La circolazione dei beni immobili culturali ecclesiastici tra diritto "pattizio" e diritto "speciale"
La circolazione dei beni immobili culturali ecclesiastici tra diritto "pattizio" e diritto "speciale"
di Antonio Fuccillo
Notaio in Sezze
Professore Associato di Diritto Ecclesiastico Seconda Università di Napoli
I beni culturali ecclesiastici tra normativa statale e diritti confessionali
I beni culturali ecclesiastici costituiscono una particolare categoria all'interno del patrimonio delle confessioni religiose poiché portatori in sé di due valori tutelati direttamente dalla Carta costituzionale:
- L'art. 9 in relazione alla "cultura" della nazione;
- L'art. 19 in relazione alla "libertà religiosa".
Tale caratterizzazione condiziona il regime normativo applicabile a tali beni che vanno, quindi, a costituire un'autonoma categoria (speciale) all'interno del già complesso universo dei beni culturali [nota 1].
L'autonomia riconosciuta alle medesime confessioni dalla Costituzione (artt. 7 e 8), inoltre, attribuisce rilevanza nel diritto interno alle norme degli ordinamenti confessionali [nota 2], per cui il mosaico si complica in virtù della eterogeneità delle "tessere" (n.d.r. "fonti") da collocare [nota 3].
L'art. 9 del D.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, di conseguenza, sembra espressamente tenere conto del necessario rispetto delle esigenze cultuali delle singole confessioni religiose in relazione alla utilizzazione e gestione del loro patrimonio culturale [nota 4], nonché della loro autonomia organizzativa.
L'attenzione, peraltro, che il codice Urbani (art. 10) riserva anche ai beni che sono testimonianza della identità e della storia delle istituzioni religiose è una ulteriore affermazione della riconosciuta peculiarità del patrimonio culturale ecclesiastico.
La medesima amministrazione statale è infatti del tutto convinta che la protezione delle esigenze religiose sia un obiettivo primario anche dell'azione amministrativa circa tali beni, costituendone «parametri imprescindibili di valutazione» per operarne una effettiva e migliore tutela [nota 5].
In tale scia si colloca anche la recente intesa regolamentare stipulata tra la Conferenza episcopale italiana ed il Ministero dei beni culturali [nota 6], ove le particolari attenzioni di cui abbisognano tali beni si concretizzano nell'affermarsi «della politica, ma, prima ancora della cultura, della collaborazione tra autorità civili e istanze confessionali per la conservazione, la tutela e la valorizzazione di tali beni» [nota 7].
In relazione ai beni immobili rientranti in tale categoria non si può fare a meno di notare come, nella stragrande maggioranza dei casi, si tratta di edifici di culto per i quali la garanzia di accesso e di fruibilità è ancora più sentita, ed addirittura espressamente tutelata, per quelli del culto cattolico dall'art. 831, comma 2, codice civile [nota 8].
Su tali beni la richiamata intesa muove proprio dal presupposto che l'edificio di culto sia per propria natura deputato all'apertura al pubblico, e che tale destinazione debba ricevere apposita ed indefettibile tutela, recuperandosi utilmente per tali beni la classificazione di "beni collettivi", nel senso proprio della loro fruibilità erga omnes sia in senso culturale che cultuale [nota 9].
L'art. 2, comma 7, della citata intesa, quindi, specifica che il rispetto delle esigenze di carattere religioso è propedeutico anche a quelle di accesso e visita di tali beni culturali, ciò, peraltro, in piena sintonia sia con la legislazione previdente che con il medesimo codice Urbani, nella piena quindi consapevolezza della peculiare destinazione di tali beni [nota 10].
A tale proposito è utile notare come già nella prima legge quadro (la n. 1089 del 1939) si previde (art. 8) che tali beni, quando appartenenti ad enti ecclesiastici, il Ministro competente, nell'esercizio dei suoi poteri, dovesse necessariamente procedere di concerto con l'autorità ecclesiastica per quanto riguardava le esigenze di culto, ed il principio è stato opportunamente riprodotto nell'art. 9 del vigente codice dei beni culturali e del paesaggio. Era stato, infatti, già evidenziato che un tale sistema normativo si «limita ad assicurare alla Santa Sede che lo Stato non applicherà le norme riguardanti i beni culturali d'interesse religioso cattolico in modo autoritario e unilaterale, bensì d'accordo con i competenti organi della Chiesa» [nota 11].
La legge ed il regolamento, quindi, riconoscono opportunamente una specifica competenza delle autorità ecclesiastiche a concordare modalità d'intervento che salvaguardino le esigenze di culto [nota 12]; e ciò conformemente al dettato costituzionale che valorizza la "concertazione" tra Stato e confessioni religiose [nota 13].
Si può affermare in sintesi che il sistema normativo relativo ai beni culturali ecclesiastici è formato dalle norme del codice Urbani ad essi dedicate che vanno, però, contemperate con le norme di derivazione confessionale applicabili direttamente alla fattispecie in virtù della normativa di derivazione pattizia (Concordato o Intese); tale caratteristica costituisce la principale peculiarità di tale categoria di beni rispetto a quella generale, e ne causa le difficoltà applicative ed operative di cui in seguito [nota 14].
Le regole di circolazione dei "beni culturali ecclesiastici"
Il punto di maggiore interesse in relazione ai beni immobili culturali ecclesiastici è certamente rappresentato dalla disciplina in tema di circolazione [nota 15].
Di tali particolari beni "culturali" si può prevalentemente parlare sulla base del semplice criterio dell'appartenenza intendendosi, perciò, per "ecclesiastici" i beni culturali di proprietà di un ente ecclesiastico; ovvero sulla scorta di un criterio che potremmo definire "funzionale", che si caratterizza nell'evidenziare maggiormente la particolare destinazione (di solito anche cultuale) di detti beni, prescindendo quindi dal semplice riferimento di chi sia il soggetto proprietario.
