del 2006 e del 2008: il problema degli immobili ex Scip
Autorizzazione all'alienazione dopo le modifiche del 2006 e del 2008: il problema degli immobili ex Scip
di Pietro Sirena
Professore Ordinario di Istituzioni di Diritto Privato Università degli Studi di Siena
Il contratto mediante il quale un ente pubblico ovvero una persona giuridica privata senza scopo di lucro alieni un bene culturale ovvero lo conceda in godimento deve essere autorizzato dal Ministero per i beni e le attività culturali [nota 1], ai sensi degli artt. 55 e ss. del codice di settore [nota 2] (fermo restando che, com'è ovvio, sono assolutamente inalienabili i beni del demanio culturale che rientrano nelle categorie di cui all'art. 54, comma 1, del codice di settore) [nota 3]. Mancando tale presupposto amministrativo, il contratto è nullo ai sensi dell'art. 164 del codice di settore, anche se è poi fortemente discusso se si tratti di nullità vera e propria ovvero di inefficacia in senso lato [nota 4], e sono peraltro applicabili all'alienante le sanzioni penali comminate dall'art. 173, lett. a), del codice di settore.
La disciplina giuridica dell'autorizzazione di cui si tratta è stata modificata dal legislatore dapprima nel 2006 [nota 5], e poi, in misura assai più incisiva, almeno per quanto qui rileva, nel 2008 [nota 6]. In questa sede, non si intende peraltro esaminare tale disciplina giuridica nel suo complesso [nota 7], bensì trattare specificamente della sua applicabilità all'alienazione di quegli immobili pubblici che, a seguito della c.d. legge sulle dismissioni del 2001 [nota 8], sono stati conferiti alla società-veicolo appositamente costituita per la loro cartolarizzazione, e denominata Scip Srl [nota 9].
Sono note le ragioni di finanza che hanno indotto lo Stato ad adottare tale procedimento di vendita, il quale era principalmente finalizzato a ridurre nel più breve tempo possibile l'indebitamento pubblico [nota 10], rispettando così gli obblighi imposti dal patto europeo di stabilità e di crescita (obiettivo che è stato peraltro subito frustrato dal fatto che, dal punto di vista dei nuovi criteri di contabilità adottati da Eurostat, la prima operazione di cartolarizzazione, avvenuta nel 2001, non ha potuto essere considerata come un anticipo di vendita futura, bensì come un prestito garantito da parte dello Stato); ed è altrettanto noto che tra il 2008 e il 2009 si è dovuto prendere atto dell'esito complessivamente deludente delle due operazioni di cartolarizzazione che erano state realizzate, e segnatamente della seconda [nota 11], e, anche al fine di evitare che fosse escussa la garanzia prestata dallo Stato, si è dovuto disporre legislativamente la soppressione della Scip Srl e la messa in liquidazione dei due patrimoni separati di immobili dei quali essa era divenuta titolare.
Ha provveduto in tal senso l'art. 43-bis del decreto legge n. 207 del 2008 [nota 12], il quale, nel suo comma 2, ha altresì statuito che: «I beni immobili che alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto sono di proprietà della Scip sono trasferiti in proprietà ai soggetti originariamente proprietari degli stessi, nello stato di fatto e di diritto in cui si trovano e senza garanzia per vizi ed evizione».
Per quanto qui rileva, il ritrasferimento legale degli immobili di cui si tratta agli enti che li avevano precedentemente alienati alla Scip Srl ha posto il problema se, essendo tali beni tornati a essere di proprietà pubblica, la loro vendita sia subordinata all'autorizzazione ministeriale prevista dal codice di settore. E, qualora si tratti di beni "eseguiti" - per riprendere la (inappagante) terminologia legislativa - oltre cinquant'anni prima, si è altresì posto il problema se la loro vendita non sia subordinata all'esito negativo del procedimento di verifica dell'interesse culturale che è previsto dall'art. 12 del codice di settore: l'art. 54 del medesimo codice, comma 2, lett. a), statuisce infatti che qualsiasi bene ultracinquantennale sia inalienabile da parte di un ente pubblico ovvero di una persona giuridica privata senza scopo di lucro se non sia stato già avviato e concluso con esito negativo il procedimento di verifica dell'interesse culturale (è un caso appunto di inalienabilità che si può definire provvisoria) [nota 13].
