Conferimento di beni culturali in società
Conferimento di beni culturali in società
di Federico Magliulo
Notaio in Roma

La particolare natura della c.d. prelazione artistica

La circolazione dei beni culturali è assoggettata a limiti e condizioni del tutto peculiari nel panorama della vigente legislazione.

Affatto particolare appare al riguardo il funzionamento del meccanismo della prelazione prevista dal codice dei beni culturali, che si distingue da tutte le altre ipotesi di prelazione di fonte legale.

Nel caso di specie, infatti, non si prevede, come di consueto, il meccanismo della denuntiatio, vale a dire della manifestazione dell'intento di vendere direttamente al prelazionario, accompagnata dall'invito ad esercitare o meno il diritto di prelazione, da effettuarsi prima della stipulazione dell'atto definitivo di vendita al terzo.

Nel sistema tradizionale, invero, il mancato esperimento della procedura di prelazione non pregiudica l'efficacia e la validità della vendita, ma di regola assoggetta l'acquisto del terzo al potere di riscatto del prelazionario.

Il terzo pertanto acquista immediatamente la proprietà del bene venduto ed il successivo vittorioso esercizio del riscatto da parte dell'avente diritto configura un fatto evizionale a fronte del quale il terzo acquirente può far valere i diritti di cui all'art. 1483 c.c.

Nella prelazione artistica invece la legge prevede al contrario che:

- debba essere stipulato prima il contratto definitivo di vendita al terzo;

- esso debba essere denunciato ai competenti organi del Ministero (art. 59 del D.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 , codice dei beni culturali e del paesaggio, di seguito Cbc);

- tale contratto sia sottoposto alla condizione sospensiva del mancato esercizio della prelazione legale e all'alienante sia vietato effettuare la consegna della cosa (art. 61, comma 4, Cbc);

- la violazione di tale regole procedurali determini la nullità del contratto, che peraltro fa salva la facoltà del Ministero di esercitare la prelazione ai sensi dell'articolo 61, comma 2 (art. 164 Cbc) [nota 1].

La notevole deviazione che si verifica nel caso di specie dai principi generali in materia di prelazione pone all'interprete anche il problema di verificare se ed in quale misura siffatta normativa incida sulla possibilità e sulle modalità del trasferimento del bene culturale, laddove esso sia oggetto di conferimento in società di capitali.

L'assoggettabilità a prelazione del conferimento in società

A tale riguardo deve innanzitutto rilevarsi che l'assoggettamento alla prelazione artistica del conferimento in società costituisce anch'esso una deviazione dai principi generali in materia di prelazione.

Normalmente infatti la prelazione, disponendo che il prelazionario sia preferito nell'acquisto a parità di condizioni, presuppone che il corrispettivo del trasferimento sia di natura fungibile e possa dunque essere fornito indifferentemente dal prelazionario ovvero dal terzo acquirente [nota 2].

Tale fungibilità dunque fa sì che il prelazionario possa sostituirsi nel rapporto contrattuale al terzo acquirente senza ledere l'interesse dell'alienante a conseguire il corrispettivo previsto nel divisato atto di trasferimento.

Ma non v'è chi non veda che, laddove si tratti di conferimento in società, a fronte del trasferimento del bene alla società conferitaria, al conferente sono assegnate partecipazioni sociali di tale società e non una mera somma di denaro.

Nondimeno il diritto positivo e la prassi contrattuale offrono non pochi esempi in cui il diritto di prelazione è espressamente esteso anche ad atti diversi dalla vendita ed in particolare al conferimento in società.

In tali ipotesi invero la legge o le clausole pattizie intendono evidentemente rafforzare la posizione del prelazionario in virtù di preminenti interessi dei quali egli è portatore [nota 3] o più semplicemente per evitare facili elusioni della prelazione.

Ma, se intendono perseguire tali scopi, la legge o le clausole pattizie devono necessariamente provvedere ad estendere espressamente l'operatività dell'istituto ed a prevedere meccanismi idonei a quantificare equamente la somma che il prelazionario deve corrispondere all'alienante in luogo del corrispettivo non in numerario che questi avrebbe dovuto percepire.

Si verifica indubbiamente in tal caso un affievolimento della posizione delle parti del contratto di trasferimento, le quali finiscono per ricevere una tutela meramente quantitativa o per equivalente e non di tipo qualitativo.

Nella prelazione artistica oggi l'estensione della prelazione al conferimento in società è espressamente sancita dal testo dell'art. 60 comma 1 del Cbc, a seguito delle modifiche apportate dal D.lgs. 24 marzo 2006, n. 156 e dal D.lgs. 26 marzo 2008, n. 62.

Esso infatti dispone che «il Ministero o, nel caso previsto dall'articolo 62, comma 3, la regione o agli altri enti pubblici territoriali interessati, hanno facoltà di acquistare in via di prelazione i beni culturali alienati a titolo oneroso o conferiti in società, rispettivamente, al medesimo prezzo stabilito nell'atto di alienazione o al medesimo valore attribuito nell'atto di conferimento».

Si tratta peraltro di un risultato cui si è pervenuti con certezza solo in epoca recente.

La legge 1 giugno 1939, n. 1089 non risolveva espressamente la questione, poiché essa, all'art. 31, da un lato prevedeva che la prelazione spettasse «nel caso di alienazione a titolo oneroso», dall'altro sanciva che in tal caso il Ministero avesse facoltà di acquistare la cosa «al medesimo prezzo stabilito nell'atto di alienazione».

Peraltro il successivo art. 33 prevedeva che «il diritto di prelazione può essere esercitato dal Ministro per l'educazione nazionale nei modi indicati negli articoli precedenti, anche quando la cosa sia a qualunque titolo data in pagamento».

A fronte di ciò alcuni interpreti [nota 4] negavano che il conferimento potesse essere assoggettato a prelazione a fronte dell'assoluta infungibilità dell'attribuzione traslativa. In tal caso, si affermava, più che un contratto di scambio vi è un contratto di comunione di scopo con il quale si intende da parte del conferente partecipare all'attività sociale e a vincolare il bene all'impresa relativa.

Altri invece affermavano l'assoggettamento del conferimento dalla prelazione culturale, tenuto conto del fatto che anche nel fenomeno societario è possibile distinguere tra il contratto di società inteso come contratto di comunione di scopo e il conferimento di un bene in società, il quale sarebbe anch'esso caratterizzato dal carattere della corrispettività alla stessa stregua di un contratto di scambio.

A ciò si aggiungeva che «l'opera vincolata resta soggetta alla prelazione quando sia a qualunque titolo data in adempimento di un'obbligazione, e quindi anche quando l'obbligazione consista nel prestare il conferimento (in natura) in società promesso» [nota 5].

Ma, come si è avuto modo di rilevare, oggi ogni dubbio al riguardo appare superato dal nuovo testo dell'art. 60 comma 1 del Cbc [nota 6].

La compatibilità della prelazione artistica con il diritto societario

Generalità

Ciò posto, deve tuttavia rilevarsi che le particolari caratteristiche della prelazione artistica pongono non pochi problemi di compatibilità con la normativa societaria in materia di conferimenti dei soci nelle società di capitali.

Ed invero l'assoggettamento dell'atto di trasferimento alla condizione sospensiva del mancato esercizio della prelazione sembra infatti, a prima vista, collidere con il principio di diritto societario, secondo cui le partecipazioni sottoscritte mediante conferimento in natura devono nelle società di capitali essere integralmente liberate al momento della sottoscrizione (artt. 2342, comma 3, e 2464, comma 5, c.c.).

La portata del principio della integrale liberazione del conferimento in natura

1. La genesi del principio

Nondimeno per valutare la sussistenza o meno della compatibilità della prelazione artistica con quest'ultima disposizione occorre innanzitutto chiarirne l'esatta portata.

Gli artt. 2342, comma 3, e 2464, comma 5, c.c. infatti, dietro l'apparente chiarezza del dettato normativo, celano non poche insidie interpretative.

Ne costituisce prova l'ampio dibattito che si è sviluppato al riguardo in dottrina.

Si è soliti far risalire la genesi dell'art. 2342, comma 3, alla seconda direttiva del consiglio del 13 dicembre 1976 (77/91/Cee) in materia di salvaguardia del capitale sociale delle società per azioni [nota 7].

Senonchè è noto innanzitutto che tale direttiva ha efficacia vincolante per gli Stati membri esclusivamente con riguardo alle società per azioni e non anche con riferimento alla società a responsabilità limitata, onde per quest'ultima la norma di cui all'art. 2464, comma 5, c.c. è frutto esclusivamente di una scelta di politica legislativa operata dal legislatore nazionale.

Ma anche con riferimento alle società azionarie la norma comunitaria non obbligava il legislatore nazionale a prescrivere l'integrale liberazione immediata del conferimento in natura, atteso che l'articolo 9 secondo paragrafo della seconda direttiva dispone che «le azioni emesse come corrispettivo di conferimenti non in contanti al momento della costituzione della società o quando la società ottiene l'atto autorizzante l'inizio della propria attività devono essere interamente liberate entro cinque anni dalla costituzione della società o da quando essa ha ottenuto l'atto autorizzante».

Sotto tale profilo dunque la norma nazionale appare più rigorosa di quanto prescritto dal legislatore comunitario [nota 8].

2. L'ambiguità dell'espressione normativa

Ma soprattutto l'espressione normativa secondo cui le partecipazioni sottoscritte mediante conferimento in natura «devono essere integralmente liberate al momento della sottoscrizione», presenta a ben vedere notevoli margini di ambiguità.

Siffatta espressione invero non appare agevolemente inquadrabile nelle categorie, tipicamente civilistiche, che disciplinano l'efficacia degli atti di attribuzione patrimoniale.

E' così accaduto che, a seconda della traduzione della nozione di integrale liberazione in termini di inquadramento civilistico dell'atto di attribuzione patrimoniale, si è finiti, nella dottrina commercialistica, per attribuire al principio in esame portata effettuale ben diversa nelle proposte interpretative da ciascuno avanzate.

La complessità del quadro interpretativo è peraltro aggravata dalla circostanza che non sempre i sostenitori di determinate impostazioni interpretative al riguardo traggono dall'inquadramento dogmatico dell'attribuzione patrimoniale fatto proprio dalla tesi proposta tutte le conseguenze che da esso dovrebbero derivare in termini di teoria generale del diritto.

3. La tesi del conferimento "uno actu"

Il massimo rigore che può essere attribuito al principio in esame è fatto proprio dalla tesi secondo cui l'integrale liberazione dovrebbe consistere nell'acquisizione immediata ed assoluta dell'utilità conferita "uno actu", onde rimanga escluso in capo al socio conferente il sorgere di qualsiasi rapporto obbligatorio in ordine al conferimento [nota 9].

Ma il rigore di tale impostazione appare subito sconfessato dallo stesso testo normativo secondo cui «per i conferimenti di beni in natura e di crediti si osservano le disposizioni degli articoli 2254 e 2255» (art. 2342, comma 3, c.c.).

Ed invero l'art. 2254, comma 1, c.c. dispone che «per le cose conferite in proprietà la garanzia dovuta dal socio e il passaggio dei rischi sono regolati dalle norme sulla vendita».

Ne consegue che in ogni caso il conferimento implica che il soggetto conferente possa essere chiamato a rispondere in via obbligatoria per l'esistenza di vizi sul bene conferito e addirittura per l'evizione totale del medesimo [nota 10].

Se ne deve dedurre che è ben possibile che il conferente possa conferire un bene altrui, facendolo passare erroneamente o falsamente come proprio e ciò non sembra inficiare la validità del conferimento, bensì consente alla società, una volta subitane l'evizione di far valere la relativa garanzia.

E' vero, peraltro, che in materia di vendita l'ordinamento positivo distingue la garanzia per evizione totale della cosa, disciplinata dall'art. 1483 c.c., dalla disciplina della vendita di cosa altrui venduta come propria al compratore che ne ignori l'altruità, prevista dall'art. 1479 c.c.

La dottrina, pur avendo profuso notevoli energie al fine di individuare elementi distintivi tra le due fattispecie, tende tuttavia a concordare sulla circostanza che anche l'evizione può dipendere dall'altruità della cosa [nota 11].

