Documento e rete virtuale
Documento e rete virtuale
di Mauro Orlandi
Professore Ordinario di Istituzioni di Diritto Privato
Università di Roma "Tor Vergata"

Concetto di capacità rappresentativa

Il documento insegna (docet) all'osservatore: esso rappresenta (nel senso semplice e profondo di riportare al presente) fatti o cose assenti [nota 1].

Tutto il diritto è intriso del problema probatorio.

Di rappresentare - e riportare così al presente dell'osservatore - fatti e cose assenti (perché lontani nello spazio o nel tempo): il criterio rappresentativo di un fatto assente può essere duplice: un criterio logico-linguistico, secondo cui l'idea del fatto è ricavata da un testo narrativo; un criterio logico-illativo, secondo cui tale idea è ricavata mediante applicazione di una regola di esperienza (dall'impronta digitale si risale alla persona, applicando la regola che esclude la possibilità di due impronte digitali identiche) [nota 2]. L'atto del rappresentare si volge verso il passato, riesumandone un fatto e rappresentandolo alla coscienza del dichiarante e dei terzi. I fatti durano il breve spazio del proprio accadere e subito scompaiono dal nostro orizzonte; la ricostruzione storiografica non è la ricerca del fatto, il quale non è in nessun luogo, ma la ricostruzione attraverso gli avanzi o le tracce della sua esistenza. Ecco la necessità di rappresentare per sapere; di apprendere dalla narrazione del soggetto, compresente allo svolgimento storico del fatto.

Si può rappresentare attraverso dichiarazioni con la presa di posizione di una coscienza razionale che descrive fatti o cose; oppure attraverso l'inferenza eziologica, ossia applicando criteri empirici di causa-effetto, i quali lasciano risalire alla genesi. Il teste descrive il fatto accaduto dinanzi ai propri occhi (prova storica); l'impronta digitale restituisce la traccia fisica materialmente ascrivibile al proprio autore (prova critica).

La prova critica è muta. Essa nulla esprime ab interno e non si serve di simboli linguistici significanti. Si contrappone alla prova storica, la quale parla il linguaggio del dichiarante e si affida alla sua propria attendibilità. La prova storica implica il problema soggettivo della fedeltà, ossia della veridicità di descrizioni e asseverazioni del dichiarante.

Originale e copia

Il documento è l'effetto della documentazione, intesa come attività del documentare. Il documento originale è la res prodotta dal documentare, ossia dal redigere il testo (nel caso di documenti scritti). Gli originali sono documenti di primo grado, dacché derivano direttamente dalla primitiva attività di documentazione; le copie, documenti di secondo grado [nota 3], i quali discendono dalla riproduzione fisica di altre res. La copia presuppone sempre una duplicazione [nota 4] documentale.

Il problema, vivacemente dibattuto in letteratura, è l'intreccio tra i profili della conformità della copia e dell'autenticità dell'originale; che significa stabilire se il duplicato è fedele all'originale e se quest'ultimo proviene dal soggetto che lo ha sottoscritto. Cominciamo con il liberarci da un potenziale equivoco: l'autenticità, di cui leggiamo in dottrina [nota 5], deve propriamente convertirsi in 'verità': perché l'attributo 'autentico', riferito alla scrittura privata (come agli altri documenti tipici), designa non una categoria storiografica bensì nomologica e sta ad indicare l'attitudine del documento a fondare la decisione del giudice (il 'far piena prova'); il controllo critico si esercita, non sull'autenticità (che segue automaticamente al riconoscimento od all'autenticazione) ma sulla verità del documento, cioè sulla corrispondenza al vero della relativa rappresentazione [nota 6].

Una domanda urge e rende ragione della discipline delle copie informatiche notarili: quale è la profondità della prova di secondo grado, ossia fino a quale fatto deve estendersi la forza probatoria autentica delle copie informatiche?

Muoverei dalla disciplina del codice civile e dal relativo dibattito di letteratura.

Segue. Gli artt. 2712 e 2719 c.c.

Ne viene in luce l'ineludibile tema dell'interferenza tra gli artt. 2712 e 2719 c.c.