La mancanza di una risposta univoca a tali questioni di diritto ha inevitabilmente provocato una diffusa incertezza negli operatori: nei notai, anzitutto, che sono chiamati a rogare l'atto pubblico di vendita di tali immobili, ma anche negli enti pubblici, e segnatamente quelli previdenziali, che oggi si trovano (loro malgrado, in un certo senso) nella posizione contrattuale di proprietari venditori: infatti, la già citata legge di soppressione della Scip Srl ha, fra l'altro, espressamente statuito che tali enti sono sostituiti alla società-veicolo «in tutti i rapporti, anche processuali, ed attinenti alle procedure di vendita in corso, relativi agli immobili trasferiti, con liberazione della Scip» [nota 14].
Si deve tener presente che, ove la verifica dell'interesse culturale ovvero l'autorizzazione fossero necessarie, e il contratto fosse stipulato in loro mancanza, la sanzione comminata dall'art. 164 del codice di settore sarebbe quella della nullità, ovvero comunque della inefficacia in senso lato, come si è già detto. Ed è allora comprensibile che gli enti pubblici proprietari si siano rifiutati di stipulare i contratti di vendita degli immobili qui considerati, i quali pure erano già stati aggiudicati all'esito delle procedure di gara privata bandite e gestite dal Consorzio G1 in nome e per conto della Scip Srl prima, e poi degli enti pubblici proprietari.
In realtà, non si può dire che il problema sia davvero nuovo, perché, in un certo senso, esso è stato creato da un difetto originario di coordinamento tra il codice dei beni culturali, da un lato (il quale, com'è noto, è stato emanato nel 2004, sostituendosi al testo unico del 1999) [nota 15], e, dall'altro lato, la legge sulle dismissioni del 2001: ed è quindi un problema che si poneva già nei confronti della Scip Srl, soprattutto a seguito dell'intervento legislativo del 2008 che ha introdotto nel codice di settore il vigente art. 57-bis. Al suo comma 1, esso recita: «Le disposizioni di cui agli att. 54, 55 e 56 [che disciplinano l'autorizzazione all'alienazione di un bene culturale] si applicano ad ogni procedura di dismissione o di valorizzazione e utilizzazione, anche a fini economici, di beni immobili pubblici di interesse culturale, prevista dalla normativa vigente e attuata, rispettivamente, mediante l'alienazione ovvero la concessione in uso o la locazione degli immobili medesimi» (il corsivo è di chi scrive).
Si è quindi discusso se, modificando ovvero tacitamente abrogando la legge sulle dismissioni del 2001, tale innovazione legislativa non avesse assoggettato già le vendite da parte della Scip Srl al regime vincolistico del codice dei beni culturali e il problema si è evidentemente aggravato a seguito della soppressione legislativa di tale società-veicolo, dato che gli immobili che a essa erano stati trasferiti sono tornati a essere formalmente di proprietà pubblica.
Un intervento chiarificatore di tale intricata questione di diritto si è avuto nel luglio del 2009, mediante l'approvazione da parte del Consiglio Nazionale del Notariato dello studio intitolato Dismissione dei beni pubblici e beni culturali alla luce della più recente normativa16. Dopo aver assoggettato a una serrata analisi critica gli orientamenti interpretativi formatisi in dottrina sulle questioni qui considerate, lo studio giunge alla conclusione secondo cui, anche a seguito della soppressione legislativa della Scip Srl, i beni culturali oggetto di dismissione non richiederebbero l'autorizzazione alla vendita, né la denuncia ai fini della prelazione legale c.d. artistica. Si aggiunge infine che, se si tratti di beni con vetustà superiore a cinquant'anni, essi sarebbero liberamente alienabili, sebbene non siano stati assoggettati al procedimento di verifica dell'interesse culturale che è previsto dall'art. 12 del codice di settore.
