Trust testamentario e alienazione immobiliare
Trust testamentario e alienazione immobiliare
di Daniele Muritano
Notaio in Empoli
Il caso
Tizio, vedovo, cittadino inglese residente in Inghilterra, muore dopo avere disposto delle sue sostanze con testamento ivi redatto, espressamente sottoposto all'applicazione della legge inglese [nota 1]. Tra i beni relitti vi è un immobile sito in Italia.
Il testatore attribuisce i suoi beni come segue:
- per un terzo all'unico figlio Caio;
- per due terzi allo stesso Caio, ma nella qualità di trustee del trust istituito da Tizio con il testamento, regolato dalla legge inglese. Beneficiari di tale trust [nota 2] sono i due figli di Caio (cioè i nipoti di Tizio).
Il notaio è richiesto di stipulare la vendita del bene immobile sito in Italia in favore di un cittadino italiano, il quale per finanziare l'acquisto contrarrà un mutuo.
(a) Notazione preliminare
Occorre preliminarmente precisare che la fattispecie in questione riguarda un trust testamentario, cioè istituito con il testamento. Caso diverso, ma non meno problematico, è quello del testamento che contenga un'attribuzione di beni al trustee di un trust inter vivos già istituito dal testatore (o da terzi).
In secondo luogo va escluso che il trust in questione sia qualificabile come trust "interno" [nota 3], in quanto l'unico profilo di collegamento fra esso e l'ordinamento italiano è dato dalla presenza in Italia del bene immobile.
Il caso verrà discusso sulla base della legge attualmente vigente, non omettendo tuttavia di verificare la soluzione delle varie questioni alla luce dell'emanando regolamento, ipotizzando, naturalmente, che anche il Regno Unito partecipi alla sua adozione e applicazione.
(b) La legge applicabile
Prima questione da affrontare concerne l'individuazione della legge applicabile alla fattispecie.
Occorre distinguere tra la legge applicabile alla forma del testamento, legge applicabile alla successione e legge applicabile al trust testamentario.
Quanto alla legge applicabile alla forma del testamento è noto che, ai sensi dell'art. 48 della L. 31 maggio 1995, n. 218, il testamento è valido, quanto alla forma, se è considerato tale dalla legge dello Stato nel quale il testatore ha disposto, ovvero dalla legge dello Stato di cui il testatore, al momento del testamento o della morte, era cittadino o dalla legge dello Stato in cui aveva il domicilio o la residenza.
Nel nostro caso troverà applicazione il primo criterio, cioè la lex loci, e quindi la legge regolatrice della forma del testamento sarà quella inglese.
Sull'individuazione della legge applicabile alla forma del testamento il regolamento non incide.
Il considerando 19, infatti, prevede che non è oggetto del regolamento la validità formale delle disposizioni mortis causa. Il suo campo d'applicazione, per gli Stati membri che l'hanno ratificata, è disciplinato dalle disposizioni della convenzione dell'Aja del 5 ottobre 1961 sui conflitti di legge in materia di forma delle disposizioni testamentarie [nota 4]; l'Italia, che ha sottoscritto ma non ancora ratificato tale convenzione, disciplina la vicenda con il già ricordato art. 48 della L. 218/95.
Quanto alla legge regolatrice della successione, la legge inglese segue il regime cosiddetto "scissionista", secondo cui la successione mobiliare è disciplinata dalla legge del domicilio del defunto e la successione immobiliare dalla legge dello Stato in cui si trova il bene.
Si giunge a tale conclusione sulla base dell'art. 46 della L. 218/95, il cui comma 1 stabilisce che la successione a causa di morte è regolata dalla legge nazionale del soggetto della cui eredità si tratta, al momento della morte.
Nel caso di successione di un cittadino inglese si applicherà quindi la legge inglese.
Tuttavia, ai sensi dell'art. 13 della L. 218/85, si deve tenere conto del rinvio operato dal diritto internazionale privato straniero quando si tratta di rinvio alla legge italiana, come appunto accade nel caso dei beni immobili siti in Italia oggetto di una successione regolata dal diritto inglese, cui si dovrebbe applicare la legge italiana.
Ma lo stesso art. 13, al comma 2, lett. a, parrebbe escludere l'operare del rinvio nel caso in cui la legge regolatrice della successione divenga applicabile sulla base della scelta effettuata in tal senso dalle parti interessate [nota 5], come accaduto nel caso di specie [nota 6].
Il puro e semplice richiamo alla "English Law", però, determina il sorgere di un complesso problema interpretativo, in quanto esso potrebbe essere inteso sia come richiamo alla sola legge sostanziale sia come richiamo anche alla legge che disciplina i conflitti di legge, cioè alla legge di diritto internazionale privato [nota 7]. Se quest'ultima fosse la corretta interpretazione, alla successione del bene immobile sito in Italia si applicherebbe la legge italiana [nota 8].
La complessa questione non è discutibile in questa sede e, con riferimento al caso di specie, stabilire se sia applicabile l'una o l'altra legge parrebbe avere rilevanza limitata, atteso che la devoluzione ereditaria del bene immobile sito in Italia non muterebbe [nota 9].
Il regolamento viene a incidere su questa disciplina, proprio per evitare gli inconvenienti del regime "scissionista", il quale crea più masse ereditarie, ognuna soggetta a una legge diversa che determina con modalità diverse l'individuazione degli eredi e dei loro diritti.
Ai sensi dell'art. 16 del regolamento, infatti, la legge applicabile alla successione sarà quella dello Stato in cui il defunto aveva la residenza abituale al momento della morte, ciò che, come afferma la relazione al regolamento, permetterà al testatore di pianificare equamente la ripartizione dei suoi beni tra gli eredi, indipendentemente dal luogo in cui sono ubicati i beni stessi [nota 10].
Quanto alla legge regolatrice del trust essa andrà individuata secondo le norme contenute nella convenzione de L'Aja dell'1 luglio 1985 sulla legge applicabile ai trust e al loro riconoscimento, ratificata dall'Italia con L. 16 ottobre 1989, n. 364, entrata in vigore il 1° gennaio 1992.
L'art. 1, comma 3, lettera i, del regolamento, esclude infatti dal suo ambito di applicazione la costituzione, il funzionamento e lo scioglimento di trust.
Tuttavia occorre precisare che:
a) se il testamento costituisca idoneo strumento giuridico per l'istituzione di un trust è questione da risolversi sulla base della legge regolatrice della successione, ciò discendendo dall'art. 4 conv. Aja, ai sensi del quale essa non si applica a questioni preliminari relative alla validità dei testamenti in virtù dei quali determinati beni sono trasferiti al trustee;
b) la validità del trust istituito nel testamento dovrà invece verificarsi sulla base della legge regolatrice del trust.
Con riferimento al caso di specie la questione a) si risolve affermativamente, atteso che l'Italia, con la ratifica della conv. Aja del 1985 si è obbligata a riconoscere i trust istituiti per testamento [nota 11]. Quanto alla questione relativa alla validità del trust sulla base della legge regolatrice, o il notaio è autonomamente in grado di eseguire il relativo controllo, assumendosene la responsabilità, oppure dovrà richiedere un parere a un esperto, sotto forma di affidavit.
(c) Il funzionamento della successione in Inghilterra e il probate
Il notaio che si trova di fronte a un testamento redatto in Inghilterra contenente anche l'istituzione di un trust deve in primo luogo aver presente il funzionamento della successione mortis causa in tale diritto, che è regolata in modo profondamente diverso rispetto all'Italia [nota 12].