Parrebbero norme diverse, e per la descrizione del fenomeno, e per la 'forza' probatoria del mezzo. La prima stabilisce la «piena prova dei fatti e delle cose rappresentate», se colui, contro il quale le riproduzioni fotografiche o cinematografiche sono prodotte, «non ne disconosce la conformità ai fatti od alle cose medesime»; la seconda si esprime per relationem: «le copie fotografiche di scritture hanno la stessa efficacia delle autentiche», nelle ipotesi (alternative) di attestazione del pubblico ufficiale ovvero del difetto di un espresso disconoscimento.

Si suole ordinare le due norme in rapporto di genere a specie, poiché la copia fotografica di scrittura appare una specie della riproduzione meccanica; segnatamente, come una modalità riproduttiva di cose (il documento scritto) [nota 7]. Il dibattito comincia a svolgersi intorno al valore probatorio, cioè all'argomento di prova che il giudice sarà in grado di trarre dai due strumenti. Qui la distinzione si avvale del concetto di 'originarietà': «le prime (riproduzioni meccaniche), seppur frutto di uno strumento meccanico, risultano essere degli originali con autonoma forza probatoria; le seconde, delle copie che non possono prescindere dall'originale» [nota 8]. L'attitudine del mezzo ad essere documento esclusivo dei fatti rappresentati suggerisce ad alcuni una forza probatoria intrinseca ed autonoma, in quanto determinata dalla stessa modalità tecnica della riproduzione [nota 9]; altri, invece, muovono da una critica radicale dell'assimilazione tra capacità probatoria della scrittura privata e della riproduzione, revocando in dubbio la stessa ammissibilità concettuale di una efficacia probatoria autonoma del documento meccanico o informatico [nota 10].

Tutta la materia sembra aver risentito della scarsa considerazione circa la distanza logica tra oggetto e mezzo di prova: le modalità di questo non influiscono, per definizione, su quello; e così, sia attraverso l'originale, che attraverso una copia, o anche per via di una riproduzione meccanica, l'accertamento giudiziale cade sempre sul medesimo oggetto: sulla forma scritta e sulla provenienza della scrittura. Ad una timida apertura della giurisprudenza [nota 11], netta corrisponde la chiusura della dottrina per ogni ipotesi di assimilazione tra le fattispecie degli artt. 2712 e 2719 c.p.c. Da ultimo si legge che esse si riferirebbero a fenomeni ontologicamente diversi: mentre l'art. 2712 c.c. ha riguardo ad ogni fatto o cosa, l'art. 2719 c.c. descrive soltanto la specifica ipotesi della scrittura, sicché alla differenza di estensione farebbe seguito una strutturale diversità di disciplina [nota 12].

Non tanto lascia in dubbio la oggettiva diversità delle fattispecie, quanto la recisa esclusione di un'interferenza tra di esse. Non sembra convincente porre un limite intrinseco alla capacità probatoria 'autonoma' o 'diretta' delle riproduzioni meccaniche; è ben vero che esse possono avere riguardo a fenomeni diversi ed ulteriori rispetto a quelli previsti dall'art. 2719 c.c.: ma la tesi in esame è, appunto, che la riproduzione abbia ad oggetto una scrittura privata, cioè proprio il medesimo oggetto descritto dall'art. 2719 c.c. La domanda allora è: che differenza corre tra "riproduzione fotografica" e "copia fotografica" di una scrittura?

Non potrebbe ragionevolmente dubitarsi che la copia è una riproduzione (una diversità risiede, invece, nella modalità riproduttiva, a seconda che possa qualificarsi 'manuale' o 'meccanica'). L'art. 2719 c.c. formula un'ipotesi specifica rispetto all'art. 2712 c.c., dettando una disciplina ulteriore. Tra le due discipline non si può stabilire una diversità qualitativa, bensì quantitativa, nel senso che la norma speciale reca una precisazione della formula "piena prova" (utilizzata dall'art. 2712 c.c.): la "piena prova" delle riproduzioni fotografiche di scritture giunge fino alla provenienza della dichiarazione, cioè vale come la prova fornita dalle scritture autentiche. L'art. 2719 c.c., in altre parole, offre il criterio d'interpretazione dell'art. 2712 c.c., specificando il livello di profondità probatoria, raggiungibile attraverso le riproduzioni meccaniche di scritture: tale profondità del giudizio probatorio non dipende dal mezzo riproduttivo in sé, bensì dall'oggetto della riproduzione.