L'intero sistema di tutela approntato dal legislatore (costituzionale, negoziato, ordinario, secondario) per i beni culturali mira direttamente alla difesa di un interesse superiore della collettività, che tale sembra dimostrarsi addirittura in mancanza dell'atto formale di imposizione del vincolo, e di conseguenza con l'adempimento delle relative formalità pubblicitarie.
Il vincolo esisterebbe in sé, anche se sono indubbiamente necessarie forme di pubblicità che salvaguardino soprattutto i diritti dei terzi. La particolare disciplina prevista per l'accertamento dell'interesse culturale (art. 12 del codice) sembrerebbe rispondere a tale primaria esigenza. Il rispetto di tale procedura rende superflua la trascrizione del vincolo, costituendo però un aggravio procedurale per tutti gli enti ecclesiastici. In ogni caso, per sortire pienamente l'effetto desiderato la regola dovrebbe essere generale, mentre sappiamo che per alcuni beni culturali, identificati per criterio d'appartenenza, non è necessario l'atto amministrativo di imposizione del vincolo, e quindi, neanche le formalità ad esso conseguenti.
La previsione normativa dell'art. 53 del codice, inoltre, ove recita che sono "inalienabili", tra l'altro, «le cose immobili appartenenti ai soggetti di cui all'articolo 53 dichiarate di interesse particolarmente importante quali testimonianze dell'identità e della storia delle istituzioni pubbliche, collettive, religiose, ai sensi dell'articolo 10, comma 3, lettera d)» sembra attribuire autonomo rilievo anche ai beni culturali di interesse religioso, e ciò in aggiunta alla rilevanza dei beni culturali ecclesiastici [nota 16].
Ad ogni buon conto, con le modificazioni apportate al testo originario del codice dal D.lgs. 26 marzo 2008, n. 62, sono stati specificatamente inseriti gli "enti ecclesiastici civilmente riconosciuti" tra i soggetti passivi delle invasive disposizioni di controllo, verifica, ed autorizzazione contenute nella legge.
Sicché, in un primo commento alla norma, era già opportuno affermare come agli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti si applicasse [nota 17]:
- ai fini dell'individuazione dell'interesse culturale il procedimento di verifica (di cui all'art. 12);
- ai fini della circolazione immobiliare l'autorizzazione che deve precedere il negozio di alienazione (art. 56);
- laddove ne sussistano i presupposti, la prelazione (artt. 60 e ss.).
Circa il procedimento di verifica dell'interesse culturale è indubbio che si applichi anche ai beni immobili di proprietà di enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, e che la normativa, prevedendo e rinviando a specifiche concertazioni con le confessioni religiose singolarmente interessate, tiene espressamente in debito conto il rispetto delle esigenze cultuali (in ossequio, peraltro, della libertà religiosa delle confessioni interessate – art. 19 Cost.) rispetto alla utilizzazione di detti beni.
La normativa, infatti, prevede (art. 10 del codice) che se un bene culturale appartiene, tra l'altro, ad una persona giuridica priva di scopo di lucro o ad un ente ecclesiastico civilmente riconosciuto (così come espressamente statuito dalla modifica operata ex art. 2, comma 1, del D.lgs. 62/2008), non occorre la notifica e quindi, la trascrizione del vincolo.
La dottrina ha, tuttavia, da tempo evidenziato come gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti in persona giuridica ai sensi delle normative speciali che li riguardano, sono persone giuridiche private, prive di scopo di lucro soggettivo [nota 18]. La disciplina di tali organismi è inoltre già soggetta dal diritto confessionale, richiamato in tema da quello statale, ad un particolare regime che spesso prevede invasivi controlli dell'autorità ecclesiale sulla gestione patrimoniale [nota 19].
In relazione all'attività negoziale degli enti ecclesiastici cattolici, come è noto, l'art. 18 della legge n. 222 del 1985 ha reso rilevanti (sotto il profilo civilistico) le limitazioni dei poteri di rappresentanza o l'omissione dei controlli canonici purché risultanti dal "registro" delle persone giuridiche o dal codice di diritto canonico; analoghe, anche se meno invasive disposizioni, sono presenti nelle leggi di approvazione delle intese con altre confessioni religiose [nota 20].
Ne deriva che il sistema dei "controlli canonici" apre alla eventuale applicazione, in aggiunta ai controlli ordinari [nota 21], del disposto del canone 1292, § 2, che richiede comunque la licentia della Santa Sede per l'alienazione di "cose" «preziose per la loro storia o contenuto artistico» [nota 22]. Occorre, però notare che l'utilizzazione nel testo del canone del sostantivo latino rebus ha indotto i canonisti ad interrogarsi sulla sua reale portata, e la dottrina prevalente, pur tra alcuni dubbi, ritiene che la norma si applichi soltanto alle "cose mobili" [nota 23].
Per i beni culturali di appartenenza ad enti ecclesiastici comunque, non occorre la notifica per la loro individuazione ai fini dell'applicazione della normativa di tutela, e ciò avveniva a prescindere dalla citata esplicitazione della categoria così come intervenuta con il D.lgs. 62/2008, e dovranno comunque essere sottoposti al procedimento di verifica che dovrebbe, però, svolgersi di concerto con le autorità ecclesiastiche competenti [nota 24].
Circa la circolazione di detti beni, quindi, si applicano congiuntamente sia la normativa statale prevista dal codice, che quella di derivazione pattizia che attribuisce rilevanza civile alle disposizioni dei diritti confessionali, con l'avvertenza che per i beni culturali cattolici siti in Italia si applicano le disposizioni del codex di diritto latino [nota 25], con l'eccezione dei beni culturali di cui sono proprietari gli enti delle Chiese cattoliche di rito orientale presenti in Italia, per i quali si applica il Codex Canonum Ecclesiarum Orientalium26.
