Verso la riforma del codice civile. Intervento alla Tavola rotonda
Verso la riforma del codice civile. Intervento alla Tavola rotonda [nota *]
di Felice Scalvini
Presidente di Assifero
Sono qui, oltre che in veste di presidente di Assifero, anche come militante del non profit ed in particolare dei processi di elaborazione giuridica e normativa che lo riguardano. Infatti, da quando nel 1981 mi occupai della redazione della prima proposta di legge in materia di cooperative sociali, ho poi partecipato con diverse casacche e responsabilità alla genesi ed alla messa a punto delle varie leggi riguardanti il volontariato, la cooperazione sociale, le Onlus, l'impresa sociale. Porterò dunque alla discussione, con la speranza che possa risultare utile, un contributo non dottrinario, ma legato all'esperienza degli attori che sul campo si confrontano quotidianamente con l'esigenze di dare una forma adeguata e coerente, sul piano giuridico, alle innovazioni di cui si sono resi e si rendono costantemente protagonisti. Il tutto facendo riferimento ad un quadro normativo non sempre adeguato.
Partendo da questa posizione, condivido pienamente le considerazioni del professor Iudica e le sue perplessità circa l'opportunità e l'efficacia di una riforma del codice civile. Infatti, la prospettiva codicistica, come tentativo di giungere ad un sistema organico ed integrato di norme inserito in un'unica legge onnicomprensiva, mi pare fatichi a confrontarsi con la complessità della realtà, icasticamente descritta nella relazione della dottoressa De Paoli, e della quale vorrei sottolineare alcuni ulteriori elementi, che ritengo particolarmente significativi ai fini delle considerazioni che vorrei poi svolgere.
Innanzitutto l'espansione dimensionale e numerica del non profit. Negli ultimi tre decenni la nascita di nuove organizzazioni e lo sviluppo di quelle esistenti è stato notevolissimo e l'attività dei vostri studi professionali credo possa testimoniarlo. Le cooperative sociali sono passate dalle poche centinaia nel 1990 alle oltre 12.000 di oggi; le quasi mille di fondazioni di erogazione oggi esistenti sono in gran parte sono nate, come risulta dalla ricerca dell'Istat del 2007, negli ultimi vent'anni, al pari delle altre 5.000 di altra natura. E così via.
Va peraltro sottolineato come l'assenza di un regime univoco di pubblicità delle informazioni relative a questo universo renda quanto mai difficile la conoscenza completa e perennemente inadeguati i dati a disposizione. Confidiamo che la ormai prossima indagine decennale dell'Istat permetta di fare il punto. Ciò su cui mi sento di scommettere, è che ne uscirà un quadro del terzo settore notevolmente più grande, articolato e complesso di dieci anni fa.
Si è avuta poi l'irruzione della dimensione economica nel non profit. Si tratta di un fenomeno di portata epocale che ha trasformato - credo irreversibilmente - una larga parte delle organizzazioni di Terzo settore. Il perché di tutto ciò va ricercato principalmente nella modificazione della struttura di finanziamento delle attività svolte dai diversi soggetti. I loro conti economici sono oggi completamente diversi da un po' d'anni or sono. Un tempo erano delle rendite dei patrimoni, il lavoro gratuito dei religiosi, le beneficenza privata a permettere l'esercizio dell'attività e la copertura dei costi relativi. Adesso la fonte d'entrata di gran lunga più rilevante è rappresentata dai corrispettivi pagati, sotto varie forme, dai privati e dalla pubblica amministrazione.
A questa evoluzione è da ricollegarsi l'inarrestabile dinamica della commercializzazione sostanziale delle attività non profit e, di conseguenza, l'emersione della forma economica e giuridica dell'impresa sociale.
Nell'ambito delle organizzazioni del terzo settore si è poi determinato il fenomeno, già conosciuto per le società di capitali, della neutralizzazione delle forme giuridiche. Anzi, mi pare che in questo caso la dinamica sia risultata ancora più profonda e pervasiva, anche perché messa a confronto con un apparato normativo molto più scarno e indefinito.