Pertanto a mio avviso il principio della integrale liberazione non consiste tanto nel rendere giuridicamente impossibile o invalido il conferimento di un bene altrui, quanto nell'attribuire alla società conferitaria il potere-dovere di rifiutare conferimenti di beni che siano prospettati dallo stesso conferente come altrui ovvero della cui altruità la società venga comunque a conoscenza al momento della sottoscrizione.

Piuttosto ciò che deve ritenersi vietato dall'ordinamento positivo è che il programma negoziale del conferimento assuma in via principale come termine di riferimento oggettivo la prestazione obbligatoria del conferente.

In conseguenza, laddove non ricorrano tali circostanze, il conferimento del bene altrui rimarrà valido e sarà fonte di obblighi di garanzia a carico del conferente.

Altra questione è quella della corretta individuazione della natura degli obblighi di attuazione del conferimento laddove, in presenza di eventi patologici, debba essere fatta valere la menzionata garanzia (in argomento v. infra).

4. La tesi del principio consensualistico

Né maggior fondamento pare possa essere riconosciuto all'orientamento che fonda la portata del principio dell'integrale liberazione sul principio consensualistico di cui all'art. 1376 c.c., onde sarebbe necessario l'immediato trasferimento del diritto conferito sin dalla conclusione del contratto di sottoscrizione [nota 12].

In realtà, a ben vedere, il principio consensualistico non si caratterizza tanto per l'immediatezza del trasferimento del diritto, che pure accompagna normalmente la conclusione del contratto traslativo, quanto per la circostanza che l'effetto traslativo è direttamente riconducibile al consenso dei contraenti.

In altre parole esso non richiede, come invece avviene nel diritto tedesco, la conclusione di un ulteriore negozio traslativo, rispetto al quale il precedente contratto causale rappresenti semplicemente la fonte di un obbligo alla stipulazione di siffatto negozio.

Dunque il principio consensualistico appare rispettato anche nella vendita di cosa altrui o di bene futuro.

E' vero infatti che in tali ipotesi l'altruità o la futurità del bene impediscono l'immediatezza del trasferimento del diritto, ma è anche vero che una volta venuti meno tali impedimenti, e cioè laddove il venditore acquisti la proprietà del bene o questo venga ad esistenza, il trasferimento del diritto all'acquirente, proprio in virtù del principio consensualistico, è automatico e non è rimesso ad un successivo contratto (artt. 1478, comma 2, e 1472, comma 1, c.c.).

Il principio consensualistico in definitiva non esclude che l'attuazione del trasferimento possa dipendere dall'adempimento di un rapporto obbligatorio, ma esclude solo che tale rapporto obbligatorio abbia ad oggetto la prestazione del consenso traslativo.

5. La tesi della immediata messa a disposizione

Né, per quanto interessa in questa sede, appare fondata la tesi affermatasi nella più recente dottrina secondo cui l'integrale liberazione dovrebbe realizzarsi nella immediata «messa a disposizione» del bene conferito alla società, vale a dire nella realizzazione di tutto quanto necessario per consentire alla società l'immediata utilizzazione di quanto conferito fin dalla conclusione del contratto di sottoscrizione [nota 13].

L'immediatezza dell'utilizzazione dell'entità conferita non mi sembra compatibile con la ratio della disposizione in esame.

Ed invero la ratio del principio dell'integrale liberazione viene comunemente ravvisata non tanto nell'intento di garantire l'utilizzazione immediata dell'attività conferita, bensì nell'intento di assicurare l'effettiva acquisizione della stessa alla società e di evitare di conseguenza per quanto possibile il rischio dell'inadempimento dell'obbligo del conferimento [nota 14].

Si tratta peraltro di una esigenza che, per quanto detto sopra, non è idonea ad escludere tout court un conferimento di bene altrui, ma solo ad escludere un conferimento di bene altrui considerato come tale dal conferente o della cui altruità la società sia comunque a conoscenza.

Una conferma della validità di tale ricostruzione della ratio legis si trae dal confronto con la disciplina dei conferimenti in danaro.

Per tali conferimenti il requisito dell'immediata messa a disposizione è richiesto solo per il 25% del conferimento, mentre per il residuo 75% la legge non richiede l'immediata messa disposizione, lasciando intendere che tale caratteristica non può ritenersi connaturata al conferimento tout court.

Non si vede pertanto per quale ragione in relazione ai conferimenti in natura debba adottarsi un diverso trattamento.

La diversità della disciplina dei conferimenti in natura con quelli in denaro può essere colta solo con riferimento al rischio dell'inadempimento da parte del conferente in relazione alla tutela del principio dell'effettività del capitale.

La riscossione coattiva del conferimento ineseguito rappresenta certamente ed in ogni caso un rischio per la società, la quale in ipotesi di esito infruttuoso della riscossione coattiva subisce una corrispondente diminuzione patrimoniale.

Nondimeno è certamente più facile la realizzazione coattiva di un credito in denaro che non quella di un credito al trasferimento di un bene in natura, che potrebbe essere frustrata dall'impossibilità di effettuare ope judicis tale trasferimento.

E' questa con ogni evidenza la ragione per la quale il legislatore si è accontentato nei conferimenti in denaro dell'esecuzione immediata solo parziale del conferimento, accettando il rischio dell'insolvenza per il residuo.

6. La tesi dell'indipendenza del conferimento dall'intermediazione della prestazione del conferente

Ma, se ciò è vero, il reale significato del principio dell'integrale liberazione del conferimento in natura risiede nell'intento di evitare che l'acquisizione del conferimento al patrimonio sociale debba dipendere dall'intermediazione della prestazione del conferente, la quale nella valutazione del legislatore presenta un rischio intollerabile di inadempimento.

Se ne dovrebbe dedurre, da un lato, che non sia ammissibile il conferimento di beni futuri o di beni altrui considerati come tali, laddove la conclusione del contratto di sottoscrizione si limiterebbe a far sorgere un obbligo del conferente di far acquistare alla società conferitaria il bene conferito (cfr. art. 1476, n. 2 c.c.).

In tal caso infatti il programma negoziale del conferimento assumerebbe in via principale come termine di riferimento oggettivo la prestazione obbligatoria del conferente, ciò che, alla stregua delle esposte considerazioni, deve ritenersi non consentito nel sistema positivo.

Dall'altro lato non dovrebbe confliggere con il principio dell'integrale liberazione l'apposizione al conferimento in natura di un temine iniziale di efficacia, poiché in ogni caso la società acquista immediatamente l'aspettativa legalmente tutelata erga omnes all'acquisizione del diritto conferito e tale acquisizione si verifica senz'altro alla scadenza del termine, senza che ciò dipenda da una prestazione del conferente, la quale dunque non viene assunta in via principale a fondamento dell'attuazione del conferimento.

Sorprende pertanto come la dottrina che si è occupata ex professo di tale fattispecie ne abbia escluso la legittimità per contrarietà al principio dell'integrale liberazione del conferimento in natura [nota 15].

Né in contrario può addursi che il mancato utilizzo del bene da parte della società fino alla scadenza del termine costituisca un danno per l'effettività del capitale.

La società è infatti libera di valutare l'utilità del bene da conferire per il perseguimento del proprio oggetto sociale ed in tale valutazione ben può ritenere di non avere un bisogno immediato del medesimo, ma di considerarlo assai utile o necessario in futuro [nota 16].

Ma ciò non potrà mai costituire un danno patrimoniale per la società, poiché la circostanza che l'utilizzo del bene conferito sotto termine iniziale sia meno intenso rispetto ad un conferimento non soggetto a tale termine rileverà sotto il profilo della valutazione del conferimento, che è assistita dalla cautela della stima peritale.

7. Il conferimento in natura sottoposto a condizione sospensiva

Ciò posto occorre chiedersi se la medesima soluzione possa essere adottata anche laddove il conferimento sia sottoposto a condizione sospensiva.

Anche in tal caso infatti la società acquista immediatamente l'aspettativa legalmente tutelata erga omnes all'acquisizione del diritto conferito e tale acquisizione si verifica senz'altro con l'avveramento della condizione sospensiva, senza che ciò dipenda da una prestazione del conferente.

In questo senso può dirsi anche in questo caso che è rispettato il principio dell'integrale liberazione, nel senso che resta esclusa la necessità di una prestazione del conferente diretta ad attuare l'attribuzione patrimoniale oggetto del conferimento.

Nondimeno occorre tenere conto del fatto che nel caso di specie, a differenza che in quello del termine iniziale di efficacia, gli effetti finali del contratto di sottoscrizione sono incerti e che dunque il mancato avveramento della condizione potrebbe rendere definitivamente inefficace l'attribuzione patrimoniale oggetto del conferimento.

Laddove ciò avvenga, si verifica senza dubbio un danno patrimoniale per la società ed una conseguente lesione del principio dell'effettività del capitale sociale. Tale rischio rende assai dubbia la compatibilità di siffatti conferimenti con i principi di diritto positivo che regolano la materia [nota 17].

Ed invero con la conclusione del contratto di conferimento il conferente deve assumere nei confronti della società l'onere incondizionato dell'attribuzione patrimoniale relativa al conferimento medesimo ed in conseguenza deve garantire in ogni caso il conseguimento della stessa alla società come in ogni ipotesi di conferimento in natura.

8. L'esercizio della prelazione quale fattispecie di mancata attuazione del conferimento

Tuttavia è a mio avviso possibile affermare la legittimità dei conferimenti sottoposti a condizione sospensiva nella particolare ipotesi in cui l'evento dedotto in condizione sospensiva consista nell'insorgenza del diritto di un terzo sul bene conferito.

E' appunto il caso del conferimento di bene culturale nel quale l'evento dedotto in condizione attiene all'esercizio del diritto di prelazione che per legge compete allo Stato.

A ben vedere la situazione che si determina in capo alla società, sotto il profilo del risultato finale, non presenta apprezzabili differenze rispetto al conferimento di un bene soggetto a prelazione legale secondo il procedimento normale della denuntiatio.

Come si è infatti già avuto modo di rilevare, in tal caso il mancato esperimento della procedura di prelazione non pregiudica l'efficacia e la validità del trasferimento, ma assoggetta l'acquisto della società conferitaria al potere di riscatto del prelazionario.

La società conferitaria dunque acquista immediatamente la proprietà del bene venduto ed il successivo vittorioso esercizio del riscatto da parte dell'avente diritto configura un fatto evizionale [nota 18].

Orbene in tale ipotesi nessuno potrebbe dubitare che il bene possa essere oggetto di conferimento in società senza che si configuri alcuna violazione del principio dell'integrale liberazione e per altro verso il successivo esercizio del riscatto da parte del prelazionario non potrebbe che essere regolato dall'art. 2254, comma 1, c.c. richiamato dall'art. 2342 c.c.

Ma non si vede per quale ragione la medesima disciplina non possa essere applicata anche in materia di prelazione artistica solo perché il procedimento prelatizio è diverso da quello ordinario, pur coincidendo nel risultato finale.

Se ne deve dedurre che anche in caso di prelazione artistica il conferente risponde in definitiva della mancata attuazione del conferimento come avviene nel caso dell'evizione del bene conferito.

Ma ciò non può pregiudicare a priori l'ammissibilità del conferimento.

Più in generale deve rilevarsi come si sia affermata nella migliore dottrina la convinzione che, nel sistema positivo, laddove l'attuazione del conferimento in natura non possa realizzarsi in via principale con il trasferimento del bene conferito, debba ritenersi che insorga a carico del conferente, a presidio dell'effettività del capitale, l'obbligo di effettuare un conferimento in denaro di importo equivalente, oltre al risarcimento del danno.

Si tratta di una conclusione da tempo affermatasi nella dottrina tedesca, la quale ritiene che la sottoscrizione delle azioni debba essere configurata come «una Deckungszusage (promessa di copertura)» ovvero come «un Hilfsgeschäft der Aktienübernahme (negozio ausiliario della sottoscrizione delle azioni): datio in solutum idonea ad estinguere, in base ad un accordo (implicito) con gli altri soci fondatori, l'obbligazione primaria di conferire denaro».