Sempre in relazione ai beni culturali di proprietà di enti cattolici è utile richiamare la Istruzione in materia amministrativa della Conferenza episcopale italiana del 2005, ove si dispone che (istr. n. 73), «l'alienazione dei beni culturali compiuta a qualsiasi titolo dagli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti è soggetta all'autorizzazione previa del Ministero competente (cfr. art. 56 del D.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42). In caso di alienazione a titolo oneroso la soprintendenza può esercitare il diritto di prelazione».
Tale "istruzione" ha valore di "diritto proprio" per gli enti cattolici e quindi integra le disposizioni del diritto canonico, soprattutto in relazione alla applicazione del diritto statale, ed è vincolante. Di conseguenza la Chiesa cattolica già aveva recepito nel proprio ordinamento "locale" la necessità dell'autorizzazione statale per tali alienazioni.
Beni culturali ecclesiastici e specialità di regime nelle regole di circolazione tra diritti confessionali e legittimità costituzionale: nuove ipotesi interpretative
Ad una lettura più attenta solleva, tuttavia, molti dubbi (anche di legittimità) la disciplina (ex art. 56 del codice) che prevede la necessità dell'autorizzazione ministeriale per i seguenti negozi di disposizione, ossia: «b) l'alienazione dei beni culturali appartenenti a soggetti pubblici diversi da quelli indicati alla lettera a) o a persone giuridiche private senza fine di lucro, ad enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, ad eccezione delle cose e dei beni indicati all'articolo 54, comma 2, lettere a) e c). 2. L'autorizzazione è richiesta anche nel caso di vendita parziale, da parte dei soggetti di cui al comma 1, lettera b), di collezioni o serie di oggetti e di raccolte librarie. 3. Le disposizioni dei commi precedenti si applicano anche alle costituzioni di ipoteca e di pegno ed ai negozi giuridici che possono comportare l'alienazione dei beni culturali ivi indicati …». Si prevede, inoltre, che l'atto autorizzativo contenga le prescrizioni dell'autorità amministrativa relative alla «conservazione» e le «condizioni di fruizione pubblica» del bene [nota 27].
Pur essendo innegabile la presenza di istituti di tipo autorizzativo nella storia del diritto ecclesiastico civile italiano [nota 28], e loro indubbia utilità rispetto ad esigenze legate a specifici momenti storico-giuridici [nota 29], la disciplina tesa alla regolamentazione preventiva delle alienazioni di beni culturali ecclesiastici si presta ad alcuni rilievi anche di costituzionalità.
Il descritto impianto normativo di riferimento è basato sulla legge quadro (che si badi bene è una legge ordinaria) come novellata (da altra legge ordinaria), per cui se un bene culturale è di proprietà di un ente ecclesiastico civilmente riconosciuto per potere essere alienato occorre l'autorizzazione amministrativa statale che deve peraltro prevedere le condizioni (imposte) per la salvaguardia del bene ed addirittura le regole per la fruizione del medesimo da parte del pubblico.
Il tutto, ad una prima lettura, sembrerebbe quindi conforme al dettato costituzionale (art. 9), ma in realtà ne violerebbe il riferimento al riconoscimento del diritto di libertà delle confessioni religiose (art. 8, comma 1 Cost.) [nota 30].
In tale ultima prospettiva, infatti, la Carta sia nel riconoscere la libertà religiosa in senso ampio (art. 19) [nota 31], sia nel considerare l'autonomia alla Chiesa cattolica (art. 7, comma 1), che nel prevedere la piena capacità organizzativa delle confessioni religiose diverse dalla cattolica (art. 8, comma 2) ha inteso anche proteggere, in una con l'autonomia delle medesime, il sentimento religioso dei singoli che trova nel diritto all'appartenenza una delle forme di realizzazione della propria personalità quale individuo [nota 32], così come garantita dalla Costituzione (art. 2).
La necessità dell'autorizzazione amministrativa per l'alienazione di detti beni sembra invece avere creato un istituto neo dirigista, simile agli antichi iura maiestatica circa sacra, che limiterebbe le confessioni religiose nella libertà di organizzare autonomamente il loro patrimonio, anche quando teleologicamente necessario per le stesse attività cultuali [nota 33].
Se è vero che le ragioni di tutela del patrimonio culturale della "nazione" possono legittimamente giustificare le limitazioni alla proprietà privata contenute nel codice (art. 9 e 42 Cost.), è altrettanto vero che una legge ordinaria non può utilmente incidere sulla libertà di organizzazione concessa alle singole confessioni sia dal dettato costituzionale che dalle leggi di derivazione pattizia [nota 34]. Facoltà, quest'ultima che è stata esercitata da molte confessioni [nota 35]:
- L. 11 agosto 1984, n. 449 - Norme per la regolazione dei rapporti tra lo Stato e le chiese rappresentate dalla Tavola valdese, art. 17, che recita : «La Repubblica italiana e la Tavola valdese collaborano per la tutela e la valorizzazione dei beni culturali afferenti al patrimonio storico, morale e materiale delle chiese rappresentate dalla Tavola valdese, istituendo a tale fine apposite commissioni miste. Tali commissioni hanno tra l'altro il compito della compilazione e dell'aggiornamento dell'inventario dei beni culturali suddetti».
- L. 22 novembre 1988, n. 517 - Norme per la regolazione dei rapporti tra lo Stato e le Assemblee di Dio in Italia, art. 26: «La Repubblica italiana e le Adi si impegnano a collaborare per la tutela e la valorizzazione dei beni afferenti al patrimonio storico e culturale delle Adi».
- L. 22 novembre 1988, n. 516 - Norme per la regolazione dei rapporti tra lo Stato e l'Unione italiana delle Chiese cristiane avventiste del 7° giorno, art. 34: «La Repubblica italiana e l'Unione delle Chiese cristiane avventiste si impegnano a collaborare per la tutela e la valorizzazione dei beni afferenti al patrimonio storico e culturale delle chiese facenti parte dell'Unione».