La differenza di fondo è che, mentre nel nostro diritto, a seguito dell'accettazione dell'eredità l'erede subentra in tutti i rapporti giuridici attivi e passivi, in common law la continuità opera mediante la trasmissione del titolo sul bene e non si risponde delle passività oltre il valore dell'attivo [nota 13].
Molto sinteticamente può dirsi che, alla morte del testatore, la Family Division [nota 14] provvede a "omologare" il testamento a seguito di una procedura denominata probate, che ha la funzione di attestarne la validità sia sul piano formale che sotto il profilo della capacità del testatore.
A tale provvedimento fa seguito un ulteriore provvedimento, di natura autorizzativa, detto grant of representation (o grant of probate in presenza di testamento con cui si nomina un executor [nota 15]), che è indispensabile affinchè l'amministratore, di cui subito si dirà, prenda possesso dell'asse ereditario al fine di eventualmente liquidarlo e distribuire il residuo attivo tra gli aventi diritto.
La stessa corte quindi provvede alla nomina di uno o più personal representatives [nota 16] cui viene trasferito l'intero asse ereditario.
La devoluzione dell'eredità procede quindi secondo due fasi: una prima fase che consiste nell'amministrazione del patrimonio ereditario da parte dell'executor, finalizzata, tra l'altro al pagamento delle passività; una seconda fase in cui avviene l'attribuzione del solo attivo ai beneficiari.
Poichè l'executor ha la funzione di definire i rapporti pendenti ed estinguere le eventuali passività mediante l'eventuale liquidazione dei beni ereditari, ne consegue che, nel caso in cui il testatore abbia istituito un trust testamentario, il trustee di tale trust acquisirà la titolarità dei beni solo dopo che tale attività sarà completata. Tale trasferimento dal personal representative al trustee avverrà con un atto unilaterale, detto assent (che per gli immobili deve essere redatto per iscritto).
Non è escluso, naturalmente, che il o i trustees indicati dal testatore coincidano con gli executors, nel qual caso, tuttavia, secondo la dottrina inglese, occorre egualmente l'assent [nota 17].
Con riferimento al nostro caso occorre però chiedersi se la procedura di "omologazione" del testamento, cioè il probate, sia necessaria.
Intanto va segnalato che il futuro regolamento non osta all'applicazione di tale procedura.
L'art. 21, comma 2, lettera a, ultimo periodo, stabilisce infatti che la legge applicabile alla successione disciplina la determinazione di quanti, eredi, legatari, esecutori testamentari o amministratori, possono essere incaricati dell'amministrazione della liquidazione dell'eredità. Tale norma, afferma la relazione al regolamento, è destinata, in particolare, a tenere conto di alcune peculiarità degli ordinamenti giuridici di common law, come quello inglese, in cui gli eredi non succedono direttamente nei diritti del defunto al momento della morte, ma la successione è curata da un amministratore nominato e controllato dal giudice.
Tuttavia, e ciò vale sia de iure condendo che, soprattutto, de iure condito, è discusso se, affinchè il testamento inglese possa essere attuato in Italia occorra necessariamente la sua "omologazione" per il tramite del probate.
Secondo la dottrina, infatti, la procedura del probate sarebbe esclusa per i beni siti fuori della giurisdizione inglese [nota 18]. Pare certo, inoltre, che non vi sia necessità del probate se l'asse ereditario è composto soltanto da beni situati fuori dal Regno Unito.
La procedura di probate, comunque, non attiene alla forma e alla validità del testamento, risolvendosi in una sorta di "autenticazione" [nota 19].
Il probate, inoltre, non richiede alcuna delibazione prima di poter essere eseguito in Italia, poiché l'art. 66 della L. 218/95 esenta da delibazione i provvedimenti pronunciati dalle autorità dello Stato la cui legge è richiamata dalle norme della stessa legge o producono effetti nell'ordinamento di quello Stato ancorché emanati da autorità di altro Stato, ovvero sono pronunciati da un'autorità che sia competente in base a criteri corrispondenti a quelli propri dell'ordinamento italiano [nota 20].
Quanto alla prova dell'esistenza del testamento e della qualità di beneficiario [nota 21] della disposizione testamentaria di Caio, se il testamento, causa l'esistenza di beni anche in Inghilterra è ammesso alla procedura di probate, occorrerà procedere al suo deposito presso il notaio, unitamente alla sua traduzione giurata, al certificato di morte di Tizio e al grant of probate. Se invece il testamento non fosse ammesso alla procedura di probate, ferma restando la necessità del suo deposito presso il notaio, sarà prudente munirsi, a mio avviso, di un affidavit [nota 22].
L'emanando regolamento, tuttavia, potrebbe venire in aiuto, in quanto esso - ferma restando, ai sensi dell'art. 21, comma 1, lettera a, l'insostituibilità delle procedure interne individuate sulla base della legge regolatrice della successione - prevede il rilascio del certificato successorio europeo, del quale introduce un modello uniforme.
Tale certificato, secondo il considerando 27, ha la finalità di consentire all'erede, legatario, esecutore testamentario o amministratore di dimostrare con facilità e in via stragiudiziale la rispettiva qualità negli Stati membri in cui si trovano i beni della successione [nota 23].
L'entrata in vigore del regolamento, tuttavia, con riferimento ai beni immobili siti in Italia, potrebbe comportare una complicazione.
Si è detto infatti che, secondo le regole successorie inglesi, al termine della procedura di amministrazione dell'eredità posta in essere dall'executor, questi deve trasferire i beni ai beneficiari tramite il deed of assent e che sulla base della disciplina attuale tale atto non sembrerebbe necessario qualora alla successione del bene immobile sito in Italia si applicasse la legge italiana [nota 24].
A seguito dell'entrata in vigore del regolamento, però, alla successione del bene immobile sito in Italia si applicherà la legge inglese [nota 25], per cui non è da escludere che, affinchè i beneficiari del testamento (nel nostro caso Caio, sia in proprio che quale trustee) possano disporre del bene, esso debba essere previamente loro intestato per il tramite dell'assent.
Inoltre occorrerà tenere presente l'art. 21, comma 1, del regolamento, il quale rinvia alla legge del luogo in cui è situato il bene, qualora essa prescriva, per l'accettazione dell'eredità o di un legato, ulteriori adempimenti rispetto a quelli previsti dalla legge applicabile alla successione; nonché l'art. 1, comma 3, lettera j, che esclude dall'ambito di applicazione del regolamento la natura dei diritti reali sui beni e la pubblicità di tali diritti.
Con riguardo a tali profili sembra potersi affermare che nessun ulteriore adempimento sarà richiesto dalla legge italiana con riferimento a una successione regolata dalla legge inglese, salvo per quanto attiene la pubblicità nei registri immobiliari degli acquisti a causa di morte, che da un lato non è oggetto di disciplina da parte del regolamento e, dall'altro, non è obbligatoria bensì, com'è noto, oggetto di un onere [nota 26].
(d) Il controllo di legalità del testamento e del trust testamentario
Una volta risolti questi profili preliminari, compito ulteriore del notaio è effettuare il controllo di legalità del testamento e del trust testamentario in esso contenuto.
Per quanto riguarda il testamento, sia sulla base dell'attuale sistema che a seguito dell'entrata in vigore del regolamento, il limite di applicabilità della legge straniera sarà costituito dall'ordine pubblico.