In conseguenza qualunque ipotesi di inattuazione del conferimento produrrebbe «la conversione del conferimento in natura nell'obbligazione di prestarne l'equivalente pecuniario, oppure nella prospettiva della seconda ricostruzione, la reviviscenza dell'obbligazione primaria» onde «dietro ogni obbligo di eseguire un conferimento in natura c'è un'obbligazione sussidiaria di copertura in danaro», c.d. Differenzhaftung19.

Ma anche nel sistema positivo italiano la medesima conclusione può essere affermata sulla scorta del combinato disposto degli artt. 2254, comma 1, e 2342 c.c.

Indubbiamente dal punto di vista storico tale assetto normativo è il frutto di una rozza assimilazione del conferimento alla vendita, che risale addirittura al codice napoleonico.

Ma non v'è chi non veda come si tratti di una assimilazione alquanto impropria, a causa della profonda diversità dei due menzionati negozi attributivi, l'uno (la vendita) costituente la tipica espressione di un negozio di scambio e l'altro (il conferimento) radicalmente inserito nell'ambito dell'organizzazione corporativa dell'ente-società.

Ne consegue che profondamente diverse sono anche le conseguenze prodotte dall'inadempimento dell'attribuzione patrimoniale.

Nella vendita infatti la mancata attuazione dell'attribuzione traslativa si presta ad essere inquadrata nella risoluzione per inadempimento di un contratto sinallagmatico, onde la sanzione a carico del contraente inadempiente consiste innanzitutto nella restituzione del prezzo pagato, oltre che nel risarcimento del danno.

Nel conferimento societario, invece, la mancata attuazione dell'attribuzione traslativa non può determinare la risoluzione del contratto, poiché ciò pregiudicherebbe la stabilità patrimoniale della società come organizzazione e comprometterebbe l'integrità del capitale, né in conseguenza alcun obbligo di restituzione di denaro, che in realtà il conferente non ha mai ricevuto a fronte del conferimento.

Ne consegue che la sanzione a carico del conferente inadempiente all'onere dell'attuazione dell'attribuzione traslativa deve essere inquadrata nella peculiarità del fenomeno societario e dunque nell'ottica della necessaria attuazione di un conferimento suppletivo in danaro che tenga luogo del conferimento in natura omesso, oltre al risarcimento del danno [nota 20].

Peraltro in quest'ottica il successivo eventuale inadempimento all'obbligazione pecuniaria sostitutiva del conferimento in natura non potrebbe sottrarsi all'applicazione dell'art. 2344 c.c. «dal momento che, a questo punto, la situazione del conferente non si distingue più da quella di chi fin dall'origine ha assunto l'obbligo di liberare le azioni in denaro» [nota 21].

Le conseguenze della violazione del principio dell'integrale liberazione del conferimento in natura

1. Generalità

Ciò posto, deve rilevarsi che se tale conclusione è a mio avviso condivisibile in punto di diritto, l'applicazione del principio sopra enunciato nella pratica deve necessariamente confrontarsi con ineludibili esigenze di prudenza, che devono necessariamente ispirare l'operatore pratico ed in particolare il notaio.

In altre parole non può farsi a meno di considerare l'ipotesi in cui un'applicazione letterale dell'art. 2342 c.c. conduca a ritenere inammissibile il conferimento di un bene soggetto a prelazione artistica.

A tale riguardo occorre chiedersi in primo luogo quali conseguenze la supposta violazione dell'art. 2342 c.c. dispieghi sulla costituzione della società ovvero sull'aumento di capitale che venga deliberato a servizio del conferimento in esame ed in secondo luogo se è possibile adottare misure idonee a garantire in ogni caso la legittimità dell'operazione, anche laddove si intenda comunque conferire un bene soggetto a prelazione artistica.

2. Il conferimento in sede di costituzione della società

Con riferimento al primo problema deve distinguersi il caso in cui il conferimento in esame sia effettuato in sede di costituzione della società da quello in cui esso sia posto in essere in sede di aumento di capitale.

Nel primo caso non v'è dubbio che il rispetto delle disposizioni di cui all'art. 2342 c.c. costituisca una delle «condizioni per la costituzione» ai sensi dell'art. 2329 c.c., stante il chiaro dettato del n. 2 di tale articolo.

Meno chiaro è quali conseguenze tale mancanza determini sulla validità dell'atto costitutivo ed in ordine alla responsabilità del notaio rogante.

Quanto a quest'ultima la riforma del diritto societario ha mantenuto l'orientamento di politica legislativa adottato dalla riforma del sistema della omologazione degli atti societari, operata recentemente con l'art. 32 della legge 24 novembre 2000, n. 340, che ha soppresso il controllo generale di legalità di competenza dell'autorità giudiziaria in relazione alla costituzione delle società di capitali, devolvendo in toto tale controllo ai notai.

Il legislatore della riforma del diritto societario, infatti, al pari di quello della legge 24 novembre 2000, n. 340, non prevede in nessun caso, in sede di costituzione, la possibilità, sia pure successiva, del controllo omologatorio del Tribunale, che permane in via eventuale solo per le modificazioni dell'atto costitutivo, in forza dell'art. 2436 c.c.

Per l'atto costitutivo, invero, non è dettata alcuna specifica norma circa il compito devoluto al notaio, sottintendendosi che quest'ultimo debba effettuare il normale controllo preventivo ex art. 28 della legge notarile (L. 16 febbraio 1913, n. 89), che vieta ai notai di ricevere atti «espressamente proibiti dalla legge, o manifestamente contrari al buon costume o all'ordine pubblico» e impone di rifiutare la stipulazione dell'atto ove tale controllo avesse esito negativo [nota 22].

Del resto permane in vigore, non essendo stata modificata dalla riforma del diritto societario, la disposizione dell'art. 138-bis della legge 16 febbraio 1913, n. 89, come introdotta dalla legge 24 novembre 2000, n. 340 e da ultimo modificata dal D.lgs. 1 agosto 2006, n. 249, secondo la quale il notaio che chiede l'iscrizione nel Registro delle imprese di un atto costitutivo di società di capitali, da lui rogato, quando risultino manifestamente inesistenti le condizioni richieste dalla legge è punito con la sanzione pecuniaria da euro 516 ad euro 15.493.

A tale sanzione amministrativa si aggiunge la sanzione disciplinare della sospensione prevista in via generale in relazione alla violazione dell'art. 28 L.N. per il ricevimento di atti espressamente proibiti dalla legge, o manifestamente contrari al buon costume o all'ordine pubblico [nota 23].

Peraltro il legislatore della riforma non ha ritenuto di disciplinare in maniera più analitica i limiti del controllo notarile di legalità in materia societaria, lasciando immutati i termini del dibattito accesosi in dottrina in ordine alla estensione del controllo medesimo [nota 24].

Sarebbe stato invece quanto mai opportuno approfittare della riforma del sistema societario per chiarire i limiti del sindacato notarile sostitutivo dell'omologa [nota 25], atteso che, anche in passato, è stato oggetto di discussione tra i giudici allora preposti al controllo omologatorio se questo dovesse riferirsi ai soli vizi di nullità o anche a quelli di annullabilità [nota 26].

D'altro canto la problematica in questione è resa ancor più complessa dal fatto che, in termini generali, la Cassazione, operando una brusca inversione di tendenza rispetto alla propria precedente giurisprudenza, ha recentemente escluso dall'ambito di applicazione dell'art. 28 L.N. gli atti annullabili e quelli inefficaci, limitando l'applicabilità del divieto ai soli atti affetti da nullità assoluta [nota 27].

Ciò posto non può farsi a meno di rilevare che il nuovo testo dell'art. 2332 c.c., in materia di nullità della società, ricalca sostanzialmente la precedente normativa, salvo alcune significative precisazioni e modificazioni.

In particolare l'orientamento di politica legislativa, indicato anche dalla legge delega, è stato quello di procedere ad una sostanziale riduzione delle cause di nullità [nota 28].

In particolare per quanto interessa in questa sede viene eliminata la causa di nullità consistente nella «inosservanza della disposizione di cui all' articolo 2329, n. 2» relativa al versamento dei tre decimi (ed oggi del 25%) dei conferimenti in denaro.

In passato era invero discusso se il versamento dei tre decimi (oggi 25%) dei conferimenti in denaro fosse una condizione per la stipulazione dell'atto costitutivo o solo per l'omologazione dello stesso e se pertanto il notaio rogante fosse tenuto a verificare tale circostanza o meno; nel senso di ravvisare in tale versamento una condizione della stipulazione dell'atto costitutivo era orientata la prevalente giurisprudenza [nota 29].

Dopo la recente soppressione dell'omologazione dell'atto costitutivo la dottrina [nota 30] aveva rilevato che, dovendo il notaio rogante effettuare in via esclusiva il controllo di legalità, il versamento non potesse che essere anteriore alla stipulazione dell'atto costitutivo, con il conseguente obbligo del medesimo rogante di rifiutarsi di ricevere l'atto se non risultasse adempiuta tale condizione, sotto pena di violazione dell'art. 28 della legge notarile.

Nel sistema della riforma gli artt. 2328 n. 4 e 2463 comma 2, n. 4 c.c. continuano a richiedere l'indicazione nell'atto costitutivo, oltre che del capitale sottoscritto, anche di quello versato, mentre gli artt. 2342, comma 2, e 2464 comma 4 c.c. precisano che detto versamento va fatto «alla sottoscrizione dell'atto costitutivo», confermando che il versamento deve sussistere al momento del rogito [nota 31].

D'altra parte l'eliminazione della violazione della norma in esame quale causa di nullità della società potrebbe indurre a ritenere che nel nuovo sistema il versamento del 25% dei conferimenti in denaro assuma il solo ruolo di condizione per la costituzione, ma non di causa di nullità dell'atto costitutivo.

Ed a maggior ragione ciò non può non valere anche per l'integrale liberazione dei conferimenti in natura.

Ne deriverebbe che in tal caso il notaio sarebbe soggetto alla sanzione amministrativa di cui all'art. 138-bis L.N., che viene comminata allorché viene chiesta l'iscrizione nel Registro delle imprese di un atto costitutivo di società di capitali, da lui rogato, quando risultino manifestamente inesistenti le condizioni richieste dalla legge; ma egli non sarebbe soggetto alle sanzioni disciplinari comminate per la violazione dell'art. 28 L.N. poiché esse, secondo la più recente giurisprudenza riguardano il ricevimento dei soli atti affetti da nullità assoluta [nota 32].

In ogni caso la responsabilità del notaio si configura solo laddove la violazione di legge sia manifesta e non quando si tratti di questione dubbia e discussa, come avviene nella fattispecie in esame.

3. Il conferimento in sede di aumento di capitale

In sede di aumento di capitale la questione assume connotazioni alquanto diverse.

In tal caso invero la società è già iscritta ed esistente e la condizione dell'integrale liberazione del conferimento attiene alla sottoscrizione dell'aumento di capitale, che rimane peraltro pur sempre un atto distinto dalla delibera di aumento di capitale.

La sottoscrizione costituisce infatti, a differenza della delibera di aumento di capitale, un vero e proprio contratto tra la società ed il sottoscrittore, i cui vizi dunque non incidono di per sé sulla delibera di aumento.

La stessa perizia di stima ex art. 2343 c.c. non sempre deve sussistere al momento della delibera di aumento, posto che potrebbe anche ignorarsi al momento della delibera la possibilità stessa che l'aumento sia sottoscritto in natura.

E' infatti a mio avviso ben possibile che l'aumento di capitale sia deliberato senza la soppressione del diritto di opzione e che, rimanendo esso in tutto o in parte inoptato, l'organo amministrativo lo collochi presso un terzo il quale intenda liberarlo mediante conferimento di un bene in natura ritenuto utile dalla società e semprechè lo statuto consenta i conferimenti in natura ex art. 2342 comma 1 c.c.

In tal caso pertanto la stima deve sussistere al momento del conferimento e non della delibera di aumento [nota 33].