La profondità del giudizio probatorio [nota 13] fondato sulla copia fotografica e sull'originale è identica, e giunge sino alla provenienza della dichiarazione, cioè sino ad una modalità del fatto documentale (non semplicemente del documento formato). In altri termini, il percorso a ritroso verso il passato, compiuto attraverso la copia fotografica, non si ferma alla genesi della copia (cioè all'originale riprodotto), ma giunge sino alla genesi dell'originale: soltanto così trova un significato coerente l'equiparazione alla scrittura autentica, che è appunto equiparazione di capacità probatoria tra mezzi diversi [nota 14].

La riproduzione meccanica o informatica di fatti o cose rende dimostrazione del fatto o della cosa riprodotti; nell'ipotesi di riproduzione meccanica di uno scritto, l'accertamento probatorio si protenderà sino all'esistenza dello scritto: l'art. 2719 c.c., assimila l'efficacia probatoria della copia (autenticata o riconosciuta) a quella della scrittura autentica, e cioè, dell'originale riprodotto. La diversa profondità probatoria delle fattispecie dipende dalla diversità dell'oggetto riprodotto, non già del mezzo riproduttivo: altro è riprodurre una cosa od un fatto qualsiasi; altro, riprodurre un documento scritto, il quale già esprime in sé una propria intrinseca capacità di prova. Il legislatore ben separa queste ipotesi, e, attraverso l'art. 2719 c.c., stabilisce un principio di equivalenza: la copia della scrittura, in quanto copia di un mezzo di prova, assume la medesima efficacia probatoria del mezzo riprodotto [nota 15].

Sembra, cioè, che, stabilendo espressamente l'equipollenza della copia fotografica alla scrittura autentica, il legislatore indichi ad oggetto della prova, non soltanto il contenuto grafico dell'originale (che starebbe come prova di secondo grado, come prova del documento riprodotto), ma anche la provenienza della scrittura autentica (stabilita, fino a querela di falso, per via dell'attestazione di conformità del pubblico ufficiale o del riconoscimento della parte). La riproduzione dello scrivere (che, come per i documenti scritti, non coincide con quella del dichiarare) assume necessariamente la «consistenza di una copia» [nota 16]; né pare che il più generico aggettivo "meccanico" (in luogo di fotografico), possa giustificare una differente disciplina della riproduzione di una scrittura. La ratio di questa disciplina, non tanto sta nella tecnica riproduttiva (l'art. 2712 c.c., esemplifica le tecniche: «riproduzioni fotografiche o cinematografiche, le registrazioni fotografiche, e in genere, ogni altra rappresentazione meccanica»), quanto nel risultato della riproduzione: cioè la duplicazione del segno originale, quale che sia il metodo seguito per duplicare. Queste considerazioni inducono ad assimilare la disciplina delle riproduzioni di scritture a quella delle copie fotografiche, secondo l'art. 2719 c.c. [nota 17]

Non rimane che dare risposta affermativa al primo dei quesiti sopra enunciati: al pari della copia fotografica, la riproduzione informatica è capace di fornire piena prova della cosa riprodotta; ove oggetto della riproduzione sia una scrittura, tale prova coincide con quella delle scritture autentiche, e consiste nella «provenienza della dichiarazione da chi l'ha sottoscritta» (secondo la formula dell'art. 2702 c.c.) [nota 18].

La profondità rappresentativa della copia (identica a quella dell'originale) rende ragione della disciplina dell'autenticazione e della estrazione delle copie conformi. Poiché esse nella circolazione giuridica prenderanno integralmente il luogo degli originali.

Quid per i documenti informatici, e segnatamente per quelli digitali?

Verità della rappresentazione documentale. La rappresentazione informatica

Due verità rilevanti.

