Trasformazione, fusione e scissione tra enti non profit
Trasformazione, fusione e scissione tra enti non profit
di Andrea Fusaro
Ordinario di Sistemi giuridici comparati
Università di Genova

Premessa

Il diritto degli enti non lucrativi è da tempo al centro di proposte di riforma organica [nota 1], di cui si segnala l'urgenza al fine di restituire attualità alla disciplina del codice, sopravanzata dalle leggi speciali come pure dalla normativa tributaria [nota 2]. I decreti legislativi 5 e 6 del 2003, rivolti alle società di capitali, hanno lambito il comparto del libro primo - ed anzi l'hanno investito con la disciplina delle trasformazioni eterogenee -, giungendo così provvidi in un contesto tanto bisognoso di indicazioni legislative; era inevitabile che gli interpreti prendessero a perlustrarli nella prospettiva dello scandaglio di tutti i riflessi irradiati sia sulla complessiva disciplina di associazioni e fondazioni sia sullo specifico fronte delle trasformazioni (nonché delle fusioni, per quanto non espressamente contemplate nella variante eterogenea).

Dopo un primo periodo dedicato alla chiosa delle disposizioni ed all'illustrazione della loro portata, si è tentato di allargare il compasso, coltivando il sospetto che la loro valenza normativa non si esaurisca all'interno del perimetro delle fattispecie contemplate: tra le prime proiezioni da esplorare vi è certamente quella che investe il segmento più prossimo, ossia le trasformazioni e le fusioni interne agli enti non lucrativi. I transiti ipotizzati sono molteplici: da associazione a fondazione e viceversa, poi da comitato a fondazione e forse pure ad associazione; abbandonando lo schematismo proprio delle trattazioni astratte occorrerebbe, inoltre, darsi carico delle peculiarità dei numerosi enti la cui natura giuridica è ricondotta alle figure codicistiche [nota 3].

Gli interrogativi attengono sia all'ammissibilità sia alle modalità. Il solo riferimento legislativo testuale è stato per decenni l'art. 28 - la cui rubrica contiene il lemma -, dove peraltro si è sempre riscontrato un fenomeno di trasformazione in senso assai peculiare, in quanto relativa esclusivamente allo scopo [nota 4], mentre nel libro quinto - agli artt. 2498 e ss.- esso coinvolge il mutamento del tipo.

La previsione delle trasformazioni eterogenee ha certamente contribuito a rendere maggiormente plausibili le combinazioni interne alle figure del libro primo, ma compete all'interprete definire la portata di questa apertura.

La scena anteriore alla riforma del diritto societario

Nell'ambito di una dottrina scarsamente attenta all'ammissibilità delle trasformazioni degli enti non lucrativi [nota 5], che evitava di annoverare in questa prospettiva l'evoluzione del comitato in fondazione, negli anni sessanta spiccava la posizione - autorevole, ancorché avanzata fugacemente [nota 6] - contraria alla convertibilità delle associazioni (il riferimento riguardava le riconosciute) in fondazioni, sostenuta sulla scorta di argomenti letterali, in particolare desunti dall'art. 31 ove si ravvisava una barriera invalicabile [nota 7]; la tesi fu peraltro formulata in un'epoca in cui la frontiera tra le due figure era considerata netta (sebbene la prassi statutaria già tralignasse) [nota 8].

Deciso era, invece, il favore mostrato verso le fusioni omogenee, in particolare tra associazioni [nota 9], mentre quelle tra fondazioni rifluivano nella trattazione dell'art. 28. La casistica di maggior rilievo maturò, del resto, a margine di questa ultima norma su ipotesi di mutamento dello scopo di fondazioni [nota 10].

La giurisprudenza non sembrava, peraltro, nutrire riserve circa le fusioni non solo tra fondazioni [nota 11], ma neppure tra associazioni, nei cui confronti riteneva applicabile l'art. 2504 per configurare l'estinzione degli enti originari e la successione a titolo universale di quello nato dall'unificazione [nota 12]. Non si registravano indicazioni sul procedimento di fusione, mentre quelle reperibili in tema di trasformazione venivano ad avallare soluzioni non sempre condivise dagli autori: tra le più criticate, la decisione adottata dal consiglio direttivo della fondazione, anziché dall'autorità governativa e da questa ultima soltanto confermata [nota 13].

In dottrina venivano più tardi avanzate aperture verso la trasformazione di associazioni in fondazioni, accompagnate dalla delineazione di modalità e limiti [nota 14], peraltro non tacendosi della diversa posizione dell'associato rispetto alla trasformazione, in ragione dell'abbandono della quota nel primo caso [nota 15].

La casistica seguente non sembrava riflettere alcuna linea evolutiva, segnalandosi semmai qualche arretramento, come quello marcato dalla pronuncia che - sovvertendo l'indirizzo espresso dalla stessa giustizia amministrativa [nota 16]- ha escluso la «transizione diretta ... dal modello dell'associazione a quello della fondazione ... ferma restando la possibilità per gli associati di provvedere all'estinzione dell'associazione, con le modalità previste dallo statuto o dal codice civile, e di costituire un Ente diverso», in ragione «della diversità degli istituti dell'associazione, da un lato, e della fondazione, dall'altro, basati su presupposti giuridici e strutturali totalmente diversi cui l'ordinamento ricollega differenti assetti di poteri, di garanzie e di controlli che assumono significato specifico alla luce della volontà associativa o fondativa che ha dato vita all'ente» [nota 17].

Peraltro, in quello stesso arco temporale, era stata confermata la evoluzione del comitato in fondazione [nota 18], evidentemente appoggiandosi alla teoria della natura ibrida del primo, suscettibile di sbocco in uno dei due tipi principali a seguito del riconoscimento [nota 19]. Era, inoltre, stata ribadita la concettuale ipotizzabilità della fusione tra associazioni [nota 20], senza però offrire spunti significativi quanto al procedimento, se non la competenza delle rispettive assemblee a deliberare [nota 21].

Già prendevano corpo, tuttavia, le prime voci favorevoli all'ammissibilità del passaggio da associazioni a società, le quali invitavano esplicitamente a ridimensionare la barriera della causa [nota 22]. Cosa era accaduto nel frattempo? Quali interventi legislativi venuti in essere nella seconda metà del secolo scorso hanno mutato lo scenario di immediato riferimento [nota 23]?

Molte leggi speciali avevano prefigurato il transito di enti pubblici in società, talora in associazioni e fondazioni; altre avevano avvalorato la fungibilità della forma sia all'interno delle figure del libro primo [nota 24], sia nell'ambito allargato comprensivo di queste nonché quelle del libro quinto [nota 25]; la disciplina del settore bancario [nota 26], poi quella degli enti lirici [nota 27], hanno fornito di supporto normativo le deroghe apportate dalla prassi alla struttura istituzionale delle fondazioni.

L'aggiornamento delle regole

A seguito dell'entrata in vigore della riforma del diritto societario, cosa è cambiato? Quali tasselli delle argomentazioni tradizionali sono venuti meno?

Il più significativo apporto della riforma è, ovviamente, consistito nella previsione delle trasformazioni eterogenee [nota 28]; il discorso su di esse è inclusivo delle fusioni eterogenee ove si consideri queste comprensive di quelle, talché le particolarità attengono al primo fronte, salvo non si aderisca alla tesi - autorevolmente sostenuta - incline a valorizzare autonomamente il rilievo della pubblicità, così rendendo la fusione destinataria di separate valutazioni [nota 29].

La valenza dell'intervento legislativo può, in ogni caso, cogliersi in alcune direttrici e precisamente: l'estensione della trasformazione oltre il recinto societario, interessando gli enti del libro primo; il coinvolgimento delle fondazioni in entrambe le posizioni, iniziale come finale (da fondazione a società e viceversa); l'apertura al criterio plutocratico quale assegnazione delle prerogative politiche ed economiche interne all'ente non lucrativo; il conseguente indebolimento delle ragioni a fondamento dell'ostilità al transito tra associazioni e fondazioni [nota 30].

Occorre, poi, considerare la successiva entrata in vigore della disciplina dell'impresa sociale [nota 31], che ha coinvolto gli enti del libro primo, dettando regole apposite anche in tema di operazioni straordinarie [nota 32].

La portata delle innovazioni

Non sono poche le domande circa la portata della riforma.

Pregiudizialmente, viene in gioco l'incidenza sulla condizione di associazioni e fondazioni, sotto il profilo dell'accresciuta elasticità della loro identità [nota 33].

