L'atto pubblico aggiudicativo
L'atto pubblico aggiudicativo
di Mauro Orlandi
Ordinario di Istituzioni di Diritto Privato Università degli Studi di Roma "Tor Vergata"
I poteri del pubblico ufficiale
La materia delle c.d. aste private appare segnata da un intreccio di profili pubblicistici e privatistici, i quali esigono un ordine ricostruttivo.
Vengono in rilievo tre spunti d'interesse:
a. La rilevanza giuridica dell'atto notarile di "gestione" e "documentazione" dell'asta;
b. La figura dell'aggiudicatario ed il concetto di parte;
c. La compatibilità tra principi di diritto pubblico e di diritto privato nelle aste per la dismissione dei patrimoni cartolarizzati o comunque ceduti a società pubbliche di gestione (caso Scip).
Muoviamo dal primo.
L'asta privata implica il delicato problema dei c.d. interessi legittimi privati, suscitato dal concorso di più soggetti nell'offerta o - più latamente - nella manifestazione d'interesse con riguardo all'acquisto del medesimo bene immobile. Se dunque il notaio è solitamente chiamato - ancorché; la forma pubblica non sia prevista ad substantiam actus - a custodire attraverso la solennità e certezza dell'atto pubblico gli effetti traslativi del negozio e la trasparenza dello scambio, i procedimenti concorsuali privati di aggiudicazione parrebbero a maggior forza interrogare il professionista della pubblica fede.
L'atto pubblico aggiudicativo si presenta così all'osservatore esterno quale strumento elettivo di razionale gestione giuridica degli interessi sottesi alle procedure d'asta. Esso in particolare implica una triplice e specifica rilevanza: esso rappresenta - nella trasparenza dell'ètimo: riporta al presente - con forza di piena prova i fatti e le cose descritti dall'ufficiale (efficacia probatoria); esso determina nel modo più rigoroso il bene oggetto della procedura, offrendo ai partecipanti una precisione ricostruttiva ed una trasparenza esigibili soltanto dalla figura notarile (efficacia sostanziale); esso implica la responsabilità tipica del pubblico ufficiale e del professionista certificatore.
Sotto questa luce, si aprono i non nuovi problemi dei limiti della competenza notarile, con particolare riguardo ai c.d. atti pubblici constatativi: se cioè sia dato al notaio di conferire pubblica fede ad atti non negoziali, i quali siano redatti in assenza di "parti" (del negozio) nel senso stretto e proprio.
Atto pubblico non dispositivo?
Non nuovo il dibattito intorno all'ammissibilità di un atto pubblico non dispositivo, il quale abbia cioè riguardo a dichiarazioni non dispositive delle parti.
La soluzione negativa parrebbe poggiare su un equivoco di fondo, il quale merita di essere ragionato. Che la pubblica fede conferita al notaro e da questi esercitata nella redazione degli atti si rivolga a negozi dispositivi e così esiga un atto negoziale attraverso cui la parte decida di disporre di propri diritti o situazioni giuridiche.
Sicché; sfuggirebbero alla competenza notarile - e così alla suscettibilità di pubblica fede - tutti gli atti non dispositivi, i cui effetti cioè non dipendano cioè dalla volontà delle parti [nota 1].
Non estranea a questa dottrina dev'essere l'elegante formula dell'art. 47 della legge notarile, secondo cui «spetta al notaro soltanto d'indagare la volontà delle parti e dirigere personalmente la compilazione integrale dell'atto». Dove dunque la volontà non c'è, o comunque non sia determinate nella conformazione degli effetti negoziali, ecco venire meno l'intervento notarile e così la possibilità giuridica di conferire pubblica fede ad un mero atto.