In realtà, le molteplici argomentazioni di carattere formale e di carattere sostanziale addotte a sostegno di tali conclusioni non risultano decisive, e perciò definitivamente convincenti, sebbene ciascuna di esse colga indubbiamente un aspetto significativo della questione [nota 17]. In particolare, non sembra che si possa senz'altro escludere che alla vendita dei beni di cui si tratta sia applicabile il già ricordato art. 57-bis del codice di settore, perché quest'ultimo, anche indipendentemente dalla successiva soppressione legislativa della Scip Srl, è stato letteralmente formulato e, soprattutto, è stato deliberatamente emanato dal legislatore nel 2008 proprio per evitare che le innumerevoli procedure di dismissione del patrimonio pubblico che si erano disordinatamente moltiplicate nel corso del tempo sottraessero la circolazione dei beni culturali al regime vincolistico dettato dal codice di settore [nota 18].
Si deve tuttavia considerare che, se intesa nel suo senso più radicale, tale conclusione non solo sarebbe idonea a provocare conseguenze indesiderabili dal punto di vista socio-economico, ingenerando, fra l'altro, un potenziale contenzioso con gli aggiudicatari che renderebbe ancora più insoddisfacente l'esperienza delle operazioni di cartolarizzazione, ma soprattutto risulterebbe oggettivamente irrazionale anche dal punto di vista più propriamente tecnico-giuridico, se si considera che la circolazione degli immobili pubblici di cui si tratta sarebbe in definitiva assoggettata a un regime più vincolistico di quello espressamente previsto dal legislatore prima della legge sulle dismissioni del 2001. Infatti, la legislazione anteriore al 2001, la quale, a partire dal D.lgs. n. 104 del 1996 [nota 19], aveva disposto la cessione del patrimonio immobiliare degli enti previdenziali, ha espressamente statuito che per la vendita dei beni vincolati serve l'autorizzazione, ma che: «sono invece alienabili, anche senza autorizzazione, i beni immobili non vincolati di proprietà degli enti previdenziali, compresi quelli la cui esecuzione risale ad oltre 50 anni e per i quali non sia intervenuto un provvedimento di riconoscimento di interesse artistico e storico» (si tratta dell'art. 7, comma 2-quinquies, del decreto legge n. 79 del 1997, così come modificato in sede di conversione) [nota 20].
Tale disposizione legislativa non è stata presa in considerazione dallo studio approvato dal Consiglio Nazionale del Notariato, né dagli altri contributi dottrinali in materia, forse perché si è partiti dal presupposto (implicito) che essa sia stata tacitamente abrogata dalla legislazione successiva, e in particolare dalla legge sulle dismissioni del 2001. Tale presupposto non trova tuttavia riscontro nei dati del diritto positivo.
Per definizione, la disciplina dettata per la vendita degli immobili cartolarizzati (da parte della Scip Srl) non può essere incompatibile con quella della vendita diretta (da parte degli enti pubblici previdenziali), proprio perché si tratta di fattispecie diverse. Le loro rispettive discipline giuridiche, per quanto possano essere differenti, non sono quindi propriamente incompatibili, essendo applicabili ciascuna nel proprio àmbito di fatto.
Se è vero che la cartolarizzazione dei beni, presupponendo il loro trasferimento alla società-veicolo, si è posta in alternativa alla loro vendita diretta da parte degli enti pubblici che ne erano i proprietari, è altresì vero che soltanto di fatto si è così esclusa l'applicazione dell'art. 7 del decreto legislativo n. 104 del 1996, nel senso che la sua disciplina giuridica non è stata applicata perché non si è più verificata la fattispecie presa in considerazione dal legislatore. Ma ciò non significa affatto che, ai sensi dell'art. 15 disp. prel., tale disciplina giuridica sia stata abrogata
Si deve viceversa ritenere che, a seguito della soppressione legislativa della Scip Srl, l'art. 7, comma 2-quinquies, del decreto legge n. 79 del 1997 sia senz'altro applicabile alla vendita degli immobili che sono appunto tornati a essere di proprietà degli enti pubblici previdenziali.
Ne consegue che la questione di cui si tratta deve essere risolta in questi termini: se è stato positivamente verificato l'interesse culturale dell'immobile, quest'ultimo non può essere venduto se non a seguito dell'autorizzazione ministeriale; ma se tale interesse non è stato viceversa accertato all'esito della verifica prevista dall'art. 12 del codice di settore, si è derogato all'art. 54 dello stesso codice, comma 2, lett. a), cosicché, sebbene l'immobile risalga a oltre cinquant'anni prima, esso può essere validamente ed efficacemente venduto dall'ente previdenziale proprietario senza alcuna preventiva verifica del suo interesse culturale e, a maggior ragione, senza alcuna autorizzazione da parte del Ministero.