Il regolamento, infatti, al considerando 24, prevede l'eccezionalità dei casi di disapplicazione della legge straniera per contrarietà all'ordine pubblico del foro.
L'art. 27, in particolare, prevede, al comma 1, che l'applicazione di una norma di legge designata dal regolamento può essere esclusa solo qualora tale applicazione risulti incompatibile con l'ordine pubblico del foro e, al comma 2, che non può essere considerata contraria all'ordine pubblico del foro l'applicazione di una norma della designata dal regolamento per il solo fatto che le modalità da quella previste in relazione alla legittima differiscono dalle modalità vigenti nel foro. Sotto quest'ultimo profilo va rilevato che già l'art. 46 della L. 218/85 consente che la scelta della legge applicabile leda i diritti dei legittimari italiani residenti all'estero, per cui, a prescindere dalla nozione di ordine pubblico cui si intenda aderire, non dovrebbero esservi dubbi sul fatto che la legittima non rientra in nessuna di esse (tesi quest'ultima, confermata dalla giurisprudenza) [nota 27].
Per quanto riguarda il trust, che nella fattispecie è certamente qualificabile come "estero" (in contrapposizione a quello "interno"), è possibile che, pur se le nostre norme di diritto internazionale privato individuino come applicabile a detto trust una norma straniera contrastante (in ipotesi) con una nostra norma imperativa, tale norma straniera trovi ugualmente applicazione ex art. 16 L. 31 maggio 1995, n. 218, in quanto essa non contrasti con il nostro ordine pubblico. E' in alternativa ipotizzabile che le nostre norme di diritto internazionale privato individuino come applicabile ad un trust "non interno" il diritto italiano e che una certa clausola di esso contrasti con una nostra norma imperativa: in casi del genere, non può escludersi che il giudice italiano faccia ricorso, sia pure in ipotesi limitate e quale extrema ratio, alla previsione dell'art. 15, paragrafo secondo, della convenzione, secondo la quale «il giudice cercherà di realizzare gli obiettivi del trust con altri mezzi giuridici» [nota 28].
(e) La verifica della legittimazione a disporre
Il notaio, a questo punto, per potere stipulare l'atto di vendita dell'immobile dovrà verificare la legittimazione a disporre in capo a Caio, al quale il testatore ha attribuito un terzo dell'eredità, nonchè in capo allo stesso Caio, in qualità di trustee del trust testamentario, cui il testatore ha attribuito due terzi dell'eredità.
Se alla successione del bene immobile sito in Italia si applicasse la legge inglese, scelta espressamente dal testatore, il notaio dovrebbe avere la prova che la procedura di amministrazione dell'eredità da parte del o dei personal representatives si è conclusa e che, attraverso l'assent, il residuo attivo sia stato trasferito, tramite il deed of assent, a Caio in proprio, per la quota di un terzo e a Caio quale trustee del trust testamentario per la residua quota di un terzo [nota 29].
Se invece alla successione del bene immobile sito in Italia si applicasse la legge italiana, la legittimazione a disporre dei beni da parte di Caio dovrà necessariamente passare in primo luogo attraverso il rispetto delle formalità richieste dalla legge italiana, e ciò dovrà avvenire, quanto a Caio in proprio, attraverso l'accettazione dell'eredità o il conseguimento del legato (secondo come si interpreti la disposizione testamentaria di Tizio); e quanto allo stesso Caio in qualità di trustee, attraverso l'accettazione dell'ufficio [nota 30] e la conseguente intestazione della quota del bene immobile nei registri immobiliari a suo nome.
Quanto alla verifica della legittimazione a disporre del bene da parte del trustee [nota 31] va in primo luogo osservato che il notaio è certamente obbligato ad accettare l'incarico riguardante la stipula dell'atto di compravendita.
L'art. 11 conv. Aja, infatti, stabilisce che il riconoscimento del trust implica, tra l'altro, che il trustee abbia la capacità di agire ed essere convenuto in giudizio, di comparire, in qualità di trustee, davanti a notai o altre persone che rappresentino un'autorità pubblica.
Il notaio dovrà quindi verificare se il soggetto che interviene in atto è effettivamente titolare dell'ufficio di trustee.
Questo problema potrebbe essere di facile soluzione nel caso in cui l'immobile da alienare risulti già intestato al trustee nei registri immobiliari. Qualora tale intestazione manchi o perché mai eseguita o perché vi è stato un mutamento nella titolarità dell'ufficio il notaio dovrà pretendere la "regolarizzazione" dell'intestazione. Occorrerà quindi trascrivere nei registri immobiliari, nel primo caso l'assent, qualora si ritenga che esso sia richiesto anche con riferimento ai beni ereditari siti al di fuori del Regno Unito; nel secondo caso l'atto di nomina del nuovo trustee; e tali atti dovranno ovviamente avere la forma richiesta dalla legge italiana per essere iscritti nei pubblici registri [nota 32].
Il controllo andrà quindi svolto in due fasi:
a) verifica della titolarità dell'ufficio in capo al trustee;
b) verifica dei poteri in capo al trustee.
Quanto alla prima verifica, i problemi maggiori possono sorgere qualora il trust sia regolato da una legge che non prevede forme di pubblicità della sua esistenza e, conseguentemente, dei mutamenti del soggetto titolare dell'ufficio di trustee [nota 33].
La situazione che si presenta al notaio è del tutto simile a quella che deve affrontare nel caso di intervento in atto di rappresentanti di enti societari aventi sede in Paesi che non prevedono forme di pubblicità dotate di affidabilità commisurabile a quella del nostro Registro delle imprese.
Il trustee dovrà quindi fornire il documento probatorio della sua qualità, che il notaio dovrà valutare tenendo presente che ciò che conta è la valenza concettuale della documentazione e non i modi della sua manifestazione, legati alle specificità dei vari sistemi legali [nota 34].
Una volta conclusa la verifica della titolarità dell'ufficio in capo al trustee, occorrerà svolgere la seconda fase, relativa all'individuazione dei suoi poteri.
Viene immediatamente in considerazione, nella fattispecie, la questione dell'applicabilità al trustee dell'art. 54 r. not., a norma del quale «i notari non possono rogare contratti nei quali intervengano persone che non siano assistite od autorizzate in quel modo che è dalla legge espressamente stabilito, affinché esse possano in nome proprio od in quello dei loro rappresentanti giuridicamente obbligarsi».
Tradizionalmente la norma è stata ritenuta applicabile ai soli casi di rappresentanza e assistenza di soggetti incapaci o semi-incapaci; tuttavia è diffusa la tesi estensiva, che la ritiene applicabile anche ai casi di rappresentanza organica e volontaria [nota 35].
Sulla base della qualificazione della posizione del trustee come soggetto proprietario dei beni, sebbene nell'interesse altrui, la norma non dovrebbe trovare applicazione e quindi non sarebbero applicabili al trustee le norme previste in tema di procura o mandato e, a valle, la regola dell'art. 54 r. not.
Se ciò è vero in linea di principio, non è men vero che l'art. 54 r. not. è norma che costituisce un punto di riferimento generale per tutte le ipotesi in cui siano coinvolte questioni di legittimazione a disporre (in linea, del resto, con la tesi prevalente).
Pertanto, al di là della rara ipotesi in cui un soggetto intervenga in atto notarile senza disvelare la sua qualità di trustee, quando un soggetto si presenta di fronte al notaio quale trustee di uno specifico trust potrebbe trovare applicazione l'art. 54 r. not. sia pure con alcune precisazioni.
