Fondazioni di comunità: novità e problematiche
Fondazioni di comunità: novità e problematiche
di Bernardino Casadei
Segretario generale Assifero

In un contesto in cui, data l'evoluzione del contesto sociale e normativo, i notai saranno sempre più chiamati a valorizzare il proprio patrimonio di fiducia e di relazioni, può rivelarsi utile per la professione iniziare a riflettere su come assistere i propri clienti nel dare una risposta adeguata ad una nuova tipologia di bisogni che si sta sempre di più diffondendo: i bisogni filantropici. Si tratta, in altre parole, di assistere chi vuole destinare risorse per il perseguimento di finalità d'utilità sociale, ma che, spesso, ha bisogno di aiuto per individuare le soluzioni che possano permettergli di perseguire il proprio obiettivo.

In una società complessa come la nostra, in cui i problemi sociali non possono essere affrontati in modo superficiale, le persone sono spesso isolate e i vincoli così come gli obblighi legali si fanno sempre più stringenti ed articolati, donare diventa quindi spesso molto più difficile di quello che, ad una prima analisi, si potrebbe credere.

In realtà il numero delle persone che vuole destinare in tutto o in parte il proprio patrimonio per finalità caritatevoli è in costante crescita. Si pensi solo alle persone senza eredi, le quali potrebbero essere particolarmente interessate a utilizzare le loro risorse per realizzare qualcosa in cui credono, piuttosto che destinarle a soggetti che neppure conoscono. Un recente studio da parte di Fondazione Cariplo indica che il valore dei patrimoni delle famiglie che si estingueranno per mancanza di eredi diretti sarà, nei prossimi anni, di oltre 105 miliardi di euro [nota 1]. Si tratta di oltre 300 mila famiglie che potrebbero avere bisogno di un'assistenza specifica e che potrebbero trovare proprio fra i notai il professionista in grado di meglio consigliarli. Se a questi si aggiungono tutti coloro i cui figli sono già in età pensionabile e che quindi non hanno necessariamente bisogno di ricevere l'intera eredità, apparirà a tutti evidente come si tratti di un mercato potenziale estremamente importante.

Vi sono poi tutte le persone che vogliono ricordare un caro congiunto realizzando qualcosa che ne conservi la memoria nel tempo. Si tratta di un'esigenza molto diffusa, ma che non sempre è facile concretizzare in modo adeguato. Ricordare la memoria di una persona attraverso la donazione di un bene specifico, lega appunto il ricordo a quel bene, il quale, in un mondo in continua evoluzione e cambiamento, rischia di avere una durata alquanto limitata.

In questi ultimi anni si sta drammaticamente diffondendo il problema del "dopo di noi". Se un tempo era difficile che una persona disabile sopravvivesse ai propri congiunti, ora, grazie ai progressi della medicina, questo è relativamente comune. Sono così sempre più numerose le persone che si trovano nella disperata esigenza di trovare soluzioni adeguate che possano permettere ai loro figli una vita dignitosa, anche attraverso la costituzione di patrimoni destinati a far fronte a tali esigenze.

Inoltre, la crisi dello stato sociale, il quale dovrà essere sostituito da una società solidale ed alcuni esempi provenienti soprattutto dagli Stati Uniti, stanno spingendo un numero crescente di persone a voler dare il proprio contributo alla definizione e realizzazione del bene comune. Queste persone non vogliono però semplicemente rispondere agli appelli promossi attraverso le tecniche di raccolte fondi, ma vogliono poter indirizzare le proprie donazioni secondo una propria strategia.

Un'evoluzione simile caratterizza anche il mondo delle imprese che sentono l'esigenza di operare come cittadini responsabili, ma che hanno anche bisogno di integrare le proprie liberalità all'interno della loro strategia aziendale. Proprio la crisi presente, la cui origine etica e morale è chiara a tutti, sta peraltro spingendo molti a ripensare il modello di sviluppo e la ricerca della massimizzazione del profitto a breve viene sempre più temperata dall'esigenza di sviluppare strategie che siano sostenibili e che favoriscano l'emergere di quel capitale sociale, senza il quale diventa impossibile vincere la competizione internazionale.