La verità storiografica, se il documento rappresenti fedelmente la propria storia (l'essere stato segnato da quel determinato autore e secondo quella determinata sostanza grafica); la verità conformativa, ossia se la copia (di secondo grado) fedelmente rappresenti il documento originale (di primo grado).

La res informatica implica un diverso e nuovo problema: essa non è costituita da materia sensibile, ma è l'esito di un calcolo combinatorio svolto attraverso l'applicazione di criteri algoritmici e di istruzioni interne e dinamiche. Poniamo a confronto l'immagine video di un testo scritto e la sua stampa su carta: siamo naturalmente indotti ad assimilarle. E tuttavia si tratta di realtà intrinsecamente inassimilabili. La carta porta su di sé i segni della propria genesi, poiché ha origine da modalità fisiche di impressione e trasformazione. La materia fisica conserva per propria naturale attitudine tracce empiriche del proprio passato, alterazioni che essa accumula nel tempo: il documento fisico è un documento storico nel senso semplice e profondo che ha una storia. L'immagine telematica è invece ricostruita ab imis e interamente a ogni consultazione della macchina. La res informatica non vive di un'esistenza propria e storica, ma nasce e muore per il tempo di accensione della macchina. Essa è il risultato di un calcolo che la macchina svolge ogni volta che è interrogata ab externo; e ogni volta che io 'apro' il documento, la macchina applica alla propria memoria digitale le istruzioni algoritmiche (il complesso di 'formati' e modalità di calcolo ad essa conferite), e così ricostruisce la sequenza e l'ordine di bit che saranno rappresentati sullo schermo e offerti ai sensi (vista, udito, tatto) dell'osservatore.

Segue. Rappresentazione intrinseca e rappresentazione estrinseca

La rappresentazione informatica di cose e fatti è allora duplice: a) una rappresentazione intrinseca, che consiste nella tecnica di elaborazione dei dati destinati all' 'interfaccia utente', ossia resi percepibili ai sensi; b) una rappresentazione estrinseca, che consiste nei fatti e nelle cose evocate dai dati resi percepibili dalla macchina. Del pari possiamo affermare che la rappresentazione fisica è immediata; mentre la rappresentazione virtuale è per definizione mediata dalla macchina.

Il documento informatico non si attinge immediatamente attraverso i sensi, ma viene verso di noi soltanto attraverso la mediazione della macchina; esso viene costruito a ogni nuova richiesta, ed è sempre rielaborato dalla macchina, la quale torna ad applicare all'insieme delle informazioni binarie costituenti un file i criteri di decodificazione necessari per rendere tali informazioni attingibili ab externo. La foto o il testo che vedo sul video non sono ciò che vedo, ma informazioni binarie (codici acceso/spento) prive di senso comune, che la macchina, calcolando, traduce in immagini o dati percepibili e dotati di senso.

Come posso stabilire la conformità all'originale (ossia al complesso di informazioni originariamente elaborato da un certo autore) del testo o delle immagini che il video restituisce ai miei occhi? La rappresentazione virtuale pone così un duplice problema di verità: l'integrità del file, ossia il giudizio circa la conservazione delle informazioni originali; l'integrità dei criteri di rappresentazione del file, ossia il giudizio circa la conservazione del codice che trasforma i bit in documento percepibile ai sensi.

La potenza della rappresentazione virtuale suscita nuovi bisogni di certezza. Le nuove modalità genetiche dei testi virtuali e specialmente le modalità di rappresentazione dei documenti, i quali sono ogni volta ricalcolati dalla macchina e non esistono in rerum natura (quantomeno nella natura macroscopica percepibile direttamente ai sensi), sembrano sotto questa luce suscitare nuovi bisogni di certezza esogena. Certezza che esige l'intervento di terzi fidefacenti i quali attestino la stabilità dei sistemi, l'originalità dei codici, come pure la storicità e l'imputazione del testi (alfabetici o analfabetici) in cui sia stata convertita e risolta la volontà negoziale della parte.