Sebbene tale soluzione risulti essere intermedia tra quelle estreme astrattamente ipotizzabili, e quindi, per così dire, moderata, non vi è dubbio che può suscitare anch'essa una certa perplessità, poiché sembra porsi in contrasto con quel dovere dello Stato di tutelare il patrimonio storico e artistico della Nazione che è sancito dall'art. 9 della Costituzione. A questo proposito, sembra tuttavia convincente il rilievo in base al quale tale dovere non è in realtà violato, se si considera che la valutazione dell'interesse culturale degli immobili già trasferiti alla Scip Srl non è stata omessa o aggirata dalla legislazione in materia, ma è stata anzi anticipata al momento dell'individuazione dei beni da trasferire a tale società-veicolo: l'art. 3, comma 1-bis, della legge sulle dismissioni del 2001 statuisce infatti che, almeno per quanto riguarda «i beni dello Stato di particolare valore artistico e storico», i decreti di trasferimento siano adottati dal Ministro dell'economia e delle finanze di concerto con il Ministro per i beni e le attività culturali. E si deve appunto ritenere che, per quanto qui rileva, tale concerto ministeriale abbia implicato appunto che sia stata svolta d'ufficio una verifica sostanzialmente non diversa da quella prevista dall'art. 12 del codice di settore e che sia stato perciò esclusa l'esistenza di un interesse culturale dei beni da trasferire alla Scip Srl.
Ovviamente le conclusioni che sono state ipotizzate dovrebbero essere verificate con riguardo alle molteplici procedure di trasferimento di immobili pubblici che sono state via via disciplinate dal legislatore, a cominciare, ad es., da quella relativa all'alienazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica che è dettata dalla L. n. 560 del 1993 [nota 21]: il tema non può essere tuttavia approfondito in questa sede [nota 22].
E' piuttosto opportuno rilevare brevemente che se si segue la tesi sopra esposta a proposito dei limiti in cui è richiesta l'autorizzazione ministeriale della vendita degli immobili già trasferiti alla Scip Srl, la si deve coerentemente tenere ferma anche a proposito della prelazione legale c.d. artistica che è prevista a favore dello Stato e degli altri enti pubblici territoriali interessati ai sensi degli artt. 60 e ss. del codice di settore [nota 23]. In altri termini, movendo ancora una volta dal dato normativo offerto dall'art. 7, comma 2-quinquies, del decreto legge n. 79 del 1997, così come modificato in sede di conversione, si deve ritenere che, se sia stato positivamente verificato l'interesse culturale dell'immobile, la sua vendita sia assoggettata al diritto di prelazione legale da parte dello Stato e degli altri enti pubblici territoriali interessati.
L'esclusione di tale diritto di prelazione legale si è voluta desumere dalla disposizione del decreto-legge n. 351 del 2001, secondo cui «le amministrazioni dello Stato, gli enti pubblici territoriali e gli altri enti pubblici non possono in alcun caso rendersi acquirenti degli immobili» già trasferiti alla Scip Srl. Da tale divieto legislativo non sembra tuttavia desumibile che sia venuta meno la prelazione legale di cui si tratta, perché l'esclusione di un interesse pubblico all'acquisto dell'immobile non implica che sia parimenti escluso l'interesse generale che si ricollega al dovere dello Stato di tutelare il patrimonio storico e artistico della Nazione che è sancito dall'art. 9 della Costituzione. E appunto l'istituto della prelazione legale c.d. artistica non si basa sull'interesse dell'ente pubblico al quale è attribuito quel diritto, bensì sull'interesse generale di cui al già richiamato art. 9 Cost. [nota 24]
E' appena il caso di rilevare che, se non è stato invece preventivamente accertato l'interesse culturale dell'immobile all'esito della verifica prevista dall'art. 12 del codice di settore, non sono invece affatto applicabili gli artt. 60 e ss. dello stesso codice e non sussiste quindi alcuna prelazione legale c.d. artistica.