- L. 8 marzo 1989, n. 101 - Norme per la regolazione dei rapporti tra lo Stato e l'Unione delle Comunità ebraiche italiane, art. 17: «1. Lo Stato, l'Unione e le Comunità collaborano per la tutela e la valorizzazione dei beni afferenti al patrimonio storico e artistico, culturale, ambientale e architettonico, archeologico, archivistico e librario dell'ebraismo italiano.
2. Entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge sarà costituita una Commissione mista per le finalità di cui al comma 1 e con lo scopo di agevolare la raccolta, il riordinamento e il godimento dei beni culturali ebraici.
3. La Commissione determina le modalità di partecipazione dell'Unione alla conservazione e alla gestione delle catacombe ebraiche e le condizioni per il rispetto in esse delle prescrizioni rituali ebraiche.
4. Alla medesima Commissione è data notizia del reperimento di beni di cui al comma 1».
- L. 12 aprile 1995, n. 116 - Norme per la regolazione dei rapporti tra lo Stato e l'Unione Cristiana Evangelica Battista d'Italia (Ucebi), art. 18: «Tutela dei beni culturali. 1. La Repubblica italiana e l'Ucebi si impegnano a collaborare per la tutela e la valorizzazione dei beni afferenti il patrimonio storico e culturale delle Chiese rappresentate dall'Ucebi».
- L. 29 novembre 1995, n. 520 - Norme per la regolazione dei rapporti tra lo Stato e la Chiesa Evangelica Luterana in Italia (Celi), Art. 16 : «Tutela dei beni culturali.
1. La Repubblica italiana e la Celi collaborano per la tutela e la valorizzazione dei beni culturali afferenti al patrimonio storico, morale e materiale delle Comunità rappresentate dalla Celi, istituendo a tale fine apposite commissioni miste.
2. Le commissioni di cui al comma 1 hanno tra l'altro il compito della compilazione e dell'aggiornamento dell'inventario dei beni suddetti».
Appare, quindi, evidente la presenza nel nostro ordinamento di una serie di leggi speciali, di derivazione "pattizia" e perciò dotate di forza passiva rinforzata.
Tale diritto speciale rende ancora più complessa l'applicazione delle regole di circolazione dei beni culturali a quelli di proprietà ecclesiastica in relazione alle confessioni religiose che hanno stipulato con lo Stato patti o intese tradotte in legge.
Probabilmente, sarebbe stato più corretto sottrarre alla necessità dell'autorizzazione i casi di "alienazione" tra enti ecclesiastici, così come tutte le ipotesi nelle quali l'atto negoziale di disposizione, ed a maggior ragione quelli non direttamente traslativi, sia necessario ad attività strettamente connesse con l'esercizio del culto.
Appare evidente che la disciplina prevista dal codice per gli atti dispositivi di beni culturali ecclesiastici presti il fianco a rilievi di costituzionalità, oltre a dovere essere ricollocata correttamente (anche nella sua operatività) nel rispetto dell'articolato sistema delle fonti.
Si potrebbe di conseguenza affermare che il ricorso alla "autorizzazione" amministrativa debba arretrare almeno di fronte alle alienazioni tra enti appartenenti alla medesima confessione religiosa, e ciò dovrebbe forse avvenire già in via di interpretazione applicativa.
Prelazione "ecclesiastica" e prelazione "artistica"
L'incertezza interpretativa che si è appena segnalata per l'autorizzazione si presenta, in parte, anche per la prelazione (artt. 60 e ss. del codice) e sulla sua conseguente applicabilità ai beni in esame.
E' stato sostenuto dalla dottrina in materia di prelazione c.d. "ecclesiastica" (art. 37 L. 222/85) che, proprio per via del suo collidere con la gestione patrimoniale della Chiesa (la cui libertà è garantita dall'art. 7 Cost.), vi sarebbero notevoli dubbi sulla sua concreta applicabilità, anche se, come per la maggioranza delle prelazioni legali, anche per quella in esame l'interesse che la norma vorrebbe proteggere è prevalentemente pubblicistico [nota 37].
Sembra proprio indirizzarsi in tale prospettiva la lettura moderna anche dell'art. 20 Cost., che come è noto vieta discriminazioni causate da «speciali limitazioni legislative» e fondate soltanto sul «carattere ecclesiastico» o sul «fine di religione o di culto» di una associazione od istituzione [nota 38]. Tale apparente contrasto, forse, sembrerebbe slegare l'applicazione di tale istituto con il generico riferimento alla funzione sociale della proprietà di cui parla l'art. 42 Cost., disposizione da sempre ritenuta però troppo ampia, per evitare (o per lo meno limitare) abusi.
Tale discrasia è giustamente rilevata da chi pone l'indice proprio sulla «eccessiva vaghezza dello standard valutativo» espresso dall'art. 42 Cost., proponendo altre ipotesi interpretative da ricercare tra i valori od i principi idonei a fungere da «parametro di bilanciamento rispetto alla tutela della libertà religiosa e del corrispettivo divieto di discriminazione» [nota 39].
A tale interrogativo si è cercato innanzi la risposta con l'esame del funzionamento dell'istituto, nella ricerca di se sia effettivamente da considerare come una «speciale limitazione» riservata agli enti in oggetto, tale comunque da giustificare dubbi di costituzionalità ex art. 20 Cost.
La prelazione c.d. "artistica", tuttavia, non è indirizzata in special modo agli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, ma colpisce in egual modo anche altre realtà entificate con scopi (in senso lato) altruistici [nota 40].