Deve muoversi in primo luogo dalla fonte generale dell'ufficio pubblico notarile, ossia dall'art. 1 della legge istitutiva, a tenore del quale «i notari sono ufficiali pubblici istituiti per ricevere gli atti tra vivi e di ultima volontà, attribuire loro pubblica fede, conservarne il deposito, rilasciarne le copie i certificati e gli estratti». Il notaio non è qui configurato quale inquisitore della volontà negoziale, ma come il soggetto che "riceve atti". L'atto accade dinanzi al notaio, il quale descrive e dichiara la realtà storica della quale egli è testimone privilegiato. Tutto il diritto si svolge nella incessante dinamica verticale fatto-effetto, sicché; esso è perennemente proteso alla ricerca storiografica del fatto al cui accadere sono ricollegati determinati effetti. Il giudice è in primo luogo uno storico, ricercatore di mezzi di rappresentazione che riportino al suo proprio presente i fatti assenti e così permettano un giudizio di esistenza e di accertamento dei diritti. La rappresentazione dei fatti è il primo e imprescindibile compito di ogni giudice, per il quale è apprestato un complesso e variegato spettro di mezzi illativi e descrittivi. Il processo è in primo luogo conquista di verità storica, la quale è destinata nella sequenza procedimentale alla fissazione del giudicato.
Segue: prova storica e prova critica
La ricezione degli atti si spiega in tale elementare e profondo bisogno di certezza, che per il diritto è bisogno di fondamento rappresentativo. La ricezione notarile degli atti è fenomeno teleologicamente orientato, il quale volge all'attribuzione di pubblica fede e così suscita l'affidamento della comunità.
La ricezione appare qui come il complesso delle circostanze dell'atto, di tutto ciò che sta intorno ad esso e del quale il notaio attesta la sostanza storica e la conformità giuridica. La pubblica fede è prima di tutto fiducia nella rappresentazione notarile del contesto in cui l'atto è ricevuto, e dal quale esso può essere sostenuto e spiegato.
Tutto il diritto è intriso del problema probatorio. Di rappresentare - e riportare così al presente dell'osservatore - fatti e cose assenti perché; lontani nello spazio o nel tempo. Il criterio rappresentativo di un fatto assente può essere duplice: un criterio logico-linguistico, secondo cui l'idea del fatto è ricavata da un testo narrativo (prova storica); un criterio logico-illativo, secondo cui tale idea è ricavata mediante applicazione di una regola di esperienza {dall'impronta digitale si risale alla persona, applicando la regola che esclude la possibilità di due impronte digitali identiche [nota 2]} (prova critica).
L'atto del rappresentare si volge verso il passato, riesumandone un fatto e rappresentandolo alla coscienza del dichiarante e dei terzi. I fatti durano il breve spazio del proprio accadere e subito scompaiono dal nostro orizzonte; la ricostruzione storiografica non è la ricerca del fatto, il quale non è in nessun luogo, ma la ricostruzione attraverso gli avanzi o le tracce della sua esistenza. Ecco la necessità di rappresentare per sapere; di apprendere dalla narrazione del soggetto, compresente allo svolgimento storico del fatto.
L'art. 1 della legge notarile offre la disciplina della prova storica privilegiata, alla quale sola esso conferisce pubblica fede. La prova storica, conseguita attraverso l'intervento di un ufficiale competente e responsabile conquista il proprio primato; essa non è affidata all'illazione presuntiva dell'indagine ex post, alla empirica collocazione delle tracce in uno spettro di ipotesi indiziarie, ma alla presa di posizione contestuale e contemporanea, netta ed espressa di un pubblico ufficiale, il quale narra e valuta gli atti che accadono dinanzi a lui e che perciò stesso egli riceve personalmente.
L'art. 1 dichiara così la propria ratio: di conferire un primato giuridico alla prova storica notarile, attribuendole pubblica fede.