Il notaio si costituisce così a medio elettivo tra virtuale e reale. Nel sistema positivo delle prove, egli riporta la virtualità del negoziare alla realtà tangibile dei rapporti tra vivi, facendosi custode della serietà delle scelte negoziali e della stabilità dei testi giuridici. La prova notarile si fonda sulla attendibilità della rappresentazione storica del dicente, ossia della conoscenza diretta che il notaio è capace di asseverare e attestare.

L'archivio notarile come luogo della verità documentale

La conservazione pubblica notarile parrebbe affidarsi alla attendibilità privilegiata del conservatore notaro. L'integrità degli atti notarili e la conformità degli estratti non sono disciplinati ratione rei, ossia in virtù di caratteristiche interne degli atti, bensì ratione subiecti, ossia in virtù della speciale fede pubblica attribuita alla figura del notaro. Il notaio assevera: la verità storiografica dell'originale da lui formato; la verità conformativa della copia da lui estratta. L'archivio notarile è il luogo della sicurezza e della protezione, poiché esso è sotto la esclusiva disponibilità fisica e giuridica del notaro.

Le verità storiografica e conformativa del documento pubblico e dei relativi estratti si fondano sulla prova storica, ossia sulla intrinseca e giuridica attendibilità delle dichiarazioni notarili.

Recita oggi l'art. 62-bis della legge notarile [nota 19]:

«Il notaio per la conservazione degli atti di cui agli articoli 61 e 72, comma 3, se informatici, si avvale della struttura predisposta e gestita dal Consiglio nazionale del Notariato nel rispetto dei principi di cui all'articolo 60 del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82. Gli atti di cui agli articoli 61 e 72, comma 3, depositati nella suddetta struttura costituiscono ad ogni effetto di legge originali informatici da cui possono essere tratti duplicati e copie».

A rigore non avrebbe senso parlare di "originale informatico", dacché tutti i files sono per definizione di primo grado: dotazioni di bit suscettibili di calcolo da parte della macchina. Nulla distingue il primo (sotto il profilo cronologico) file dai successivi identici duplicati.

"Originale" nel senso divisato dall'art. 62-bis[nota 20] è così un concetto puramente artificiale e giuridico. Che la legge stabilisce in ragione dell'attendibilità soggettiva del notaro, autore e conservatore. Diremo pure che l'ars notaria penetra entro i confini della macchina, la quale diviene nelle disponibilità dell'ufficiale pubblico strumento equipollente di conservazione e fruizione.

La forza probatoria dell'archivio informatico notarile sta proprio e solo nella conservazione notarile dei mezzi informatici e nella artificiale e stipulativa capacità del notaio di ricostruire la storia del documento e asseverare in qualsiasi momento la conformità tra copia ed originale informatico. Il congegno informatico si sostituisce alla materiale disponibilità del luogo fisico entro cui custodire e della fisica percepibilità delle cose custodite.

Il lettore avrà già inteso la profonda differenza tra sicurezza empirica e giuridica certezza che il problema della conformità reca con sé. Qualunque archivio informatico e ogni sistema di criptazione e nascondimento dei dati sfida gli esperti a trovare chiavi di accesso e congegni sempre nuovi e più sofisticati per violare le barriere e alterare i documenti originali. Per espressa disposizione normativa, l'archivio virtuale del CNN custodisce tuttavia originali, suscettibili di riproduzione con pubblica fede. Perché?

L'archivio virtuale. Dal notaio alla rete notarile

L'originale informatico è conservato nel deposito accentrato del CNN. Esso è così reso perennemente compresente al notaio per via telematica. La rete è dal legislatore costituita a spazio della presenza virtuale; e resa equivalente sul piano giuridico al luogo fisico dei documenti macroscopici conservati in istudio.

La innocente formula "originale informatico" ha profondo significato dommatico. Essa rende giuridicamente rilevante la rete del CNN come luogo della certezza notarile e così istituisce lo spazio notarile virtuale, in cui è giuridicamente conseguibile la piena prova delle verità storiografica e conformativa del documento pubblico informatico.