I quesiti frontali sono molteplici. Intanto quello circa l'applicabilità allargata delle nuove regole, attraverso lo strumento dell'analogia o dei principi generali, che porta a domandarsi se esse siano realizzazione di un preesistente principio oppure lo fondino. Si delinea, poi, la questione se la trasformazione eterogenea riposi sulla continuità del soggetto o piuttosto dell'impresa. Ancora, ci si chiede se i limiti siano collegati al carattere lucrativo dello scopo oppure agli specifici controlli cui sono soggette le società; infine, se quelli contemplati dal codice siano gli archetipi delle strutture e dei procedimenti di trasformazione e fusione, oppure siano coerenti con la partecipazione delle società e come tali non estensibili.

Alcuni interrogativi appaiono quasi retorici, come quello in tema di operatività dei limiti previsti dal codice in tema di trasformazioni eterogenee, cui si addice una risposta certamente negativa, dal momento che appare ovvio, ad esempio, che non ha senso precludere la trasformazione in fondazione dell'associazione che abbia ricevuto contributi pubblici [nota 34].

La questione circa il fondamento della trasformazione nella continuità dell'impresa (soluzione, quest'ultima, fatta propria dalla disciplina dell'impresa sociale) [nota 35] o piuttosto del soggetto è coltivata nell'ambito del dibattito sugli artt. 2500-septies ed octies [nota 36] e si legittima rispetto a quel contesto, evidentemente incentrato sull'impresa, come del resto suggerisce la Relazione accompagnatoria. Occorre segnalare che neppure là è dato cogliere alcun chiaro indizio testuale nel senso della preclusione alla trasformazione in assenza di impresa (da parte dell'associazione o fondazione, si intende), seppur sia condivisibile la perplessità di fronte alla conversione radicale del tipo che - oltre allo scopo - coinvolga anche l'attività. Questi sospetti non paiono, tuttavia, trasferibili tra gli enti del libro primo dove la presenza dell'impresa è - ovviamente - eventuale, cosicché appare esportabile l'apertura al transito tra i tipi, quindi anche tra associazione e fondazione (sia come trasformazione, sia come fusione che la contenga), dal momento che gli artt. 2500-septies ed octies ratificano pur sempre la concettuale compatibilità del pendolo tra modello istituzionale e corporativo.

Scorrendo le nuove norme si ricavano spunti ulteriori: ad esempio la - per certi versi, inaspettata - configurazione quale trasformazione eterogenea del transito della società tra causa lucrativa e consortile, potrebbe suggerire la trasferibilità di questa prospettiva alla modificazione dello scopo dell'ente del libro primo, in particolare dell'associazione, la quale per l'indole sua propria si presta a rivestire iniziative sia altruistiche sia egoistiche (s'intende, purché non coincidenti con quelle assegnate alle figure del libro quinto).

1. Le operazioni straordinarie dell'impresa sociale

La disciplina sull'impresa sociale, laddove consente l'organizzazione in forma societaria - seppur ponendo vincoli strettissimi alla distribuzione degli utili - di iniziative rivolte a perseguire scopi non lucrativi, rappresenta un ulteriore esempio (l'ennesimo di una lunga seria aperta dalle società sportive, ed ancor prima dalle consortili) della crescente neutralità del tipo; da esso può trarsi argomento per superare gli ostacoli alla trasformazione legati alla differenza di scopo. In altre parole, la circostanza che la stessa finalità (sociale e non lucrativo) sia perseguibile attraverso figure alternative (associazioni/società) attesta il tendenziale superamento dell'abbinamento tra modelli organizzativi e scopi perseguibili, ulteriore conferma del possibile transito tra i tipi [nota 37].

La legge 118/2005, portante delega sull'impresa sociale, all'art. 1, comma 1, lett. b, dopo aver prescritto la coerenza con il carattere sociale dell'impresa e la compatibilità con la struttura dell'ente, al numero11 raccomandava in maniera indiscriminata alla disciplina delle operazioni straordinarie delle imprese sociali «di preservarne la qualificazione e gli scopi e garantire la destinazione dei beni alle stesse finalità di interesse generale».

In materia, occorre segnalare l'art. 13 del D.lgs. 155/2006, adottato nell'esercizio della delega, da leggersi partendo dall'ultimo comma, in cui si esclude l'applicabilità della norma laddove beneficiaria sia un'altra impresa sociale. Quanto al comma 1, esso prescrive che la realizzazione della trasformazione, fusione, scissione avvenga «in modo da preservarne l'assenza da scopo di lucro, di cui all'art. 3 dei soggetti risultanti»; nella cessione di azienda, invece, la «realizzazione deve preservare il perseguimento dell'interesse generale». Tale comma va necessariamente collegato ai successivi: il secondo, che impone di stipulare gli "atti" conformemente alle linee guida (in realtà il decreto ministeriale disciplina solo il "procedimento"); il quarto, che dispone la preventiva notifica al Ministero dell'istanza accompagnata dalla documentazione; il quinto, circa la subordinazione dell'efficacia all'autorizzazione. Da tali disposizioni può evincersi come la genericità dei requisiti del primo comma possano trovare concretizzazione nell'intervento ministeriale.

Da ultimo, va letto il comma 3, dedicato alla "cessazione dell'impresa" (da intendersi riferita all'attività, non alla qualifica di impresa sociale), laddove - fatta eccezione per le cooperative (per le quali opera la prescritta devoluzione a favore dei Fondi mutualistici) - è contemplata la devoluzione ad altro ente non lucrativo. Anche in questo caso opera il collegamento con i comma 4 e 5, con la conseguente insufficienza della prescrizione statutaria circa la sorte dell'attivo.

La devoluzione del patrimonio residuo dovrebbe intendersi al netto dei conferimenti (e questo sembrerebbe valere anche per le cooperative a mutualità prevalente, cui sono assimilate le cooperative sociali). Qui il riferimento all'efficacia dell'atto contenuto nel comma 5 andrebbe collegato all'assegnazione del patrimonio, poiché la cessazione spesso non è preventivabile; tuttavia, in ipotesi di cessazione volontaria (determinata dalla delibera di messa in liquidazione), essa non dovrebbe condizionare la sua adozione, bensì l'assegnazione del patrimonio da parte dei liquidatori. Da notare come l'art. 13, comma 3, sia richiamato dall'art. 16, comma 4: anche qui da riferirsi alla destinazione del patrimonio, perché la perdita della qualifica di impresa sociale è una sanzione comminata indipendentemente.

La disciplina attuativa è stata adottata con il decreto Ministero solidarietà sociale 24 gennaio 2008, il quale ha, però, deluso le aspettative, dal momento che esso non è bene organizzato nella scansione e nei contenuti, mescolando - talora confondendo - procedimento e atti. Con scelta assai curiosa, l'art. 13, comma 3, D.lgs. 155/05 aveva demandato al provvedimento di attuazione l'elaborazione di linee guida degli atti (trasformazione, fusione, scissione, cessione di azienda): il decreto ministeriale se la cava tuttavia, assai semplicisticamente, con un rinvio - al par. 2 - alla disciplina generale del codice civile, agli artt. 2498 e ss., un rinvio tra l'altro approssimativo, perché non richiama le norme sulle cooperative, sebbene le imprese sociali siano spesso cooperative sociali (ed a tacere degli enti del libro primo, laddove ritenuti confacenti) [nota 38]. A ben vedere, in definitiva, il decreto si occupa soltanto di attuare i paragrafi 4 e 5 dell'art. 13 circa la procedura per il rilascio dell'autorizzazione.

Le fondazioni: trasformazioni e fusioni come modifiche statutarie

La disciplina legislativa della variante eterogenea ha determinato un ampliamento della latitudine normativa della nozione di trasformazione riducendo così la distanza tra la portata delle previsioni del libro quinto e del libro primo? L'area contesa è quella che nessuna delle due considera, ossia il mutamento non - o non solo - dello scopo, ma anche del tipo, peraltro muovendosi al di fuori della società [nota 39].

La previsione circa il minor allontanamento possibile dalla volontà del fondatore deve raccordarsi con il comma 2 dell'art. 28 che contempla la clausola statutaria di devoluzione ed essere rapportata al modello della c.d. fondazione di partecipazione (riproduttivo della struttura della fondazione bancaria): in proposito occorre domandarsi se l'intervento dell'autorità governativa sia inderogabile, così da inferire l'inammissibilità od inefficacia di clausole statutarie che affidino ad organi interni la competenza a deliberare l'operazione straordinaria, oppure tali clausole debbano essere equiparate alla "volontà del fondatore". L'accostamento non risulta così peregrino ove si consideri il simulacro di un' "assemblea" o l'eventualità di un consiglio di amministrazione non "servente": composti proprio dai fondatori, oppure destinato ad includere i soggetti subentrati successivamente alla costituzione quali finanziatori. L'art. 2500-octies, affidando all'autorità governativa la decisione della trasformazione, sembrerebbe sottintendere l'inderogabilità della competenza, ma si tratta di decifrare l'estensibilità di questo indice segnaletico all'area assegnata all'art. 28 [nota 40].