E' vero infatti che il trustee è proprietario dei beni e quindi, come già detto, in linea di principio dovrebbe agire senza dovere giustificare i propri poteri (salvo eventualmente dare prova di essere il trustee in carica in quel momento), al fine di evitare che gli eventuali limiti costituiscano un vincolo alla circolazione dei beni [nota 36]; tuttavia, tenuto conto del fatto che la qualità di trustee implica la titolarità di un ufficio in virtù del quale la proprietà di cui egli è titolare deve essere gestita in modo da soddisfare un interesse di soggetti terzi (nel caso di trust con beneficiari) o comunque un interesse che trascende la sfera giuridica personale del trustee (nel caso di trust di scopo [nota 37]), il notaio non può trascurare che il trustee è un proprietario che ha il potere di scambiare ricchezza ma non di distruggerla, con tutte le relative conseguenze con riferimento all'art. 54 r. not. [nota 38]
Può inoltre aggiungersi che non si tratta di valutare soltanto la posizione del trustee ma anche quella dei terzi che con lui contrattano.
Tenuto conto che molto spesso gli atti istitutivi di trust contengono clausole che variamente condizionano la "competenza" del trustee, anche indicando operazioni non implicanti responsabilità, è sicuramente da approfondire il ruolo che in tale vicenda debba svolgere il notaio, nel caso in cui il trustee abbia disvelato la propria qualità o il vincolo in trust risulti "rivelato" per il bene oggetto dell'atto, dal momento che al trustee, come chiarito, non possono applicarsi le norme in tema di rappresentanza, né volontaria né organica.
Autorevole dottrina inglese afferma che l'ipotetico acquirente dal trustee deve verificare quanto segue [nota 39]:
(a) chi è il proprietario dei beni;
(b) a che titolo egli è proprietario di tali beni;
(c) se ha il potere di alienare tali beni;
(d) se l'esercizio di tale potere può in futuro essere messo in discussione.
In linea generale, tuttavia, può affermarsi che le limitazioni ai poteri del trustee contenute nell'atto istitutivo di trust non saranno opponibili al terzo acquirente a titolo oneroso di buona fede, ferma restando la responsabilità del trustee secondo la legge regolatrice [nota 40]. Ciò pare essere testualmente confermato dall'art. 15, comma 1, lett. f, della conv. Aja, il quale prevede l'inderogabilità delle norme dell'ordinamento interno che proteggono i terzi che agiscono in buona fede.
(f) La natura dell'attribuzione al trustee e le formalità pubblicitarie da eseguirsi in Italia; in particolare la continuità delle trascrizioni
Verificata la legittimazione a disporre occorre porsi il problema della pubblicità dell'acquisto in capo al successore.
Il modo in cui sorge in capo al successore il diritto reale è disciplinato dal luogo di situazione del bene, per cui trattandosi di bene immobile sito in Italia, non si avrà acquisto se non dopo l'accettazione (espressa o tacita), anche se la legge successoria straniera non la esiga [nota 41].
La situazione, con riferimento al nostro caso si complica in dipendenza del fatto che uno dei beneficiari dell'attribuzione testamentaria è il trustee del trust istituito con il testamento. E ciò pone in evidenza il problema della qualificazione dell'acquisto da parte del trustee, cioè se esso avvenga a titolo di erede, di legatario ovvero se si tratti di un acquisto che, pur presentando elementi di affinità rispetto ai modi di acquisto tradizionali, sia in realtà un nuovo genus di acquisto mortis causa introdotto nel nostro ordinamento per effetto della ratifica della conv. Aja, avvicinabile, anzichè all'istituzione di erede o al legato, alla fattispecie della fondazione istituita per testamento [nota 42].
Il problema della qualificazione dell'acquisto da parte del trustee di un trust testamentario ha innumerevoli implicazioni, che non è possibile discutere in questa sede.
Non v'è dubbio, però, che qualunque posizione si assuma in merito a tale problema, il notaio dovrà procedere all'esecuzione delle necessarie formalità per dare pubblicità a tale acquisto nei registri immobiliari.
Sarà necessario, quindi, procedere all'intestazione dell'immobile al trustee prima di procedere al suo trasferimento al terzo. E la questione rileva anche ai fini della continuità delle trascrizioni disciplinata dall'art. 2650 c.c. che il notaio deve tendenzialmente assicurare, tanto più che, nel caso di specie, l'acquirente finanzierà l'acquisto tramite la stipulazione di un mutuo.
Non v'è dubbio, allora, che nel caso di specie occorrerà eseguire sia la trascrizione a nome del beneficiario in proprio che in favore dello stesso beneficiario in qualità di trustee del trust testamentario.
Qualora si aderisca alla tesi che vede nell'attribuzione mortis causa al trustee una fattispecie diversa dall'acquisto a titolo di erede o di legatario, essa dovrà essere eseguita, a nome del trustee, con l'indicazione del titolo (nel quadro A) come «acquisto in trust testamentario» ovvero «acquisto a titolo di trust testamentario» [nota 43].
Quanto al titolo in forza del quale dovrà essere eseguita la trascrizione, poiché nel caso esemplificato la legge applicabile è quella inglese, occorrerà prendere posizione in merito alla necessità della procedura di probate.
Qualora si ritenga che essa occorra anche per i beni posti al di fuori del Regno Unito il rispetto del principio imporrà l'esecuzione di due formalità pubblicitarie: una prima trascrizione dal defunto all'executor, effettuata sulla base del testamento, depositato in atto notarile come già sopra esposto; una seconda trascrizione dall'executor ai beneficiari effettuata sulla base dell'assent [nota 44].
Qualora, al contrario, si ritenga che per i beni posti al di fuori del Regno Unito non occorra il probate (né, conseguentemente, l'assent), la trascrizione dovrà avvenire contro il defunto e a favore del beneficiario in proprio e quale trustee del trust testamentario.
Il titolo in forza del quale si opererà la trascrizione in favore del beneficiario in proprio sarà l'accettazione di eredità o l'acquisto del legato, a seconda di come si qualifichi in diritto italiano l'attribuzione testamentaria in suo favore; l'acquisto in favore del trustee seguirà a seguito dell'accettazione dell'ufficio.
Per entrambi i soggetti pare possibile procedere anche alla trascrizione secondo le modalità di cui all'art. 2648, comma 3, c.c., che disciplina le modalità di trascrizione nei casi in cui il chiamato abbia compiuto uno degli atti che importano l'accettazione dell'eredità, nel nostro caso la vendita. Tale norma pare certamente applicabile al beneficiario in proprio e probabilmente estensibile in via estensiva o analogica al trustee, atteso che secondo la legge inglese l'accettazione dell'ufficio può avvenire anche per fatti concludenti.
Per ciò che riguarda le modalità di esecuzione della trascrizione la prassi ormai consolidata procede alla trascrizione dell'atto dispositivo di beni immobili dal disponente al trustee contro il disponente e a favore del trustee, indicando nel quadro "D" tutti gli elementi riguardanti il trust che si ritengono utili [nota 45].
Quanto all'ulteriore trascrizione, da eseguirsi "contro" il trustee [nota 46], al fine di potere opporre ai terzi il vincolo che affetta i beni in trust, essa si reputa necessaria - e la prassi è decisamente in tal senso - alla luce dell'insufficienza dell'indicazione della qualità di trustee dell'intestatario dei beni nel quadro D della nota di trascrizione, poiché detto quadro, la cui compilazione è peraltro facoltativa, secondo la tesi prevalente non è ritenuto idoneo a segnalare elementi dell'atto che producano gli effetti tipici della trascrizione [nota 47].