Ciò posto deve dunque chiedersi se l'integrale liberazione dei conferimenti in natura costituisca una condizione di perfezionamento o di validità del contratto di sottoscrizione, alla stregua della disposizione di cui all'art. 2440, comma 1, c.c., secondo cui «se l'aumento di capitale avviene mediante conferimento di beni in natura o di crediti si applicano le disposizioni degli articoli 2342, commi 3 e 5».

Tuttavia è noto che la Suprema Corte ha ritenuto che «il contratto di sottoscrizione delle azioni di nuova emissione ha natura consensuale e non reale. All'obbligo di contestuale versamento dei tre decimi [oggi 25% n.d.r.] previsto dall'art. 2439, codice civile, consegue l'immediata esigibilità della somma relativa, restando esclusa ogni discrezionalità degli amministratori quanto al tempo in cui la solutio deve essere pretesa» [nota 34].

Tale impostazione risulta peraltro rafforzata nel sistema della riforma, atteso che, come si è avuto modo di rilevare, il versamento immediato in sede di costituzione non può più essere oggi considerata dalla legge causa di nullità della società.

Ma se ciò è vero non può non adottarsi la medesima conclusione anche nel caso di conferimento in natura, nel quale, dunque, la mancata integrale liberazione delle relative azioni, non pregiudica il perfezionamento e la validità del contratto di sottoscrizione, ma obbliga il sottoscrittore a liberare immediatamente le azioni sottoscritte.

4. Conclusioni

Ne consegue che, sia in caso di costituzione della società sia in caso di aumento di capitale, la condizione legale dell'immediata liberazione implica che la società può e deve rifiutare la sottoscrizione non accompagnata dalla liberazione delle azioni sottoscritte.

Ma, ove ciò non avvenga, e dunque si proceda ugualmente alla sottoscrizione in mancanza della liberazione delle azioni sottoscritte, ferma restando la validità della sottoscrizione, il sottoscrittore è immediatamente nella condizione di un debitore inadempiente, con il conseguente diritto della società di agire immediatamente per chiedere l'adempimento del conferimento.

I conferimenti alternativi

1. Generalità

Alla stregua delle esposte considerazioni deve dunque ritenersi che la sottoposizione del conferimento di un bene culturale alla condizione legale del mancato esercizio della prelazione non pregiudica a priori l'ammissibilità del conferimento, che deve dunque ritenersi valido indipendentemente dalla previsione pattizia di rimedi atti a consentire alla società, in caso di esercizio della prelazione, di conseguire un valore equivalente a quello del bene originariamente conferito.

Semmai sarà onere per la società conferitaria, laddove sia a conoscenza della soggezione del bene conferito alla prelazione artistica, pretendere in sede di conferimento l'adozione di misure idonee a garantire l'acquisizione al patrimonio sociale del valore economico del conferimento anche in caso di esercizio della prelazione legale da parte dello Stato.

E non v'è dubbio che l'adozione di tali misure sia quanto mai consigliabile nella pratica, anche al fine di scongiurare il rischio che nella giurisprudenza finisca per prevalere la tesi dell'inammissibilità del conferimento del bene soggetto a prelazione artistica per contrarietà con il principio dell'integrale liberazione immediata.

A tale riguardo la prassi ha escogitato la possibilità di configurare conferimenti alternativi a quello avente ad oggetto il bene culturale idonei a coprire la sottoscrizione laddove non possa operare il conferimento del bene culturale a causa dell'esercizio della prelazione.

2. Il conferimento alternativo di denaro

Viene in rilievo a tale riguardo innanzitutto la possibilità di configurare, accanto al conferimento del bene culturale sottoposto alla condizione sospensiva legale del mancato esercizio della prelazione, un conferimento in danaro di valore equivalente, sottoposto alla condizione risolutiva del mancato esercizio della prelazione.

In tal modo se la prelazione legale non viene esercitata nei termini, la società conseguirà la proprietà del bene culturale e verrà meno il conferimento in danaro alternativo.

Ma in ogni caso, comunque vadano le cose, alla società è garantita l'acquisizione del valore economico del conferimento, sia pure con modalità non equivalenti dal punto di vista qualitativo [nota 35].

Ma di ciò la società non potrà dolersi, avendo accettato preventivamente la possibilità di non conseguire il bene culturale, ma solo una somma di danaro.

Peraltro la circostanza che il conferimento in danaro è immediatamente efficace, sia pure sottoposto alla condizione risolutiva di cui sopra, implica che debba essere versata all'atto del conferimento una somma in danaro pari almeno al 25% del suo importo.

Si tratta peraltro di un versamento che, pur doveroso, alla stregua delle esposte considerazioni, non costituisce condizione di validità o di perfezionamento del contratto di sottoscrizione.

Tale versamento dovrà ovviamente essere restituito laddove si avveri la condizione risolutiva del mancato esercizio della prelazione.

Nondimeno l'obbligatorietà del versamento immediato del 25% del conferimento in danaro (o del 100% in caso di società unipersonale) costituisce un disagio per il sottoscrittore, che potrebbe peraltro non disporre del relativo importo [nota 36].

3. Il conferimento alternativo di credito

Per tale ragione appare forse più funzionale alle esigenze della prassi operativa prevedere che il conferimento alternativo a quello avente ad oggetto il bene culturale sia rappresentato dal credito vantato dal conferente verso l'amministrazione dello Stato in dipendenza dell'esercizio della prelazione [nota 37].

In tal caso infatti al conferente non è imposto alcun esborso in denaro immediato essendo il valore alternativamente conferito rappresentato dal menzionato credito.

Si tratta infatti di un credito il cui ammontare è esattamente individuato dalla legge atteso che l'art. 60 Cbc dispone che «il Ministero o, nel caso previsto dall'articolo 62, comma 3, la regione o agli altri enti pubblici territoriali interessati, hanno facoltà di acquistare in via di prelazione i beni culturali … conferiti in società, … al medesimo valore attribuito nell'atto di conferimento».

In tal caso è vero che entrambi i conferimenti non hanno efficacia immediata poichè quello avente ad oggetto il bene culturale è per legge sottoposto alla condizione del mancato esercizio della prelazione e quello avente ad oggetto il credito vantato dal conferente verso l'amministrazione dello Stato in dipendenza dell'esercizio della prelazione è destinato ad avere effetto con l'insorgenza di tale credito, che verifica solo in caso di esercizio della prelazione [nota 38].

Ma quel che conta, alla stregua della ricostruzione sopra proposta della ratio dell'art. 2342 c.c., è solo che la società, in dipendenza della reciproca supplenza dei conferimenti alternativi, venga ad acquisire con certezza il valore economico del conferimento senza l'intermediazione di una prestazione obbligatoria del conferente e non anche che l'acquisto del diritto conferito, pur certo ed automatico, sia anche immediato.

Né pare possa costituire un ostacolo alla validità di tale soluzione la circostanza che il conferimento del credito sia anch'esso, al pari di qualsiasi altro conferimento in natura, sottoposto all'obbligo della perizia di stima ex art. 2343 c.c.

Sul piano sostanziale della necessità di tale stima sarebbe lecito dubitare poiché la perizia di stima per legge deve contenere:

la descrizione dei crediti conferiti;

l'attestazione che il loro valore è almeno pari a quello ad essi attribuito ai fini della determinazione del capitale sociale e dell'eventuale soprapprezzo e i criteri di valutazione seguiti.

Ma, quanto al primo punto, l'individuazione del credito è effettuata dal medesimo art. 60 Cbc sia con riferimento al titolo che con riferimento al suo ammontare.

Quanto al secondo punto, la valutazione di un credito dipende principalmente dalla solvibilità del debitore e dal termine di esigibilità dello stesso.

Ma nel caso di specie la solvibilità è ragionevolmente certa in ragione della natura pubblica del debitore, mentre l'esigibilità subisce un differimento assai breve (quello dell'espletamento della procedura prelatizia) e dunque tale da non incidere apprezzabilmente sul valore del credito conferito.

Nondimeno, anche laddove non si condividessero tali considerazioni, sarebbe assai semplice ovviare all'inconveniente, avendo cura di conferire al perito l'incarico di stimare, nella medesima perizia avente ad oggetto il bene culturale da conferire, anche il credito dipendente dall'eventuale esercizio della prelazione.

4. Il conferimento garantito da polizza o fideiussione

Da altra prospettiva interpretativa è stata recentemente avanzata la possibilità di «garantire il conferimento - con effetti sospesi - del bene di interesse storico artistico con una polizza assicurativa o una fideiussione bancaria.

In tale ipotesi la polizza non si sostituirà al conferimento come avviene in caso di conferimento in denaro nella società a responsabilità limitata (cfr. art. 2464, comma 4, c.c.), ma ne garantirà l'esecuzione e l'acquisizione al patrimonio sociale anche nell'eventualità dell'esercizio della prelazione da parte dello Stato.

Il conferimento avrà ad oggetto pur sempre l'immobile di interesse storico artistico sotto condizione legale sospensiva del mancato esercizio della prelazione, mentre la polizza o la fideiussione avranno la funzione di garantire alla società un valore sostitutivo ed equivalente al bene conferito, in ossequio ai principi di integrità ed effettività del capitale sociale.

Non si utilizzerà, pertanto, lo schema del doppio conferimento, sospensivamente ed alternativamente condizionato, ma si sarà in presenza di un unico conferimento in natura, con effetti sospesi, la cui esecuzione sarà garantita dalla polizza o dalla fideiussione. Una volta divenuto definitivamente inefficace il conferimento a seguito dell'esercizio della prelazione, il patrimonio della società beneficierà comunque di un quantum equivalente, inoltre, la società medesima ed eventualmente i creditori sociali potranno escutere la polizza» [nota 39].

L'opinione in esame lascia a prima vista perplessi, poichè il sistema positivo prevede la possibilità che una garanzia fideidussoria tenga luogo della liberazione del conferimento solo nelle Srl e, anche in queste ultime, solo con riferimento versamento minimo del 25% del conferimento in danaro (art. 2465 c.c.) e non anche di quello in natura.

Invero per valutarne la reale fondatezza devono essere sottoposti ad attenta analisi gli effetti sostanziali che la fattispecie in esame produce quanto all'attribuzione del valore economico del conferimento alla società.

Sorprende a tale riguardo che tale tesi sia stata proposta proprio da chi contesta la possibilità di effettuare il conferimento alternativo di credito di cui al paragrafo precedente, sulla base della considerazione che il credito vantato dal conferente verso l'amministrazione dello Stato in dipendenza dell'esercizio della prelazione sarebbe pur sempre un diritto futuro e che dunque ciò contrasterebbe con il principio dell'integrale liberazione del conferimento in natura, intesa nel senso di immediata acquisizione del diritto conferito alla società.

Ed invero anche nel caso di prestazione della garanzia fideiussoria, pur nascendo immediatamente dal punto di vista formale l'obbligazione di garanzia, è evidente che nella sostanza il valore economico oggetto della garanzia è destinato ad essere acquisito alla società solo a seguito dell'esercizio della prelazione da parte dello Stato.

Ne consegue che la situazione sostanziale non differisce apprezzabilmente da quella che si determina nella fattispecie del conferimento alternativo di credito di cui al paragrafo precedente, nella quale è sempre garantita l'acquisizione alla società conferitaria del valore economico del conferimento, ma solo all'esito del procedimento prelatizio.

Ma a ben vedere, alla stregua delle esposte considerazioni, deve ritenersi che il principio dell'integrale liberazione del conferimento in natura non osta a che l'effetto traslativo del conferimento sia differito nel tempo, purchè sia assicurata alla società l'acquisizione del valore economico del conferimento senza l'intermediazione di una prestazione obbligatoria del conferente.

A mio avviso a questo punto non rimangono che due alternative possibili.

O si condivide la tesi secondo cui sono legittimi i conferimenti sottoposti a condizione sospensiva nella particolare ipotesi in cui l'evento dedotto in condizione sospensiva consista nell'insorgenza del diritto di un terzo sul bene conferito, come nella fattispecie dell'esercizio del diritto di prelazione che per legge compete allo Stato, ed il vittorioso esercizio di tale diritto configura un fatto evizionale.