[nota 1] Alla "uscita" del bene culturale dal territorio nazionale, e più in generale alla sua circolazione in àmbito internazionale è specificamente applicabile la disciplina dettata dagli artt. 64-bis e ss. del codice di settore, sulla quale v. M. GRAZIADEI, voce Beni culturali (circolazione dei), dir. int. priv., in Enc. dir., ann. II, 2, 2008, p. 91 e ss.; L. CASINI, «Le nuove modifiche al codice dei beni culturali e del paesaggio», in Giorn. dir. amm., 2008, p. 1057 e ss.
[nota 2] Decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell'art. 10 della L. 6 luglio 2002, n. 137). Così com'è stato modificato dalla riforma del 2008, l'art. 56, comma 1, lett. b), del codice di settore espressamente precisa che fra le persone giuridiche, le quali devono richiedere l'autorizzazione di cui si tratta, sono ricompresi gli «enti ecclesiastici civilmente riconosciuti». In quanto ovvia, tale precisazione può sembrare superflua, e perciò inopportuna (ma cfr. A. PISCHETOLA, «La "nuova" autorizzazione all'alienazione di beni culturali», in Notariato, 2008, p. 697); per quanto qui rileva, si deve piuttosto tener presente che, trattandosi appunto dell'alienazione di un bene culturale di proprietà di un ente ecclesiastico, l'autorizzazione ministeriale considerata nel testo non è sufficiente per la validità del contratto, occorrendo a tal fine anche la licentia prevista dal Codex Iuris Canonici ovvero, per quanto riguarda gli enti delle Chiese cattoliche di rito orientale presenti in Italia, dal Codex Canonum Ecclesiarum Orientalium (in generale, v. A. FUCCILLO, Diritto ecclesiastico e attività notarile, Torino, 2000, p. 51 e ss., nonché, più recentemente, L. LAMACCHIA, «Note sul ruolo del notaio nell'alienazione di beni ecclesiastici», in Notariato, 2007, p. 563 e ss.). A rigore, si deve invece escludere che l'autorizzazione di cui agli artt. 55 e ss. del codice di settore occorra quando l'alienazione ovvero la concessione in godimento di un bene culturale sono poste in essere da un'associazione non riconosciuta (v. ad es. M. PLASMATI, «La negoziazione dei beni culturali», in Contr. impr., 2007, p. 778), poiché quest'ultima non è per definizione una persona giuridica.
[nota 3] Ai sensi dell'art. 55, comma 7-quinquies, del codice di settore, l'autorizzazione di cui si tratta comporta la sdemanializzazione dei beni del demanio culturale che non rientrano invece nelle suddette categorie, fermo restando che essi, com'è espressamente precisato dalla disposizione legislativa appena citata, restano sottoposti a tutte le disposizioni di tutela del titolo I del codice di settore (v. BUONAURO, sub art. 55, in Commentario al codice dei beni culturali e del paesaggio a cura di G. Leone e A.L. Tarasco, Padova, 2006, p. 386). Per quanto riguarda i beni del patrimonio indisponibile, è stato sostenuto che, per quanto qui rileva, l'autorizzazione ministeriale di cui si tratta non sia viceversa sufficiente alla validità del contratto, «se prima non si verifica il passaggio a patrimonio disponibile in conseguenza della cessazione della loro destinazione ad uso pubblico» (M. PLASMATI, op. cit., p. 781); la tesi è tuttavia incompatibile con la regola generale di alienabilità di tali beni, fatto salvo il vincolo alla destinazione pubblica (arg. art. 828, comma 2, c.c. e, a contrario, art. 823, comma 1, c.c.).
[nota 4] Sul tema, v. A. FUSARO, «La circolazione giuridica dei beni immobili culturali», in Nuova giur. civ. comm., 2010, II, p. 16 e ss. (con specifico riguardo all'alienazione compiuta omettendo la denuncia di cui all'art. 59 del codice di settore); A. PISCHETOLA, Circolazione dei beni culturali e attività notarile, Milano, 2006, p. 23, nonché G. CASU, «Codice dei beni culturali. Prime riflessioni», Studio n. 5014/2004 in Consiglio Nazionale del Notariato, Studi e Materiali, 2004, 2, p. 686. Sia pure a proposito del previgente art. 61 legge 1° giugno 1939, n. 1089, si è affermata in giurisprudenza la tesi (già formulata da E. BETTI, Teoria generale del negozio giuridico2, Napoli, 1994 (rist.), p. 471, e più recentemente ripresa da L. PUCCINI, Studi sulla nullità relativa, Milano, 1967, p. 92) secondo cui la nullità del contratto sarebbe allora «di carattere relativo, essendo stabilita nell'interesse esclusivo dello Stato» e non potrebbe «quindi, essere dedotta dai privati o essere rilevata di ufficio dal giudice» (Cass. 10 marzo 2009, n. 5773). In senso più radicale, è stato sostenuto che si tratti della mera inopponibilità del contratto allo Stato (T. ALIBRANDI - P. FERRI, I beni culturali e ambientali, Milano, 2001, p. 502).
