La circolazione internazionale del documento notarile informatico
La circolazione internazionale del documento notarile informatico
di Ugo Bechini
Notaio in Genova
Chairman, New Technologies Working Group, Cnue

La circolazione internazionale del documento notarile cartaceo come è ben noto avviene, dal punto di vista formale, secondo una delle seguenti modalità:

a. nei rapporti tra i Paesi che sono parte di convenzioni abolitive di ogni formalità, siano esse bilaterali (come ad esempio nei rapporti tra l'Italia e la Germania) o multilaterali (è il caso della convenzione di Bruxelles del 25 maggio 87), non occorre adempimento alcuno;

b. tra i Paesi che sono parte della convenzione dell'Aja del 1961, se non ricorre la condizione di cui al punto precedente, il documento deve essere corredato della ben nota apostille;

c. tra i Paesi che non sono parte di alcuna convenzione ad hoc, si fa luogo alla cosiddetta legalizzazione a catena.

Cosa accade in materia di atto informatico? Per meglio definire l'oggetto dell'analisi: intendo in questo contesto come atto informatico un atto notarile (sia esso in forma pubblica od autenticata), in originale informatico od in copia informatica (di un originale indifferentemente cartaceo od informatico). L'originale informatico è ancora una realtà poco frequente (solo i notai francesi rogano in tale forma, al momento) [nota 1] mentre copie digitali di originali cartacei sono pratica corrente in molti Paesi, dalla Germania alla Spagna all'Italia (primo Paese al mondo ad adottare tale tecnica).

Sgombriamo innanzitutto il campo dall'ultima ipotesi, quella della legalizzazione a catena, sub "c", la cui informatizzazione appare, in tutta evidenza, poco praticabile.

Nel caso in cui sia vigente una convenzione (bilaterale o multilaterale) abolitiva di ogni formalità, non c'è motivo per immaginare che la convenzione non si applichi anche al documento informatico. Se il dato giuridico risulta quindi estremamente semplificato, non così può dirsi dell'elemento operativo, su cui torneremo tra un attimo.

Che dire invece dell'apostille? L'argomento è stato affrontato in maniera frontale [nota 2] diversi anni fa dalla Conferenza permanente dell'Aja, che è stata la culla della convenzione del 1961, e che continua a seguire con cura le sorti di quello che resta il trattato di maggior successo scaturito dai lavori della Conferenza: basti annotare che la convenzione, ormai prossima a doppiare il capo del mezzo secolo, continua a ricevere nuove adesioni, alcune delle quali di grande importanza strategica, come quella recente dell'India. Merito della semplicità e linearità dell'impianto di base: le medesime doti che consentono alla convenzione di riproporsi, con invariata attualità, nel contesto elettronico. I lavori di diverse assise congressuali tenutesi a partire dal 2004, cui i rappresentanti del Notariato italiano hanno contribuito con svariate relazioni, hanno fatto maturare un convincimento ormai unanime tra gli specialisti: la convenzione può essere impiegata in ambito digitale senza alcun adattamento. L'apostille, infatti, non è altro che un testo altamente standardizzato da applicarsi al documento originale. Nulla impedisce che sia il documento originale che l'apostille abbiano forma elettronica. Avremo quindi due distinti documenti: l'atto notarile, formato digitalmente dal notaio, e l'apostille, firmata digitalmente dall'Autorità preposta alla sua emissione (sono i due documenti, uno grigio e l'altro bianco, che si trovano all'angolo in basso a destra della figura 1) [nota 3].