La portata normativa dell'art. 2500-octies [nota 41] deve essere riferita al contesto caratterizzato dal mutamento non solo del tipo, ma pure della finalità (da non lucrativa a lucrativa), così come quella dell'art. 28 attiene al mutamento dello scopo, che rappresenta il nucleo della fondazione: diversamente occorre far capo alla previsione - art. 2 D.P.R. 361/00 - in tema di modificazioni statutarie, la cui adozione è consentita all'organo interno, salvo il controllo dell'autorità amministrativa. La fusione - con altra fondazione - che non alteri lo scopo, ma anzi ne rappresenti l'attuazione, è assimilabile ad una modifica statutaria, cosicché può ben essere deliberata autonomamente, sottoponendola poi al controllo amministrativo [nota 42]. La resistenza a concludere altrettanto circa la trasformazione in associazione [nota 43]- o la fusione con essa - non si traduce nella corrispondente preclusione, ma nella riconduzione all'intervento dell'autorità amministrativa, secondo il modello privilegiato dall'art. 2500-octies [nota 44].

La fondazione risulta, insomma, custodita nella sua fisionomia tradizionale cui sono, in ogni caso, coerenti le previsioni del primo libro che prefigurano il controllo pubblico (artt. 25 e ss.) [nota 45]. Il che non esclude l'introduzione di organi statutari ulteriori rispetto a quello amministrativo, ma piuttosto importa una preclusione quanto alle competenze loro affidabili, che trovano un limite nel rispetto dello scopo impresso al patrimonio [nota 46].

L'art. 2500-octies, comma 4, c.c., a margine della trasformazione della fondazione in società, invita ad assegnare le partecipazioni sociali «secondo le disposizioni dell'atto di fondazione o, in mancanza, dell'articolo 31». Dopo aver escluso che il riferimento sia diretto alle clausole relative alla devoluzione del patrimonio che residua alla liquidazione ai sensi dell'art. 16, comma 2, c.c., si è concluso nel senso che «dette disposizioni debbano coincidere con le clausole che individuano, o dettano i criteri per individuare i destinatari dell'attività della fondazione, cioè i soggetti a vantaggio dei quali è indirizzata la produzione dei beni e dei servizi e/o l'erogazione delle rendite» [nota 47]. Vi è, però, a mio avviso, da dubitare che dall'art. 2500-octies, comma 4, derivi un indice segnaletico cogente circa l'attribuzione delle quote dell'associazione sbocco della trasformazione, in ragione della distanza tra i due contesti, che rende immaginabile la conservazione del medesimo sostrato personale, specie laddove l'ente di partenza corrisponda al modello della fondazione di partecipazione, e l'associazione confermi l'impiego del patrimonio per la medesima finalità, impedendone la ripartizione tra i membri.

Del resto, si ha cura di collegare l'adeguatezza di quella interpretazione della norma in esame alla delimitazione della sfera dei destinatari, quale ricorre nelle fondazioni di famiglia, mentre «nelle fondazioni che perseguono ... uno scopo altruistico a rilevanza generale», essendo illimitata la platea dei destinatari dell'attività, si suggerisce il ricorso al criterio suppletivo di cui all'art. 31 c.c.; ed a tal proposito si osserva che la destinazione delle partecipazioni sociali «necessariamente ad uno o più enti non profit riduce la possibilità che si concretizzi la condizione che preclude l'operazione in esame: la distrazione delle risorse patrimoniali ...» [nota 48]. Infine, occorre considerare la presenza dell'intervento pubblico, idoneo a scongiurare il rischio della deviazione di risorse dalla finalità per la quale furono erogate; elemento con cui è stata spiegata l'assenza - per le fondazioni costituite dopo la riforma delle società - di una norma corrispondente a quella che vieta la trasformazione in società alle associazioni destinatarie di finanziamenti pubblici o privati o di un regime fiscale agevolato [nota 49].

La trasformazione di associazioni in fondazioni

Deve, invece, respingersi l'orientamento espresso della sentenza, emessa in seno alla giustizia amministrativa dopo l'adozione della riforma del diritto societario, che ha ritenuto legittimo «il diniego di trasformazione diretta di un'associazione in fondazione, atteso che, fuori dei casi in cui l'ordinamento appresti procedure per ottenere la trasformazione diretta di un soggetto giuridico, non è consentito superare il modulo procedimentale ordinario dato dall'estinzione del soggetto preesistente e dalla successiva costituzione del nuovo soggetto». Di quella conclusione non convince la premessa, secondo cui la riforma del diritto societario «ha sì previsto forme ampie di trasformazione eterogenea, limitandone, però, l'ambito di applicazione alle sole ipotesi in cui si trasformi, o risulti dalla trasformazione, una società di capitali, con ciò fornendo una ulteriore conferma che il favore per la trasformazione non possa essere inteso se non nei limiti obiettivi in cui si manifesta concretamente nel diritto positivo e, dunque, non possa essere dilatato oltre tali limiti» [nota 50].

Invero, come emerge da quanto sin qui considerato - e come è stato già sottolineato in precedenti contributi [nota 51] - la riforma ha inciso sul transito tra i tipi assecondando l'idea della generale trasformabilità fra enti diversi [nota 52], prevedendo la trasformazione dell'associazione in società [nota 53] e di questa in fondazione, «il che, evidentemente, al pari di quanto si è in più occasioni affermato, induce anche a ritenere ammissibile la trasformazione diretta, senza l'approdo al passaggio intermedio rappresentato dalla forma societaria, per ovvie ragioni di economia dei mezzi giuridici ... Né pare che l'ostacolo sia in qualche modo ricollegabile alle vicende pubblicitarie e al riconoscimento della personalità giuridica, posto che quest'ultimo, al pari di quel che avviene nell'ipotesi di trasformazione di società in fondazione, sarà comunque inderogabile, producendo l'atto di trasformazione gli effetti dell'atto di fondazione (art. 2500-octies, comma 4, c.c.)» [nota 54].

Nozione di trasformazione e fusione: contenuto e funzione

La varietà degli scopi assumibili dagli enti non lucrativi è tale da riflettersi sulla portata della nozione di trasformazione?

In particolare, si domanda se debba considerarsi tale il mutamento della finalità [nota 55], a somiglianza della previsione legislativa che annovera nell'ambito delle trasformazioni eterogenee il transito dalla causa lucrativa a quella consortile in ambito societario. Occorre, tuttavia, sottolineare che in quel contesto tale qualificazione è funzionale alla tutela dei creditori, concedendo loro la facoltà di opposizione prevista dall'art. 2500-novies, mentre qui non si avverte un così diretto riflesso rispetto alla posizione di costoro, stagliandosi maggiormente netta quella dei beneficiari, degli oblatori, dei soggetti cui è demandata la designazione dei titolari delle cariche sociali.

La riforma ha elaborato regole dedicate al transito verso la causa lucrativa da parte di associazioni destinatarie di contributi, provvidenze ed agevolazioni fiscali [nota 56], mentre il silenzio in tema di fondazioni è inteso quale affidamento alla discrezionalità amministrativa; essa non ha, invece, fornito indicazione circa il rilievo delle previsioni statutarie rivolte a beneficiare terzi. La norma di più diretto riferimento è l'art. 32 c.c. che appunto ribadisce la sopravvivenza del vincolo in ipotesi di "trasformazione", sennonché essa è rivolta alle persone giuridiche, mentre alle associazioni non riconosciute appare estraneo anche l'art. 42 c.c., che prefigura un'incursione governativa sulla scena dei comitati.

La riforma non ha pensato neppure alla sorte - ad esito della trasformazione, ma altrettanto vale per la fusione - della riserva, in favore di determinati soggetti, della designazione di alcune cariche sociali [nota 57]. Ad entrambi i versanti sembrano appropriate le considerazioni spese a margine dei limiti alle modificazioni statutarie - in particolare delle fondazioni, laddove ammesse - allorché si è segnalato il confine rappresentato dal rispetto delle prerogative dei beneficiari [nota 58], subordinando l'efficacia della variazione al benestare di quelli individuati ed accordando agli altri la legittimazione ad opporsi [nota 59].

Questa soluzione, che sembra idonea ad essere estesa alle prerogative accordate in ordine alla designazione delle cariche, riceve del resto conforto dalla previsione (art. 2368) relativa ai diritti amministrativi individuali nelle Srl, come pure dalla disciplina in tema di società partecipate dallo Stato o da enti pubblici (artt. 2449 e 2450).