Ricostruito come prova storica privilegiata, cade ogni pregiudiziale diffidenza verso l'atto pubblico non negoziale, con tale intendendosi l'atto che descrive fatti o atti non immediatamente dispositivi delle parti. Nulla impedisce - e si direbbe che l'art. 1 addirittura impone - al notaio di ricevere l'atto di aggiudicazione per documento pubblico, che significa descrivere nel testo la sequenza di atti e di fatti che formano il processo aggiudicativo. Ed anzi proprio la necessaria rilevanza meta-individuale di tale processo acuisce il bisogno di certezza e di rigore al fine di garantire un ordinato e netto svolgimento dell'asta.
Effetti dell'aggiudicazione e concetto di parte
La ricostruzione degli effetti sostanziali implicati dall'atto pubblico aggiudicativo dipende dalla configurazione che voglia preferirsi con riguardo agli atti di partecipazione dei privati. Le possibili ricostruzioni - analiticamente descritte e ricostruite nelle relazioni che seguono - sono diverse e lontane, e possono ordinarsi in quattro categorie:
· teoria dell'offerta al pubblico da parte del proprietario del bene, secondo la disciplina dell'art. 1336 c.c., in forza della quale implicando accettazione della proposta l'aggiudicazione determinerebbe la conclusione di un contratto;
· teoria della promessa al pubblico, secondo la disciplina dell'art. 1989 c.c., che implicherebbe il diritto dell'aggiudicatario di stipulare un contratto;
· teoria del c.d. "invito ad offrire", sicché; l'aggiudicatario formula una proposta che il proprietario si riserva di accettare; invito ad offrire da parte del venditore ed offerta di acquisto, ovvero di promessa di acquisto
· teoria dell'opzione aperta o condizionata (molto vicina alla precedente), secondo cui il proprietario o banditore è titolare di un diritto potestativo di accettare l'offerta formulata dall'aggiudicatario.
E' facile intuire come in ragione della ricostruzione preferibile si faccia luogo a discipline giuridiche diverse. Si pensi soltanto al profilo della responsabilità del banditore e del proprietario, ed all'applicabilità della tutela in forma specifica degli obblighi di contrarre (art. 2932 c.c.). Come pure alla configurabilità di una responsabilità c.d. da contatto per legittimo affidamento sulla stipulazione definitiva. Giova sul punto rinviare alle relazioni di seguito pubblicate.
Per ciò che qui rileva, quale che sia la ricostruzione preferibile la parte privata compie un atto giuridico volontario. Non importa che esso determini immediatamente il trasferimento ovvero implichi il diritto al trasferimento; o ancora che esso debba qualificarsi come proposta od offerta. Rimane la rilevanza giuridica dell'atto, che esprime il medesimo bisogno di certezza a prescindere dagli effetti traslativi o obbligatori che a tale atto siano da collegare.
Quando si dubita addirittura della giuridica esistenza di una parte dell'atto aggiudicativo, si da al lemma "parte" un significato parziale e difettoso.
Il problema del giurista è quello dello storico s'intrecciano nel comune bisogno di risalire nel tempo alla ricostruzione del fatto, nel quale pure si trova il singolo soggetto dell'azione. Raggiunta tale ricostruzione, si pone l'ulteriore fase della rilevanza, e, per quanto qui interessa, della identificazione dell'autore materiale dell'atto e del destinatario degli effetti. Il diritto non si applica a fatti e persone fuori del tempo, ma a fatti e persone della storia [nota 3]; gli oggettivi accadimenti, come pure le singole persone, risultano alla coscienza valutativa ab externo [nota 4] e richiedono un giudizio d'imputazione, vòlto ad identificare il concreto soggetto dell'azione e degli effetti.
Dato ad una forma, qualsiasi testo implica la distanza dal soggetto formante ed il problema dell'imputazione. La dichiarazione attraverso l'espressione di un testo rimane soltanto come fatto del passato; essa, cioè, non è più il soggetto che parla o che scrive [nota 5], ma il prodotto di quel parlare o di quello scrivere, rispetto al quale l'originario autore è lontano ed assente. Il problema dell'imputazione nasce con il distacco del dichiarato dal dichiarante, e con l'autonoma ed indipendente circolazione del testo.