Figura 1 - Lo schema operativo della e-apostille (dal sito http://www.e-app.info)

Il quadro giuridico, così sommariamente tratteggiato, appare insomma lineare. In molti casi, il documento notarile digitale straniero sarà immediatamente utilizzabile; in altri, lo sarà se provvisto di e-apostille. In un caso e nell'altro, occorrerà far luogo al procedimento di verifica in senso tecnico, di una firma digitale nel primo caso, o di due firme digitali (quella dell'atto notarile e quella dell'apostille) nel secondo. Per verifica, si intende (articolo 1 D.P.R. 82/2005) un procedimento informatico che consente di appurare che:

a. il documento è matematicamente coerente col relativo certificato, e quindi è stato emesso adottando la chiave di firma che corrisponde a quel certificato, e non è stato alterato durante la trasmissione (quest'ultimo profilo consente, tra l'altro, di utilizzare in tutta serenità documenti pervenuti attraverso canali non sicuri, come Internet);

b. il certificato non è scaduto, e non è stato revocato né sospeso.

Nel mondo cartaceo i documenti sono suscettibili di cognizione diretta da parte del destinatario, il quale ne può direttamente apprezzare sia il contenuto che i segni esteriori (firma, sigilli e quant'altro) che ne corroborano l'autenticità. Nel mondo informatico il destinatario si trova di fronte ad un file, e cioè una semplice sequenza di numeri, o se si vuole di lettere e numeri, di per sé priva di significato per l'operatore umano. Ciò impone il ricorso a specifici software allo scopo sia di rendere leggibile il contenuto del documento, sia di interpretarne le caratteristiche di sicurezza (nel nostro caso: la firma digitale) che ne documentano la provenienza e l'integrità.

A prima vista il tutto sembra fastidiosamente superfluo. La verifica non viene forse eseguita su ogni copia di atto che i notai italiani inviano al Registro delle imprese? [nota 4] Il nostro software di firma non dispone forse di un pulsante "Verifica", piazzato proprio a fianco (figura 2) di quello che usiamo quotidianamente per firmare i documenti? Perché soffermarsi su un'operazione che appartiene alla più comune delle routines?



Figura 2 - Il pulsante di verifica sul normale programma di firma in uso ai notai italiani

Purtroppo a livello internazionale le cose non stanno affatto così. Sembra anzi che ogni Notariato al mondo abbia avuto cura di adottare un formato di firma diverso. Di fronte ad un file in formato cms, che è quello adottato dai notai francesi, ad esempio, un notaio italiano sarebbe del tutto impotente, se dovesse contare solo sui sistemi informatici del proprio studio: probabilmente nessuno possiede software capaci di aprire files in tale formato. E questo, si badi bene, non impedisce "solo" di verificare se il documento è firmato (e da chi) ma anche di prendere cognizione del tenore del documento stesso.

E con questo i problemi, sfortunatamente. non sono finiti. La tecnologia della firma digitale si basa su proprietà matematiche affascinanti nella loro ineguagliata solidità. Checché se ne dica, però, la firma digitale non consente di affermare che un certo documento è stato firmato da Jean Dupont. Consente di stabilire, al di là di ogni ragionevole dubbio, che un determinato documento è stato formato avvalendosi del dispositivo di firma che l'Autorità di certificazione X asserisce essere stato consegnato al signor Jean Dupont. Può capitare che l'Autorità di certificazione sia stata ingannata al momento del rilascio; può accadere che Jean Dupont abbia custodito in maniera insufficiente il suo dispositivo di firma. La tecnologia, insomma, (forse) non si discute; gli anelli umani della catena invece sì.

Ed ancora, ammesso di aver risolto tutto quanto sin qui: chi ci dice che Jean Dupont è notaio a Parigi? Se dobbiamo utilizzare una procura da lui autenticata, questa informazione è basilare. Paradossalmente, è anzi più importante sapere che il documento proviene da un (qualsiasi) notaio in esercizio, piuttosto che sapere se provenga davvero da Jean Dupont o da un altro Collega [nota 5].

Ciò che occorre, per venir fuori da questo ginepraio, è una piattaforma informatica ad hoc, che consenta di verificare non solo che il documento è digitalmente firmato (come ogni sistema standard) ma anche di:

a. operare con ogni tipo di formato in uso;

b. accertare che il certificato di firma sia stato emesso da una delle autorità che offrono garanzia di operare col livello di affidabilità che il caso richiede;

c. accertare che il documento è stato emesso avvalendosi di un certificato personalmente rilasciato ad un notaio in esercizio, il quale è responsabile della corretta custodia e dell'uso personale del certificato.