Il procedimento

L'esame del procedimento di trasformazione e di fusione sintetizza la risposta fornita al quesito chi decide cosa e come.

L'affidamento della decisione sulla trasformazione eterogenea dell'associazione alla delibera maggioritaria appare indicazione estensibile ad ogni altra trasformazione e fusione. Il potere dell'autorità amministrativa di convertire - su istanza degli organi statutari - la fondazione in società sembra autorizzare l'attribuzione di identica discrezionalità in ordine all'evoluzione in associazione.

Sembra scontata l'estraneità dell'iter tratteggiato dal codice alle vicende interne agli enti del libro primo [nota 60], riuscendo scarsamente plausibile, ad esempio, l'estensione delle regole sancite dagli artt. 2501 e ss. alla fusione tra due associazioni, sia riconosciute, sia non riconosciute, almeno in ragione della non surrogabilità del Registro delle imprese con quello delle persone giuridiche [nota 61]: neppure per quelle formalmente imprenditrici, come tali iscritte [nota 62].

L'applicazione delle regole dettate in tema di trasformazioni eterogenee ad associazioni e fondazioni si collega al coinvolgimento delle società, riuscendo coerente con l'obiettivo di assicurare a soci e creditori il rispetto di quella medesima soglia di tutela delle posizioni rispettive che l'impianto societario complessivamente garantisce [nota 63]. Se, pertanto, non persuade l'estensione del procedimento dettato per le società, occorre individuare quello consono al contesto: l'angolazione in cui collocarsi appare quella interna al settore degli enti non lucrativi, così da conservare coerenza con le regole loro proprie e riprodurre la simmetria di tutele che il codice esibisce tra disciplina complessiva delle società e quella delle operazioni straordinarie che le vedono protagoniste.

La scansione delibera/atto sembra inevitabile per la fusione, specie ove siano coinvolte associazioni riconosciute e fondazioni, sebbene la giurisprudenza abbia assimilato a tale fenomeno episodi meno strutturati (ed abbia ricondotto alla trasformazione vicende del tutto proteiformi) [nota 64]. L'atteggiamento dei Tribunali, ma pure della Suprema Corte, sembra evocare quello sedimentato in tema di cessione di azienda [nota 65], o meglio circa i criteri per scovarla dietro i comportamenti più equivoci (quando non decettivi).

Ciò non stupisce affatto, confermando piuttosto la coerenza con le regole che caratterizzano gli enti coinvolti: l'informalità che contrassegna l'esistenza di comitati ed associazioni non riconosciute si riflette nelle operazioni straordinarie di cui sono attori. La simmetria riesce, allora, estensibile al grado di tutela sia dei membri sia dei creditori: si delinea, del resto, corrispondenza tra grado e modalità della tutela dell'integrità del capitale sociale - ossia le cautele da cui sono circondati gli interventi sul medesimo - e quelle operanti rispetto alla trasformazione ed alla fusione (semmai si registra un affievolimento a ridosso di questa ultima).

Non si trova, dunque, ragione per assegnare una superiore protezione ai creditori degli enti del libro primo. I formalismi sono funzionali alla pubblicità, quindi certamente indispensabili per l'accesso ai pubblici registri, laddove ne ricorrano i presupposti [nota 66]; diversamente viene in gioco esclusivamente la tutela dei terzi, quindi l'opponibilità.

La disciplina degli artt. 2498 e ss. nonché 2501 e ss. è, insomma, coerente non solo con l'iscrizione nel Registro Imprese, ma pure con il tenore delle regole a presidio dell'integrità del patrimonio: in questa cornice deve inquadrarsi il diritto di opposizione accordato ai creditori rispettivamente dall'art. 2500-novies e dall'art. 2503, collegandolo all'analoga prerogativa riconosciuta rispetto all'intervento sul capitale. Ove ci si predisponga a ricercare la presenza di meccanismi corrispondenti nell'ambito della disciplina di associazioni e fondazioni si coglie l'assenza di verifiche analoghe quanto alla consistenza del patrimonio iniziale nelle associazioni non riconosciute, presenti - invece - per associazioni riconosciute e fondazioni; poi, il difetto di prescrizioni in tema di contabilità e bilancio; ancora, regole assai tenui con riguardo alla preservazione dell'integrità del capitale, essenzialmente riassumibili in quelle due disposizioni - art. 24, comma 3, nonché art. 37 - che precludono la liquidazione della quota all'associato fuoriuscito.

Acclarata tale simmetria, occorre individuare la soglia di tutela complessivamente riconosciuta ai terzi dal corredo normativo dell'ente e poi riprodurla a margine delle trasformazioni e delle fusioni.

Altrettanto dovrebbe valere quanto al grado di formalismo e pubblicità, che poi è ciò che mostra di ritenere la giurisprudenza allorché applica all'evoluzione del comitato in fondazione, oppure alla fusione tra associazioni, i criteri di qualificazione - su base indiziaria - della fattispecie amorfa che sono stati affinati rispetto alla circolazione delle aziende ed alla presenza di società di fatto, contesti ed esperienze da cui si traggono le regole rivolte a rintracciare la continuità dei rapporti.

Riepilogo

A seguito della proclamazione legislativa della possibilità di associazioni e fondazioni di trasformarsi in società - seppur con alcuni limiti, peraltro ricondotti alla tutela dell'integrità del capitale - sembrano vacillare le barricate a suo tempo erette contro il transito al loro interno [nota 67], come pure nei confronti delle relative fusioni.

La mobilità tra cause diverse - in particolare dalla non lucrativa alla lucrativa - è circondata da alcune cautele, collegate alla percezione di contributi ed alla fruizione di benefici fiscali, le quali meritano di essere rispettate, applicandole analogicamente a quella, pur interna al medesimo tipo, che dalla finalità altruistica passa a quella egoistica; conforto ne è offerto dalla qualificazione come trasformazione del pendolo della società tra la causa lucrativa ordinaria e quella consortile. Tra le peculiarità del settore spiccano il necessario riguardo per la posizione dei beneficiari dell'attività dell'ente - terzi o membri che siano - e quella dei soggetti riservatari della designazione di alcune cariche sociali.

Il fronte meno interessato da spunti derivanti dalla riforma riguarda il procedimento, non sembrando comunque trasferibile quello dettato dal codice per le trasformazioni eterogenee - così come quello per le fusioni (ordinarie, ma adattabili alle eterogenee) - condizionato dal coinvolgimento di società commerciali, quindi imperniato sulla pubblicità presso il Registro delle imprese. Deve, quindi, prendersi atto dell'assenza di riflessi della riforma su questo versante, fatta eccezione per lo specifico segmento della fondazione, laddove l'autorità amministrativa - a seguito dell'inedita competenza a varare la conversione in società - dovrebbe ritenersi ora ammessa a decidere non solo la modificazione dello scopo, ma anche le trasformazioni e le fusioni che non appaiano realizzazione dell'originaria finalità.

Il disegno di legge delega di riforma del titolo secondo del libro primo

Il disegno di legge delega di recente definizione [nota 68], a fianco di significative proposte di complessivo rinnovamento della disciplina, contiene rilevanti indicazioni rispetto alle operazioni straordinarie.

L'impianto

Sul piano dei principi all'art. 2 colpisce l'omaggio a quelli di solidarietà, sussidiarietà e pluralismo, mentre è in scia rispetto alla tradizione il riferimento al contenuto dell'art. 2 Cost.

L'impianto generale riflette un disegno moderatamente innovativo, il quale conserva l'impostazione causale degli enti del libro primo, consistente nella loro identificazione sulla scorta del vincolo di non distribuzione degli utili (art. 2, lett. c). Esso mantiene la distinzione tra associazioni e fondazioni (art. 2, lett. e), nonché la espressa considerazione delle prime nell'attuale duplice condizione; assegna, però, ai comitati il ruolo residuale (art. 5, comma 2) ad oggi nei fatti ricoperto dalle associazioni non riconosciute, pur conservando la categoria delle "altre istituzioni".

Il riconoscimento (art. 3) permane quale cardine per la creazione della persona giuridica, perno della responsabilità limitata; esso è, tuttavia, sottratto alla P.A. ed affidato al notaio, definitivamente circoscrivendo il suo contenuto al controllo di mera legalità, parametrato alla verifica della liceità dello scopo ed all'adozione dell'atto pubblico per la costituzione e le modifiche statutarie (art. 3, comma 1, lett. c); l'adeguatezza dei mezzi propri rispetto all'indebitamento è condizione della conservazione della limitazione di responsabilità, surrogabile da "idonee garanzie" alternative (art. 3, comma 1, lett. d-e).