[nota 5] Decreto legislativo 24 marzo 2006, n. 156 (Disposizioni correttive ed integrative al D.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, in relazione ai beni culturali).
[nota 6] Decreto legislativo 26 marzo 2008, n. 62 (Ulteriori disposizioni integrative e correttive del D.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, in relazione ai beni culturali).
[nota 7] Per una esposizione generale e riassuntiva, v. A. PISCHETOLA, «La "nuova" autorizzazione all'alienazione di beni culturali», cit., p. 695 e ss.
[nota 8] Decreto legge 25 settembre 2001, n. 351 (Disposizioni urgenti in materia di privatizzazione e valorizzazione del patrimonio immobiliare pubblico e di sviluppo dei fondi comuni di investimento immobiliare), convertito, con modificazioni, dalla legge 23 novembre 2001, n. 410.
[nota 9] Pur trattandosi di una persona giuridica di diritto privato, si è sostenuto che l'attività svolta da tale società sia da considerarsi oggettivamente pubblicistica (U. TOMBARI, «Profili organizzativi della società veicolo nella legge sulla privatizzazione», in La cartolarizzazione del patrimonio immobiliare pubblico a cura di Morbidelli, Atti del convegno "Cartolarizzazione del patrimonio immobiliare pubblico", promosso dalla Fondazione Cesifin e svoltosi a Firenze il 24 gennaio 2003, Torino, 2004, p. 225, nonché A. PISCHETOLA, «Dismissione del patrimonio immobiliare pubblico e normativa sui beni culturali», in Notariato, 2006, 5, p. 7; sul fenomeno, v. più in generale G. NAPOLITANO, Pubblico e privato nel diritto amministrativo, Milano, 2003, p. 182 e ss.). Da ciò si è desunto che le controversie relative alla procedura di vendita degli immobili cartolarizzati rientrano nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (per tutte, v. Cons. Stato, sez. IV, 30 gennaio 2006 n. 308, confermata da Cass., S.U., 12 marzo 2007, n. 5595, in Foro it., 2007, c. 2424 e ss., con nota di A. VILLA, «I risultati delle cartolarizzazioni», in Foro it., 2007, c. 2424 e ss).
[nota 10] R. COLAGRANDE, «La dismissione del patrimonio immobiliare degli enti previdenziali pubblici», in Nuove leggi civ. comm., 2002, p. 251.
[nota 11] V. gli atti del giudizio innanzi alla Corte dei Conti sul rendiconto generale dello Stato per il 2008, e segnatamente la memoria del Procuratore Generale (estensore Vollaro) all'udienza del 25 giugno 2009 (e, in sintesi, F. BATTNI, «I risultati delle cartolarizzazioni nel periodo 1999-2005 e la liquidazione della quota Scip», in Giorn. dir. amm., 2009, p. 543).
[nota 12] Decreto legge 30 dicembre 2008, n. 207 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e disposizioni finanziarie urgenti), convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2009, n. 14.
[nota 13] A. PISCHETOLA, «La "nuova" autorizzazione all'alienazione di beni culturali», cit., p. 695; A. PONTRELLI, sub art. 54, in Commentario al codice dei beni culturali e del paesaggio a cura di Angiuli e Caputi Jambrenghi, Torino, 2005, p. 168. Cfr. tuttavia M. PLASMATI, op. cit., p. 779, il quale reputa che il contratto sia nullo solamente se poi la verifica dell'interesse culturale di cui all'art. 12 del codice di settore si concluda con esito positivo: poiché, in caso contrario, il contratto sarebbe valido ed efficace, si ritiene che esso possa essere stipulato (e ricevuto dal notaio per atto pubblico) subordinando sospensivamente i suoi effetti giuridici al verificarsi appunto di tale condizione negativa.