In altra sede ho potuto rilevare come tale limitazione appariva forse giustificabile sul piano del rapporto tra «valori» e «libertà» proprio per la particolare «tutela finanziaria» che il patrimonio degli istituti per il sostentamento del clero riceve in ambito statale, in una alla applicazione residuale della fattispecie, pur con i legittimi dubbi rivolti all'opportunità di una siffatta normativa limitata a detta particolare categoria di enti ecclesiastici nel nostro sistema circolatorio della ricchezza [nota 41]. Di conseguenza, ancora una volta in ossequio all'autonomia delle confessioni religiose nel nostro sistema costituzionale sarebbe stato opportuno prevedere deroghe per i trasferimenti all'interno delle confessioni. D'altra parte, nella citata "prelazione ecclesiastica", il penultimo capoverso dell'art. 37 della L. n. 222/85, prevede espressamente che l'istituto per il sostentamento del clero non è tenuto al rispetto del diritto di prelazione di cui innanzi, quando acquirente del bene è un ente ecclesiastico [nota 42].
Tenuto, quindi, conto delle finalità che l'istituto in esame intende perseguire una uniformità di trattamento sembrerebbe comunque auspicabile, la cui momentanea assenza apre anch'essa a qualche legittimo dubbio sulla possibile tenuta costituzionale della prelazione in esame.
Si può, però, affermare in conclusione che la prelazione c.d. "artistica" non soffre limitazioni operative al suo funzionamento verso i beni culturali ecclesiastici, anche se dovrà essere applicata nel rispetto delle previsioni speciali contenute nelle leggi di esecuzione del Concordato con la Chiesa cattolica e di approvazione delle Intese con le altre confessioni religiose, così come innanzi riportate.
Consigli operativi
Il regime dei beni culturali ecclesiastici è, quindi, contraddistinto da una disciplina di diritto speciale che si fonda su:
- norme costituzionali (art. 7 comma 2, 8 comma 3, 9, 19);
- norme ordinarie ma dotate di forza passiva rinforzata (art. 12, L. 25 marzo 1985, n. 121 – Ratifica ed esecuzione dell'accordo con protocollo addizionale, formato a Roma il 18 febbraio 1984, che ha apportato modificazioni al Concordato lateranense dell'11 febbraio 1929, tra la Repubblica italiana e la Santa Sede; leggi di approvazione delle intese con le confessioni diverse dalla Chiesa cattolica) [nota 43];
- norme ordinarie (codice Urbani);
- norme regolamentari;
- intese applicative.
In questo complesso quadro normativo occorrerà applicare il codice Urbani unitamente alla normativa speciale prevista in materia, tenendo soprattutto conto della rilevanza dei controlli confessionali previsti per la circolazione dei beni culturali.
A tale proposito occorrerà prestare la massima attenzione nel verificare nella fattispecie concreta se il "conflitto" speciale tra norme coesistenti sia stato risolto in modo corretto nella applicazione degli istituti di diritto speciale rivolti alla circolazione del patrimonio culturale ecclesiastico.
[nota 1] Per una recente disamina sul tema cfr. A. FUCCILLO, «I beni immobili culturali ecclesiastici tra principi costituzionali e neo dirigismo statale», in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, Rivista telematica (www.statoechiese.it), marzo 2009.
[nota 2] L'universo dei "diritti confessionali" è composito e non riconducibile ad unità, in quanto non tutte le confessioni religiose sono dotate di un sistema normativo in senso proprio; per riferimenti sul tema è estremamente utile il volume di S. FERRARI, Lo spirito dei diritti religiosi. Ebraismo, cristianesimo ed islam a confronto, Bologna, 2002.
[nota 3] Il sistema delle fonti del "diritto ecclesiastico" si caratterizza, per l'appunto, per la sua "eterogeneità" data la presenza corposa di norme di derivazione confessionale con immediata rilevanza all'interno del nostro sistema ordinamentale. Cfr. M. TEDESCHI, Manuale di diritto ecclesiastico, Torino, 2007, p. 123 e ss., P.A. D'AVACK - C. CARDIA, voce Fonti del diritto, III), dir. eccl., in Enc. giur. Trecc., vol. XIV, Roma, 1989.
[nota 4] R. BOTTA, Beni culturali di interesse religioso, in Il diritto, enciclopedia giuridica de Il Sole 24 ore, vol. 2, Milano, 2007, p. 493.
[nota 5] F. SICILIA, «Le autorità competenti», in Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose (www.olir.it), novembre 2005, p. 4.
[nota 6] Sottoscritta il 26 gennaio 2005, e resa esecutiva con D.P.R. 4 febbario 2005, n. 78.
[nota 7] G. FELICIANI, «Le intese sui beni culturali ecclesiastici: bilanci e prospettive», in Dir. eccl., 2006, I, p. 6.
[nota 8] A. BETTETINI, Gli enti e i beni ecclesiastici, in Il codice civile commentario, sub. art. 831, Milano, 2005, p. 151 e ss.
[nota 9] C. CARDIA, Lo spirito della nuova Intesa, in Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose (www.olir.it), novembre 2005, p. 13 e ss.
[nota 10] A.G. CHIZZONITI, «L'intesa del 26 gennaio 2005 tra Ministero per i beni e le attività culturali e Conferenza episcopale italiana: la tutela dei beni culturali di interesse religioso appartenenti a enti e istituzioni ecclesiastiche tra continuità ed innovazione», in Quad. dir. pol. eccl., 2005, 2, p. 387 e ss.
[nota 11] F. FINOCCHIARO, «I beni culturali d'interesse religioso tra formalismo giuridico e sistema delle fonti», in Dir. eccl., 1994, I, p. 434 e ss.
[nota 12] In relazione alla abrogata L. 1089/39 si notava che la disposizione limitava, però, l'intervento dell'autorità ecclesiastica per il solo caso di beni appartenenti ad enti ecclesiastici (limite soggettivo), e per la sola salvaguardia delle esigenze di culto (limite oggettivo), così G. MARIANI, La legislazione ecclesiastica in materia di arte sacra, Roma, 1945, p. 221, che ribadiva come quell'inciso ordinasse «di consultare l'autorità ecclesiastica solo per quelle cose artistiche che servano, ed in quanto servano al culto; e quindi per le cose di uso attivo, e difficilmente potrà l'articolo applicarsi ai musei, alle biblioteche, alle collezioni, ecc. …».