I primi contatti per la realizzazione di questo strumento risalgono al novembre 2005, nel corso di una riunione organizzata in margine al primo Congresso europeo dei notai. Vennero presentate due progetti, entrambi corredati di un prototipo funzionante: da parte tedesca, si proponeva l'installazione sul computer di ogni notaio europeo di uno specifico software in grado di compiere le operazioni indicate; da parte italiana, si caldeggiava la creazione di un sito web capace di eseguire on-line le medesime funzioni.

La proposta tedesca era certamente più ambiziosa e meglio articolata. A fronte di un ovvio svantaggio (la necessità di distribuire, assistere e mantenere aggiornato un apposito programma) possedeva una caratteristica molto importante: le operazioni di verifica avrebbero potuto essere eseguite in massima parte sul computer dell'utente, ed ai sistemi centrali di verifica si sarebbe trasferita solo una piccolissima sequenza di dati; nel sistema italiano deve invece essere trasmesso al sito l'intero documento. Ne derivavano due evidentissimi vantaggi: minor occupazione della linea e maggior privacy atteso che, nel sistema tedesco, dalla sequenza di dati trasmessa non è in alcun modo possibile risalire al documento originale.

Fatto è che in informatica le evoluzioni sono così veloci da spiazzare talvolta anche i progetti meglio congegnati [nota 6], ed i vantaggi (indiscutibili) della soluzione tedesca stavano già evaporando nel momento in cui il sistema veniva concepito. Da parte italiana, va avvertito ad onore degli specialisti tedeschi, si era in condizione migliore per intravedere il futuro. Le connessioni a banda larga sono state infatti adottate dai notai italiani prima che negli studi dei colleghi tedeschi, e nel 2005 il vantaggio derivante dalla minor mole di dati da trasmettere qua da noi già sembrava poco significativo, e presto tale sarebbe stato considerato ovunque in Europa. Se inviare 2 megabytes di dati occupa la linea cento volte più di quanto occorra per 20 kilobytes, un conto è operare con una linea lenta (potrebbero occorrere 8 minuti invece di 5 secondi) altro affare è disporre di una linea veloce: la differenza potrà essere tra un secondo ed un centesimo di secondo. Il rapporto sarà sempre uno a cento, è vero, ma per un'applicazione di uso sporadico la differenza tra un secondo ed un centesimo ben può reputarsi irrilevante dal punto di vista pratico. Le esigenze di privacy, poi, presto si rivelarono non particolarmente strategiche. La trasmissione di dati su Internet può essere protetta, con una sicurezza certo non assoluta, ma sufficiente alla protezione di dati discretamente sensibili come i numeri delle carte di credito. Di rado un documento notarile destinato ad utilizzo in altro Stato richiederà misure di protezione di tipo militare: si tratterà per lo più di procure, atti certamente riservati ma non di più. La sicurezza standard apparve più che sufficiente.

Sfumati i vantaggi, della soluzione tedesca rimanevano però i costi assai più importanti, e questo condusse al ritiro della proposta tedesca ed al via libera in Europa per il progetto presentato dalla Commissione informatica del Notariato italiano.

La piattaforma tecnologica scaturita dalla proposta italiana è stata sviluppata in questi anni dai tecnici informatici dei Notariati di quattro paesi: Germania, Spagna, Francia ed Italia. Dalle iniziali dei quattro Paesi, nella lingua nazionale di ciascuno, deriva l'acronimo Défi, che è in francese significa Sfida. E' particolarmente significativo che un sistema così articolato, che non ha al momento paragone in altre professioni, sia stato creato ricorrendo alle risorse tecnologiche in-house dei quattro Notariati [nota 7].