Ed in tal caso il conferimento ha ad oggetto esclusivamente l'immobile e la fideiussione bancaria o assicurativa rappresenta una mera garanzia accessoria, non richiesta dalla legge, ma rientrante nella disponibilità delle parti, diretta a tenere indenne la società dal possibile evento evizionale.

Ovvero non si condivide la tesi in questione, ed in tal caso la fideiussione può essere qualificata solo come particolare ipotesi di conferimento alternativo e non come ipotesi succedanea ad una supposta inammissibilità del conferimento alternativo di credito di cui al paragrafo precedente.

In altre parole si tratterebbe pur sempre di conferire, in alternativa al bene culturale, un credito verso un terzo, il soggetto garante, che in quanto tale andrebbe pur sempre assoggettato a stima.

Il differimento convenzionale dell'efficacia del contratto di sottoscrizione

1. Generalità

Altro espediente che potrebbe essere posto in essere per risolvere il problema in esame è rappresentato dalla possibilità almeno in caso di aumento di capitale di impedire l'operatività del contratto di sottoscrizione fino a che non sia decorso il termine per l'esercizio della prelazione senza che questa sia stata esercitata.

In tal modo non vi sarebbe alcuna possibilità di ravvisare quello iato temporale tra la sottoscrizione e la liberazione delle azioni sottoscritte che l'art. 2342 intenderebbe impedire.

Più dubbia è la possibilità di accedere a tale soluzione laddove il conferimento sia effettuato in sede di costituzione della società, posto che la dottrina tende a negare l'atto costitutivo di una società di capitali che possa essere assoggettato ad una condizione sospensiva.

Ciò in quanto, una volta stipulato l'atto costitutivo condizionato, «i tempi del procedimento sono comunque scanditi inderogabilmente dalla legge (art. 2330 c.c.), che prevede le varie fasi come dovute. D'altronde, una volta iscritto l'atto costitutivo nel Registro delle imprese, gli effetti reali non potranno essere subordinati alla presenza di detti elementi accidentali: esisterà un autonomo centro di imputazione e la sua (eventuale) attività sarà vincolante nei confronti dei terzi» [nota 40].

Ma da altra prospettiva è stata al riguardo avanzata la possibilità che, ove all'atto costitutivo sia apposta una condizione sospensiva, si determini anche «la sospensione del procedimento di costituzione» onde ne risulterebbe inibita «la iscrizione (e il relativo decorso dei termini) fino al verificarsi dell'evento condizionante, che sarà compito degli interessati far constare al notaio (ancora alla stregua di quanto generalmente accade per i negozi sub condicione).

Paradigmatico al riguardo appare il disposto dell'art. 223-quater, comma 1, disp. att. c.c., introdotto dalla riforma societaria, a tenore del quale «nel caso in cui la legge prevede che le autorizzazioni di cui agli artt. 2329, n. 2 e 2436, comma 2 del codice civile siano rilasciate successivamente alla stipulazione dell'atto costitutivo o, rispettivamente, alla deliberazione, i termini previsti dalle suddette disposizioni decorrono dal giorno in cui l'originale o la copia autentica del provvedimento di autorizzazione è stato consegnato al notaio». La norma lascia intendere che l'immediata efficacia dell'atto costitutivo stipulato, sotto il profilo dell'obbligo per il notaio di procedere ad iscrizione, non sia co-essenziale all'atto stesso e che questo effetto ben possa essere differito. Anche in considerazione della circostanza che, a fronte di tale programmato differimento, non risultano interessi lesi: non quelli dei soci, che anzi, nel caso di condizione volontaria, vedono meglio realizzate le proprie esigenze; né quelli dei terzi che, in assenza di iscrizione, non possono contare sull'esistenza di un centro autonomo di interessi (salvo, naturalmente, quanto può desumersi dall'art. 2331 c.c.).

E quand'anche non si voglia condividere l'applicazione della regola - dettata con riguardo ad una specifica ipotesi di condicio iuris - al caso di condizione sospensiva apposta volontariamente dai soci, sembra conforme ai principi generali dell'interpretazione, estendere la stessa quantomeno, ad altre ipotesi in cui, analogamente a quanto previsto dal sopra riportato art. 223-quater, comma 1, cit., l'efficacia dell'atto costitutivo è sospesa per legge fino al verificarsi di un evento. Tanto più quando, come nel caso in esame, l'evento è connesso (sia pur in negativo) proprio ad un atto proveniente da una pubblica autorità» [nota 41].

2. Il conferimento in conto futuro aumento di capitale

L'obiettivo sopra accennato può essere realizzato innanzitutto anticipando il conferimento rispetto alla delibera di aumento di capitale.

Non si dubita, infatti, che i versamenti specificamente finalizzati ad un futuro aumento del capitale sociale possano essere effettuati anche prima dell'assunzione della relativa deliberazione di aumento e che gli stessi debbano essere restituiti se la delibera medesima non sia più stata adottata [nota 42].

L'anticipazione del conferimento fa sì che si possa attendere il decorso infruttuoso del termine per l'esercizio della prelazione e conseguire in tal modo la piena efficacia del trasferimento della proprietà del bene culturale in capo alla società.

In tal modo il bene in oggetto entra nel patrimonio sociale sotto forma di conferimento in conto di futuro aumento di capitale [nota 43].

Quando verrà posta in essere la successiva delibera di aumento, dunque, il sottoscrittore avrà già liberato le azioni di nuova emissione da lui sottoscritte addirittura prima dell'operatività dell'aumento di capitale relativo [nota 44].

3. L'aumento di capitale sottoposto a condizione sospensiva

E' ancora possibile sottoporre alla condizione del mancato esercizio della prelazione la stessa delibera di aumento del capitale sociale [nota 45] ed operare immediatamente il conferimento in conto dell'aumento di capitale così condizionato.

Deve al riguardo sottolinearsi che nel nuovo sistema la delibera di aumento di capitale a pagamento deve ritenersi assoggettata sicuramente come minimo ad una duplice condizione di efficacia.

La prima, propria in via generale di qualsiasi modificazione dell'atto costitutivo, è rappresentata dalla iscrizione nel Registro delle imprese della delibera di aumento del capitale ai sensi dell'art. 2436 comma 5 c.c. e la seconda dalla avvenuta sottoscrizione dell'aumento stesso [nota 46].

Si tratterebbe dunque in tal caso di aggiungere alle condizioni legali di cui sopra una ulteriore condizione che, rispetto alla delibera di aumento di capitale, è volontaria.

Il mancato esercizio della prelazione artistica rappresenta infatti una condicio juris solo con riferimento al trasferimento dell'immobile.

Tale fattispecie impinge nel discusso problema dell'ammissibilità delle delibere condizionate.

In passato l'orientamento prevalente in dottrina ed in giurisprudenza riteneva che «in ossequio al principio della pubblicità, le deliberazioni dell'assemblea straordinaria non possono subordinare la propria efficacia ad eventi futuri ed incerti.

Tuttavia il divieto di iscrivere nel Registro delle imprese deliberazioni dell'assemblea straordinaria sottoposte a condizione non si applica a quelle nelle quali la condizione, in esse inserita, consista in un atto societario anch'esso soggetto alla stessa iscrizione nel Registro delle imprese» [nota 47].

Peraltro di recente sono state autorevolmente avanzate interpretazioni dirette a consentire un più ampio uso della condizione nella materia di cui trattasi [nota 48].

Ma in ogni caso deve rilevarsi che il mancato esercizio della prelazione legale, essendo attinente alla sottoscrizione dell'aumento ed alla liberazione dello stesso, è idoneo a ricevere pubblicità in sede di deposito al Registro immobiliare dell'attestazione di cui agli artt. 2444 e 2481-bis ultimo comma c.c., che evidentemente può essere attuato solo se la complessa fattispecie dell'aumento di capitale si è perfezionata con l'avveramento delle varie condizioni cui, come si è detto, essa è soggetta.

Parimenti, finché non si siano avverate tali condizioni, non può procedersi alla modificazione dello statuto sociale da depositarsi ai sensi dell'art. 2436 c.c., mediante indicazione del nuovo ammontare del capitale sociale.

Se così non fosse si finirebbe per pubblicizzare in base all'art. 2436 c.c. un evento, la sussistenza del capitale di aumento, inesistente.

Al deposito dello statuto aggiornato con il nuovo capitale provvederanno pertanto gli amministratori contestualmente al deposito dell'attestazione della avvenuta sottoscrizione [nota 49].

Peraltro l'inefficacia della delibera di aumento in pendenza della condizione sospensiva non osta a che gli amministratori raccolgano le relative sottoscrizioni ed i relativi conferimenti prima dell'avveramento della stessa [nota 50].

Anche la sottoscrizione, come ogni altro atto che ponga a propria base la delibera temporaneamente inefficace, viene infatti ad essere sottoposta alla medesima condizione cui è per legge sottoposta la delibera.

Avveratasi la condizione sospensiva, acquista effetto tanto l'aumento di capitale, quanto la sottoscrizione, quanto il conferimento e dunque non può configurarsi alcuna violazione dell'art. 2342 c.c. risultando in quel momento l'aumento di capitale interamente liberato.

L'assoggettamento della delibera di aumento del capitale sociale alla condizione del mancato esercizio della prelazione implica peraltro che, laddove la prelazione sia esercitata, venga meno anche l'aumento di capitale, che dunque non potrà in alcun modo essere ricollocato dalla società.

4. La sottoscrizione sottoposta a condizione sospensiva

Ma è anche possibile in alternativa adottare l'aumento del capitale sociale, procedere quindi alla sottoscrizione dello stesso e sottoporre, non già l'aumento di capitale, bensì il contratto di sottoscrizione, alla medesima condizione sospensiva cui è per legge sottoposto il conferimento.

Anche in tale ipotesi, non essendo operativo il contratto di sottoscrizione, non può configurarsi alcuna violazione dell'art. 2342 c.c.

La non operatività del contratto di sottoscrizione implica peraltro che la condizione sospensiva deve avverarsi entro il termine concesso dalla delibera per la sottoscrizione dell'aumento di capitale.

In altre parole dovrà aversi cura di fissare detto termine in modo da consentire il decorso infruttuoso del termine per l'esercizio della prelazione [nota 51].

Il mancato verificarsi della condizione peraltro nel caso di specie non ha alcuna incidenza sulla delibera di aumento di capitale, che rimane in essere fino allo spirare del termine ultimo di sottoscrizione, con la conseguente possibilità di ricollocare l'aumento rimasto non sottoscritto, nei limiti consentiti dalla relativa delibera.

Si è visto, infatti, che deve ritenersi possibile che l'aumento di capitale sia deliberato senza la soppressione del diritto di opzione e che, rimanendo esso in tutto o in parte inoptato, l'organo amministrativo lo collochi presso terzi, i quali potranno tanto liberarlo mediante conferimento di un bene in natura ritenuto utile dalla società, quanto liberarlo con conferimenti in danaro.

5. Caratteristiche comuni

Nondimeno in tutti i tre casi da ultimo esaminati (conferimento in conto futuro aumento di capitale, aumento condizionato o sottoscrizione condizionata) gli effetti sono alquanto diversi da quelli che si producono nelle fattispecie di conferimenti alternativi sopra esaminate.

In tal caso infatti il conferente non acquista immediatamente le partecipazioni sottoscritte e corre il rischio di non acquistarle nemmeno dopo il decorso del termine per la prelazione, laddove questa sia esercitata dal prelazionario.


[nota 1] V. G. MARGIOTTA, «Conferimento in società e prelazione artistica», in Le soc., 2007, p. 1089, nel senso che la prelazione artistica debba essere inquadrata, più che nell'ambito della prelazione legale, all'interno della categoria dei trasferimenti coattivi in quanto «diversamente da quanto avviene nelle altre fattispecie di prelazione legale, nella prelazione artistica non si verifica la sostituzione del soggetto preferito (c.d. retraente) nella medesima posizione contrattuale del soggetto da preferire (c.d. retrattato) con efficacia retroattiva … Il soggetto titolare della prelazione si colloca - infatti - in una posizione di supremazia, come è dimostrato dalle disposizioni del D.lgs. n. 2004/42 (codice dei beni culturali) che prevedono la possibilità di determinazione d'ufficio del valore economico del bene da parte dello Stato, della non vincolatività per lo Stato delle clausole del contratto di alienazione e della facoltà per lo Stato medesimo di esercitare la prelazione su una parte delle cose alienate, consentendosi in tal caso all'acquirente di recedere dal contratto».