L'intrinseca bivalenza del testo, il quale non soltanto partecipa della consistenza fisica dei fatti, ma anche della attitudine simbologica dei segni, implica una duplice riferibilità: un nesso materiale tra gesto della persona e risultato fisico (ad esempio il rapporto eziologico tra lo scrivere e lo scritto); un nesso immateriale tra segno e significato (sicché; il testo della dichiarazione designa uno o più soggetti come autori o come parti).
Il profilo soggettivo degli atti giuridici si presta come esemplare terreno di prova. Per poco che si ragioni, la relazione tra soggetto e atto si presenta diversamente, a seconda della prospettiva. Così, come già segnalato dalla dottrina, l'atto è suscettibile di un triplice punto di osservazione:
a. l'autore materiale, colui che pone il dato sensibile della dichiarazione: potremmo esprimere questo nesso come imputazione del testo;
b. il contraente, che compie la scelta, al quale si riferisce l'imputazione dell'atto [nota 6];
c. la parte, titolare degli effetti [nota 7], sicché; possiamo parlare di imputazione del rapporto.
I tre termini dell'imputazione possono coincidere nel medesimo soggetto, oppure divergere; in ogni caso, viene in rilievo la necessità dell'individuazione, cioè del riferimento del singolo profilo oggettivo ad una concreta persona fisica.
Nel nostro caso, l'aggiudicatario è parte dell'atto (di offerta o accettazione che sia), come pure parte del rapporto. Gli effetti traslativi o dispositivi, differiti al tempo della stipulazione del contratto di vendita, non precludono al soggetto aggiudicatario la qualifica formale di parte. Non ha senso per questa via negare l'esistenza di una parte in senso proprio. La formulazione dell'offerta o dell'accettazione (secondo la ricostruzione che vorrà preferirsi) sono sempre atti giuridici posti in essere da un soggetto, autore e parte; e ad essi seguono effetti, imputati giuridicamente alla parte. La qualità reale o obbligatoria dell'effetto o il suo contenuto non possono incidere per logica necessità sull'imputazione di esso, ossia sulla sua riferibilità ad un concreto soggetto che perciò stesso chiameremo parte.
Anche sotto questo riguardo l'atto pubblico di aggiudicazione farà piena prova delle dichiarazioni della parte, avvenute dinanzi al notaro.
Le c.d. cartolarizzazioni. Il caso Scip
Appare utile fare un cenno all'esperienza della c.d. cartolarizzazioni e delle conseguenti "rivendite" (termine coniato dalla legge 23 novembre 2001, n. 410) da parte delle società pubbliche di gestione.
La singolarità della disciplina giuridica delle aste sui beni del patrimonio disponibile pubblico, affidata ad un Decreto ministeriale (regolamentare?). Il quale, delle due l'una: o cade sulla materia già disciplinata dal solenne R.D. 23 maggio 1924 n. 827, ed allora per il principio di gerarchia sarà incapace di efficacia derogatoria; oppure ha riguardo ad un rapporto tra privati (la società di gestione e i partecipanti all'asta), ed allora dovrà conformarsi alla norme privatistiche generali.
In ogni caso, l'ammissibilità di un processo verbale per atto pubblico delle attività d'asta parrebbe agevolata dall'art. 4 dell'All. 4 al D.m. 10 dicembre 2001 [nota 8]. Combinandosi con l'art. 1 n. 4 lett. c della legge notarile [nota 9], tale disposizione parrebbe tipicamente ammettere l'atto pubblico aggiudicativo nelle aste di dismissione dei beni pubblici.