[nota 14] Art. 43-bis, comma 20, decreto-legge 30 dicembre 2008, n. 207, così come convertito dalla legge 27 febbraio 2009, n. 14.
[nota 15] Decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali, a norma dell'art. 1 della L. 8 ottobre 1997, n. 352).
[nota 16] G. CASU - C. LOMONACO, «Dismissione dei beni pubblici e beni culturali alla luce della più recente normativa», Studio n. 411-2009/C, in Consiglio Nazionale del Notariato, Studi e Materiali, 2009, 4, p. 1351 e ss.
[nota 17] A favore delle conclusioni dello studio appena citato, sono addotti i seguenti argomenti di natura sostanziale: 1. Nonostante la Scip Srl sia una persona giuridica di diritto privato, la procedura di cartolarizzazione da essa gestita avrebbe una natura oggettivamente pubblicistica: per quanto qui rileva, il ritrasferimento legale dei beni di cui si tratta agli enti pubblici previdenziali che ne erano originariamente i proprietari sarebbe pertanto irrilevante, nel senso che resterebbe pur sempre applicabile alla loro dismissione l'art. 3, comma 17, della legge del 2001, il quale esclude che occorra l'autorizzazione del Ministero per i beni e le attività culturali e fa divieto allo Stato, agli enti pubblici territoriali e agli altri enti pubblici di rendersi acquirenti. 2. La ragione giustificativa della disciplina giuridica dettata dalla legge sulle dismissioni del 2001 sarebbe costituita dall'esigenza di agevolare la commercializzazione dei beni pubblici: se ne dovrebbe pertanto desumere che il legislatore abbia ritenuto che l'interesse alla cessione del patrimonio pubblico sia prevalente sull'esigenza di tutela del bene culturale. Sotto il profilo formale, è addotto il seguente argomento principale. L'art. 43-bis, comma 12, del decreto-legge che ha disposto la messa in liquidazione della Scip Srl recita: «Per le finalità di cui al presente articolo gli enti possono procedere alla vendita diretta degli immobili di cui al comma 2, fatti salvi in ogni caso i diritti spettanti agli aventi diritto. Si applicano le disposizioni previste dai commi 3, 3-bis, 4, 5, 6, 7, 7-bis, 8, 9, 13, 14, 17, 17-bis, 19, eccetto i primi due periodi, e 20 dell'art. 3 del decreto legge 25 settembre 2001, n. 351, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 novembre 2001, n. 410, e dal decreto legge 23 febbraio 2004, n. 41, convertito con modificazioni, dalla legge 23 aprile 2004, n. 104. I soggetti originariamente proprietari degli immobili assolvono la vendita di tutti i beni immobili ad essi trasferiti nel rispetto delle procedure regolanti l'alienazione degli stessi da parte della Scip per la seconda operazione di cartolarizzazione, per quanto compatibili, in modo da massimizzare gli incassi in relazione alla situazione del mercato immobiliare». Si sostiene, allora, da un lato che l'applicabilità dell'art. 3, comma 1, della legge sulle dismissioni del 2001, secondo cui «l'inclusione nei decreti produce il passaggio dei beni al patrimonio disponibile», escluderebbe la necessità di esperire il procedimento di verifica dell'interesse culturale e, se del caso, di ottenere l'autorizzazione ministerale all'alienazione, sebbene i beni di cui si tratta siano tornati a essere di proprietà pubblica; dall'altro lato, che l'applicabilità dell'art. 3, comma 17 e 17-bis, della medesima legge, vietando allo Stato, agli enti pubblici territoriali e agli altri enti pubblici di rendersi acquirenti dei beni già cartolarizzati, escluderebbe che l'alienazione di tali beni sia subordinata alla denuncia obbligatoria e al mancato esercizio della connessa prelazione legale artistica.