Potrebbe peraltro obiettarsi che distinguere, ai fini di opponibilità, tra i diversi "quadri" di cui è composta la nota di trascrizione [nota 48] appare operazione interpretativa forse da ripensare, anche alla luce del costante orientamento giurisprudenziale che ritiene opponibile ai terzi la "nota" e non specifici quadri di essa.
Sulla base di questo principio che potremmo definire di unitarietà della nota di trascrizione potrebbe ragionevolmente concludersi circa la sufficienza della sola trascrizione a favore del trustee, atteso che la lettura congiunta del quadro A e del quadro D non dovrebbe indurre alcuna incertezza sul rapporto giuridico cui si riferisce l'atto, così come si ricava dall'art. 2665 c.c., laddove per "rapporto giuridico" deve intendersi - nel caso del trust - quello che lega il soggetto ai beni. In altri termini pare difficile poter sostenere, in presenza della sola nota di trascrizione in favore del trustee, che un creditore personale di costui possa liberamente aggredire i beni in trust eccependo che il vincolo che affetta i beni gli è inopponibile per mancanza della trascrizione "contro". Né l'art. 2915 c.c. sembra decisivo per ritenere che l'unica modalità di trascrizione di vincoli afferenti i beni sia quella eseguita "contro" il proprietario, trattandosi di norma che non disciplina le modalità di trascrizione del vincolo ma solo la risoluzione del conflitto tra pignoramento e atto importante il vincolo di indisponibilità. La norma afferma, in altri termini, soltanto che nel conflitto tra pignoramento e vincolo prevale quest'ultimo solo se trascritto "anteriormente" e non solo se trascritto "anteriormente" e "contro". Quindi è possibile che vi siano dei casi - il trust è uno di questi, l'altro potrebbe essere l'atto di destinazione di cui all'art. 2645-ter, c.c. quando si costituisca mediante il trasferimento dei beni dal conferente al gestore - in cui non necessariamente la modalità di trascrizione del vincolo afferente i beni implica una trascrizione "contro" il titolare dei beni stessi.
Nel caso in cui sia assente la trascrizione contro il trustee l'individuazione dei beni suscettibili di aggressione da parte di un creditore personale del trustee stesso non può prescindere, a mio avviso, dallo stabilire come si qualifichi l'appartenenza dei beni in capo al soggetto. Affermare che i beni sono aggredibili da parte di un creditore personale del trustee solo perché dal quadro C della nota di trascrizione non emerge il titolo di appartenenza dei beni stessi in tale sua qualità, da un lato oblitera la rilevanza giuridica degli altri quadri, che ne costituiscono parte integrante come già sopra detto; in secondo luogo conduce ad interpretare l'art. 2740 c.c., laddove afferma che il debitore risponde delle proprie obbligazioni con tutti i "suoi" beni, senza tenere conto che la norma, come comunemente interpretata, è neutra al fine della soluzione della questione.
E' infatti certamente vero che i beni appartengono al trustee, ma gli appartengono in tale qualità e non "personalmente". I suoi creditori personali non possono aggredire i beni in trust in quanto gli sono pervenuti affetti da un vincolo di destinazione e quindi non sono beni "suoi", ai sensi dell'art. 2740 c.c., in quanto egli deve disporne secondo quanto previsto dall'atto di trust. Sarebbe quindi arbitrario leggere nel termine «i suoi beni», riferito al debitore, un richiamo alla nozione civilistica di proprietà; laddove il concetto di patrimonio, implicitamente presente nella norma, deve essere precisato e riempito di contenuto [nota 49].
Se allora si ammette che la funzione della trascrizione non è solo quella - tradizionale - di segnalare i mutamenti giuridici riguardanti beni ma anche vicende di essi che influiscono sul loro "statuto giuridico", se ne dovrebbe ulteriormente dedurre che, una volta "segnalata", con il mezzo della trascrizione, l'appartenenza dei beni ad un soggetto in qualità di trustee, da ricavarsi dall'esame complessivo della nota, l'ulteriore trascrizione "contro" non svolge alcun ruolo significativo sotto il profilo effettuale.
(g) Due possibili varianti del caso presentato
(*) Variante 1: il testatore Tizio è cittadino italiano residente in Inghilterra.
In questo caso, ipotizzando che sussista il requisito del doppio collegamento (residenza in Inghilterra sia al momento della redazione del testamento che al momento della morte) la questione interpretativa circa l'individuazione della legge applicabile alla successione del bene immobile sito in Italia, pur avendo il testatore effettuato l'espressa scelta della legge inglese quale legge regolatrice della successione, non muta di contenuto.
(*) Variante 2: il testatore Tizio è cittadino italiano residente in Inghilterra e sceglie la legge inglese quale legge regolatrice della sua successione. Il figlio Caio è residente in Italia.
In questo caso occorre considerare che, sebbene ai sensi dell'art. 46, comma 2, della L. 218/95, il testatore può scegliere qualunque legge per regolare la propria successione, tale scelta non pregiudica i diritti che la legge italiana riserva ai legittimari se questi, al momento della morte del testatore, sono residenti in Italia [nota 50].
La "stabilità" dell'acquisto da parte del terzo potrebbe quindi essere messa in discussione a seguito dell'esercizio dell'azione di riduzione delle disposizioni testamentarie e dell'azione di restituzione ex artt. 553 e ss., c.c. da parte di Caio, cui spetterebbe metà del patrimonio ai sensi dell'art. 537, comma 1, c.c. [nota 51]
Va comunque segnalato che l'applicazione della norma che fa salvi i diritti dei legittimari residenti in Italia, secondo la dottrina, solleva problemi di legittimità costituzionale per disparità di trattamento tra legittimari residenti e non residenti nonché di incompatibilità con il diritto comunitario in quanto pone in via indiretta un ostacolo alla libertà di circolazione delle persone, garantita dagli artt. 3 e 14 del trattato Ce [nota 52].
[nota 1] La clausola di regola utilizzata è la seguente: «I declare that this my will shall take effect in accordance with English Law».
[nota 2] Non importa, in questa sede, la nota distinzione tra beneficiari del reddito (o, meglio, delle utilità rivenienti dal trust) e beneficiari finali.
[nota 3] Visto il tenore dell'art. 13 della convenzione, per "trust interno" si intende, com'è noto, il trust che è fonte di un rapporto giuridico i cui "elementi significativi" (per tali dovendosi intendere sia - com'è pacifico - il luogo in cui i beni sono ubicati e quello in cui lo scopo del trust deve essere perseguito, sia - come parrebbe affermare la tesi prevalente - la cittadinanza e residenza del disponente e dei beneficiari: sulla questione v. amplius L. CONTALDI, Il trust nel diritto internazionale privato italiano, Milano, 2001, p. 156 e ss.; S. BARTOLI, Il trust, Milano, p. 599 e ss.) sono localizzati all'interno del nostro ordinamento ed i cui unici elementi di internazionalità sono quindi costituiti: a) indefettibilmente, dalla legge regolatrice del trust (essendo quest'ultima - per definizione - una legge straniera); b) eventualmente, anche dal luogo di amministrazione del trust e da quello di residenza abituale del trustee. L'espressione "trust interno" è stata coniata da Lupoi già all'indomani dell'entrata in vigore della convenzione (cfr. M. LUPOI, «Il trust nell'ordinamento giuridico italiano dopo la convenzione dell'Aja del 10 luglio 1985», in Vita not., 1992, p. 976; M. LUPOI, Introduzione ai trusts, Milano, 1994, p. 148 e ss.) ed è stata da egli ripresa anche in successivi lavori, fra cui la sua nota monografia (cfr. M. LUPOI, Trusts, Milano, 2001, p. 536).