Infine gli stessi enti non profit sentono l'esigenza di dotarsi di strutture adeguate, sia per offrire nuove opportunità e vantaggi ai loro donatori, sia per costituire e gestire patrimoni coi quali diversificare le loro entrate. La proliferazione delle fondazioni costituite a latere di associazioni od altre organizzazioni senza finalità di lucro, ne è una prova evidente.

è poi importante non dimenticare che attrezzarsi per dare una risposta a queste esigenze non significa solo poter penetrare in un mercato che è in evidente crescita, ma anche dare un proprio qualificato contributo alla costruzione del bene comune e al miglioramento della qualità della vita nella società in cui viviamo. Infine, e questo è da un punto di vista strategico forse l'elemento più importante, essere in grado di dare una risposta qualificata a queste esigenze significa entrare in relazione coi bisogni più intimi dei propri clienti e quindi rafforzare quel rapporto di fiducia che è alla base di qualsiasi fidelizzazione. Non è un caso che un numero crescente di banche internazionali stia iniziando ad offrire ai propri migliori clienti dei veri e propri servizi filantropici, mettendo loro a disposizione delle strutture ad hoc che questi possono utilizzare per gestire al meglio le proprie donazioni.

Fino a poco tempo fa chi voleva perseguire dei propri obiettivi filantropici aveva a disposizione le seguenti alternative:

1. La gestione diretta, ossia l'erogazione diretta di contributi per realizzare quanto desiderato. Si tratta però di una modalità operativa che rischia di rivelarsi complessa, anche perché seguire un'erogazione non significa semplicemente, attività peraltro essa stessa difficile, individuare il beneficiario della stessa, ma anche monitorare come questo utilizza le risorse erogate, raccoglierne la rendicontazione, verificarne l'impatto. Tutte attività che richiedono sia tempo che competenze specifiche, attributi che difficilmente il donatore ha all'interno della sua famiglia o anche della sua azienda.

2. La donazione delle proprie risorse ad un ente specifico che poi le utilizzerà per perseguire i propri obiettivi. Questa soluzione implica che il donante si identifichi con l'ente beneficiario e che vi sia un rapporto di piena e totale fiducia, in quanto ciò comporta una perdita di controllo su come tali somme verranno poi utilizzante. Inoltre, una volta effettuata la donazione non è più possibile cambiare e, qualora dovesse sorgere una nuova realtà che meglio risponde alle mie esigenze, normalmente non si può chiedere all'ente che ha già ricevuto il mio contributo di destinarne una quota per sostenere un'iniziativa realizzata da parte di un'altra organizzazione.

3. Non sono rari coloro che sperano di gestire queste esigenze attraverso la costituzione di un'associazione. In questo caso ci si confronta però coi problemi tipici legati alla gestione di una pluralità di soggetti, con la necessità di organizzare e gestire assemblee e con il rischio che, nel tempo, subentri la stanchezza e che l'ente cessi di fatto di funzionare.

1. Infine è possibile costituire una fondazione. Non vi è dubbio che si tratti della modalità più efficace e flessibile che il donante può utilizzare per perseguire le proprie finalità. Vi sono però alcune controindicazioni. La costituzione e la gestione di una fondazione sono infatti molto onerose sia in termini di tempo che di denaro. E' quindi una scelta che è giustificata solo in presenza di masse molto consistenti se non si vuole correre il rischio di creare di fatto delle manomorte che non sono in grado di perseguire la loro missione, in quanto tutte le risorse sono destinate alla conservazione della struttura. Infine, è accaduto che, nel tempo, i consigli d'amministrazione abbiano finito per tradire la volontà dei fondatori, realizzando attività che ben difficilmente sarebbero state giudicate positivamente dai fondatori. Molto sono infatti convinti che se Herry Ford vedesse quello che fa la fondazione con il suo nome si rivolterebbe nella tomba. In altri casi invece i consiglieri perdono interesse per la vita della fondazione, la quale cessa di fatto di operare. Gli interventi da parte dell'autorità governativa che dovrebbe vigilare affinché ciò non succeda sono infatti estremamente rari e, di fatto, le fondazioni sono abbandonate al senso di responsabilità dei suoi amministratori, i quali non sempre rispettano pienamente il loro ruolo e pongono gli interessi della fondazione e la volontà del fondatore in cima ai loro pensieri. In ogni modo, al di à di questi inconvenienti, il problema principale è che la costituzione di una fondazione è sempre stata una prerogativa dei ricchi se non dei ricchissimi.