Curiosamente (e problematicamente) alcuni Enti proprietari pubblicano bandi nei quali è escluso un diritto soggettivo perfetto dell'aggiudicatario alla stipulazione del contratto [nota 10]. Codesta esclusione parrebbe contrastare non solo con l'art. 88 del R.D. 23 maggio 1924, n. 827 [nota 11] (la cui applicabilità non sembra certa), bensì con lo stesso art. 5 del D.m. 10 dicembre 2001 [nota 12], il quale parrebbe implicare l'obbligo della stipulazione traslativa a favore dell'aggiudicatario. In altre parole, nelle dismissioni di beni pubblici l'atto pubblico aggiudicativo non sembra conferire - secondo alcuni disciplinari d'asta - il diritto alla stipulazione previsto dalla disciplina generale relativa ai beni dello Stato. E ciò non ostante, il decreto ministeriale non dubita della necessità dell'intervento notarile, in coerenza ed a conferma (labile conferma, dovremo pur ammettere) della generale ammissibilità di un atto pubblico di aggiudicazione.
[nota 1] V. R. TIROLA, «Atti di istruzione preventiva e contrarietà all'ordine pubblico», in Riv. not., 1972, p. 1320. Sul punto da leggere G. CASU, «Dimissione del patrimonio pubblico e verbale d'asta», Studio n. 4116, a cura della Commissione studi civilistici del Notariato.
[nota 2] In Teoria del falso, Padova, 1933, p. 10, il CARNELUTTI distingue tra rappresentazione ed indicazione: «... il fatto rappresentativo costituisce un equivalente del fatto rappresentato e così lo fa presente in quanto determina sensazioni analoghe mentre il fatto semplicemente indicativo si ricollega al fatto indicato attraverso il raziocinio: se io mostro il ritratto di una persona la rappresento, se ne pronunzio il nome la indico; invero le sensazioni suscitate dal nome non equivalgono punto a quelle determinate dalla persona ma servono, per le vie dell'esperienza e così dell'intelligenza, a richiamarle». Distinzione che parrebbe metter capo all'altra, tra prova diretta (basata sulla semplice percezione del fatto) e prova indiretta (basata sulla percezione di un altro fatto, che lascia inferire il fatto da provare: F. CARNELUTTI, La prova civile, Milano, 1916, p. 67. V. pure L. CARRARO, Il diritto sul documento, Padova, 1941, p. 7-8. Cfr., inoltre, V. ANDRIOLI, voce Prova, dir. proc. civ., in Noviss. dig. it., XIV, Torino, 1967, p. 268. Sotto altro profilo, la "prova diretta" implicherebbe una memoria del fatto, indipendente da quella dell'uomo; mentre la "prova indiretta", una memoria umana: da ultimo, C. TAORMINA, Diritto processuale penale, II, Torino, 1995, p. 66; I. CALAMANDREI, La prova documentale, Padova, 1995, p. 11-12. Ci si vale anche dell'ulteriore dualismo tra 'prova storica' e 'prova critica': la prima rappresenta direttamente mediante narrazione l'immagine del fatto; la seconda, indica mediatamente una circostanza, dalla quale ricostruire per inferenza l'immagine del fatto (F. CARNELUTTI, Teoria generale del diritto 3, Roma, 1951, p. 383-387). V. pure A. MALINVERNI, Principi del processo penale, Torino, 1972, p. 498; F. CORDERO, Procedura penale, 9° ed., Milano, 1987, p. 961; G. UBERTIS, Documento e oralità nel nuovo processo penale, in Studi Vassalli, II, Milano, 1991, p. 875, nt. 17; P. CALAMANDREI, op. cit., p. 13, nt. 18.
[nota 3] Ammonisce F. CARNELUTTI, Teoria generale del diritto 3, cit., p. 193: «... il punto fermo da cui bisogna partire, è che il fatto, come la situazione, è il frutto di un'astrazione; il fatto, in sé; isolato dal resto della storia, non esiste ...» (corsivo nel testo). «Il diritto - soggiunge l'a. - è una forza la quale si traduce in causalità: la causalità è giuridica in quanto "il diritto opera mediante un collegamento costante di un prius e di un post ..." Si potrebbe aggiungere che se non operasse attraverso la casualità, il diritto non opererebbe sulla storia e, pertanto, sulla realtà». (p. 192).