Il difetto della personalità non preclude il riscontro della soggettività; permane l'autonomia patrimoniale imperfetta, secondo il modello del vigente art. 38 c.c., cui viene fatto rinvio (art. 3, comma 1, lett. g). E', finalmente, sancita la rilevanza giuridica della fondazione in attesa di riconoscimento (art.3, lett. h).

è ribadita la tutela dell'autonomia statutaria (art. 2, lett. b), con specifico riferimento alla struttura interna, ma contemperata con il rispetto di una disciplina inderogabile, riguardante la stessa organizzazione - comportante obblighi di trasparenza ed informazione, talora controlli pubblici (art. 2, lett. g) - e garante dei diritti individuali c.d. politici, di informazione e partecipazione (art. 2, lett. h).

La tendenziale applicabilità delle norme del titolo quinto e sesto del libro quinto del codice civile (art. 2, lett. k) recepisce l'intuizione che avevo avanzato [nota 69] circa l'inevitabile avvicinamento degli enti del libro primo verso le società lucrative e cooperative, in un'epoca in cui il modello societario appariva quale costrittivo ed inadatto, in quanto connotato dallo scopo di lucro. Nondimeno la lettura delle sentenze restituiva lo specchio di un'opposta tendenza - all'imitazione delle regole, quando non all'assimilazione dei modelli - di cui finalmente si prende atto.

Il contemperamento dell'autonomia statutaria con la disciplina inderogabile per le persone giuridiche pende a favore della seconda, che si impone anche alle associazioni non riconosciute. Le direttrici della disciplina delle associazioni riconosciute riflettono gli insegnamenti dottrinali classici, in particolare le posizioni di Francesco Galgano [nota 70] - , ampliamente ricevute e metabolizzate dalla giurisprudenza [nota 71], improntati ai canoni della finalità non lucrativa, della struttura corporativa e non plutocratica, della tutela dell'individuo. Quei canoni risultano, peraltro, implementati attraverso l'innesto di segmenti mutuati, o comunque ispirati, dalla riforma societaria, come risalta a margine della disciplina del funzionamento degli organi interni e dei vizi delle loro deliberazioni, nonchè del regime dei controlli, della contabilità e dei bilanci.

A margine delle fondazioni si coglie un supplemento di originalità, a partire dai riflessi del transito dal controllo amministrativo a quello notarile, il quale viene a travolgere le interferenze pubbliche sulla vita dell'ente, incluse - come vedremo - in tema di scioglimento e fusione. Inoltre, pur mantenendo il classico carattere identificativo nella «destinazione di un patrimonio ad uno scopo da perseguire con stabilità e continuità», viene finalmente assegnato rilievo normativo alla finalità, distinguendo tra scopo "di utilità collettiva", o piuttosto "eminentemente privato". Tale partizione è assunta quale principio di differenza di alcuni aspetti della rispettiva disciplina, specie laddove lo scopo sia riferibile «ad una cerchia predefinita e chiusa di persone» (in particolare la possibile ingerenza del fondatore o di un terzo nella vita dell'ente, inclusa la decisione circa il suo scioglimento).

Le operazioni straordinarie

Le operazioni straordinarie ricevono ripetute menzioni.

Nella norma dedicata alle associazioni con personalità giuridica (art.4) si indica la previsione di «quorum adeguati», tra l'altro, per «le deliberazioni che attengono alla trasformazione eterogenea» (primo comma, lettera b); poi, di «norme inderogabili in materia di competenze dell'assemblea con riguardo alle deliberazioni che attengono», tra le altre, «alle deliberazioni relative alla trasformazione, alla fusione, alla scissione e allo scioglimento» (comma 1, lettera c, numero 5); infine, con «specifico riferimento alla disciplina del fondo comune» si indica di prevedere «il rimborso del fondo comune al recedente, in via postergata rispetto ai crediti vantati da terzi, per la parte sottoscritta ed eventualmente rivalutata, soltanto in caso di trasformazione eterogenea e di modifica sostanziale dello scopo dell'associazione» (comma 1, lettera h, n. 2).

Di queste tre previsioni, la prima e la terza sono riprodotte a proposito delle associazioni non riconosciute (art. 5, comma 1, rispettivamente lett. b, nonché lett. h, numero 2), mentre in luogo della seconda figura il riferimento alla "disciplina del fondo patrimoniale nel caso di scissione" (art. 5, lett. h, numero 4).

A margine delle fondazioni, le fusioni sono citate (all'art. 6, comma 1, lett. f) nella rosa delle soluzioni eleggibili in ipotesi di esaurimento dello scopo o sua sopravvenuta impossibilità, da parte dell'organo amministrativo ed in difetto dal Tribunale, su istanza del fondatore (oppure del pubblico ministero, per gli enti beneficiari di contributi pubblici). Delle trasformazioni eterogenee delle fondazioni in società di capitali è prescritta l'adozione di una disciplina che escluda «il controllo dell'autorità governativa ed estendendo ai medesimi enti la disciplina di cui all'articolo 2500-octies, comma 3, del codice civile» (art. 6, comma 1, lett. i).

A fianco di queste menzioni espresse delle singole operazioni straordinarie, rilevano particolarmente - come già detto - i segnalati riflessi dell'abbandono del controllo amministrativo a favore di quello notarile, da cui discende il superamento del governo pubblico e l'affidamento all'autonomia collettiva del mutamento dello scopo delle fondazioni.


[nota 1] Rinvio ai miei interventi: «Gli enti del libro primo: dal codice civile alle riforme annunciate», in Vita not., 2000, 3; nonché «La riforma del diritto delle associazioni», in Giur. it., 2000, IV, p. 2427.

[nota 2] Come ampiamente illustrato in Dalle formazioni di volontariato alle associazioni di promozione sociale: un decennio di leggi speciali, in G. VISINTINI (a cura di), Gli enti non profit tra codice civile e leggi speciali, Esi, 2003, p. 127-137.

[nota 3] Proprio a margine di un caso riguardante un'operazione straordinaria la giurisprudenza - ancorché amministrativa, quindi con tutti i limiti che circondano la portata delle sue pronunce rispetto al diritto privato - ha avuto modo di prendere posizione circa l'identità e la consistenza della categoria residuale degli "altri enti": Cons. Stato, Adunanza della Sezione seconda, 14 aprile 1994, n. 546/94, in Vita not., 1994, p. 1216, con nota di G. PALAZZO, «Costituzione di fondazione da parte di associazioni e possibili fusioni di fondi di previdenza».

[nota 4] M.V. DE GIORGI, Vicende modificative ed estintive, in M. BASILE, Le persone giuridiche, Milano, 2003, p. 430.

[nota 5] Mentre in ambito societario si formò presto una letteratura significativa: G. BERTO, Studi preliminari sulla trasformazione delle società, Torino, 1945; N. GASPERONI, La trasformazione delle società, Milano, 1952; P. RESCIGNO, «Trasformazione di società e responsabilità limitata dei soci», in Riv. trim. dir. proc. civ., 1952, p. 932. Per una panoramica si rinvia a C. SANTAGATA, Fusione, in Tratt. SpA diretto da Colombo e Portale, 7, II, 1, Utet, 2004, p. 88 e ss.

[nota 6] F. GALGANO, Delle persone giuridiche, in Comm. Scialoja- Branca, Bologna - Roma, Zanichelli, 1969, p. 282, nella nota 20 , criticando Cons. Stato, 3 aprile 1956, in Cons. Stato, 1958, I, p. 354, che invece aveva ammesso la trasformazione di associazione in fondazione. Riconoscendo praticabile soltanto lo scioglimento dell'associazione originaria e la costituzione di una nuova fondazione, cui devolvere il patrimonio residuo ai sensi dell'art. 31, comma 2, c.c., più che una trasformazione in senso tecnico si avrebbe lo scioglimento dell'associazione originaria e la costituzione di una nuova fondazione.

[nota 7] Non venivano sollevate considerazioni relative alla causa, stante l'omogeneità quanto al carattere non lucrativo.

[nota 8] D. VITTORIA, Le fondazioni culturali e il consiglio di amministrazione, Napoli, 1976, p. 9 e ss.

[nota 9] F. GALGANO, Delle persone giuridiche, cit., p. 352 e ss. secondo cui le deliberazioni di fusione «non dovranno essere riguardate come deliberazioni di scioglimento e, quindi, di autorizzazione alla fusione: esse sono comuni deliberazioni modificative dei rispettivi statuti e, quindi, soggette alla comune disciplina, in fatto di maggioranze e di autorizzazioni alle modifiche statutarie».