In questi ultimi decenni, proprio per superare questi problemi, la filantropia istituzionale ha sviluppato una nuova modalità operativa che tecnicamente viene definita l'intermediazione filantropica. In pratica un ente, di norma una fondazione aventi caratteristiche Onlus, così da offrire ai donatori la possibilità di massimizzare i benefici fiscali, mette a loro disposizione la propria infrastruttura, affinché questi possano utilizzarla per il perseguimento delle proprie finalità filantropiche attraverso la costituzione, mediante donazioni modali, di fondi, aventi ciascuno un proprio regolamento disciplinante gli obiettivi e le modalità operative. In pratica si offre al donante la possibilità di costituirsi uno strumento, aventi gli stessi vantaggi di una fondazione privata, ma senza i rischi e i costi connessi alla sua costituzione e gestione.

Le caratteristiche principali di questi fondi sono la rapidità attraverso la quale essi possono essere costituiti. La creazione di un fondo filantropico può infatti letteralmente avvenire dalla sera alla mattina. Mentre per la costituzione di una nuova fondazione devo necessariamente operare con atto pubblico e devo ottenere il riconoscimento, un fondo può essere costituito, se di modica entità, anche con una semplice scrittura privata, fatti salvi naturalmente i vincoli relativi agli eredi e, soprattutto, è immediatamente operativo, in quanto la fondazione ospitante ha già ottenuto il riconoscimento da parte dell'autorità governativa.

L'altro elemento fondamentale dei fondi è la semplicità con cui possono essere costituiti e gestiti. Il donante non si deve preoccupare di tutti quegli elementi che necessariamente devono essere presenti nella gestione di un ente: consiglio d'amministrazione, revisori, bilanci, contabilità, rispetto della normativa sulla privacy, conflitti d'interessi e più in generale rispetto della normativa sulla responsabilità degli amministratori, gestione finanziaria e patrimoniale. Si tratta di oneri, peraltro in continua crescita ed evoluzione, spesso complessi e peraltro non facilmente gestibili, in quanto, trattandosi di un mondo molto particolare, non è neppure facile trovare professionisti con una competenza specifica in materia. Ora tutti questi aspetti sono già gestiti ed affrontati dalla fondazione ospitante e il donatore può occuparsi solo ed esclusivamente di quello che più lo interessa e lo affascina.

La caratteristica per certi versi più interessante di questi fondi è infatti l'estrema flessibilità. Il donante può infatti stabilire tutto quello che vuole. Oltre naturalmente al nome e alle finalità del fondo, egli può stabilire in che modo debba essere coinvolto nella vita del fondo, la sua durata, come debbano essere gestite le erogazioni, se il fondo dovrà essere diretto da un comitato specifico, come il patrimonio dello stesso debba essere investito, cosa si deve comunicare all'esterno della vita del fondo stesso, ecc. La fondazione ospitante può infatti confezionare un vestito su misura con una unico vincolo, le indicazioni del donatore devono rispettare i vincoli statutari, che però sono di norma molto ampi, e, naturalmente, la normativa vigente.

Proprio perché il donatore sfrutta una struttura già esistente, la soluzione è anche estremamente economica. In pratica è come se egli desse in outsourcing tutta una serie di funzionalità ad un ente che è già strutturato per gestirle. In questo modo i costi fissi, particolarmente rilevanti per una fondazione possono essere ripartiti su una pluralità di fondi e quindi avere un'incidenza ridotta su ciascun donatore. Inoltre, è possibile sfruttare, soprattutto per quel che riguarda la gestione finanziaria e patrimoniale, importanti economie di scala, che dovrebbero permettere da un lato una riduzione delle commissioni da parte dei gestori e dall'altro garantire una maggiore diversificazione e una conseguente riduzione del rischio.