Il funzionamento del sistema è assai semplice per l'utente. Immaginiamo di aver ricevuto da un notaio straniero la copia autentica di una procura, firmata digitalmente; come qualunque altro file ricevuto per posta, lo memorizzeremo da qualche parte sul nostro computer. Prima di usarla dovremo però verificarla, per sapere se siamo dinanzi ad una vera procura notarile o ad un banale falso, e questo sia che la si voglia allegare ad un futuro atto in originale digitale, sia che se ne voglia formare una copia per l'allegazione ad un originale cartaceo [nota 8]. La piattaforma consente esattamente questo. Una volta raggiunto il sito web della piattaforma, è sufficiente scegliere il file che si desidera verificare ed inviarlo premendo l'apposito pulsante. Dopo qualche secondo di attesa [nota 9] apparirà una videata che conterrà quattro risposte, in un'intuitiva visualizzazione "a semaforo" (figura 3).



Figura 3 - Una verifica avvenuta con esito positivo sulla piattaforma Bartolus

In particolare:

· il primo quadro si riferisce alla coerenza matematica del file. In altri termini, se lo sfondo è verde sappiamo che il documento è integro, e non è stato alterato da nessuno dal momento della firma;

· il secondo si riferisce alla revoca del certificato: il colore verde ci informa che il certificato non è stato revocato;

· il terzo si riferisce alla scadenza del certificato: il campo verde significa che il certificato non è scaduto (a figura 4 un esempio di quel che accade se il certificato è invece scaduto);

· il quarto costituisce il "valore aggiunto" più visibile della piattaforma: il verde conferma che il documento proviene da un notaio in esercizio.



Figura 4 - Una verifica sulla piattaforma Bartolus con esito negativo: il certificato è scaduto

Come viene eseguita quest'ultima verifica? In modo diverso per ogni Paese. L'Italia, il primo Paese ad adottare la firma digitale notarile [nota 10], scelse prudentemente la soluzione più semplice e robusta: venne creata un'Autorità di certificazione (che formalmente corrisponde al CNN) e che certifica solo notai in esercizio. Neppure il Direttore generale del CNN, non essendo notaio, può avere una carta rilasciata dall'istituzione da lui diretta. In questo modo, verificando che la firma è certificata dal CNN, si ha l'automatica certezza che si tratta della firma di un notaio italiano in esercizio. In altri Paesi come la Francia, ove esiste un'Autorità di certificazione notarile ma questa certifica anche altri soggetti, oltre all'identificazione dell'Autorità la piattaforma deve verificare anche se in una prestabilita localizzazione all'interno del certificato si trova la conferma della qualifica di notaio. Ed altre varianti ancora esistono nella pratica.

Il sistema offre un'altra risorsa vitale: la possibilità di scaricare il documento firmato. Se infatti siamo di fronte ad un formato (ad esempio il già citato cms) che il nostro computer non è in grado di aprire, anche una volta verificata la firma resterebbe impossibile prendere cognizione del documento firmato. L'apposito pulsante presente sul sito ci consente di ricevere il documento "in chiaro".

Ancora un'annotazione: a figura 4 si sarà forse notato che la terza luce del semaforo è gialla (o forse arancione, ma di certo non rossa). Dietro questo dettaglio cromatico si cela una questione giuridica di un certo interesse, e che richiede una digressione. Cosa accade ai documenti firmati digitalmente quando il relativo certificato scade? Prima facie, la risposta sembrerebbe ovvia: la scadenza del certificato non interferisce con lo status giuridico dei documenti già firmati. Le cose non stanno però in questo modo. I certificati di firma digitale hanno una scadenza alquanto breve (nell'ordine dei tre anni) in quanto si teme che nuove scoperte matematiche o vistosi incrementi della potenza dei computer rendano in futuro possibile falsificare le firme digitali. Se ciò accadesse, anche le firme già apposte diverrebbero inaffidabili. Per questo la dottrina italiana prevalente [nota 11] ritiene che la scadenza del certificato [nota 12] sia evento parificabile alla distruzione del documento cartaceo. In altri Paesi, come la Germania, prevale un atteggiamento più morbido [nota 13]: si ritene che il documento resti tecnicamente firmato, ma sia onere dell'utilizzatore valutare prudentemente se il complesso delle circostanze debba far sospettare il rischio di una falsificazione, o se il documento debba ritenersi comunque affidabile. Di qui la scelta della luce gialla: ogni utilizzatore dovrà valutare la situazione secondo le regole applicabili.