I confini tra fondazioni e associazioni sono ormai indecifrabili, popolati come sono da soggetti transfrontalieri quali le fondazioni di tipo associativo, le fondazioni di partecipazione ed altri ancora. Tanto la forma associativa che quella fondazionale sono poi sono utilizzabili per una pluralità assolutamente indeterminata di attività e per il loro esercizio in modo molto vario. Lo sforzo per creare ambiti di omogeneità funzionale e istituzionale sono improbi e costantemente messi in crisi da questa sorta di supermarket delle forme giuridiche del non profit, dove ciascuno può scegliere tra un numero elevato di opzioni, in parte storiche, in parte "di ultima generazione". Proprio i notai hanno quotidianamente a che fare con queste forme ibride e si trovano a doverle maneggiare, talvolta esprimendo un obiettivo disagio.
Un'altra questione diventata particolarmente rilevante anche per le organizzazioni non profit è quella fiscale, alla quale finiscono spesso per connettersi scelte e opzioni di altra natura. Ormai è abbastanza naturale per i promotori e i gestori di attività sociali compiere scelte organizzative sulla base di arbitraggi tra convenienze - reali o presunte - di natura fiscale. Ciò di per sé non è una buona cosa, perché si possono generare distorsioni operative tutt'altro che convenienti e spesso irrimediabili, ma è comprensibile, anche alla luce della cultura dominante nella attività di consulenza nel nostro Paese, ed evidenzia ancor di più l'esigenza di disporre di un quadro fiscale adeguato, armonico e chiaro.
Infine l'ultima tendenza che rileverei è quella dell'invadenza della pubblica amministrazione, che tende da un lato a considerare il mondo del non profit come popolato da figli di un dio minore, da asservire e condizionare, e dall'altro a usare le forme del libro primo per svolgere attività fuori dai vincoli imposti dal diritto amministrativo, con conseguente inquinamento di tutto il settore.
Oltre al clamoroso e fallito tentativo di riprendere il controllo delle fondazioni bancarie, si possono segnalare numerosi altri sintomi di questa tendenza. Uno è la tenace resistenza circa il mantenimento ad oltranza del regime concessorio in sede di costituzione degli enti, tra l'altro con un regime caratterizzato da una incomprensibile e inammissibile complessità, frazionato tra competenze regionali e centrali.
Un altro è appunto l'uso dello strumento della fondazione privata per aggirare i vincoli della forma giuridica pubblica. Fino a qualche tempo fa era di moda l'uso delle SpA per poter operare "con le mani libere", adesso si va diffondendo nell'ambito del sociale il fenomeno delle fondazioni controllate da enti pubblici. Si pensi a gran parte delle ex Ipab lombarde, o al diffondersi di fondazioni di partecipazione costituite con l'obiettivo - credo illusorio - di garantire l'afflusso di risorse private a enti a controllo pubblico.
E da ultimo, come non citare il 5 per mille, venduto come espressione della generosità dei cittadini ed in realtà forma di finanziamento pubblico, attraverso il quale - invero con la complicità di alcune grandi organizzazioni non profit - viene tenuto costantemente sotto scacco l'intero mondo del Terzo settore.
Alla luce del quadro, pur sommariamente delineato mi pare fuori discussione che qualche intervento legislativo sia necessario. Credo però che pochi interventi mirati possano produrre risultati molto più rilevanti di una riforma generale del codice civile che, se attuata, almeno nelle forme recentemente prospettate, potrebbe creare più problemi di quanti non ne saprebbe risolvere.
Tre mi paiono i punti essenziali di un'agenda di riforma rapidamente ed efficacemente attuabile.
Fiscalità. In questo momento, più che riforme generali organiche basterebbe sistemare un piccolo tassello per generare un effetto di complessivo riordinamento. Andrebbero aggiunte tra le Onlus di diritto le imprese sociali, affiancandole a organizzazioni di volontariato, Ong e cooperative sociali. La ratio di questa proposta è evidente. Si sostenne in sede di promulgazione della legge che fosse necessaria una definizione dettagliata delle caratteristiche dei soggetti in capo ai quali incardinare il regime Onlus, in quanto non esisteva un adeguato substrato civilistico a cui fare riferimento e sul quale incardinarsi. Tant'è vero che nei casi di figure giuridiche non profit ben definite si ritenne di riconoscere ad esse, in quanto tali e senza ulteriori precisazioni, il regime fiscale previsto dalla legge. Dovrebbe quindi prendersi atto che con l'impresa sociale è stato aggiunto un'altra figura nel panorama della regolamentazione civilistica dei soggetti non profit e pertanto un riallineamento della normativa fiscale non può apparire che naturale. Pertanto, le imprese sociali dovrebbero essere riconosciute Onlus di diritto, così da dare coerenza al sistema.