[nota 10] Cons. Stato, 12 febbraio 1963, in Cons. Stato, 1963, I, 1, p. 1516, relativo alla trasformazione di una fondazione per l'educazione femminile in ente erogatore di borse di studio per giovinette povere; Cons. Stato, 10 agosto 1960, in Cons. Stato, 1963, I, p. 1023, sulla sostituzione della finalità di gestione di una scuola agraria con quella delle attività assistenziali per l'incremento dell'istruzione agraria.

[nota 11] Cons. Stato, 24 gennaio 1956, in Cons. Stato, 1956, I, p. 1104, peraltro facendo capo all'applicazione analogica dell'art. 58 legge 17 luglio 1890, n. 6972 che prevedeva la fusione tra istituzioni pubbliche di assistenza e di beneficenza.

[nota 12] Cass. 14 marzo 1967, n. 583, in Giur. it., 1968, I, p. 511, la quale fece applicazione del solo art. 2504 relativo agli effetti, lasciando invece impregiudicata quella delle norme relative al procedimento. La sentenza di primo grado era Trib. Napoli, 31 dicembre 1962, pubblicata in Giur. it., 1964, I, 2, p. 699, con nota di Ghezzi, nonché in Riv. dir. comm., 1964, II, p. 494, con nota di Rossi.

[nota 13] Cass. 19 ottobre 1964, n. 2622, in Foro it., 1965, I, c. 666.

[nota 14] D. VITTORIA, «Il cambiamento del "tipo" per gli enti del I libro del codice civile», in Contr. impr., 1992, p. 1156, circa la sufficienza della maggioranza prevista dall'art. 16, comma 2 per le modifiche statutarie, nonché l'esclusione di pregiudizio per i creditori, permanendo la loro garanzia rispetto al patrimonio della fondazione. In senso favorevole alla trasformazione v. anche G. RIOLFO, «La trasformazione degli enti collettivi dal codice civile alle leggi speciali», in Contr. impr., 1996, p. 925 e ss.

[nota 15] Sul punto si rinvia a M. V. DE GIORGI, Le persone giuridiche, associazioni e fondazioni, in Tratt. Rescigno, II, 2, II ed., Utet, 1999, p. 420.

[nota 16] Cons. Stato, 3 aprile 1956, in Cons. Stato, 1958, I, p. 354.

[nota 17] Parere del Cons. Stato, sez speciale, 20 dicembre 2000, n. 288, in Giur. Cons. Stato, 2001, 1/1, p. 490.

[nota 18] «Qualora un comitato si trasformi in un ente munito di personalità giuridica, quale la fondazione, in forza di una vicenda evolutiva che deve ritenersi consentita in presenza di una volontà in tal senso manifestata all'atto della sua costituzione, l'organizzatore, il quale abbia in precedenza acquistato a proprio nome un bene immobile con fondi del comitato, è tenuto a fare quanto necessario, anche per quanto riguarda il regime di pubblicità immobiliare, a che il bene stesso, a suo tempo comprato in qualità di organo del comitato, risulti intestato alla fondazione ad esso subentrata. Tale obbligo, discendendo fiduciariamente dalla qualità di organizzatore-organo, non richiede l'atto scritto, e, in caso di inosservanza, comporta che il nuovo ente può conseguire il mutamento d'intestazione del bene mediante una pronuncia a norma dell'art. 2932 c.c., mentre non è in proposito di ostacolo che la fondazione non abbia ancora ottenuto l'autorizzazione governativa per l'acquisto, prescritta dall'art. 17 c.c., trattandosi di circostanza rilevante solo nel senso di condizionare l'efficacia di detta pronuncia al conseguimento dell'autorizzazione stessa»: Cass., sez. I, 12 giugno 1986, n. 3898, in Vita not., 1986, p. 1232; in Giur. it. 1987, I, 1, p. 1016; in Resp. civ. e prev. 1986, p. 630; in Giust. civ., 1986, I, p. 2786.

[nota 19] F. GALGANO, Delle associazioni non riconosciute e dei comitati, in Comm. cod. civ., già diretto da Scialoja e Branca, Bologna - Roma, 1976, p. 261.

[nota 20] Cass. 24 novembre 1999, n. 13033, in Vita not., 2000, p. 987, pronunciatasi in ordine alla sopravvivenza del diritto di regresso dell'associato escusso per i debiti dell'associazione.

[nota 21] Cons. Stato, 14 aprile 1994, n. 546, in Vita not., 1994, 1216, con nota di G. Palazzo.

[nota 22] F. GALGANO, Le associazioni. Le fondazioni. I comitati, Cedam, 1987, p. 204.

[nota 23] Cosa cercare nella legislazione speciale? La previsione della equipollenza - rispetto al rivestimento di un determinato ente - delle diverse forme di enti lucrativi e non, oppure - od in aggiunta - dell'associazione come della fondazione; poi previsioni rivolte a disciplinare fenomeni di trasformazione, ma anche di fusione e scissione, di estinzione di enti non lucrativi con travaso di attività in altri.

[nota 24] Art. 2, L. 11 agosto 1991, n. 266 sulle organizzazioni di volontariato.

[nota 25] Art. 11, L. 31 gennaio 1992, n. 59 circa i Fondi mutualistici. Ancora l'art. 117-bis D.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, testo unico sull'ordinamento delle autonomie locali; nonché l'art. 90, comma 18, L. 289/2002 sulle società sportive dilettantistiche, di cui tuttavia è prescritta l'esclusione dello scopo di lucro.

[nota 26] Art. 4, D.lgs. 17 maggio 1999, n. 153.

[nota 27] D.lgs. 29 giugno 1996, n. 367 sulla trasformazione degli enti che operano nel settore musicale in fondazioni di diritto privato.

[nota 28] Segnalo l'analisi da me condotta in «Le trasformazioni eterogenee: un'apertura alle frontiere tra società lucrative ed enti non profit? », in Nuova giur. civ. comm., 2005, II, p. 73 e ss.

[nota 29] Collegandomi ad una chiara indicazione di F.GALGANO, Le associazioni. Le fondazioni. I comitati, Padova, 1987, l'ho anticipato rispetto alla riforma in «Fusione per incorporazione di una s.r.l. lucrativa da parte di un'associazione non riconosciuta», in Contr. impr., 1998, n. 1; poi ripreso successivamente nel lavoro In tema di fusione eterogenea, in A.A.V.V., Atti del Convegno. Riforma del diritto societario: riflessioni del Notariato, Giuffrè, 2004, p. 197 e ss. ed ulteriormente sviluppato in «Trasformazioni eterogenee, fusioni eterogenee ed altre interferenze della riforma del diritto societario sul "terzo settore"», in Contr. impr., 2004, 1, p. 294 ss. Sorprende, pertanto, leggere G. MARGIOTTA, «Le trasformazioni eterogenee nella riforma del diritto societario», in Riv. not. , 2006, I, 978, nota 1 che attribuisce tale apertura al discorso presentato da un relatore intervenuto al convegno notarile svoltosi nel 2006, stupore raddoppiato dalla constatazione dei numerosi richiami alle varie relazioni ivi presentate, ma non alla mia, dove avevo affrontato il tema indicato nella nota seguente del sopracitato scritto, che l'A. in esame evoca nella sua nota 3 a p. 980, ma, appunto, evitando di citarmi.

[nota 30] Come già ricordato, secondo il Consiglio di Stato, parere n. 288 del 20 dicembre 2000: «… in ragione della diversità degli istituti dell'associazione, da un lato, e della fondazione, dall'altro, basati su presupposti giuridici e strutturali totalmente diversi cui l'ordinamento ricollega differenti assetti di poteri, di garanzie e di controlli che assumono significato specifico alla luce della volontà associativa o fondativi che ha dato vita all'ente, "non può esservi transizione diretta" (trasformazione) "dal modello dell'associazione a quello della fondazione … ferma restando la possibilità per gli associati di provvedere all'estinzione dell'associazione, con le modalità previste dallo Statuto o dal codice civile, e di costituire un Ente diverso"».

[nota 31] Con la legge 153/2006, a proposito della quale segnalo il mio «Commento agli artt. 1, comma 1, e 5, D.lgs. 24 marzo 2006, n. 153. Disciplina dell'impresa sociale», in Nuove leggi civ. comm., 2007, 1-2, p. 13-26 e 112-116.

[nota 32] Rinvio a M. CETRA, «Operazioni straordinarie e impresa sociale», in Nuove leggi civ. comm., 2007, 1-2, p. 449 e ss., nonché al mio Commento all'art. 13 D.lgs. 155/06 Trasformazione, fusione, scissione e cessione d'azienda e devoluzione del patrimonio, in A. FICI e D. GALLETTI (a cura di), Commentario al decreto sull'impresa sociale, Giappichelli, 2007, p. 194 e ss.