[nota 13] G. CASUSCELLI, Elementi introduttivi, in AA.VV., Nozioni di diritto ecclesiastico a cura del medesimo Autore, Torino, 2009, p. 8 e ss.
[nota 14] Per comodità espositiva le norme di derivazione "pattizia" relative ai beni culturali ecclesiastici saranno riportate in seguito, nel corso del testo.
[nota 15] Concorda A.G. CHIZZONITI, Enti ecclesiastici e beni culturali, in AA.VV., Enti ecclesiastici e controllo dello Stato, a cura di J.I. Arrieta, Venezia, 2007, p. 304 e ss. In tema di circolazione, mi si consenta il rinvio a A. FUCCILLO, «La circolazione dei beni culturali di interesse religioso», in Dir. eccl., 1993, I, p. 603 e ss., e ID., Diritto ecclesiastico e attività notarile, Torino, 2000, p. 127 e ss.
[nota 16] Cioè di quelli identificati per mero criterio di "appartenenza".
[nota 17] Tali le affermazioni di C. LOMONACO, «Le modifiche al codice dei beni culturali: una prima lettura del D.lgs. 26 marzo 2008, n. 62», in CNN Notizie del 23 aprile 2008, www.notariato.it.
[nota 18] In tale direzione, da ultimi, M. TEDESCHI, Manuale di diritto ecclesiastico, cit., p. 232 e ss.; A. FUCCILLO, Le nuove frontiere dell'ecclesiasticità degli enti, Napoli, 1999, p. 41 e ss.
[nota 19] S. BERLINGÒ, Enti e beni religiosi in Italia, Bologna, 1992, p. 25 e ss.; P. CAVANA, Enti ecclesiastici e controlli confessionali, II, Torino, 2002, p. 119 e ss.; A. FUCCILLO, Diritto ecclesiastico e attività notarile, cit., p. 35 e ss. In tema cfr., anche il recentissimo A. FUCCILLO, Giustizia e religione, Torino, 2009, p. 21 e ss., ivi anche un'utile rassegna di giurisprudenza.
[nota 20] L. 11 agosto 1984, n. 449 - Norme per la regolazione dei rapporti tra lo Stato e le chiese rappresentate dalla Tavola valdese.
Art. 12 : «4. La gestione ordinaria e gli atti di straordinaria amministrazione dei predetti enti ecclesiastici si svolgono sotto il controllo e con l'approvazione della Tavola valdese senza ingerenza da parte dello Stato, delle regioni o altri enti territoriali, stante che non ricorrono oneri di mantenimento a carico dei medesimi».
L. 22 novembre 1988, n. 517 - Norme per la regolazione dei rapporti tra lo Stato e le Assemblee di Dio in Italia.
Art 16: «1. La gestione ordinaria e gli atti di straordinaria amministrazione degli enti di cui agli articoli 13 e 14 si svolgono sotto il controllo dei competenti organi delle Adi e senza ingerenza da parte dello Stato».
L. 22 novembre 1988, n. 516 - Norme per la regolazione dei rapporti tra lo Stato e l'Unione italiana delle Chiese cristiane avventiste del 7° giorno, art. 25: «La gestione ordinaria e gli atti di straordinaria amministrazione degli enti ecclesiastici avventisti civilmente riconosciuti si svolgono sotto il controllo delle competenti autorità ecclesiastiche e senza ingerenza da parte dello Stato.
2. Per gli acquisti di tali enti si applicano le disposizioni delle leggi civili relative alle persone giuridiche».
L. 8 marzo 1989, n. 101 - Norme per la regolazione dei rapporti tra lo Stato e l'Unione delle Comunità ebraiche italiane. Art. 25: «2. La gestione ordinaria e gli atti di straordinaria amministrazione dell'Unione, delle Comunità e degli altri enti ebraici civilmente riconosciuti si svolgono sotto il controllo degli organi competenti a norma dello Statuto, senza ingerenze da parte dello Stato, delle regioni e degli altri enti territoriali.
3. Per l'acquisto di beni immobili, per l'accettazione di donazioni ed eredità e per il conseguimento di legati da parte degli enti predetti si applicano le disposizioni delle leggi civili relative alle persone giuridiche».
L. 12 aprile 1995, n. 116 - Norme per la regolazione dei rapporti tra lo Stato e l'Unione Cristiana Evangelica Battista d'Italia (Ucebi). Art. 12: «Gestione degli enti ecclesiastici.
1. La gestione ordinaria e gli atti di straordinaria amministrazione degli enti ecclesiastici riconosciuti si svolgono sotto il controllo dei competenti organi a norma dell'ordinamento battista e senza ingerenza da parte dello Stato, delle regioni e degli altri enti territoriali».
L. 29 novembre 1995, n. 520 - Norme per la regolazione dei rapporti tra lo Stato e la Chiesa Evangelica Luterana in Italia (Celi) art. 23: «Gestione degli enti ecclesiastici.
1. La gestione ordinaria e gli atti di straordinaria amministrazione degli enti ecclesiastici luterani civilmente riconosciuti si svolgono sotto il controllo degli organi della Celi competenti a norma di statuto senza ingerenza da parte dello Stato, delle regioni e degli altri enti territoriali.
2. Per gli acquisti di beni immobili e diritti reali, l'accettazione di donazioni ed eredità ed il conseguimento di legati da parte di tali enti si applicano le disposizioni delle leggi civili relative alle persone giuridiche».
[nota 21] Su tali "controlli" cfr. P. CAVANA, Enti ecclesiastici e controlli confessionali, cit., p. 31 e ss.; inoltre, P. PICCOLI, «La rappresentanza degli enti ecclesiastici», in Riv. not., 2000, p. 25 e ss.
[nota 22] A. FUCCILLO, Diritto ecclesiastico e attività notarile, cit., p. 150 e ss.