[nota 2] V. infatti nel senso dell'inapplicabilità dell'istituto al conferimento in società in materia di prelazione agraria, proprio in ragione della natura e infungibilità della controprestazione del trasferimento del bene Cass. 20 agosto 1990, n. 8492, in Giur. agr. it., 1990, p. 672; Cass. 1 agosto 1991, n. 8458, in Vita not., 1992, p. 141; Cass. 8 giugno 1992, n. 7039, in Giust. civ., 1993, I, p. 695.

[nota 3] V. infatti G. MARGIOTTA, «Conferimento in società …», cit., p. 1089 secondo cui nella prelazione artistica verrebbe in rilievo l'intento di «soddisfare - attraverso l'acquisizione della proprietà del bene di interesse storico artistico - l'interesse pubblico al godimento ed alla conservazione del patrimonio artistico».

[nota 4] A. CACCIA, La tutela dei beni culturali ed ambientali con particolare riguardo ai beni immobili, relazione al XXVIII Congresso nazionale del Notariato, Roma, 1985, p. 88; POGGI, «La circolazione dei beni culturali di proprietà privata», in Contr. impr., 1986, p. 416; Tar Lazio, 17 ottobre 1983, n. 900, in Trib. amm. reg., 1983, I, p. 3112.

[nota 5] M. STELLA RICHTER jr., «Appunto preliminare in tema di conferimento in società di beni in natura e diritto di prelazione», in Studi e Materiali, Consiglio Nazionale del Notariato, 1998, 5.2, p. 957; M. IEVA, «Vincoli formali e corredo documentale nella fase costitutiva delle società in nome collettivo e in accomandita semplice», in Riv. not., 1989, p. 1063 e ss.; Testo unico in materia di beni culturali e ambientali, studio CNN n. 2749, approvato dalla Commissione studi il 3 maggio 2000; G. CASU, «Testo unico in materia di beni culturali e ambientali», Studio n. 2749, in Consiglio Nazionale del Notariato, Studi e Materiali, 2001, 6.2, p. 878.

[nota 6] C. LOMONACO, «Beni culturali: conferimento in società ed esercizio della prelazione da parte dello Stato», Quesito n. 251 a-2006/C, in Consiglio Nazionale del Notariato, Studi e Materiali, 2006, 2, p. 1932 e ss.

[nota 7] Per tutti M. MIOLA, I conferimenti in natura, in Tratt. delle società per azioni diretto da G.E. Colombo e G.B. Portale, 1***, Torino, 2004, p. 63.

[nota 8] M. MIOLA, I conferimenti in natura, cit., p. 66.

[nota 9] V. per tutti F. DI SABATO, Manuale delle società, Torino, 1999, p. 160; A. PISANI MASSAMORMILE, I conferimenti nelle società per azioni, in Il codice civile. Comm. diretto da P. Schlesinger, Milano, 1994, p. 118 e ss.

[nota 10] V. per tutti M. MIOLA, I conferimenti in natura, cit., p. 70.

[nota 11] V. per tutti D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. dir. civ. e comm. diretto da A. Cicu e F. Messineo, XXIII, Milano, 1971, p. 652, secondo cui l'evizione si distingue in virtù della presenza di un accertamento diretto dell'altruità del bene proposto dal terzo nei confronti del compratore; C.M. BIANCA, La vendita e la permuta, in Tratt. dir. civ. it. fondato da F. Vassalli, VII, 1, **, Torino, 1993, p. 835, secondo cui l'evizione si distingue in virtù della presenza di un vittorioso intervento espropriativo o rivendicativo del terzo connesso all'inadempimento del venditore.

[nota 12] V. per tutti G.B. PORTALE, «Principio consensualistico e conferimento di beni in società», in Riv. soc., 1970, p. 913 e ss.; F. DI SABATO, Manuale delle società, cit., p. 160; A. PISANI MASSAMORMILE, I conferimenti nelle società per azioni, cit., p. 80.

[nota 13] V. per tutti M. MIOLA, I conferimenti in natura, cit., p. 75.

[nota 14] A. PISANI MASSAMORMILE, I conferimenti nelle società per azioni, cit., p. 95; M. MIOLA, I conferimenti in natura, cit., p. 69.

[nota 15] M. MIOLA, I conferimenti in natura, cit., p. 199.

[nota 16] Cfr. M.S. SPOLIDORO, Conferimenti in natura nelle società di capitali: appunti, in Il nuovo diritto delle società - Liber amicorum Gian Franco Campobasso diretto da P. Abbadessa e G.B. Portale, 1, Torino, 2006, p. 506, secondo cui deve ritenersi che «la regola dell'integrale liberazione delle azioni non ostacoli il fatto che tutta l'utilità racchiusa nell'oggetto del conferimento sia conseguita dalla società nel corso del tempo o sia fruibile solo ad una certa scadenza (si pensi al conferimento di crediti non ancora scaduti)».

[nota 17] V. infatti nel senso dell'inammissibilità del conferimento sottoposto a condizione sospensiva o risolutiva M. MIOLA, I conferimenti in natura, cit., p. 198.

[nota 18] In quest'ottica M. MIOLA, I conferimenti in natura, cit., p. 81, nota 185. Nel senso che il conferimento soggetto a prelazione legale non contrasterebbe con il principio della liberazione immediata se inteso come divieto della collaborazione del socio conferente v. anche G.A.M. TRIMARCHI L'aumento del capitale sociale, Milano, 2007, p. 279.

[nota 19] G.B. PORTALE, La mancata attuazione del conferimento in natura, in Trattato delle società per azioni diretto da G.E. Colombo e G.B. Portale, 1***, Torino, 2004, p. 573.

[nota 20] G.B. PORTALE, La mancata attuazione del conferimento in natura, cit., p. 582 e ss. ove ampi riferimenti bibliografici, secondo cui peraltro «se il bene evitto è essenziale all'oggetto sociale diventa inevitabile la ricorrenza di una causa di scioglimento della società: art. 2484 (nuovo testo), comma 1 , n. 2 c.c.».

[nota 21] G.B. PORTALE, La mancata attuazione del conferimento in natura, cit., p. 601, ove ampi riferimenti bibliografici anche con riferimento alla controversa applicabilità dell'art. 2344 c.c. alla mancata attuazione dei conferimenti in natura.
Peraltro secondo la tesi in esame resterebbe esclusa al riguardo ogni responsabilità dell'eventuale acquiren-te delle azioni ex art. 2356 c.c. Né in contrario potrebbe essere addotta la natura causale del titolo di credito azionario poiché siffatta natura non escluderebbe che i fatti che riguardano il singolo socio e che debbono risultare dal titolo siano opponibili ai terzi acquirenti solo nei limiti delle risultanze cartolari. Ed una conferma della fondatezza di tale tesi sarebbe rinvenibile nella norma di cui all'art. 2343, comma 3, c.c. che vieta l'alienazione delle azioni fino all'esito della procedura di controllo della stima, nell'evidente presupposto che l'insufficienza del valore del conferimento costituisca un'eccezione personale.

[nota 22] P. MONTALENTI, «La riforma dell'omologazione: una postilla», in Le soc., 2000, p. 1417 e ss.

[nota 23] Si noti peraltro che, con scarsa coerenza, la sanzione pecuniaria è comminata non in relazione al ricevimento dell'atto - come invece avveniva per la sanzione prevista per la violazione dell'art. 28 L.N., almeno nel testo dell'art. 138-bis L.N. anteriore alle modifiche apportate dal D.lgs. 1 agosto 2006, n. 249 - ma in relazione alla richiesta di iscrizione dell'atto irregolare nel Registro delle imprese.
Una possibile, anche se parziale, spiegazione di tale contraddizione può rinvenirsi nel fatto che la richiesta di iscrizione consolida l'atto irregolare poiché consente di ottenere gli effetti di cui all'art. 2332 c.c. (limitazione della cause di invalidità e conversione delle stesse in cause di scioglimento) e che tale richiesta potrebbe anche non provenire dal notaio rogante, ma dagli amministratori o dai soci (cfr. art. 2330 comma 2 c.c.).
V. infatti S. FORTUNATO, «I controlli nella riforma delle società», in Le soc., 2003, p. 303 e G. LAURINI, Manuale breve della Srl e delle operazioni straordinarie, Padova, 2004, p. 21, secondo cui, laddove il notaio si avveda della nullità dell'atto costitutivo dopo averlo ricevuto, potrebbe richiederne in via cautelare al giudice la sospensione, per evitare che gli altri soggetti legittimati possano richiedere l'iscrizione del Registro delle imprese.
A seguito delle modifiche apportate all'art. 138-bis L.N. dal D.lgs. 1 agosto 2006, n. 249, potrebbe sembrare che oggi anche la sanzione prevista per la violazione dell'art. 28 L.N. derivi dalla richiesta di iscrizione dell'atto irregolare nel Registro delle imprese, piuttosto che dal ricevimento dell'atto stesso.
Il nuovo testo dell'art. 138-bis L.N. dispone infatti: «Art. 138-bis. - 1. Il notaio che chiede l'iscrizione nel Registro delle imprese delle deliberazioni di società di capitali, dallo stesso notaio verbalizzate, quando risultano manifestamente inesistenti le condizioni richieste dalla legge, viola l'articolo 28, comma 1, n. 1, ed è punito con la sospensione di cui all'articolo 138, comma 2, e con la sanzione pecuniaria da 516 euro a 15.493 euro. 2. Con la stessa sanzione è punito il notaio che chiede l'iscrizione nel Registro delle imprese di un atto costitutivo di società di capitali, da lui ricevuto, quando risultino manifestamente inesistenti le condizioni richieste dalla legge» (nostro il corsivo).
Ma è probabile che in realtà nulla sia mutato al riguardo, poichè la locuzione "sanzione" contenuta nel nuovo testo del secondo comma dell'art. 138-bis L.N. deve essere riferita alla sola "sanzione pecuniaria" prevista nel primo comma e non anche alla «sospensione di cui all'articolo 138, comma 2», anch'essa prevista nel comma 1. Diversamente opinando infatti il secondo comma in esame avrebbe dovuto fare riferimento alle "sanzioni" piuttosto che alla "sanzione" di cui al comma 1.

[nota 24] Per una sintesi dello stato della questione v. G.F. CAMPOBASSO, Diritto Commerciale, 2, Diritto delle società, Torino, 2002, p. 172 e ss.; ID., «La costituzione della società per azioni», in Le soc., 2003, p. 288 e ss.
Nondimeno, a parte il disallineamento dei profili sanzionatori già rilevato alla nota precedente, il sistema è orientato, in sede di costituzione della società, a comminare a carico del notaio rogante la sanzione disciplinare in caso di violazione dell'art. 28 L.N., che ha un suo peculiare ambito di applicazione, e la sanzione amministrativa di cui all'art. 138-bis L.N. nella fattispecie della manifesta inesistenza delle condizioni richieste dalla legge, che sostanzialmente riproduce i limiti dell'abrogato controllo omologatorio dell'autorità giudiziaria (cfr. G. LAURINI, Manuale breve della Srl..., cit., p. 18); non è certo peraltro che i rispettivi ambiti di operatività coincidano (v. infra note 26 e 27).
In contrario è stato osservato che «Si potrebbe però rilevare che il controllo notarile in sede di costituzione pare avere oggi, abrogata l'omologazione, contenuto più ampio di quello disegnato dall'art. 28 L.N. Se così fosse si potrebbe allora giungere alla conclusione che sussisterebbe un'area di violazioni sanzionata con la sola sanzione amministrativa in sede di costituzione ed invece anche con la sospensione in sede di modifiche statutarie. Soluzione, quest'ultima, di cui è difficile trovare una giustificazione razionale. Si potrebbe allora sostenere che l'art. 28 deve essere interpretato estensivamente (ma non analogicamente, ostando il principio di tassatività delle sanzioni) alla luce della nuova disciplina, riportando così il sistema sanzionatorio ad unità sistematica'' (P. MONTALENTI, op. e loc. cit.). Nondimeno, pur dovendosi condividere i rilievi sulla scarsa coerenza delle scelte legislative, la lettera della legge non pare consentire un'interpretazione così innovativa.