Il sistema è ora in fase di betatest; per l'entrata definitiva in servizio si attende la bolla reale di riconoscimento di un'associazione di diritto belga che è stata creata ad hoc per la gestione della piattaforma. Su proposta italiana, l'associazione è stata denominata Bartolus, in onore del giurista Bartolo da Sassoferrato. Un grande italiano ma anche, ed oserei dire soprattutto, un grande europeo, visto l'enorme impatto che la sua opera ebbe sui sistemi giuridici di tutto il Continente.

E' prevedibile che nel 2011 il sistema Bartolus sarà a disposizione di tutti i notai europei, e potremo iniziare a scambiare documenti notarili digitali con i nostri principali partners continentali. Sarebbe davvero un curioso paradosso, se continuassimo ad usare la Rete per inviare gli atti ad uffici pubblici che magari distano poche centinaia di metri dal nostro studio, e non per i documenti che debbono viaggiare per migliaia di chilometri.


[nota 1] In verità anche il quadro normativo italiano antecedente il D.lgs. 110/2010, che ha sdoganato l'atto pubblico informatico, autorizzava forse qualche apertura; si veda però il vaglio critico di S. CHIBBARO, Le problematiche giuridiche della prime applicazioni, in Firme elettroniche – Questioni ed esperienze di diritto privato, Milano, Giuffré, 2003, p. 104. Della medesima Autrice, si veda la relazione in questo volume. Per un'ampia trattazione (a giudizio di chi scrive, non sempre condivisibile però nel suo impianto), si veda E. A. GAETE GONZÁLES, Instrumento público electrònico, Barcelona, Bosch, II ed., 2002.

[nota 2] Il tutto è dettagliatamente documentato sul ricco sito http://www.e-app.info

[nota 3] In verità da parte statunitense si sta ipotizzando una procedura un poco diversa. Si immagina che il public Notary statunitense produca un documento cartaceo tradizionale, e che l'Autorità preposta al rilascio dell'apostille provveda alla sua scannerizzazione, all'aggiunta dell'apostille ed alla firma del tutto (la procedura è quella raffigurata in alto a sinistra nella figura 1: il personaggio con la cravatta, nel nostro caso il notaio, si reca all'ufficio emittente l'apostille col suo documento sottobraccio, anziché inviarlo via computer, come nell'alternativa raffigurata subito sotto). Tale modello è stato oggetto di serrata critica da parte di alcuni Notariati di tradizione latina (Italia in testa) in occasione di un Convegno tenutosi a Londra nella primavera 2009: si è infatti rilevato che in tal modo il documento notarile sarebbe privo di firma: si avrebbe l'immagine (il cadavere, come si è sentito dire, in modo un poco immaginifico, all'assise londinese) di un atto notarile, non l'atto. La difficoltà è probabilmente superabile, ad esempio qualora che l'Autorità emittente l'apostille sia provvista, nell'ambito del suo ordinamento, del potere di rilasciare copie autentiche degli atti notarili: la firma digitale dell'Autorità potrebbe verosimilmente, in un simile contesto, supportare ad un tempo sia la copia autentica dell'atto originario che l'apostille. Comunque sia di ciò, l'apparente leggerezza con cui da parte statunitense si affrontano problematiche per noi strategiche, come la presenza od assenza di una firma, non è sintomo di superficialità, ma logico corollario dell'assenza, nel loro sistema giuridico, dell'atto pubblico quale documento altamente formalizzato e provvisto di forza probatoria privilegiata.

[nota 4] Del che, per dirla tutta, ci si accorge solo quando il procedimento per qualche ragione fallisce e la pratica viene respinta: eventualità molto rara ma ahinoi non ignota.