[nota 33] Mentre le indicazioni espresse dalla riforma, quanto alla decisione circa la trasformazione della fondazione, incidono sulla prassi degli statuti modellati secondo lo stampo della fondazione bancaria ripristinando la distanza strutturale tra associazioni e fondazioni.

[nota 34] Del resto neppure sarebbe preclusa la trasformazione in società senza scopo di lucro, dal momento che, come presto osservato da G. MARASà, «Le trasformazioni eterogenee», in Riv. not., 2003, p. 597, la trasformazione di ente non profit in società senza scopo di lucro sarebbe causalmente omogenea, cosicché non soggiacerebbe ai limiti sanciti dall'art. 2500-octies c.c.. L'intuizione è ripresa adesivamente da A. ZOPPINI - F. TASSINARI, «Sulla trasformazione eterogenea delle associazioni sportive», in Contr. impr., 2006, p. 910, facendone applicazione in tema di transito tra associazione e società sportiva dilettantistica.

[nota 35] Art. 1, comma 1, lett. b, n. 11, L. 13 giugno 2005, n. 118, nonché art. 13 del decreto delegato.

[nota 36] Rinvio alla mia relazione Enti non lucrativi e trasformazioni eterogenee. Un catalogo di questioni, in Il diritto civile oggi. Compiti scientifici e didattici del civilista. Atti del primo convegno nazionale della Società Italiana degli Studiosi del diritto civile (Capri 7-9 aprile 2005), Esi, p. 337 e ss.

[nota 37] In termini M. CAPECCHI, «Commento all'art. 3, D.lgs. 24 marzo 2006, n. 153. Disciplina dell'impresa sociale», in Nuove leggi civ. comm., 2007, 1-2, p. 116 e ss. ; ID., Evoluzione del terzo settore e disciplina civilistica, Cedam, 2005, p. 166 e ss.

[nota 38] Nel D.m. si passa al procedimento già al secondo comma del paragrafo 2, e ciò desta il sospetto che anche il primo comma sia dedicato non alle operazioni, come recita la rubrica, ma al mero procedimento: al primo paragrafo figura la notifica della richiesta di autorizzazione (Ministero; Agenzia Onlus; silenzio assenso), al terzo la descrizione della documentazione allegata all'istanza: a) situazione patrimoniale risalente a non oltre centoventi giorni (salvo utilizzo dell'ultimo bilancio riferito a periodo non superiore al semestre) redatta secondo gli schemi dell'Agenzia per Onlus; contenuto tipico del bilancio societario, che viene quindi esteso ad associazioni e fondazioni; b) relazione degli amministratori circa: ragioni, prevedibile evoluzione dell'attività, miglioramenti nel tessuto sociale, modalità di rispetto del carattere non lucrativo dello scopo. Sono prescritte le relazioni ex 2500-sexies (trasformazioni eterogenee) ed ex 2501-quinquies (fusione), con alcune integrazioni. Il quarto paragrafo è dedicato alla cessione azienda e prescrive l'allegazione della situazione patrimoniale e della relazione degli amministratori circa rispetto finalità non lucrativa e criteri di valutazione dell'azienda.
Tutte queste relazioni (su: impatto sul tessuto sociale, rispetto dello scopo non lucrativo, finalità generale) sono predisposte dall'impresa sociale, quale ente di partenza, evidentemente perché non è tale l'ente di arrivo (altrimenti non opera l'art. 13), ma è curioso questo parlare a nome altrui: evidentemente può ottenersene la rilevanza solo ipotizzando una decadenza in caso di trasgressione, ma non è chiaro come, forse attraverso l'inserimento di una clausola risolutiva espressa; diversamente, bisognerebbe estendere la vigilanza e la sanzione dell'art. 16 D.lgs. 155 all'ente di arrivo, che però non è impresa sociale.

[nota 39] Il riferimento testuale allo scopo sembra precluderne l'estensione all'oggetto, ma che dire dell'ipotesi della sua obsolescenza permanendo attuale la finalità?

[nota 40] Merita particolare attenzione la relazione di M. MALTONI, «La trasformazione eterogenea di fondazioni in società di capitali», in A. ZOPPINI - M. MALTONI (a cura di), La nuova disciplina delle associazioni e delle fondazioni. Riforma del diritto societario e enti non profit, Quaderno n. 11 della Riv. dir. civ., 2007, il quale ha invitato a valorizzare l'affinità funzionale della trasformazione prevista dall'art. 2500-octies con quella prevista dall'art. 28, quale deroga all'immutabilità dello scopo - così da poterla impiegare come surrogato di essa -, pur escludendo la trasferibilità alla prima dei limiti sanciti per la seconda.

[nota 41] è controverso se alla luce dell'art. 2500-octies, ultimo comma, c.c. che richiede l'identificazione dell' "organo competente" la trasformazione debba essere contemplata dall'atto costitutivo, oppure l'art. 2 D.P.R. 361/00 consenta di superare tale prescrizione, sciogliendola nel rispetto delle regole di funzionamento dell'organo cui affidare tale decisione, anche in assenza di espressa attribuzione statutaria. C'è allora da chiedersi se l'accoglimento della prima tesi importi semplicemente la preventiva adozione di una delibera adeguatrice dello statuto, o non valga piuttosto a far ritenere senz'altro preclusa la trasformazione non originariamente contemplata.

[nota 42] A. ZOPPINI, Le fondazioni. Dalla tipicità alle tipologie, Jovene, 1995, p. 222 ritiene «consentite modificazioni anche profonde, se ed in quanto coerenti all'attuazione dello scopo», ammettendo la «possibilità, quando il patrimonio sia esuberante, di creare per scissione ulteriori fondazioni accessorie», ovvero ampliare la gamma delle attività finalizzate al conseguimento dello scopo, aggiungendo che «egualmente ammissibile appare la trasformazione dell'ente nel caso in cui il patrimonio sia esiguo, limitando il campo di attività o attraverso la fusione con una fondazione avente fini analoghi».

[nota 43] A. ZOPPINI, Le fondazioni…, cit., p. 20 osserva che assecondare la trasformabilità della fondazione in associazione - sostenuta da D. VITTORIA, «Il cambiamento del "tipo"… », cit., p. 1149 - «significherebbe riconoscere ai fondatori un potere di governo dello scopo dell'ente che è, invece, loro precluso».

[nota 44] Per una più ampia trattazione rinvio al mio precedente lavoro Trasformazione da e in fondazione di partecipazione, in I Quaderni della Fondazione italiana per il Notariato, 2007, suppl. al n. 2, p. 45- 52.

[nota 45] Controllo limitato alla legittimità secondo la giurisprudenza prevalente: Cass. 14 maggio 1987, n. 4442.

[nota 46] In termini Trib. Salerno 27 gennaio 1999, in Nuova giur. civ. comm., 1999, I, p. 779, con nota di M.V. DE GIORGI, «Il controllo sull'amministrazione delle fondazioni», secondo cui «… esistono fondazioni il cui statuto, in parte contraddicendo il tradizionale modello, attribuisce rilievo alla struttura organizzativa, sia attribuendo ampie competenze e larghi margini di discrezionalità al consiglio di amministrazione, sia prevedendo, oltre a questo, altri organi collegiali, come assemblee, consigli, generali, comitati esecutivi. Resta fermo, però, che gli amministratori non possono, a differenza dei componenti l'associazione, alterare a proprio piacimento il contenuto dell'atto costitutivo, deliberare lo scioglimento dell'ente o modificarne il fine, perché lo svolgimento della loro attività è pur sempre vincolata al perseguimento dello scopo prefissato dal fondatore, e l'esercizio di queste funzioni spetta solo all'autorità governativa». A. ZOPPINI, Le fondazioni…, cit., p. 220 puntualizza come la modificabilità dello statuto trovi limite nei connotati inderogabili della fattispecie - l'irrevocabilità del programma ed il carattere necessitato dell'attività - e fermo comunque l'art. 27.

[nota 47] A. CETRA, Le trasformazioni "omogenee" ed "eterogenee", in Il nuovo diritto societario, Liber amicorum Gian Franco Campobasso diretto da Abbadessa e Portale, IV, Utet, 2007, nonché in ID., Impresa, sistema e soggetti, Utet, 2008, p. 15 e ss., spec. p. 70.

[nota 48] A. CETRA, Le trasformazioni "omogenee" ed "eterogenee, cit., p. 72.

[nota 49] Rinvio ai miei lavori: «Le trasformazioni eterogenee: un'apertura alle frontiere tra società lucrative ed enti non profit?», in Nuova giur. civ. comm., 2005, II, p. 73 e ss.; Enti non lucrativi e trasformazioni eterogenee: un catalogo di questioni, in Il diritto civile oggi. Compiti scientifici e didattici del civilista, Atti del Convegno organizzato a Capri l'8 aprile 2005 dalla Società italiana degli studiosi del diritto civile, Esi, 2006, p. 337 e ss.