[nota 23] La canonistica tradizionale è solita circoscrivere il concetto di "cose preziose" ai soli beni mobili. Cfr. V. DE PAOLIS, I beni temporali della Chiesa, Bologna, 2001, p. 17 e ss.; C. BEGUS, Diritto patrimoniale canonico, Città del Vaticano, 2007, p. 24 e ss.; J.P. SCHOUPPE, Elementi di diritto patrimoniale canonico, Milano, 2008, p. 45 e ss.
[nota 24] In ossequio alla normativa speciale "concordata" infra citata in testo (par. 3).
[nota 25] Circa la Chiesa cattolica, il diritto canonico prevede una corposa normativa che è il caso di riportare:
Codex Juris Canonici 1983:
Can. 638 - §1. Spetta al diritto proprio determinare, entro l'ambito del diritto universale, quali sono gli atti che eccedono il limite e le modalità dell'amministrazione ordinaria, e stabilire ciò che è necessario per porre validamente gli atti di amministrazione straordinaria. §2. Le spese e gli atti giuridici di amministrazione ordinaria sono posti validamente, oltre che dai Superiori, anche dagli officiali a ciò designati dal diritto proprio, nei limiti del loro ufficio. §3. Per la validità dell'alienazione, e di qualunque negozio da cui la situazione patrimoniale della persona giuridica potrebbe subire detrimento, si richiede la licenza scritta rilasciata dal Superiore competente con il consenso del suo consiglio. Se però si tratta di negozio che supera la somma fissata dalla Santa Sede per le singole regioni, come pure di donazioni votive fatte alla Chiesa, o di cose preziose per valore artistico o storico, si richiede inoltre la licenza della Santa Sede stessa. §4. Per i monasteri sui iuris, di cui al can. 615, e per gli istituti di diritto diocesano, è necessario anche il consenso scritto dell'Ordinario del luogo.
Can. 1290 - Le norme di diritto civile vigenti nel territorio sui contratti sia in genere sia in specie, e sui pagamenti, siano parimenti osservate per diritto canonico in materia soggetta alla potestà di governo della Chiesa e con gli stessi effetti, a meno che non siano contrarie al diritto divino o per diritto canonico si preveda altro, e fermo restando il disposto del can. 1547.
Can. 1291 - Per alienare validamente i beni che costituiscono per legittima assegnazione il patrimonio stabile di una persona giuridica pubblica, e il cui valore ecceda la somma fissata dal diritto, si richiede la licenza dell'autorità competente a norma del diritto.
Can. 1292 - §1. Salvo il disposto del can. 638, §3, quando il valore dei beni che s'intendono alienare, sta tra la somma minima e quella massima da stabilirsi dalla Conferenza Episcopale per la propria regione, l'autorità competente, nel caso di persone giuridiche non soggette all'autorità del Vescovo diocesano, è determinata dai propri statuti; altrimenti l'autorità competente è lo stesso Vescovo diocesano, con il consenso del consiglio per gli affari economici e del collegio dei consultori nonché degli interessati; il Vescovo diocesano stesso ha anche bisogno del consenso dei medesimi organismi per alienare i beni della diocesi.
§2. Trattandosi tuttavia di beni il cui valore eccede la somma massima stabilita, oppure di ex-voto donati alla Chiesa o di oggetti preziosi di valore artistico o storico, per la valida alienazione si richiede inoltre la licenza della Santa Sede.
§3. Se la cosa che s'intende alienare è divisibile, nel chiedere la licenza si devono indicare le parti già alienate in precedenza; altrimenti la licenza è nulla.
§4. Coloro che sono tenuti a prendere parte alla alienazione dei beni con il consiglio o il consenso, non diano il consiglio o il consenso senza essersi prima esattamente informati, sia sulle condizioni finanziarie della persona giuridica i cui beni si vogliono alienare sia sulle alienazioni già fatte.
Can. 1293 - §1. Per l'alienazione dei beni il cui valore eccede la somma stabilita, si richiede inoltre: 1) una giusta causa, quale la necessità urgente, l'utilità palese, la pietà, la carità o altra grave ragione pastorale; 2) la stima della cosa da alienare fatta da periti per iscritto.
§2. Si osservino inoltre le altre cautele prescritte dall'autorità legittima per evitare danni alla Chiesa.
Can. 1294 - §1. La cosa non deve essere ordinariamente alienata a prezzo minore di quello indicato nella stima.
§2. Il denaro ricavato dall'alienazione venga cautamente investito in favore della Chiesa, oppure sia prudentemente impiegato secondo le finalità dell'alienazione.
Can. 1295 - I requisiti a norma dei cann. 1291-1294, ai quali devono conformarsi anche gli statuti delle persone giuridiche, devono essere osservati non soltanto per l'alienazione, ma in qualunque altro affare che intacchi il patrimonio della persona giuridica peggiorandone la condizione.
Can. 1296 - Qualora i beni ecclesiastici fossero stati alienati senza le debite formalità canoniche, ma l'alienazione sia civilmente valida, spetta all'autorità competente stabilire, dopo aver soppesato attentamente la situazione, se si debba intentare una azione e di che tipo, se cioè personale o reale, chi la debba fare e contro chi, per rivendicare i diritti della Chiesa.
[nota 26] In particolare il Codex Canonum Ecclesiarum Orientalium dedica alla problematica i seguenti canoni: 423, 1018, 1019, 1034-1042. Cfr. L. SABBARESE - D. SALACHAS, Codificazione latina e orientale e canoni preliminari, Città del Vaticano, 2003; C. PUJOL, La vita religiosa orientale, Roma, 1994.
[nota 27] Un commento recente alla "novella" del 2008 (D.lgs. n. 62) in A. PISCHETOLA, «La "nuova" autorizzazione all'alienazione di beni culturali», in Notariato, 2008, 6, p. 697.
[nota 28] S. BERLINGÒ, Il potere autorizzativo nel diritto ecclesiastico, Milano, 1974.