[nota 25] Nello stesso senso G.F. CAMPOBASSO, «La costituzione della società...», cit., p. 289.

[nota 26] Si vedano, a favore della tesi che restringe il sindacato ai soli vizi di nullità, Trib. Milano 7 luglio 1980 e App. Milano 29 luglio 1980, in Giur. comm., 1981, II, p. 846; App. Milano 9 dicembre 1981, in Vita not., 1982, p. 341; App. Milano 3 giugno 1982, ivi, 1983, p. 254; App. L'Aquila 14 dicembre 1983, in Giur. it., 1985, I, 2, p. 296; Trib. Ascoli Piceno 14 giugno 1988, in Le soc., 1988, p. 1182; App. Milano 9 maggio 1991, ivi , 1991, p. 1227; Trib. Melfi 7 maggio 1992, in Giur. comm., 1994, II, p. 628; Trib. Messina 13 ottobre 1993, in Dir. fall., 1994, II, p. 1001; Trib. Trento 8 febbraio 2001, in Le soc., 2001, p. 1243. In dottrina A. PAVONE LA ROSA, Il Registro delle imprese, Milano, 1954, p. 563; V. SALAFIA, «I limiti del controllo giudiziale sugli atti societari», in Le soc., 1984, p. 1213; G. GILARDI, La funzione del controllo omologatorio in materia societaria, in La volontaria giurisdizione in materia societaria, in Manuale di volontaria giurisdizione a cura di V. Salafia, Milano, 1999, p. 375. Nel senso della rilevabilità anche dei vizi di annullabilità v. Trib. Roma 18 febbraio 1980, in Giust. civ., 1980, I, p. 1411; Trib. Cosenza 3 gennaio 1985, in Le soc., 1985, p. 419; Trib. Cosenza 15 aprile 1988, ivi, 1988, p. 861; App. Catanzaro 18 gennaio 1989, ivi, 1989, p. 300; Trib. Verona 9 luglio 1999, ivi, p. 1988, 1276; Trib. Napoli 12 gennaio 1989, in Giur. comm., 1989, II, p. 426; Trib. Napoli 8 luglio 1992, in Riv. not., 1992, p. 874 con nota di F. FIMMANÒ; Trib. Trieste 21 marzo 1994, in Giur. comm., 1995, II, p. 883; Trib. Napoli 6 dicembre 1995, in Le soc., 1996, p. 460; Trib. Napoli 3 novembre 1998, ivi, 1999, p. 729. In dottrina A. BORGIOLI, La nullità delle società per azioni, Milano, 1977, p. 466; G. FRE', Società per azioni, in Comm. cod. civ. a cura di Scialoja e Branca, libro V, del lavoro, (artt. 2472-2497), Bologna-Roma, 1972, p. 65; G. SANTINI, Della società a responsabilità limitata, in Comm. cod. civ. a cura di Scialoja e Branca, libro V, del lavoro, (artt. 2472-2497), Bologna- Roma, 1992, p. 69.

[nota 27] Cass. 11 novembre 1997, n. 11128, in Notariato, 1998, p. 7, con nota di E. BRIGANTI, «Atti invalidi e responsabilità del notaio», in Arch. civ., 1998, p. 35, in Giust. civ., 1998, I, p. 380, con nota di R. TRIOLA, «Osservazioni in tema di atti espressamente proibiti ex art. 28 n. 1 legge notarile», in Riv. not., 1998, II, p. 493, in Vita not., 1998, I, p. 1137; Cass. 4 maggio 1998, n. 4441, in Riv. not., 1998, II, p. 717, in Guida dir., 1998, 23, p. 44, con nota di ATELLI, «Il professionista si libera da responsabilità documentando ciò che accade nell'adunanza», in Vita not., 1998, I, p. 994; Cass. 4 novembre 1998, n. 11071, in Riv. not., 1999, II, p. 1015; Cass. 19 febbraio 1998, n. 1766, in Riv. not., 1998, II, p. 705, in Guida dir., 1998, 15, p. 28, con nota di GRISI, «La Cassazione vieta al professionista la redazione dei soli contratti nulli», in Vita not., 1998, I, p. 1743, in Riv. dir. civ., 1999, II, p. 589, con nota di NATUCCI, «L'art. 28 della legge notarile e la stipulazione di atti annullabili»; Cass. 3 agosto 1998, n. 7602, in Vita not., 1998, I, p. 1767; Cass. 18 febbraio 2001, n. 1394. In argomento v. F. ANGELONI, «Gli atti "espressamente proibiti dalla legge" di cui all'art. 28 legge notarile sono dunque, solo gli atti nulli in quanto contrari a norme proibitive», in Contr. impr., 1998, p. 1007 e ss.; F. MAGLIULO, Tutela della legalità e funzione creatrice del notaio, in Relazioni al XXIII Congresso Internazionale del Notariato Latino, Atene 30 settembre – 5 ottobre 2001, Milano, 2001, p. 255 e ss. e la dottrina ivi richiamata.

[nota 28] La Relazione ministeriale § 1.5 chiarisce che «per quanto concerne la disciplina dei vizi della fase costitutiva, l'indicazione di cui all'art. 4, comma 3, lettera b), della legge di delega, che impone di limitarne la rilevanza, è stata soddisfatta riducendo drasticamente le ipotesi previste dell'art. 2332 come modificato, in attuazione della prima direttiva comunitaria, con il D.P.R. 29 dicembre 1969, n. 1127. Si è potuto infatti osservare che la suddetta direttiva contiene un'enumerazione di un numero massimo delle possibili cause di nullità la cui previsione è consentita agli Stati membri, non certamente un obbligo comunitario di prevederle tutte; e che in realtà così è stata intesa da tutti gli ordinamenti europei, nessuno dei quali, salvo l'Italia, ha proceduto alla sua attuazione riproducendo l'elencazione della direttiva medesima. Sulla base di tali considerazioni la scelta adottata con il nuovo testo dell'art. 2332 è stata nel senso di limitare la rilevanza dei vizi della fase costitutiva a quelli soltanto che assumono un senso alla luce della sua disciplina, escludendo quindi ipotesi in effetti di difficile se non impossibile realizzazione e che, pur in pratica mai presentatesi, avevano creato non trascurabili dubbi interpretativi di sistema e con essi l'eventualità di orientamenti interpretativi che potrebbero porre in pericolo il principio di tassatività delle cause di nullità alla base della norma». Sulla conformità all'ordinamento comunitario della riduzione delle cause di nullità previste dall'art. 11 della prima direttiva Ce v. anche G.F. CAMPOBASSO, «La costituzione della società per azioni», cit., p. 291.

[nota 29] Trib. Monza 23 novembre 1978, in Riv. not., 1979, III, p. 968; Cass. 21 aprile 1983, n. 2745, in Vita not., 1983, I, p. 1132; Trib. Bologna 18 gennaio 1990, in Riv. not., 1990, p. 805; Trib. Roma 20 febbraio 1992, in Foro it., 1992, I, c. 2506; App. Roma, 15 maggio 1992, in Foro it., 1992, I, c. 2506; App. Milano 27 febbraio 1998, in Riv. not., 1998, p. 701; Cass. 12 aprile 2000, n. 4657, in Gazz. not., 2000, p. 316; Contra «Orientamento Trib. Roma», in Le soc., 1996, p. 1471.

[nota 30] G.F. CAMPOBASSO, Diritto commerciale, cit., p. 170.

[nota 31] In tal senso v. infatti G. LAURINI, Manuale breve della Srl..., cit., p. 13; A. RUOTOLO, «Costituzione di Srl e modalità del versamento del venticinque per cento dei conferimenti in denaro», Quesito n. 135-2006/I, in Consiglio Nazionale del Notariato, Studi e Materiali, secondo cui non è possibile ritenere che, in analogia al disposto dell'art. 2464, comma 4, c.c., che il deposito presso una banca sia surrogato con versamento nelle casse sociali del corrispondente importo in assegni circolari non trasferibili intestati alla costituenda società. Ciò in quanto la citata norma «non sembra consentire che, allorquando in sede di costituzione della società non si ritenga di ricorrere alla polizza o alla fideiussione (peraltro, allo stato, non ancora possibile, non essendo stato emanato il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri che ne determini le caratteristiche) e si opti quindi per il "tradizionale" versamento, questo possa avvenire direttamente nelle casse sociali. Ciò anche in considerazione del fatto che la banca presso la quale il versamento è effettuato provvede al rilascio di un documento che comprovi il versamento stesso, la cui esistenza è poi verificata dal notaio che procede alla costituzione della società». La citata risposta a quesito precisa peraltro opportunamente che non è obbligatorio che la ricevuta di versamento sia allegata all'atto costitutivo.

[nota 32] Contra, per l'applicabilità dell'art. 28 L.N., G. LAURINI, Manuale breve della Srl..., cit., p. 13.

[nota 33] In quest'ottica v. V. SALAFIA, «Sottoscrizione dell'aumento di capitale con conferimento di azienda», in Le soc., 1998, p. 62; ma contra M. NOTARI, «Il regime alternativo della valutazione dei conferimenti in natura in società per azioni», in Riv. soc., 2009, p. 16 dell'estratto.

[nota 34] Cass. 26 gennaio 1996, n. 611, in Le soc., 1996, p. 892; Cass. 19 aprile 2000, n. , in Le soc., 2000, p. 1088.

[nota 35] M. MIOLA, I conferimenti in natura, cit., p. 81 nota 185; G. MARGIOTTA, «Conferimento in società…», cit., p. 1089; M. CACCAVALE, «Conferimento in società di beni culturali e diritto di prelazione artistica», in Notariato, 2007, p. 685; R. SCUCCIMARRA, «Conferimento immobiliare in società di capitali: principio di effettività e prelazione artistica», in Imm. e propr., 2008, p. 215 e ss.

[nota 36] M. CACCAVALE, «Conferimento in società di beni culturali...», cit., p. 685.

[nota 37] Ritiene ammissibile tale soluzione M. MIOLA, I conferimenti in natura, cit., p. 81, nota 185, anche se non preferibile in ragione della necessità di procedere all'attualizzazione del valore del credito.

[nota 38] Ed infatti nel senso dell'inammissibilità di siffatto conferimento di credito a causa della sua futurità G. MARGIOTTA, «Conferimento in società…», cit., p. 1089; M. CACCAVALE, «Conferimento in società di beni culturali...», cit., p. 685; R. SCUCCIMARRA, «Conferimento immobiliare in società di capitali...», cit., p. 215 e ss.

[nota 39] G. MARGIOTTA, «Conferimento in società…», cit., p. 1089, secondo cui peraltro «nulla vieta, comunque, di sganciare detta garanzia dall'esercizio della prelazione, dotandola di ultrattività. In tale eventualità, la garanzia coprirebbe qualunque ipotesi - anche patologica - che impedisca il trasferimento del bene alla società conferitaria. La polizza garantirebbe non soltanto l'evento condizionale e cioè l'esercizio della prelazione da parte dello Stato, ma anche il verificarsi del rischio di inadempimento del socio conferente nell'eventualità di estinzione dell'obbligazione per impossibilità sopravvenuta non imputabile al debitore (ad es. per perimento del bene)».

[nota 40] M. STELLA RICHTER jr., Forma e contenuto dell'atto costitutivo della società per azioni, in Tratt. delle società per azioni diretto da G.E. Colombo e G.B. Portale, 1*, Torino, 2004, p. 279; in argomento v. anche S. TONDO, «Regime dell'omologazione ed elementi accidentali nella costituzione di società di capitali», in Consiglio Nazionale del Notariato, Studi e Materiali, 1998, 3.

[nota 41] M. CACCAVALE, «Conferimento in società di beni culturali...», cit., p. 685. Contra R. SCUCCIMARRA, «Conferimento immobiliare in società di capitali...», cit., p. 215 e ss.