[nota 18] A. PISCHETOLA, «La "nuova" autorizzazione all'alienazione di beni culturali», cit., p. 697. Ma cfr. G. CASU - C. LOMONACO, «Dismissione dei beni pubblici e beni culturali alla luce della più recente normativa», cit., secondo i quali l'art. 43-bis del già citato decreto legge 30 dicembre 2008, n. 207 detterebbe a sua volta un ius superveniens rispetto all'art. 57-bis del codice di settore, cosicché quest'ultimo sarebbe ratione temporis inapplicabile nei confronti degli enti pubblici tornati a essere proprietari dei beni già cartolarizzati. La tesi è tuttavia debole, perché tanto dal punto di vista della sua formulazione letterale, quanto da quello della sua ragione giustificativa, è evidente che il suddetto art. 43-bis non detta affatto una disciplina giuridica nuova e diversa da quella previgente, ma, proprio al contrario, dispone che quest'ultima sia parzialmente applicabile al di là della sua fattispecie originaria (quella cioè della cartolarizzazione dei beni pubblici e della loro vendita da parte della Scip Srl): è pertanto difficilmente sostenibile che tale disposizione legislativa abbia in tutto o in parte derogato all'art. 57-bis del codice di settore. In ogni caso, sarebbe logicamente incoerente e assiologicamente ingiustificato che l'alienazione di beni pubblici da parte della Scip Srl fosse assoggettata al regime vincolistico dettato dal codice di settore, e non lo sia invece l'alienazione di tali beni da parte degli enti pubblici che sono tornati a esserne i proprietari. In questo senso, e sia pure con riferimento a un problema pratico diverso da quello di cui si tratta (ossia, l'alienazione di un bene culturale da parte di una persona giuridica privata senza scopo di lucro che si era trasformata in una società commerciale), è stato osservato che: «appare … dirimente la circostanza … che il regime del bene culturale possa seguirlo indipendentemente dal modificarsi della natura soggettiva del proprietario» (sentenza n. 920/2008 del Tribunale di Reggio Calabria, ined.).
[nota 19] Decreto legislativo 16 febbraio 1996, n. 104 (Attuazione della delega conferita dall'art. 3, comma 27, della legge 8 agosto 1995, n. 335, in materia di dismissioni del patrimonio immobiliare agli enti previdenziali pubblici e di investimenti degli stessi in campo immobiliare).
[nota 20] Decreto legge 28 marzo 1997, n. 79 (Misure urgenti per il riequilibrio della finanza pubblica), convertito, con modificazioni, dalla legge 28 maggio 1997, n. 140.
[nota 21] Legge 14 dicembre 1993, n. 560 (Norme in materia di alienazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica).
[nota 22] Al riguardo, v. M. CACCAVALE, «La circolazione dei beni culturali nell'edilizia residenziale pubblica», in Notariato, 2009, p. 105 e ss.; A. PISCHETOLA, «La "nuova" autorizzazione all'alienazione di beni culturali», cit., p. 697 e ss., il quale ritiene che l'art. 57-bis del codice di settore, statuendo che l'autorizzazione ministeriale occorra per «ogni procedura di dismissione», sia applicabile anche all'alienazione degli immobili di cui alla legge n. 560 del 1993. In D. BOGGIALI - C. LOMONACO, «Codice dei beni culturali ed edifici di edilizia residenziale pubblica», Studio n. 5625-2005/C, in Consiglio Nazionale del Notariato, Studi e Materiali, 2005, 1, p. 250 e ss, si ipotizza, sebbene con qualche cautela, che, affinché un bene pubblico possa essere alienato secondo la procedura prevista dalla legge n. 560 del 1993, occorra che il suo inserimento nei piani di vendita sia preceduto da una verifica di inesistenza dell'interesse culturale.
[nota 23] Cfr. tuttavia A. PISCHETOLA, «Dismissione del patrimonio immobiliare pubblico e normativa sui beni culturali» cit., p. 6 e ss., il quale, pur ammettendo che occorra la denuncia di cui all'art. 59 del codice di settore, esclude che sia applicabile la disciplina della prelazione legale c.d. artistica di cui agli artt. 60 e ss. del medesimo codice. Si deve tuttavia rilevare che tale tesi è stata sostenuta anteriormente all'introduzione dell'art. 57-bis del codice di settore.
[nota 24] V., in generale, A. MIGNOZZI, «La prelazione quale strumento di fruizione dei beni culturali alla collettività», in Obbl. contr., 2009, p. 13.
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