Particolarmente rilevanti sono le garanzie di cui il donante gode. Nel momento che il consiglio della fondazione accetta la donazione modale esso è infatti obbligato per legge a rispettarne tutti i vincoli e qualora ciò non dovesse accadere, chiunque può chiedere l'intervento del giudice. Al di là di questa tutela legale, bisogna poi considerare che un intermediario filantropico è alla costante ricerca di nuovi donatori i quali, prima di decidere di costituire un fondo, andranno a verificare come la fondazione ha gestito i vecchi, introducendo così una pressione di mercato che evita quei rischi che abbiamo visto possono caratterizzare la vita di una fondazione autonoma. Inoltre, dato che questi intermediari sono meri erogatori di risorse e quindi non possono incorrere in rischi imprenditoriali, comuni a qualsiasi ente operativo, sia esso profit che non profit, ben difficilmente potranno fallire e quindi mettere a rischio l'eventuale patrimonio donato. Certo a questo mondo nulla è totalmente al riparo da qualsiasi rischio, ma in questo caso essi sono veramente ridotti al minimo.

Il donatore non è assicurato solo nei confronti della fondazione, ma anche rispetto agli enti non profit che beneficeranno del suo contributo. La fondazione è infatti in grado di verificare e se necessario di imporre che le risorse erogate vengano effettivamente utilizzate per le finalità previste raccogliendo la rendicontazione e mettendola a disposizione del donatore e delle persone da lui indicate. Se si pensa che una delle principali ragioni per cui la gente non dona è proprio il timore che le proprie risorse vengano spese per altri fini, è questo un beneficio molto importante che la costituzione di un fondo può mettere a disposizione dei donatori.

Proprio per garantire il più possibile il donatore e porre le condizioni per superare quel sospetto che ormai circonda tutte le istituzioni, questi intermediari filantropici operano nella massima trasparenza, rendendo pubblici tutte quelle informazioni che il donante non vuole che rimangano riservate. Inoltre queste fondazioni si sono dotate di un sistema gestionale molto sofisticato ed informatizzato che permette di rendicontare in tempo reale l'utilizzo di ogni centesimo. Per poter conseguire questo risultato, queste fondazioni non si limitano a registrare i movimenti contabili in partita doppia, ma utilizzano una doppia scrittura così che sia sempre possibile tenere traccia sia della natura che della destinazione di ogni operazione.

Un'ultima caratteristica dell'intermediario filantropico è la sua neutralità. Il suo compito è quello di servire i donatori, aiutando questi ultimi a individuare l'iniziativa che meglio risponde ai loro valori, interessi, sensibilità. Per evitare ogni conflitto d'interessi, l'intermediario di norma si astiene dalla gestione diretta di progetti ed iniziative. Esso non vuole raccogliere soldi per realizzare i propri obiettivi ed è importante che il suo comportamento non possa generare neppure il sospetto che la propria eventuale attività di consulenza sia in qualche modo condizionata da considerazioni che non siano il sincero rispetto della volontà del donatore.

Fra gli intermediari filantropici, quelli che si stanno maggiormente diffondendo nel mondo sono le fondazioni di comunità. La loro caratteristica è quella di mettersi al servizio di una comunità geograficamente determinata. Proprio per questo sono rette da dei consigli d'amministrazione rigorosamente non retribuiti, composti da persone, di norma essi stessi donatori, in grado di riflettere la propria comunità di riferimento e che hanno come compito principale proprio quello di garantire il corretto uso e investimento delle risorse, sensibilizzare il proprio territorio relativamente alle potenzialità di questo strumento, gestire le erogazioni sulla base delle indicazioni dei donatori.

Sebbene sia possibile riconoscere istituzioni analoghe anche nella storia europea, le fondazioni di comunità, così come le conosciamo oggi, sono nate nel 1914 a Cleveland in Ohio. Per lungo tempo esse sono rimaste confinate nell'America del nord rimanendo un fenomeno marginale, anche in quel contesto.