Come abbiamo notato, il sintagma "copia informatica" è un non senso logico e tecnico; non dandosi possibilità di distinguere originale e copia in ragione della natura debole e perennemente variabile dei bit [nota 21]. Copiare un file non è erigere una rappresentazione grafica di un documento fisico, ma un alterare la memoria informatica in modo identico all'originario: è un nuovo testo (o file mutimediale: il contenuto è logicamente neutro) di contenuto identico che, tuttavia, diversamente della fotografia di un documento scritto, non potrebbe qualificarsi quale documento di secondo grado.

La copia sarà identica all'originale perché io sono in grado ab externo di porre a raffronto distinguere i due file e porli a raffronto. Ma nulla ab interno potrebbe lasciarci inferire una intrinseca natura di copia del secondo rispetto al primo file.

Copia informatica tuttavia si spiega proprio in ragione della presenza di un terzo fidefacente, al quale spetta in linea giuridica di accertare la verità della riproduzione informatica e la fedeltà del secondo file, estratto dal e nel luogo informatico sicuro. Non perché sia necessariamente ed empiricamente più sicuro di altri, ma perché esso è giuridicamente eguagliato all'archivio notarile, sottoposto alla custodia ed alla responsabilità del pubblico ufficiale.

L'archivio notarile virtuale (sotto la forma delle reti infromatiche del CNN) è il luogo della riproduzione sicura intesa come della moltiplicazione degli originali informatici dotati di forza probatoria privilegiata; che pur potremmo per comodità e abitudine inveterata continuare a chiamare "copia", ma per i quali non si dà alcuna restrizione probatoria rispetto al file originario (o se si vuole originale).

Il notaio riproduce nella rete protetta del CNN in modo analogo (e legalmente equipollente) al fotocopiare nel proprio studio fisico. Il risultato della prima e della seconda riproduzione sono giuridicamente e normativamente equivalenti.

Verso il notaio virtuale?

La fedeltà della rete virtuale par dipendere dalla forza della prova storica notarile, ossia dalla intrinseca attendibilità della custodia e della cura da parte di un soggetto cui è attribuita pubblica fede.

Il notaio si rende garante e custode della integrità informatica dei testi attraverso la rete interna con cui egli è posto in grado di trasmettere e ricevere file criptati e firmati digitalmente. Questo non significa che l'atto non possa materialmente essere alterato ab externo; esso fa piena prova tuttavia per il sol fatto di provenire dal sistema di custodia e trasmissione del CNN.

La capacità rappresentativa forte (fino a querela) dell'atto custodito rende possibile l'estrazione di copie autentiche, siccome dotate della medesima forza; e così la perfetta fungibilità tra materia fisica la res informatica dell'atto pubblico. L'atto pubblico potrebbe non essere mai convertito in materia macroscopica o - più banalmente - mai stampato su carta. Esso rimane atto pubblico, suscettibile di piena prova e, specialmente, di riproduzione autentica (nella specie della copia), con la medesima efficacia probatoria privilegiata. Senza mai che il notaio debba ricorrere alla conversione del file digitale in fogli e carta.

Se il presupposto concettuale dell' "originale informatico" è la presenza (virtuale?) del notaio quale documentatore privilegiato, allora il passo successivo appare profilarsi nitidamente: atto pubblico integralmente telematico, ossia formato attraverso una rete notarile sicura?


[nota 1] «Rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti»: suona così la definizione di documento informatico contenuta nell'art. 1, lett. p, del codice dell'amministrazione digitale (Cad), approvato con D.lgs. 5 marzo 2005, n. 82 e modificato dal D.lgs. 4 aprile 2006, n. 159.