[nota 5] Per un inquadramento generale del problema, si veda M. NASTRI, Firme elettroniche ed enunciazione di funzioni, qualifiche, poteri. La firma funzione del notaio della prime applicazioni, in Firme elettroniche – Questioni ed esperienze di diritto privato, Milano, Giuffré, 2003, p. 41.

[nota 6] Qualcuno ricorda Etere? Era un sofisticato sistema per la diffusione di bollettini informativi riservati ai notai che utilizzava il segnale Rai; richiedeva una scheda speciale ed un'antenna Tv. L'infrastruttura era ai suoi primi vagiti quando venne travolta dalla rabbiosa avanzata di Internet. A netta scusante dei protagonisti dell'informatica notarile dell'epoca, va ricordato che il successo della Rete colse del tutto impreparato anche un certo Bill Gates, come quest'ultimo riconobbe con ammirevole sincerità in un memo del 26 maggio 1995 intitolato Internet Tidal Wave (l'onda di marea di Internet).

[nota 7] Mi permetto rinviare, per approfondimenti, alla descrizione che appare in U. BECHINI and D. GASSEN, «A New approach to Improving the Interoperability of Electronic Signatures in Cross-Border Legal Transaction», in Michigan State Journal of International Law, volume 17 (2008/2009), Issue 3. L'articolo è stato pure pubblicato in traduzione italiana («Firme elettroniche a valore legale internazionale: un nuovo approccio per migliorare l'interoperabilità») ne Il diritto dell'informazione e dell'informatica, n. 2/2009, riprodotta in CNN Notizie del 9 settembre 2009. Una sintesi in lingua tedesca (Verifikationsplattform für elektronische Signaturen) è apparsa in Datenschutz und Datensichereit, Wiesbaden 2008, p. 673

[nota 8] La procedura da seguire in simili casi resta quella tratteggiata in B. REYNIS et U. BECHINI, «La signature électronique transfrontalière des notaires: une réalité européenne», ne La Semaine Juridique, édition notariale et immobilère, 2004, p. 1447, apparso in traduzione italiana («La firma digitale transfrontaliera dei notai: una realtà europea»), in Notariato, 2004, p. 573.

[nota 9] In occasione della dimostrazione live al Convegno milanese del giugno 2010, eseguita utilizzando un normalissimo computer collegato ad Internet via rete cellulare, si fece osservare come la verifica di una firma francese richiedesse più tempo della verifica di una firma italiana. La ragione, per strano che possa apparire, è giuridica e non tecnica. La verifica della firma viene eseguita sempre domandando conferma della validità del certificato in tempo reale all'ente emittente, che deve assumersene la responsabilità. Dato che la piattaforma europea è installata in Roma presso il Consiglio nazionale del Notariato, la verifica di una firma italiana richiede l'interpello di un'altra macchina che si trova nel medesimo vano, ed è quindi praticamente istantanea. Nel caso delle firme francesi, la conferma deve provenire dal centro di calcolo dei notai francesi in Venelles, vicino ad Aix-en-Provence, e questo richiede l'avvio ad hoc di una sessione protetta su internet, e qualche istante d'attesa in più.

[nota 10] Ed il secondo Stato al mondo, dopo lo Utah, ad adottare una legislazione in materia, sin dal 1997. Si veda il pionieristico lavoro di M. MICCOLI, Documento e commercio telematico, Milano, Ipsoa,1998.

[nota 11] Inaugurata dall'aureo ed insuperato testo del notaio R. ZAGAMI, di cui è impossibile sovrastimare l'impatto sulla cultura giusinformatica italiana: Firma digitale e sicurezza giuridica, Padova, Cedam, 2000, p. 214.

[nota 12] Qualora non si adottino specifiche contromisure, su cui non occorre insistere in questa sede.

[nota 13] Cui sembra in verità offrire un'apertura E. MACCARONE, in M. CAMMARATA ed E. MACCARONE, La firma digitale sicura, Milano, Giuffré, 2003, p. 144.

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