[nota 4] Sul tema della rilevanza giuridica v. le perspicue pagine dell'IRTI, voce Rilevanza giuridica, in Norme e fatti, Milano, 1984, p. 4 e ss.: «nel fluire della storia e della natura, il pensiero sceglie un fatto o un gruppo di fatti: il fatto non è concepibile al di fuori della scelta, compiuta dal pensiero. Fatto significa fatto scelto, isolato dall'uomo nello spazio e nel tempo» (p. 44). «... Il fatto implica un criterio d'individuazione, che opera nella natura e nella storia, e così separa i fatti rilevanti dai fatti irrilevanti. Il fatto rilevante è il fatto che risponde al criterio d'individuazione; definito e pensato secondo questo criterio. Non vi sono fatti che attendono semplicemente di essere scelti; la scelta è costitutiva del fatto, e il fatto, prima della scelta, è un nulla» (op. cit., p. 45; corsivi dell'autore).
[nota 5] F. CARNELUTTI, La prova civile, Milano, 1916, p. 204.
[nota 6] V. G. PIAZZA, L'identificazione del soggetto nel negozio giuridico, Milano, 1967, p. 38, il quale elabora una nozione bivalente di autore: il soggetto - autore, che partecipa «al processo di determinazione e formazione dell'atto negoziale»; il soggetto - parte, che «si individua in funzione della spettanza degli interessi regolati col negozio».
[nota 7] N. IRTI, La ripetizione del negozio giuridico, Milano, 1970, p. 25-26, che spiega: «autore del negozio come soggetto che pone il dato fisico, cioè il segno significante (fonico, mimico, scritturale ecc.); la parte negoziale, che è il soggetto cui è imputata la scelta del tipo e del contenuto degli effetti; la parte del rapporto, cui sono imputati gli effetti del negozio (destinataria dei diritti ed obblighi correlativi)». Contra F. ROMANO, La ratifica nel diritto privato, Napoli, s.d. (ma 1964), p. 145, il quale riconosce radice etimologica nel verbo pario (generare), sicché; la parola 'parte' starebbe per colui che dà vita al negozio. V., in proposito, la critica del PIAZZA, L'identificazione del soggetto nel negozio giuridico, cit., p. 38.
[nota 8] Il quale - invero laconicamente - stabilisce che «le aste sono gestite da notai».
[nota 9] Secondo cui «ai notai è concessa anche la facoltà di procedere agl'incanti e alle divisioni giudiziali ed a tutte le operazioni all'uopo necessarie».
[nota 10] Recita l'art. 6 del disciplinare di gara Scip: «il verbale d'asta non tiene luogo né; ha valore di contratto. gli effetti contrattuali e traslativi si produrranno solo al momento della stipula del contratto di compravendita con il contestuale pagamento integrale del prezzo di acquisto. La Scip Srl e l'ente gestore pertanto non assumeranno alcun obbligo, se non dopo la stipula del contratto di compravendita, verso l'aggiudicatario che rimarrà, invece, vincolato alla propria offerta, segreta o residuale, e ai conseguenti obblighi derivanti dall'aggiudicazione sino allo spirare del termine previsto ai precedenti punti 5.5 e 5.6».
[nota 11] A tenore del quale, «avvenuta la definitiva aggiudicazione, si procede nel più breve termine alla stipulazione del contratto, tranne i casi in cui il verbale di aggiudicazione tenga luogo di contratto».
[nota 12] A tenore del quale «entro trenta giorni dalla data dell'aggiudicazione definitiva è stipulato dall'aggiudicatario il relativo contratto definitivo di compravendita ed è pagato il prezzo di acquisto. La mancata stipula del contratto di compravendita per causa imputabile all'acquirente o il mancato pagamento integrale del prezzo di acquisto comportano la decadenza dal diritto di acquisto e dal diritto di ottenere la restituzione del deposito cauzionale versato».
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