Negli ultimi trent'anni esse sono iniziate a crescere in maniera esponenziale in quei Paesi e, a partire dalla seconda metà degli anni novanta hanno incominciato a diffondersi in tutti i continenti, dimostrando di essere in grado di adattarsi ai diversi contesti culturali. Sono infatti considerati il fenomeno in più rapida crescita della filantropia istituzionale. A fine 2009 esistevano nel mondo 1.680 fondazioni di comunità di cui circa la metà costituita dopo il 2000, con uno sviluppo particolarmente rilevante in Europa.

In Italia le fondazioni di comunità sono state introdotte grazie ad un progetto promosso da Fondazione Cariplo. Attualmente ce ne sono una trentina, quasi tutte concentrate nell'Italia del nord, ma è opportuno ricordare che, a seguito della volontà da parte della Fondazione per il Sud di promuoverne lo sviluppo anche nel Mezzogiorno, ne sono sorte un paio in Campania e sono diversi i comitati promotori che si stanno organizzando nel sud del nostro Paese. La diffusione di questa istituzione in Italia, guardata inizialmente con scetticismo, anche fra i suoi promotori, ha raggiunto importanti risultati e, attualmente, il patrimonio gestito dalle fondazioni di comunità italiane è secondo solo a quello delle fondazioni statunitensi e canadesi ed ha superato quello delle fondazioni di comunità britanniche che, fino a pochi anni fa, erano saldamente al terzo posto.

Rispetto agli altri intermediari filantropici, le fondazioni di comunità hanno particolari caratteristiche che sono probabilmente alla base della loro crescita esponenziale. In primo luogo, proprio perché concentrano l'attenzione in un determinato territorio, esse sono in grado di maturare una conoscenza unica dei bisogni e delle opportunità di quella specifica comunità. Si tratta di un patrimonio di conoscenze che può rivelarsi particolarmente importante per qualsiasi donatore che sia interessato ad individuare le modalità più efficaci per investire le proprie risorse. In una società disaggregata ed atomizzata come la nostra, non è infatti facile conoscere quello che possiamo effettivamente fare per migliorare la comunità in cui viviamo.

A questa conoscenza si aggiunge il rapporto quotidiano con le non profit che operano nel proprio territorio. Il personale della fondazione impara quindi a conoscerle, capirne i punti di forza, così come le debolezze e può quindi offrire un'assistenza qualificata a chi è interessato a sostenerle. In questo modo ci si garantisce che le risorse vadano effettivamente la dove possano essere utilizzate in modo adeguato.

La rete di relazioni che la fondazione di comunità può mettere a disposizione dei propri donatori è in realtà molto articolata. Proprio per la sua funzione, essa è naturalmente in rapporto con una pluralità di donatori, ne conosce gli obiettivi così come gli interessi ed è quindi in grado di favorire incontri e partnership fra diversi soggetti, i quali possono così unire le forze per conseguire obiettivi che altrimenti sarebbero fuori dalla loro portata.

Inoltre grazie alle relazioni con i media locali, le fondazioni di comunità possono aiutare i donanti a massimizzare i benefici in termini di immagine e reputazione collegabili alla loro attività benefica, così come pienamente tutelare il loro anonimato. Dovrebbe essere infatti a tutti evidente che una cosa è un'impresa che convoca una conferenza stampa per illustrare quanto è brava e responsabile e una cosa è se la stessa conferenza stampa è convocata da un soggetto terzo, come appunto la fondazione di comunità, la quale spiega cosa è stato possibile realizzare grazie alle liberalità di quell'azienda.

Infine la fondazione di comunità può svolgere un importante ruolo di ponte fra i diversi settori della società ed in particolare facilitare la collaborazione fra i donatori privati e le pubbliche amministrazioni, permettendo così di dar vita a quella sussidiarietà orizzontale di cui tanto si parla, ma che ha bisogno di strumenti specifici per poter concretizzarsi nella vita quotidiana.