[nota 2] In Teoria del falso, Padova, 1933, p. 10, F. CARNELUTTI distingue tra rappresentazione ed indicazione: «... il fatto rappresentativo costituisce un equivalente del fatto rappresentato e così lo fa presente in quanto determina sensazioni analoghe mentre il fatto semplicemente indicativo si ricollega al fatto indicato attraverso il raziocinio: se io mostro il ritratto di una persona la rappresento, se ne pronunzio il nome la indico; invero le sensazioni suscitate dal nome non equivalgono punto a quelle determinate dalla persona ma servono, per le vie dell'esperienza e così dell'intelligenza, a richiamarle».
Distinzione che parrebbe metter capo all'altra, tra prova diretta (basata sulla semplice percezione del fatto) e prova indiretta (basata sulla percezione di un altro fatto, che lascia inferire il fatto da provare: F. CARNELUTTI, La prova civile (1915), 2° ed., Roma, 1947, p. 67. V. pure F. CARRARO, Il diritto sul documento, Padova, 1941, p. 7-8. Cfr., inoltre, V. ANDRIOLI, voce Prova, dir. proc. civ., in Noviss. Dig. it., XIV, Torino, 1967, p. 268. Sotto altro profilo, la "prova diretta" implicherebbe una memoria del fatto, indipendente da quella dell'uomo; mentre la "prova indiretta", una memoria umana: da ultimo, C. TAORMINA, Diritto processuale penale, II, Torino, 1995, p. 66; I. CALAMANDREI, La prova documentale, Padova, 1995, p. 11-12.
Ci si vale anche dell'ulteriore dualismo tra 'prova storica' e 'prova critica': la prima rappresenta direttamente mediante narrazione l'immagine del fatto; la seconda, indica mediatamente una circostanza, dalla quale ricostruire per inferenza l'immagine del fatto (F. CARNELUTTI, Teoria generale del diritto, Roma, 1951, p. 383-387). V. pure A. MALINVERNI, Principi del processo penale, Torino, 1972, p. 498; F. CORDERO, Procedura penale, 9° ed., Milano, 1987, p. 961; G. UBERTIS, Documento e oralità nel nuovo processo penale, in Studi Vassalli, II, Milano, 1991, p. 875, nt. 17; I. CALAMANDREI, op. cit., p. 13, nt. 18.

[nota 3] Cfr. R. VACCARELLA, «Sull'efficacia probatoria della copia fotostatica di scrittura privata», in Riv. dir. proc., 1969, p. 259; sulla scia del F. CARNELUTTI, La prova civile, cit., p. 215, che parla di documento del documento.

[nota 4] Duplicati è la parola indicata da A. MALINVERNI, «Il falso in riproduzione fotografica», in Riv. it. dir. pen., 1956, p. 114; ID., Teoria del falso documentale, Milano, 1958, p. 61, secondo il quale la fotocopia «che non contiene indicazioni originali del soggetto che l'ha formata ... appare come un secondo originale del documento che riproduce». V. § prec.

[nota 5] R. VACCARELLA, op. cit., p. 259, il quale fa riferimento ad un controllo dell'autenticità.

[nota 6] F. CARNELUTTI, La prova civile, cit., p. 216.

[nota 7] R. VACCARELLA, op. cit., p. 250; M. DE PALMA, «Sull'efficacia della fotocopia», in Rass. dir. civ., 1994, p. 349; Cass. 14 maggio 1992, n. 5738, in Foro it. Mass., 1992; Cass. 2 agosto 1990, n. 7745, ivi, 1990; Cass. 29 marzo, 1990, n. 2586, ivi, 1990; Cass. 16 settembre 1981, n. 5132, in Giur. it. Rep., voce Prova documentale, n. 26; Cass. 25 febbraio 1970, n. 454, in Foro it. Rep., 1970, voce Scrittura, n. 35.

[nota 8] F. MESSINEO, Manuale di diritto civile e commerciale, Milano, 1957, II, p. 642; M. DE PALMA, «Sull'efficacia della fotocopia», in Rass. dir. civ., 1994, p. 350. Questa veduta, prendendo a criterio la nota distinzione carneluttiana, finisce così per ricavare una duplice qualifica delle copie fotostatiche: rappresentazione meccaniche "dirette" del fatto o della cosa; prove indirette del fatto, documentato dall'originale.

[nota 9] F. DE SANTIS, Il documento non scritto come prova civile, Napoli, 1988, p. 50 e ss.; M. DE PALMA, op. cit., p. 350.

[nota 10] Appunto V. DENTI, La verificazione delle prove documentali, Torino, 1957, p. 78-79.