[nota 4] Il Regno Unito ha ratificato tale convenzione, riservandosi tuttavia, ai sensi dell'art. 9 di essa, di determinare secondo la propria legge il luogo in cui il testatore ha il suo domicile. Il significato di domicile non è omologabile a quello del nostro "domicilio"; esso riguarda la permanent home e non si riferisce a un determinato luogo bensì all'intera giurisdizione del defunto (cfr. F. DE FRANCHIS, Dizionario giuridico inglese-italiano, Milano, 1984, p. 664 e ss.).
[nota 5] La scelta della legge deve essere espressa, quindi non può ricavarsi in via implicita o presunta.
[nota 6] V. nota 1.
[nota 7] House of Lords, European Union Committee, Sixth Report, The EU's Regulation on Succession, al seguente indirizzo web www.publications.parliament.uk/pa/ld200910/ldselect/ldeucom/75/7505.htm#a7, § 25.
[nota 8] In effetti parrebbe essere questa la conclusione corretta, alla luce della circostanza che nel diritto inglese il regime "scissionista" costituisce principio generale, non derogabile dall'autonomia privata.
[nota 9] Salvo che l'unico figlio del testatore fosse residente in Italia, nel qual caso verrebbe in gioco la questione della possibile lesione della sua quota legittima, che per la legge italiana è pari alla metà dell'eredità, mentre nel caso di specie egli è destinatario della sola quota di un terzo (tale eventualità costituisce una delle due "varianti" del caso presentato).
[nota 10] Nella relazione al regolamento si precisa che è stato accolto tale criterio di collegamento anziché quello della cittadinanza, in quanto coincidente con il centro degli interessi del defunto e spesso con il luogo in cui è situata la maggior parte dei suoi beni. Il collegamento in questo modo è più favorevole all'integrazione nello Stato membro di residenza abituale ed evita qualsiasi discriminazione nei confronti di coloro che vi risiedono senza averne la cittadinanza. Le norme di conflitto di numerosi Stati membri e tutti gli strumenti moderni, in particolare la convenzione de L'Aja del 1961, scelgono d'altronde la residenza abituale quale criterio di collegamento.
[nota 11] L'art. 2 conv., infatti, nel definire il trust si riferisce ai rapporti giuridici istituiti sia con atto tra vivi che mortis causa. Ad analogo risultato si giungerebbe anche se la legge regolatrice della successione fosse, limitatamente al bene immobile, quella italiana.
[nota 12] Nell'ambito dei sistemi di common law il principio della fragmentation of property determina l'assenza di successione universale. A ciò si aggiunge la specifica disciplina del probate, che pone problemi di coordinamento con gli ordinamenti di civil law. Su questi temi cfr. E. CALO', Dal probate al family trust», Milano, 1996.
[nota 13] In origine, mentre la trasmissione ereditaria seguiva regole diverse con riguardo alla personal property e alla real property, a seguito della riforma legislativa iniziata con il Land Transfer Act 1897 e proseguita poi con l'Administration of Estates Act del 1925, l'Intestates' Estates Act del 1952 e il Trust of Land and Appointment of Trustees Act del 1996, essa segue identiche regole.
[nota 14] Che è una divisione interna alla High Court of Justice.
[nota 15] Da non confondere con l'esecutore testamentario di matrice civilistica.
[nota 16] Con questo termine si designano sia l'executor eventualmente nominato dal testatore nel testamento sia l'administrator, nominato dalla Corte qualora non vi abbia provveduto il testatore.
[nota 17] Cfr. UNDERHILL-HAYTON, Law relating to trusts and trustees, Londra, 2003, p. 454-456. In giurisprudenza, per la necessità dell'assent cfr. Re King's Will Trusts (1964) 1 All ER 833; in senso contrario Re Cockburn (1957), 2 All ER 522.
[nota 18] Se nel caso di specie il testatore non avesse espressamente scelto la legge inglese, sulla base dell'attuale disciplina della successione nell'ambito di tale sistema giuridico, ai beni immobili si applicherebbe la lex rei sitae, per cui non pare dubbio che riguardo al bene immobile in Italia, essendo applicabile la legge italiana, il probate non parrebbe necessario.
[nota 19] Cass. 30 aprile 1955, n. 1217, in Giust. civ., 1955, p. 1868. E' da segnalare, inoltre, Cass. 13 aprile 1959, n. 1089, in Giur. it., 1960, I, 1, p. 558, con nota di CORMIO, secondo cui la procedura del probate riverbera i suoi effetti anche all'estero, nonché la recente Cass. 9 maggio 1994, n. 4477, in Nuova giur. civ. comm., I, p. 497 con nota di BIASINI, secondo cui il procedimento di probate potrebbe essere instaurato in una giurisdizione di common law ancorchè la successione si sia aperta all'estero e non vi siano beni relitti in tale giurisdizione e che essa attribuisce al testamento la natura di atto pubblico (nella fattispecie si trattava di una procedura di probate svoltasi negli Stati Uniti d'America). In dottrina cfr. E. CALO', «Probate ed attribuzioni mortis causa», in Notariato, 2007, p. 177, il quale cita G.M. PALLICCIA, Testamento e "probate" nei paesi anglosassoni, con particolare riguardo al diritto internazionale privato e ai beni di italiani, Torino, 1935, p. 41.
[nota 20] Occorre chiedersi, inoltre, se alla procedura di probate sia applicabile l'art. 29 del regolamento, il quale prevede che «le decisioni emesse in applicazione del presente regolamento sono riconosciute negli altri Stati membri senza che siano necessari ulteriori procedimenti». Da un lato, sembrerebbe che il probate possa essere ricondotto all'ambito delle "decisioni", secondo l'ampia definizione contenuta nell'art. 2, lett. g, del regolamento, che contiene un'indicazione di provvedimenti che parrebbe essere esemplificativa; da altro angolo visuale, tuttavia, potrebbe osservarsi che il probate non è una decisione emessa «in applicazione del regolamento», in quanto il regolamento stesso, all'art. 21, comma 2, lettera a, parrebbe espressamente escludere il probate stesso dal suo ambito applicativo.
[nota 21] Si è usato il termine "beneficiario" in ragione del fatto che, come già detto, in diritto inglese è assente la nozione di successione a titolo universale. Nondimeno, con riferimento al bene immobile sito in Italia, cui si applica la legge italiana, Caio dovrà essere qualificato quale erede o legatario, secondo quanto emerge dalla lettura del testamento.
[nota 22] Secondo Trib. Lucca, 23 settembre 1997, in Foro it., 1998, c. 2007, con nota di BRUNETTI e c. 3391, con nota di M. LUPOI, anche in mancanza di probate è possibile far derivare da elementi di fatto oggettivamente sintomatici la prova che il testamento è immune da vizi secondo la lex loci (nella specie si trattava di un testamento redatto negli Stati Uniti d'America.
[nota 23] La disciplina del certificato successorio europeo è contenuta negli articoli da 36 a 44 del regolamento.
[nota 24] Nel caso esemplificato si applica invece la legge inglese, attesa l'espressa scelta di questa da parte del testatore.