Tra l'altro che un simile intervento legislativo risolverebbe il problema della qualifica di non commercialità delle attività commerciali svolte da enti non commerciali a patto che rientrino tra le attività istituzionali. Si tratta di una fictio iuris che non avrebbe più ragione di essere ragione di essere nel momento in cui fosse finalmente generalizzato il riconoscimento, oggi in essere esclusivamente per le cooperative sociali, della possibilità di esercizio dell'attività commerciale per fini non lucrativi e di utilità generale. Ciò creerebbe ordine nel mondo del non profit. In molti casi, infatti, è la preoccupazione fiscale che spinge a mantenere la qualifica di ente non commerciale in capo a soggetti che ormai, in realtà, svolgono a tutti gli effetti un'attività commerciale in modo pressoché esclusivo.
Sono convinto che un simile semplice provvedimento determinerebbe la migrazione di tutto il non profit commerciale verso la forma dell'impresa sociale con un effetto di riordino generale superiore a qualsiasi altro intervento legislativo.
Sempre con un provvedimento legislativo piuttosto semplice, andrebbe poi superato il regime concessorio per la costituzione degli enti non profit, affidando ai notai la funzione che già svolgono in sede di costituzione di società, ed istituito un sistema di pubblicità obbligatorio per gli enti che esercitano attività economiche e per quelli che ricorrono in misura significativa a raccolta di fondi mediante pubblici appelli. Credo che le Camere di commercio, potrebbero essere investite in toto di questa seconda funzione che già svolgono per le società e le imprese.
Credo però che l'operazione di modernizzazione del Terzo settore richieda uno strumento di governo quotidiano e individualizzato delle trasformazioni in atto e dei processi che ne discendono. Da questo punto di vista l'esperienza della charity commission inglese sta a dire della necessità di avere una Agenzia per le Onlus - o meglio, per il Terzo settore - più forte e più robusta, alla quale attribuire una serie di poteri reali che permettano di affrontare la casistica di dettaglio e aiutare questo mondo ad evolversi.
In conclusione vi è però un tema, in un certo qual modo contiguo a quello sin qui affrontato, che vorrei portare alla vostra attenzione.
Il settore non profit rappresenta un ambito nel quale gli operatori del diritto hanno la possibilità di "creare diritto", anziché attendere la regolazione del principe. Soprattutto quelli che, come i notai, operano principalmente sui momenti genetici degli enti.
Di fronte agli ampi spazi che - giustamente - la normativa degli enti non profit lascia all'autonomia privata, molto spesso vedo avvocati e notai titubanti nell'affrontare quella che personalmente ho sempre considerato una straordinaria sfida professionale. Esistono spazi di costruzione di novità attraverso contratti associativi, statuti, atti di destinazione, ed altri negozi - tutti lasciati all'autonomia privata - ancora molto poco esplorati da operatori che appaiono concentrati principalmente sull'interpretazione delle norme esistenti e sulla reiterazione di formule consuete, piuttosto che interessati e impegnati a sfruttare gli spazi di libertà che la normativa offre e rispetto al quale si possono risolvere molti problemi senza attendere riforme legislative.
E' quest'ultima una considerazione che vorrei avesse anche il sapore di un appello, dal momento che i tempi del legislatore sono di norma imperscrutabili, mentre la vostra azione modernizzatrice e migliorativa può diventare già da domani più consapevole ed efficace.
[nota *] Trascrizione autorizzata dall'Autore dell'intervento al Convegno "Non profit: le sfide dell'oggi e il ruolo del Notariato (tavola rotonda "Verso la riforma del codice civile")", organizzato dalla Fondazione italiana del Notariato e tenutosi a Milano il 5 novembre 2010.
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