[nota 29] In relazione alla abrogata "autorizzazione agli acquisti" cfr. M. TEDESCHI, Manuale di diritto ecclesiastico, cit., p. 276 e ss.
[nota 30] Ho già espresso tale dubbio in A. FUCCILLO, «I beni immobili culturali ecclesiastici tra principi costituzionali e neo dirigismo statale», cit., p. 11 e ss.
[nota 31] Sul "percorso costituzionale" cfr., ex plurimis, C. MIRABELLI, Diritto ecclesiastico e "principi supremi dell'ordinamento costituzionale" nella giurisprudenza della Corte. Spunti critici, in AA.VV., Diritto ecclesiastico e Corte costituzionale a cura di R. Botta, Napoli, 2006, p. 389 e ss.; A.M. PUNZI NICOLÒ, La libertà religiosa individuale e collettiva nelle sentenze della Corte costituzionale, ibidem, p. 305 e ss. Per una illustrazione analitica, aggiornata sino al 1998, si veda S. DOMIANELLO, Giurisprudenza costituzionale e fattore religioso. Le pronunzie della Corte costituzionale in materia ecclesiastica, vol. 2, Milano, 1987 e 1999.
[nota 32] M.F. MATERNINI, Appartenenza confessionale, in AA.VV., Diritto ecclesiastico e Corte costituzionale, cit., p. 247. Su tale tematica, cfr., ampiamente C. MIRABELLI, L'appartenenza confessionale, Padova, 1975.
[nota 33] Che, ed è sempre bene ribadirlo, godono di autonoma protezione costituzionale.
[nota 34] Ovviamente per le confessioni che hanno stipulato accordi o intese con lo Stato.
[nota 35] Oltre alle intese tradotte in legge, e citate in testo, si segnalano le Intese firmate e non ancora approvate con legge:
Intesa tra la Repubblica Italiana e la Chiesa Apostolica in Italia:
Articolo 28 «(Tutela dei beni culturali)
1. La Repubblica italiana e la Chiesa Apostolica in Italia si impegnano a collaborare per la tutela e la valorizzazione dei beni afferenti al patrimonio storico e culturale della Chiesa Apostolica in Italia».
Intesa tra la Repubblica Italiana e la Sacra Arcidiocesi Ortodossa d'Italia ed Esarcato per l'Europa Meridionale:
Articolo 11: «(Patrimonio artistico e culturale)
1. La Repubblica italiana e l'Arcidiocesi si impegnano a collaborare per la tutela e la valorizzazione dei beni afferenti al patrimonio storico e culturale ortodosso».
Intesa tra la Repubblica Italiana e la Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni:
Articolo 15: «(Tutela dei beni culturali)
1. La Repubblica italiana e la "Chiesa" collaborano per la tutela e la valorizzazione dei beni culturali afferenti al patrimonio storico, morale e materiale della "Chiesa"».
Intesa tra la Repubblica Italiana e l'Unione Induista Italiana:
Articolo 17: «(Tutela dei beni culturali)
1. La Repubblica italiana e l'Uii si impegnano a collaborare per la tutela e la valorizzazione dei beni artistici e culturali facenti parte del patrimonio dell'Uii e degli organismi da essa rappresentati».
Intesa tra la Repubblica Italiana e l'Unione Buddhista Italiana:
Articolo 16 : «(Tutela dei beni culturali)
La Repubblica italiana e l'Ubi si impegnano a collaborare per la tutela e la valorizzazione dei beni artistici e culturali facenti parte del patrimonio dell'Ubi e degli organismi da essa rappresentati».
[nota 36] Detta norma ha istituito, a favore dello Stato e di altri enti pubblici ivi specificati, un diritto di prelazione sulla vendita di beni immobili di proprietà degli Istituti per il sostentamento del clero. In tema cfr. L. ZAMPAGLIONE, L'art. 37 della legge n. 222 del 1985. Confronto con le altre prelazioni legali, in AA.VV., Nuovi studi di diritto canonico ed ecclesiastico a cura di V. Tozzi, Salerno, 1990, p. 561.
[nota 37] L. ZAMPAGLIONE, La prelazione pubblica sui beni immobili degli istituti per il sostentamento del clero, in AA.VV., Enti ecclesiastici e attività notarile a cura di V. Tozzi, Napoli, 1989, p. 127.
[nota 38] Si pone utilmente il problema M. RICCA, «Prelazione a favore della P.A. ed alienazioni di immobili da parte di enti ecclesiastici ovvero "normativa bilaterale vs libertà religiosa"», in Dir. eccl., 1999, I, p. 235 e ss.
[nota 39] M. RICCA, op. ult. cit., p. 236.
[nota 40] Semmai, quindi, il rilievo potrebbe essere ritenuto pertinente soltanto per gli enti ecclesiastici che non hanno finalità propriamente "non lucrative", primi fra tutti gli istituti per il sostentamento del clero cattolico. Si tratta, comunque, di una ipotesi ancora non adeguatamente verificata.
[nota 41] A. FUCCILLO, Diritto ecclesiastico e attività notarile, cit., p. 75 e ss. E' stato sottolineato (da M. RICCA, op. ult. cit., p. 238) che la presenza di una prelazione pubblica in tema solleva, come è stato bene evidenziato, la tensione tra «interesse religioso o comunque ecclesiastico» e interesse pubblico, dimostrando la possibilità che l'interesse religioso concorra «con altri interessi o valori dotati di particolare rilevanza all'interno dell'ordinamento italiano», e che la normativa in esame avrebbe potuto contribuire a dimostrare ed evidenziare tale giusta «concorrenza».
[nota 42] A. FUCCILLO, Ancora sulla prelazione ecclesiastica nel sistema delle prelazioni legali, in AA.VV., Il notaio garante della legalità a cura di G. e M.C. Fuccillo e A. Areniello, Napoli, 2006, p. 141 e ss.
[nota 43] Prima riportate nel corso del testo.
|
|
|