[nota 25] Ai sensi dell'art. 16, infatti, la legge applicabile alla successione sarà quella dello Stato in cui il defunto aveva la residenza abituale al momento della morte.
[nota 26] L'analisi di questi aspetti, con riferimento al caso presentato, sarà oggetto del § (f) del presente scritto.
[nota 27] Cfr. Cass. 24 giugno 1996, n. 5832, in Nuova giur. civ. comm., 1997, I, p. 167 e ss.
[nota 28] La dottrina ritiene che tale norma si applichi «alle sole ipotesi nelle quali l'art. 15 interviene al fine di rendere possibile un coordinamento fra le diverse leggi richiamate dalle norme di conflitto», sì da «permettere al giudice di ricercare una soluzione equilibrata nelle situazioni nelle quali un'applicazione incondizionata e cumulativa di norme desunte da ordinamenti differenti condurrebbe ad un risultato incongruo sul piano della regolamentazione materiale del rapporto» (L. CONTALDI, Il trust..., cit., p. 215).
[nota 29] L'assent è necessario, ricordiamo, anche nel caso in cui l'executor coincida con il beneficiario del testamento e anche se vi sia coincidenza tra executor e trustee. In tale ultimo caso, pertanto, l'executor dovrà procedere alla stipula dell'assent (in forma scritta per i beni immobili) in favore di sé stesso quale trustee (cfr. HAYTON & MARSHALL, Commentaire and Cases on The Law of Trusts and Equitable Remedies, Londra, 2001, p. 60).
[nota 30] Qualora si ritenga che l'attribuzione al trustee di un trust testamentario non sia qualificabile né come istituzione di erede né come disposizione a titolo di legato. Sul punto ci si intratterrà brevemente in seguito.
[nota 31] Sulla questione cfr. S. TONDO, Ambientazione del trust nel nostro ordinamento e controllo notarile sul trustee, in AA.VV., I trusts in italia oggi, Milano, 1996, p. 198 e ss.; e in Studi e Materiali, Milano, 1998, 5.2, p. 869; S. BARTOLI, Il trust, cit., p. 783 e ss.
[nota 32] Sui problemi di forma degli atti provenienti dall'estero cfr. la successiva nt. 44.
[nota 33] Occorre considerare, inoltre, che l'atto istitutivo potrebbe contenere anche la nomina di un guardiano (protector), e la titolarità in capo a costui di poteri decisionali in merito al compimento di certi atti da parte del trustee. Le difficoltà di individuazione della titolarità dell'ufficio in capo al trustee sono analoghe anche con riferimento alla titolarità dell'ufficio in capo al guardiano.
[nota 34] In termini cfr. C. LICINI, «La rappresentanza di società estera», in Riv. not., 1995, p. 35.
[nota 35] Cfr. S. TONDO, «Controllo notarile sui presupposti dell'atto negoziale», in Studi e Materiali, Milano, 1986, 1, p. 368 e ss.; G. CASU, «Funzione notarile e controllo di legalità», in Riv. not., 1998, p. 561 e ss.
[nota 36] Molte leggi del modello internazione dispongono in tal senso. Ad es. la recente legge sul trust emanata dalla Repubblica di San Marino (L. 1 marzo 2010, n. 42), all'art. 31 dispone espressamente che «Il trustee esercita sui beni in trust tutti i poteri spettanti al titolare del diritto, salve le limitazioni risultanti nel Registro dei trust».
[nota 37] Cfr. S. BARTOLI, Il trust, cit., p. 785; S. TONDO, Ambientazione..., cit., p. 199.
[nota 38] Per fare un esempio attuale: in caso di alienazione posta in essere dal trustee con simulazione del prezzo e occultamento del reale corrispettivo comporta per la controparte, e per il notaio se conosciuta, il concorso in truffa nei confronti dei beneficiari del trust: Del resto questo rischio è analogo in tutti i casi (amministratore di società o procuratore) in cui una persona agisce nell'interesse altrui.
[nota 39] MATTHEWS - SOWDEN, The Jersey Law of Trusts, Londra, 1993, p. 121.
[nota 40] Cfr. S. TONDO, Ambientazione..., cit., p. 885.
[nota 41] Il progetto di regolamento interviene su questo profilo con due norme, l'art. 21, comma 1, il quale rinvia alla legge del luogo in cui è situato il bene, qualora essa prescriva, per l'accettazione dell'eredità o di un legato, ulteriori adempimenti rispetto a quelli previsti dalla legge applicabile alla successione; nonché l'art. 1, comma 3, lettera j, che esclude dall'ambito di applicazione del regolamento la natura dei diritti reali sui beni e la pubblicità di tali diritti.
[nota 42] Il tema è approfondito da S. BARTOLI, «Il problema della natura dell'attribuzione mortis causa al trustee di un trust testamentario: osservazioni a margine della recente trascrizione in Italia di un trust testamentario inglese», in Trusts, 2004, p. 58 e ss. e p. 179 e ss., il quale appunto conclude la propria indagine individuando nella fattispecie del trust testamentario un quartum genus di operazione negoziale mortis causa, a fianco delle attribuzioni mortis causa tradizionali (istituzione di erede, legato e fondazione costituita per testamento). L'irriducibilità della fondazione costituita per testamento all'istituzione di erede e al legato è stata affermata da Cass. 8 ottobre 2008, n. 28413, in Nuova giur. civ. comm., 2009, p. 411, con nota di LA MARCA. Secondo tale sentenza l'atto di fondazione realizza un contenuto atipico del testamento, che ha in comune con l'istituzione di erede e con il legato di costituire un atto a titolo gratuito, con la conseguenza della sua assoggettabilità alle norme relative alla riduzione delle disposizioni lesive della legittima e a quelle relative all'azione di separazione dei beni di cui all'art. 512 c.c. spettanti ai creditori del de cuius, ma non a quelle dell'accettazione con beneficio d'inventario, non versandosi in materia di istituzione di erede o legato. Sulla sentenza cfr. anche il commento di D'AURIA, «Sull'atipicità dell'atto d fondazione istituita per testamento», in Riv. dir. civ., 2009, p. 737.
[nota 43] E' irrilevante, sotto questo profilo, che il trust in questione sia un trust "estero" e non "interno" e che la successione sia regolata dal diritto inglese. Ciò in quanto stabilire come si qualifichi l'acquisto ereditario del trustee è necessario ai fini pubblicitari, regolati dal diritto italiano.