[nota 50] Tar Toscana, Firenze, Sez. I, 16 novembre 2004, n. 5802, in Giorn. dir. amm., 2005, p. 178.

[nota 51] Rinvio al mio lavoro «Trasformazioni e fusioni tra enti non profit», in A. ZOPPINI e M. MALTONI (a cura di), La nuova disciplina…, cit., p. 133- 147.

[nota 52] Nel senso che «la indicazione tassativa degli enti che possono trasformarsi in società di capitali sembra quindi lasciare libero l'interprete di valutare se altri "enti" non menzionati possano essere assimilati a quelli espressamente menzionati» v. Consiglio Notarile di Milano, Massima n. 20, Trasformazione eterogenea, in AA. VV., Le massime del Consiglio Notarile di Milano, Milano, 2004, p. 115 e ss.

[nota 53] Rinvio alla mia relazione «La trasformazione delle associazioni in società di capitali e delle società di capitali, in Le operazioni societarie straordinarie: questioni di interesse notarile e soluzioni applicative», in I Quaderni della Fondazione Italiana per il notariato, 2007, 2, p. 245 e ss.

[nota 54] A. RUOTOLO, «La trasformazione degli enti no profit», studio CNN n. 32 , in Studi e materiali, 2010, I, p. 825 ss., spec. p. 834.

[nota 55] Pare, invece, da escludere l'equiparabilità dello spostamento dell'ambito di attività, quindi della competenza, da regionale a prefettizia, tra l'altro negato dalla giurisprudenza amministrativa: Cons. Stato, 13 gennaio 1993, n. 1573, in Cons. Stato, 1993, I, p. 1375.

[nota 56] Art. 2500-octies, comma 3; art. 223-octies, disp. att.

[nota 57] Ipotesi considerata, ma non approfondita, da Cons. Stato, 5. 8. 2003, n. 4540, a margine dell'art. 1, V c., lett. b, D.p.c.m. 16 febbraio 1990, che considera «istituzioni promosse ed amministrate da soggetti privati di una quota significativa dei componenti dell'organo deliberante», relativamente alla clausola statutaria che prevedeva la provenienza della designazione da parte di soggetti privati, senza prendere in considerazione la natura dei soggetti designati.

[nota 58] A. ZOPPINI, Le fondazioni…, cit., p. 221, muovendo dall'accostamento dell'attività della fondazione alla promessa al pubblico, propone di seguire l'art. 1990 circa la necessità di una giusta causa di revoca - quindi di modifica statutaria idonea ad incidere sulla posizione dei beneficiari - concludendo nel senso che la modifica non può pregiudicare i diritti quesiti, opera ex nunc e richiede quale condizione di validità la dimostrazione di una giusta causa.

[nota 59] A. ZOPPINI, Le fondazioni…, cit., p. 224, citando a conforto Cass. 19 ottobre 1964, n. 2622 che aveva ammesso la legittimazione degli associati ad impugnare la delibera dell'associazione modificativa dello statuto in termini pregiudizievoli per le loro posizioni.

[nota 60] L'estensione riguarda le cooperative, che sono società.

[nota 61] Conforme M.V. DE GIORGI, Le vicende modificative ed estintive, in M. BASILE, Le persone giuridiche, Milano, 2003, p. 445.

[nota 62] Doverosa la segnalazione di A. CETRA, «La pubblicità commerciale negli enti non societari titolari di impresa», in Riv. dir. civ., 2007, II, p. 407 e ss., nonché in ID., Impresa, sistema e soggetti, Utet, 2008, p. 95 e ss.

[nota 63] Non appare, pertanto, di immediata comprensione la massima 52 degli orientamenti della Commissione del Notariato milanese sulla riforma delle società (Consiglio Notarile di Milano, Massima n. 20, Trasformazione eterogenea, in AA. VV., Le massime del Consiglio Notarile di Milano, Milano, 2004, p. 115 e ss.), laddove per le fusioni eterogenee si afferma l'imprescindibilità degli adempimenti pubblicitari prescritti dagli artt. 2501 e ss. anche per associazioni e fondazioni (sembrerebbe si intenda includere quelle che non rivestano la qualifica di imprenditori commerciali, cui è invece rivolta la menzione della lettera B). Il riferimento appare diretto essenzialmente alla pubblicazione della delibera dell'associazione (per la fondazione viene in gioco il coordinamento con il ruolo della autorità), dal momento che quella del progetto avviene comunque, in quanto attuata per la società, mentre il deposito dei bilanci di tutti i soggetti partecipanti alla fusione - quindi anche quelli dell'associazione o fusione - presso la sede sociale è in ogni caso prescritto dall'art. 2501-septies.
Il passaggio chiave della motivazione risiede nella chiusura, presso la lettera C, laddove si conta sull'adempimento previsto dall'art. 2500, comma 3. Non appare, tuttavia, così evidente come questa disposizione, attraverso il rinvio al comma che precede, laddove applicata all'operazione eterogenea cui partecipino enti del libro primo valga ad imporre il deposito della delibera di fusione, in quanto al momento l'ente non ha ancora mutato identità, cosicché non è luogo ad attuarsi la pubblicità propria della nascita della società, mentre l'estinzione dell'ente non lucrativo che non rivesta la qualifica di imprenditore commerciale non è soggetta ad alcun deposito presso il Registro delle imprese. Alternativamente vi si leggerebbe la preclusione alla partecipazione a fusioni e scissioni eterogenee laddove difetti la veste di imprenditore commerciale, tesi che farebbe corpo con la prospettiva che collega la trasformazione (eterogenea, ma pure omogenea) alla continuità dell'impresa, piuttosto che del soggetto.

[nota 64] Cass. 12 novembre 1977, n. 4902, in Foro it., 1978, I, ha ravvisato continuità tra comitato e fondazione quale «vicenda evolutiva che culmina nell'acquisto della personalità», considerando indici del rapporto di continuità la coincidenza dei sottoscrittori l'atto di fondazione con i membri del comitato, l'identità dello scopo, la strumentalità dei medesimi beni: Nella stessa linea si collocano pure Cass. 12 giugno 1986, n. 3898, in Nuova giur. civ. comm., 1987, I, p. 16, con nota di MEMMO - su cui si segnala il raffinato contributo di M. GRAZIADEI, «Acquisto per conto di un comitato non riconosciuto e dissociazione della proprietà», in Riv. dir. civ., 1988, I, p. 119- , e Cass. 8 maggio 2003, n. 6985, in Nuova giur. civ. comm., 2003, I, p. 688, con nota di M.V. DE GIORGI, «Una sentenza di ingannevole semplicità in tema di comitato».

[nota 65] Sulla scia dell'apertura alla dematerializzazione del compendio aziendale Cass. 22 marzo 2006, n. 6292 ha cassato la sentenza di merito che aveva negato l'applicabilità dell'art. 2112 c.c. in relazione al trasferimento di larga parte del parco automezzi di una società avente ad oggetto l'installazione di reti telefoniche, sulla considerazione che esso era funzionale sia al settore dell'azienda ceduto, sia a quello della cessionari. Trib. Milano, sez. lav., 26 giugno 2006 ha ribadito e fatto applicazione del principio secondo cui, in determinati contesti, può configurarsi cessione di azienda anche laddove il trasferimento abbia ad oggetto soltanto un gruppo di dipendenti che siano stabilmente coordinati ed organizzati tra loro la cui capacità operativa sia assicurata dalla titolarità di un particolare know-how.

[nota 66] Certamente il Registro delle persone giuridiche, ma vi è da interrogarsi circa l'equiparazione degli altri registri di settore previsti da leggi speciali, come quello delle formazioni di volontariato o delle associazioni di promozione sociale.

[nota 67] Nel senso, quindi, dell'ammissibilità della trasformazione di associazione in fondazione e pure viceversa, ancorché in questa seconda evenienza l'autonomia privata debba cedere il passo all'intervento pubblico, come sopra illustrato.

[nota 68] "Disegno di legge delega di riforma del titolo secondo del libro primo del codice civile recante la disciplina delle fondazioni, delle associazioni e dei comitati in attuazione del principio di sussidiarietà di cui all'articolo 118, comma 4, della Costituzione".

[nota 69] Nella monografia L'associazione non riconosciuta - Modelli normativi ed esperienze atipiche, Cedam, 1991, spec. nel capitolo terzo.

[nota 70] F. GALGANO, Delle persone giuridiche, in Comm. Scialoja - Branca, cit.

[nota 71] F. GALGANO, Le associazioni. Le fondazioni. I comitati, cit.

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