Naturalmente non è tutto oro quelle che luccica e, soprattutto nel nostro Paese, le fondazioni di comunità sono chiamate a superare alcuni limiti che impediscono loro di sfruttare al pieno le proprie potenzialità. In primis, la diffusione di questo modello è ostacolata dal fatto che vi sono ampi territori che non hanno una loro fondazione di comunità ed è irrealistico pensare che in pochi anni sia possibile coprire l'intero territorio nazionale. Ciò rende difficile il lavoro di promozione con alcuni potenziali partner, come potrebbero essere i private bankers, i quali hanno di norma bisogno di una soluzione che possa essere applicata a tutti i loro clienti, indipendentemente dalla loro collocazione geografica.

Un altro limite che caratterizza le fondazioni italiane è quello di essere dirette da un presidente volontario, il quale può, di norma, dedicare solo un tempo limitato alla gestione di un ente, che è in realtà molto complesso ed articolato. A differenza di quello che accade in altri Paesi, dove il responsabile della fondazione è il capo del personale ed è quindi la persona che, lavorando a tempo pieno nella fondazione, è effettivamente consapevole di quello di cui c'è bisogno; da noi si rischia di avere una struttura paralizzata dal fatto che il presidente, non avendo il tempo per realmente comprendere i veri bisogni dell'ente, finisce, suo malgrado, per bloccarne l'attività. E' probabile che sarà necessario immaginare un'evoluzione che sostituisca alla figura del segretario generale, quella dell'amministratore delegato.

Altro limite che impedisce alle fondazioni di comunità di crescere quanto potrebbero, è la tendenza ad avere delle strutture estremamente leggere, magari composte principalmente di volontari. Non investire nella propria struttura significa in realtà precludersi la possibilità di offrire quei servizi senza i quali è difficile attirare nuovi donatori. Non si dona infatti alle fondazioni di comunità, ma attraverso le fondazioni di comunità. Perché il donatore accetti di utilizzare un intermediario, questo deve mostrare di offrire un reale valore aggiunto. Inoltre, data la sostanziale novità dello strumento, se non si dedicano risorse qualificate alla tessitura delle relazioni personali coi potenziali donatori, coi loro amici e colleghi, coi loro fiduciari, siano essi professionisti, come notai, avvocati e commercialisti, piuttosto che medici e religiosi, tante opportunità rischiano di essere perse per semplice ignoranza. Del resto, l'esperienza internazionale ci insegna che le fondazioni che hanno avuto il coraggio di investire in se stesse sono cresciute e quindi hanno potuto mettere a disposizione della comunità maggiori risorse, mentre quelle che, temendo di distogliere dal finanziamento dei progetti d'utilità sociale il denaro che investivano nella loro struttura, hanno ridotto al minimo le proprie spese di gestione, hanno anche raccolto di meno, con le conseguenze per la loro attività erogativa che è facile immaginare.

Infine bisogna riconoscere che la gestione patrimoniale non sempre è adeguata. Se infatti compariamo la rendita media annuale delle fondazioni di comunità italiane con quella di altri Paesi, notiamo come questa sia molto più bassa. Si tratta di un deficit di cultura finanziaria che contraddistingue la nostra società e quindi anche i consigli d'amministrazione delle fondazioni di comunità, in cui l'avversione al rischio è talmente alta che, a volte, si finisce per prendere rischi maggiori, in quanto la strategia d'investimento non è sufficientemente diversificata. In particolare si tende spesso ad operare con un orizzonte temporale che coincide con la durata del consiglio d'amministrazione, anche se questo non è quello che invece sarebbe più adatto le esigenze di un ente che è chiamato a valorizzare un patrimonio indisponibile, con conseguenze per la redditività alquanto negative. Solo l'elaborazione di standard comuni e una maggiore diffusione di una cultura finanziaria adeguata, cosa peraltro che l'attuale instabilità finanziaria certamente non aiuta, potrà permetterci di superare questi limiti.