[nota 11] La quale ravvisa "analogia" tra la "piena prova" delle riproduzioni meccaniche e quella delle scritture private: Cass. 10 ottobre 1967, n. 2386, in Foro it., 1968, I, c. 468.

[nota 12] F. DE SANTIS, op. cit., p. 55-56; M. DE PALMA, op. loc. cit.

[nota 13] Sui concetti di 'forza probatoria prossima' e 'forza probatoria remota' cfr. F. CARNELUTTI, Documento e negozio giuridico, cit., p. 215. V. pure F. CARNELUTTI, La prova civile, cit., p. 1947, p. 48 e ss.; ID., Sistema del diritto processuale civile, cit., p. 674 e ss.; ID., «Nuove riflessioni sul giudizio giuridico», in Riv. dir. proc., 1956, I, p. 102; V. DENTI, op. cit., p. 2 e ss.

[nota 14] Sulla equivalenza probatoria tra gli artt. 2702 e 2712 c.c., cfr. F. CARNELUTTI, «Prova fotografica e fonografica», cit., p. 233; F. DE SANTIS, op. cit., p. 45 e ss.

[nota 15] Registriamo qui la distinzione tra conformità all'originale ed autenticità dell'originale. Alcuni reputano che il riconoscimento dell'uno non coincida con quello dell'altro, e che, (soltanto) il disconoscimento dell'autenticità segua il regime dell'art. 215 c.c. (cfr. , per tutti, G. VERDE, voce Prova documentale, I, in Enc. giur. Treccani, XX, 1990, p. 17-18); altri propendono per l'assimilazione delle due ipotesi, sotto la disciplina dell'art. 215 (R. VACCARELLA, «Sull'efficacia probatoria della copia fotografica di scrittura privata», in Riv. dir. proc., 1969, p. 260 e ss.). Questo dibattito presuppone l'idoneità della copia fotografica a provare l'autenticità dell'originale.

[nota 16] G. VERDE, «Per la chiarezza di idee in tema di documentazione informatica», in Riv. dir. proc. civ., 1990, p. 727. V. in argomento M. MARTINETTO, voce Copia e collazione di atti, in Noviss. Dig. it., IV, Torino, 1959, p. 842 e ss.; A. PETRUCCI, voce Copia e collazione di atti pubblici, in Enc. dir., X, Milano, 1962, p. 636 e ss.; V. GALLO, voce Copia, estratto, certificato notarile, in Noviss. Dig. it., IV, Torino, 1959, p. 845 e ss.

[nota 17] Anche nel caso in cui la riproduzione sia diversa da quella propriamente fotografica. Penso all'ipotesi delle riproduzioni informatiche, che, ancorché impressionare l'immagine direttamente su pellicola, scompongono il testo in unità informatiche, consentendone la riproduzione a distanza mediante un processo di decodificazione. Su questa linea, la dottrina più recente inclina a ricondurre quella prodotta da una macchina fac-simile alla disciplina delle copie fotografiche di cui all'art. 2719 c.c.: supra, nt. prec.

[nota 18] V. F. CARNELUTTI, «Prova fotografica e fonografica», in Riv. dir. proc., 1942, p. 233 e ss.

[nota 19] Novellato dall'art. 1, comma 1, lett. h, del D.lgs. 2 luglio 2010, n. 110.

[nota 20] Novellato dall'art. 1, comma 1, lett. h, del D.lgs. 2 luglio 2010, n. 110 novella l'art. 62 della legge 16 febbraio 1913, n. 89, introducendo l'art. 62-bis, a tenore del quale: «1. Il notaio per la conservazione degli atti di cui agli articoli 61 e 72, comma 3, se informatici, si avvale della struttura predisposta e gestita dal Consiglio nazionale del Notariato nel rispetto dei principi di cui all'articolo 60 del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82. Gli atti di cui agli articoli 61 e 72, comma 3, depositati nella suddetta struttura costituiscono ad ogni effetto di legge originali informatici da cui possono essere tratti duplicati e copie».

[nota 21] Supra, § Verità della rappresentazione documentale. La rappresentazione informatica.

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