[nota 44] L'eventuale necessità di tale trascrizione pone interessanti questioni. In primo luogo un problema di forma, poiché l'art. 2657 c.c. impone l'atto pubblico o la scrittura privata autenticata per dare ingresso alla trascrizione nei registri immobiliari ed è noto come negli ordinamenti di common law non esista il concetto di atto pubblico o scrittura privata come da noi inteso. Da ciò la necessità di valutare l'idoneità di tale atto a tali fini. Discutere di tale problema in questa sede non è immaginabile. Sul punto è inevitabile il rinvio a P. PASQUALIS, «Gli atti pubblici provenienti dall'estero», in Gli atti provenienti dall'estero, I Quaderni della Fondazione Italiana per il Notariato, 2007, p. 29; D. OCKL, «Le scritture private autenticate provenienti dall'estero», in Gli atti provenienti dall'estero, I Quaderni della Fondazione Italiana per il Notariato, 2007, p. 35; nonché, per una critica alle posizioni di tali autori - fautori del c.d. principio di equivalenza, in forza del quale un atto proveniente dall'estero potrà dirsi "equivalente" all'atto pubblico o alla scrittura privata autenticata italiani solo se esso presenti determinati requisiti minimi in relazione alla funzione che esso deve svolgere e ai valori che intende proteggere - A. CHIANALE, «La forma degli atti autentici stranieri», in Riv. not., 2008, p. 39 e ss. In secondo luogo, trattandosi di atto tra vivi, occorre chiedersi se rispetto a esso debbano essere rispettate le norme che impongono al notaio il divieto di ricevere atti di trasferimento aventi a oggetto immobili abusivi. Com'è noto tali norme sono ritenute di applicazione necessaria e quindi devono essere rispettate anche nel caso in cui l'atto portante il trasferimento immobiliare venga formato all'estero. Tuttavia, con riferimento al caso di specie, tale conclusione potrebbe ritenersi affrettata, in quanto se è pur vero che l'assent è atto tra vivi non è men vero che esso si inserisce nell'ambito di una procedura che trae origine da un atto mortis causa, rispetto al quale le norme in materia urbanistico-edilizia non trovano applicazione. In altri termini l'assent parrebbe doversi apprezzare come atto inserito nell'ambito di una vicenda circolatoria il cui esito finale non è la fuoriuscita del bene dalla sfera giuridica del beneficiario (sia esso o meno il trustee) ma solo il termine finale di una vicenda traslativa originatasi da un atto mortis causa cui esso, sotto il profilo causale, dovrebbe ricondursi. E' tema che indubbiamente non può essere adeguatamente sviluppato in questa sede e che, in ogni caso, presuppone risolto in termini affermativi il quesito circa la necessità o meno della procedura di probate per i beni posti al di fuori del Regno Unito.
[nota 45] Nel quadro A della nota potrà indicarsi l'atto come "Costituzione in trust di beni immobili" oppure "Trasferimento di immobili al trustee del "Trust XY". La natura dell'atto è quella di cessione di diritti reali a titolo gratuito.
[nota 46] Analogamente, in materia di atto di destinazione ex art. 2645-ter, c.c., laddove questo si perfezioni senza trasferimento ad un gestore, l'Agenzia del territorio prevede quale modalità di trascrizione del vincolo la sola trascrizione "contro" il c.d. conferente (cfr. circolare n. 7 del 2006). La legittimità della trascrizione solo "contro" può ricavarsi anche dall'art. 2647 c.c., secondo il quale devono essere trascritti gli atti costitutivi di fondo patrimoniale "a carico" (= "contro") dei coniugi titolari del fondo patrimoniale; e dall'art. 2447-quinquies, comma 2, c.c., in materia di patrimoni destinati costituiti da società per azioni, che si esprime in termini di «destinazione allo specifico affare ... trascritta nei rispettivi registri». Pare evidente che, anche in questo caso, non potrà che procedersi ad una trascrizione esclusivamente "contro" la società costituente il patrimonio destinato, unico modo per fare emergere nei confronti dei terzi l'esistenza del vincolo di destinazione.
[nota 47] Cfr. A. ETTORRE - S. IUDICA, La pubblicità immobiliare e il testo unico dell'imposte ipotecaria e catastale, Milano, 2007, p. 178-179. Argomenta dall'art. 2915 c.c. che prevede che non hanno effetto in pregiudizio del creditore pignorante gli atti che importano vincoli di indisponibilità, se non sono stati trascritti prima del pignoramento, quando hanno per oggetto beni immobili, per ritenere necessaria tale seconda trascrizione, U. LA PORTA, I "formanti dell'ordinamento giuridico", il diritto anglosassone e l'iperuranio (Piccola e gioiosa reazione ad un articolo di Francesco Gazzoni su trust e trascrizione), in Studi in onore di Piero Schlesinger, tomo I, Milano, 2004, p. 115 e ss. Sul punto può osservarsi che l'espressione "vincoli di indisponibilità" non va a mio avviso interpretata letteralmente, come se implicasse che, tutte le volte che un trust viene istituito, i beni non siano alienabili (e quindi, in tal senso, "indisponibili") ma come vincolo di "destinazione" afferente alla proprietà appartenente al trustee. In tal senso l'indisponibilità andrebbe intesa come divieto di distogliere i beni dalla finalità alla cui realizzazione sono stati destinati e, in tale prospettiva, trasferiti al trustee.
[nota 48] La nota di trascrizione, a seguito della c.d. meccanizzazione dei registri immobiliari, è oggi composta di quattro quadri: il quadro A, contenente gli elementi identificativi dell'atto da trascriversi, il quadro B, contenente gli elementi identificativi degli immobili; il quadro C, contenenente gli elementi identificativi dei soggetti; e infine il quadro D, contenente altri aspetti dell'atto che si ritiene opportuno pubblicare.
[nota 49] Cfr. P.G. JAEGER, La separazione del patrimonio fiduciario nel fallimento, Milano, 1969, in relazione al rilievo secondo cui l'art. 2740 c.c. avrebbe fatto ostacolo al riconoscimento delle ragioni del fiduciante nel caso di fallimento del fiduciario o di esecuzione forzata dei creditori sui suoi beni il quale scriveva, appunto: «(ma introduciamo quest'ultima osservazione solo per completezza, perché ci sembra impossibile che qualcuno possa seriamente avanzare un simile argomento) è evidente che il principio dell'art. 2740 c.c. è del tutto neutro ai fini della soluzione della questione. Sarebbe quanto mai arbitrario leggere nel termine "i suoi beni", riferito al debitore, un richiamo alla nozione civilistica di proprietà; laddove il concetto di patrimonio, implicitamente presente nella norma, deve essere precisato e riempito di contenuto». Ma v. anche M. GRAZIADEI, Trust nel diritto anglo-americano, in Dig., disc. priv., sez. comm., XVI, Torino, s.d. ma 1999, p. 256, spec. p. 265: «il punto è un altro: si tratta di sapere quali sono i beni del debitore su cui i creditori hanno diritto di soddisfarsi poiché l'art. 2740 c.c. è del tutto neutro al riguardo», nonché, prima ancora, R. SACCO, Il potere di procedere in via surrogatoria. Parte generale, Torino, 1955, p. 84: «il concetto basilare della responsabilità patrimoniale è perfettamente compatibile con una definizione massima o minima (quantitativa, qualitativa e cronologica) dell'ambito dei beni coinvolti in questa responsabilità. La stessa formulazione dell'art. 2740 c.c. è inidonea a risolvere questi primi problemi, relativi all'oggetto della responsabilità».
[nota 50] Il diritto inglese, invece, non prevede l'istituto della legittima, ma solo i correttivi previsti dall'Inheritance (Provision for Family and Dependants) Act 1975 per il caso in cui tali soggetti si trovino in stato di bisogno. Per una sintesi cfr. E. CALO', «Probate ed attribuzioni mortis causa», in Notariato, 2007, p. 178, nt. 106.
[nota 51] Nel caso di specie invece il testatore ha attribuito a Caio solo un terzo mentre i residui due terzi li ha attribuiti al trustee del trust testamentario i cui beneficiari sono i figli di Caio (= nipoti di Tizio).
[nota 52] Cfr. F. TROMBETTA PANIGADI, La successione nel diritto internazionale privato, in Trattato di diritto delle successioni e donazioni diretto da Bonilini, Milano, 2009, p. 226-227, peraltro sulla scia della dottrina prevalente.
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