[nota 42] V. per tutti G.F. CAMPOBASSO, Diritto commerciale, cit., p. 491, nt. 1.
Per tale ragione nelle Massime elaborate dalla commissione società del Consiglio Notarile di Milano (massima n. 7), opportunamente si sottolinea che «la particolare condizione di inefficacia della delibera, cui naturalmente si accompagna l'inefficacia dell'aumento, nel suo complesso, fino all'iscrizione della delibera al Registro imprese, rende opportuno che tra società (conferitaria) e soci (sottoscrittori e conferenti) venga all'atto della sottoscrizione disciplinato il regime cui le parti intendono assoggettare l'apporto contestualmente effettuato e destinato a liberare l'aumento stesso; se la dichiarazione di sottoscrizione deve infatti ritenersi subordinata alla stessa condicio juris che è prevista per la delibera (l'iscrizione di quest'ultima al Registro imprese), l'apporto che il sottoscrittore effettua con la finalità di liberare l'aumento sottoscritto potrà essere convenuto anche con efficacia immediata, (come potrebbe avvenire, indipendentemente dall'esistenza di una delibera di aumento, per una qualsiasi attribuzione "in conto capitale"), con la conseguenza di concorrere, senza dilazioni, alla formazione del netto patrimoniale della società conferitaria, restando condizionata all'iscrizione presso il Registro imprese solamente l'allocazione a capitale sociale».

[nota 43] Pur concordandosi in dottrina sulla possibilità di conferimenti in natura imputati a patrimonio netto anziché a capitale si discute se sia necessaria la loro stima ex art. 2343 c.c.
La dottrina a mio avviso preferibile a tale proposito afferma che la circostanza che detti apporti non sono di fatto imputati a capitale, fa sì che al momento della realizzazione dell'apporto non sia necessaria la perizia giurata, non essendo in discussione l'esigenza di tutela dell'effettività del capitale (in tal senso con riferimento ai conferimenti non imputati a capitale nel sistema previgente R. RUBINO DE RITIS, Gli apporti "spontanei" in società di capitali, Torino, 2001, p. 20 e ss. e 81 e ss.; G.F. CAMPOBASSO, Diritto Commerciale, cit., p. 189 e 491; M. MIOLA, I conferimenti in natura, cit., p. 217 e ss.; Contra M. IRRERA, I "prestiti" dei soci alla società, Padova, 1992, p. 210 e, con riferimento al sistema riformato, M. NOTARI, Le categorie speciali di azioni e gli strumenti finanziari partecipativi nella riforma delle società, relazione al Convegno "Riforma del diritto societario" organizzato dal Consiglio Nazionale del Notariato (Roma - 27/29 novembre 2003).
Altra questione è se, qualora la posta di netto così ottenuta sia successivamente utilizzata per un aumento gratuito, si possa profilare, in mancanza della perizia di stima ex art. 2343 c.c., una frode alle norme in materia di effettività del capitale ovvero se, a scongiurare tale conseguenza, siano sufficienti le norme in materia di veridicità e correttezza del bilancio e le conseguenti responsabilità degli amministratori (sul punto V. da ultimo M. MIOLA, I conferimenti in natura, cit., p. 218 e ss.).
In ragione di quanto sopra si è dubitato che ai conferimenti a patrimonio di beni culturali (ovvero anche ai conferimenti a capitale nelle società di persone) sia applicabile la particolare disposizione dell'art. 60 comma 1 del Cbc, laddove essa dispone che l'esercizio del diritto di prelazione avviene «al medesimo valore attribuito nell'atto di conferimento». In particolare si è sostenuto che «questi conferimenti, in caso di esercizio del diritto di prelazione, cui comunque sono assoggettati, dovrebbero sottostare, in linea con quanto si poteva desumere dall'orientamento prevalente prima della novella del 2006, al procedimento valutativo di cui ai commi 2 e ss. dell'art. 60 cit. Salva, forse, l'ipotesi in cui essi siano accompagnati da una perizia giurata fatta redigere, sulla falsariga di quanto disposto per le società di capitali, spontaneamente dal conferente» (M. CACCAVALE, «Conferimento in società di beni culturali...», cit., p. 685).
Ma il tenore letterale dell'art. 60 sembra escludere l'applicazione nel caso di specie di criteri diversi da quello del «valore attribuito nell'atto di conferimento», fermo restando che è probabilmente possibile che il Ministero possa contestare la congruità di tale valore quando esso fosse fraudolentemente esagerato.

[nota 44] R. SCUCCIMARRA, «Conferimento immobiliare in società di capitali…», cit., p. 215 e ss.

[nota 45] G. MARGIOTTA, «Conferimento in società…», cit., p. 1089; G.A.M. TRIMARCHI, L'aumento del capitale sociale, in Notariato e nuovo diritto societario diretto da G. Laurini, Milano, 2007, p. 279.

[nota 46] La dottrina prevalente infatti riteneva, anche sotto la precedente normativa, che la mera delibera di aumento non modificasse di per sé lo statuto se non in seguito alla sottoscrizione dell'aumento, la quale pertanto assumeva il ruolo di una sorta di condizione di efficacia della modifica (v. per tutti P. MARCHETTI, «La pubblicità della esecuzione dell'aumento di capitale», in Notariato, 1995, p. 311).

[nota 47] V. SALAFIA, «Deliberazioni condizionate e contestuali dell'assemblea straordinaria», in Le soc., 2000, p. 1290; in argomento v. anche F. TASSINARI, «L'iscrizione nel Registro delle imprese degli atti ad efficacia sospesa o differita», in Riv. not., 1996, p. 83 e ss.
In senso sostanzialmente conforme si esprimono le Massime del Tribunale di Milano, secondo le quali nel caso di delibera condizionata l'omologa «deve essere negata soltanto quando non si è ancora realizzato un dato che è soggetto a controllo di legittimità. E così non può essere omologata una delibera di fusione, per la quale non è previsto il rapporto di cambio, fintanto che la partecipazione non sia tutta acquisita dall'incorporante e non può essere omologata una modifica statutaria di un istituto di credito se non risulti acquisita l'autorizzazione della Banca d'Italia. E' invece legittima la delibera di fusione sottoposta a condizione dell'avverarsi di altra fusione, se l'operazione sia deliberata in unico contesto e non comporti mutamenti di situazioni patrimoniali o richieda rapporti di cambio ed è legittima la delibera di aumento di capitale subordinata al verificarsi di una specifica contingenza del mercato».

[nota 48] V. Massime dell'osservatorio Conservatori Notai presso il Registro delle imprese di Milano, secondo cui «il deposito, per la successiva iscrizione delle delibere in esso contenute, di verbali di assemblea di società di capitali portanti delibere non immediatamente efficaci in quanto sospensivamente condizionate, per volontà dell'assemblea, al verificarsi di un determinato evento, deve avvenire in ogni caso entro 30 giorni dall'assemblea e deve riportare nel "Modello note" da allegare al modello S2 le modificazioni deliberate, con specificazione, nello stesso "Modello note", che trattasi di modificazioni soggette a condizione sospensiva.
Lo statuto aggiornato riportante le modificazioni deliberate sotto condizione sospensiva deve normal-mente essere depositato una volta divenute efficaci le modifiche stesse; può peraltro essere subito allegato al verbale riportante le deliberazioni condizionate, tenuto conto che la pubblicità che viene data a detti atti precisa la loro inefficacia fino al verificarsi della condizione sospensiva apposta.
Dopo il verificarsi della condizione sospensiva è necessario, per concludere il procedimento di iscrizione, depositare un ulteriore modello S2, sottoscritto da un amministratore o dal notaio (quest'ultimo, peraltro, non obbligato ma solo facoltizzato al secondo deposito), riportante le modificazioni negli specifici quadri del modello, indicando nel "Modello note" il riferimento al deposito originario e la dichiarazione che l'evento dedotto in condizione si è verificato.
Il secondo deposito non è soggetto a termine (e quindi a sanzione in caso di deposito oltre i 30 giorni dal verificarsi dell'evento) e viene effettuato con la corresponsione del diritto ridotto previsto per le comunicazioni.
Nel caso in cui l'evento condizionante consista nella conclusione, o meglio nell'intervenuta efficacia, di un atto (normalmente di fusione o scissione) soggetto ad autonomo deposito nel Registro delle imprese, è possibile effettuare il secondo deposito, cioè quello con cui si attiva la conclusione del procedimento di iscrizione e l'inserimento definitivo delle modifiche statutarie condizionate, con lo stesso modello/istanza col quale avviene il deposito dell'atto dedotto in condizione».

[nota 49] In tal senso con riferimento alla condicio juris della sottoscrizione v. Trib. Trieste 9 luglio 1993, in Le soc., 1993, p. 1384; Trib. Torino 17 febbraio 1994, in Riv. not., 1995, II, p. 706; Trib. Cassino 18 maggio 1994, in Le soc., 1994, p. 1079; Orientamenti del Tribunale di Milano, 1994; Orientamenti dei Tribunali del Triveneto; Orientamenti del Giudice del Registro di Como; Trib. Napoli 20 gennaio 1995, in Le soc., 1996, p. 574; Trib. Napoli 5 ottobre 1995, in Le soc., 1996, p. 577; Trib. Monza 26 febbraio 1997, in Le soc., 1997, p. 1067; App. Genova 15 dicembre 1999, in Le soc., 2000, p. 578.
Nell'ambito di tale orientamento tuttavia taluni ritenevano che potesse «immediatamente menzionarsi nello statuto aggiornato il nuovo limite del capitale contestualmente alla deliberazione, alla condizione che nel testo dello statuto sia precisato che nella riunione assembleare non è avvenuta la sottoscrizione e siano semplicemente trascritti i dati della deliberazione di aumento, con l'indicazione del termine entro cui il capitale dovrà essere sottoscritto, secondo le prescrizioni disposte dall'art. 2439, comma 2, c.c.» (Orientamenti del Tribunale di Milano, 1994, cit. e App. Torino 18 aprile 1994, in Giur. it., 1994, I, 2, p. 868; contra Trib. Torino 11 febbraio 1994, ibidem).

[nota 50] Nello stesso senso con riferimento alla condicio juris dell'iscrizione della delibera di aumento nel Registro delle imprese Orientamenti del Comitato Triveneto dei Notai in materia di atti societari; Massime elaborate dalla commissione società del consiglio notarile di Milano (massima n. 7), secondo cui pertanto la sottoscrizione può «avvenire anche in corso di assemblea, facendosene menzione nel relativo verbale, cui pertanto può essere allegato il testo di statuto aggiornato con l'indicazione del nuovo capitale sociale».

[nota 51] V. infatti Orientamenti del Comitato Triveneto dei Notai in materia di atti societari «E' legittimo apporre all'atto di sottoscrizione di un aumento di capitale, anche nel caso che sia previsto un sovrapprezzo o il conferimento non avvenga in denaro, un termine iniziale o una condizione sospensiva, purché detti termine o condizione esauriscano il loro effetto anteriormente al termine concesso dalla delibera per l'esercizio del diritto di sottoscrizione. E' così ad esempio possibile sottoscrivere un aumento di capitale mediante conferimento di un'azienda apponendo, per motivi di semplificazione contabile, a detta sottoscrizione un termine iniziale coincidente con l'inizio di un mese solare, ovvero sottoscrivere un aumento di capitale scindibile con la condizione sospensiva che entro i termini di sottoscrizione dell'intero aumento sia esercitata il diritto di sottoscrizione dagli altri soci. Finchè l'atto di sottoscrizione non è divenuto efficace non è possibile depositare nel Registro delle imprese per l'iscrizione l'attestazione che l'aumento di capitale è stato eseguito ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 2481-bis c.c.». Nello stesso senso con specifico riferimento al conferimento di bene culturale G. MARGIOTTA, «Conferimento in società…», cit., p. 1089; M. CACCAVALE, «Conferimento in società di beni culturali...», cit., p. 685; R. SCUCCIMARRA, «Conferimento immobiliare in società di capitali...», cit., p. 215 e ss.

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