Assifero, l'associazione di categoria fra le fondazioni e gli enti d'erogazione, di cui fanno parte la quasi totalità delle fondazioni di comunità, si sta operando per elaborare gli strumenti che possano aiutarle a superare questi ostacoli. Da un lato essa è attiva nell'assistere tutte quelle comunità che vogliono costituirsi una fondazione di comunità. Dall'altro essa aiuta le fondazioni esistenti nei loro sforzi volti a migliorare le proprie capacità gestionali operative, anche diffondendo le migliori pratiche che si stanno sviluppando all'estero. Inoltre Assifero si adopera per favorire la comunicazione nei confronti dei pubblici di riferimento che le fondazioni di comunità devono imparare a coltivare, come, ad esempio, i notai.

Oltre a questi aspetti negativi di carattere congiunturale, che si spera possano essere superati col tempo, ve ne sono altri che invece sono strutturali e collegati alla natura stessa delle fondazioni di comunità e che in realtà sono il rovescio della medaglia proprio dei punti di forza che contraddistinguono queste fondazioni. Se infatti operare in un territorio definito, permette di conoscerlo bene, contemporaneamente, questo implica che può rivelarsi difficile assistere quei donatori che hanno interessi che trascendono quel territorio. Si tratta di una limitazione che può avere natura statutaria piuttosto che legale, ma che è essenzialmente operativa. Mentre infatti i primi ostacoli possono essere rimossi apportando delle opportune modifiche allo statuto e richiedendo il riconoscimento a livello prefettizio invece che quello regionale, i secondi infatti sono di più difficile gestione.

Se da un punto di vista legale è infatti sufficiente inserire nella definizione dell'ambito di operatività la parola "principalmente" prima della definizione del proprio territorio di riferimento, per poter essere in grado di offrire assistenza a quei donatori che dovessero decidere di finanziare iniziative in altre comunità, da un punto di vista operativo diventa però difficile svolgere le attività di assistenza, verifica, raccolta della rendicontazione in un territorio che la fondazione non conosce.

Data la sempre maggiore mobilità delle persone e degli interessi è sempre più probabile che vi sia un crescente numero di donatori potenziali che hanno interessi in una pluralità di comunità e che quindi dovrebbero servirsi di una pluralità di fondazioni, cosa che è chiaramente complessa e non auspicabile. Una modalità per superare questi limiti è quella di rafforzare la rete fra le fondazioni di comunità, così che sia sempre possibile chiedere l'assistenza tecnica di un'altra fondazione per gestire le donazioni che sono destinate fuori dal proprio territorio di riferimento.

In attesa che questa rete possa costituirsi, Assifero sta comunque sviluppando gli strumenti più opportuni affinché ogni donatore possa sempre trovare una risposta adeguata in grado di permettergli di perseguire in modo efficiente, efficace, economico, ma soprattutto coinvolgente e emotivamente gratificante i propri obiettivi filantropici. Oggi, infatti, stiamo finalmente capendo che il dono non è un dovere a cui siamo chiamati, quasi che fosse una forma di tassazione volontaria, a cui dobbiamo sottometterci per evitare danni peggiori.

Il dono, in realtà, è una magnifica opportunità che ci viene offerta per dare un senso alla nostra esistenza, vivere delle relazioni veramente umane con il nostro prossimo, perché non strumentali, sperimentare delle emozioni autentiche, in una parola, in un mondo sempre più disumanizzante, per riaffermare la propria umanità. Del resto, le stesse imprese, regno del pensiero strumentale, si sono rese conto di come le filantropia possa uno strumento potente per attirare, motivare e conservare il fattore produttivo più importante: le risorse umane. In ultima analisi il dono rende umano l'umano e proprio per questo i professionisti in genere e i notai, in particolare, possono avere un interesse, che trascende l'esercizio quotidiano della loro professione, a conoscere le nuove opportunità che la filantropia istituzionale mette loro a disposizione, per condividere coi loro clienti un'esperienza che, al di là dell'impatto positivo che può avere nella propria comunità, può rivelarsi veramente gratificante per tutti coloro che hanno la fortuna di viverla.


[nota 1] G.P. BARBETTA - P. CANINO - S. CIMA, Il valore potenziale dei lasciti per finalità di beneficenza, Fondazione Cariplo, 2009.

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