La perequazione urbanistica: nozione e compatibilità con il principio di legalità, l'art. 42 cost., i criteri di riparto tra Stato e regioni della potestà legislativa
La perequazione urbanistica: nozione e compatibilità con il principio di legalità, l'art. 42 cost., i criteri di riparto tra Stato e regioni della potestà legislativa
di Roberto Garofoli
Consigliere di Stato
Premessa
Si è registrato negli ultimi anni il diffondersi di tecniche di pianificazione urbanistica in funzione maggiormente perequativa: tecniche che hanno posto non pochi problemi interpretativi, primi tra tutti quelli relativi alla compatibilità del relativo utilizzo con taluni parametri costituzionali, in specie il principio di legalità, l'art. 42 Cost., i criteri di riparto tra Stato e regioni della potestà legislativa.
All'analisi delle soluzioni emerse al riguardo è necessario premettere la nozione stessa di perequazione urbanistica, dando atto delle tecniche pianificatorie che, ispirate al principio perequativo, sono sempre più di frequente seguite dalle Amministrazioni.
Nel dare atto delle prese di posizione della giurisprudenza amministrativa su taluni nodi problematici di fondo che il diffondersi delle tecniche perequative ha posto al vaglio giurisprudenziale oltre che al confronto dottrinale, sarà necessario peraltro distinguere concettualmente la perequazione urbanistica dalla "compensazione" e dalla "incentivazione" urbanistiche [nota 1].
Volendo dare ordine alla trattazione è opportuno partire dalle nozioni, dare atto delle ragioni che sono state e sono alla base del diffondersi delle tecniche di tipo perequativo, per poi passare ad esaminare le principali prese di posizione della giurisprudenza amministrativa su taluni dei problemi di tipo giuridico che le stesse tecniche pongono.
Ragioni del diffondersi delle tecniche di tipo perequativo
Prima di fornire le nozioni di perequazione e di dare atto dei problemi giuridici emersi, è quanto mai opportuno chiarire le ragioni che hanno giustificato il diffondersi delle tecniche perequative.
Si tratta di ragioni che è agevole cogliere se si volge lo sguardo ai tradizionali pilastri della classica pianificazione urbanistica, come noto costituiti dagli standard, dalla zonizzazione e dalle localizzazioni.
Volendo schematizzare e sintetizzare, le ragioni sottese al diffondersi di tecniche di pianificazione in funzione maggiormente perequativa possono individuarsi:
· da un lato, nell'esigenza di ovviare alle criticità proprie della zonizzazione, in specie alle forti sperequazioni che la tecnica dello zoning determina tra le diverse classi dei proprietari fondiari, taluni avvantaggiati in maniera considerevole dalle scelte della pubblica amministrazione in ordine alla edificabilità dei suoli (proprietari di fondi interessati da destinazioni edificatorie), altri invece impoveriti perché colpiti da disposizioni vincolistiche o comunque riduttive della capacità edificatoria.
· dall'altro, ancora, nell'esigenza di consentire ai comuni di disporre di aree pubbliche per servizi senza affrontare da un lato il carico finanziario necessario per l'attuazione di misure espropriative, dall'altro la conflittualità inevitabilmente conseguente al ricorso ai vincoli di inedificabilità e alle successive misure espropriative.
Per vero, il ricorso alla tecnica perequativa risponde anche ad una terza esigenza.
Oltre a perseguire il fine di superare la discriminatorietà degli effetti della zonizzazione e di disporre gratuitamente di aree pubbliche per servizi, anche quella «della cosiddetta integrazione di funzioni edificatorie: ovvero la possibilità che coesistano nei medesimi spazi diverse forme di utilizzazione del territorio. L'obiettivo è quello di superare il rigido principio della divisione in zone monofunzionali, che si rivela spesso elemento di rigidità pianificatoria» [nota 2].
Ecco, la tecnica perequativa è principalmente volta a creare per quanto possibile un'indifferenza dei proprietari rispetto alle scelte di pianificazione, per determinate parti del territorio.
Nozione di perequazione urbanistica
Volendo provare a fornire una nozione, la perequazione è una tecnica urbanistica volta ad attribuire un valore edificatorio uniforme a tutte le proprietà che possono concorrere alla trasformazione urbanistica di uno o più ambiti del territorio comunale prescindendo dall'effettiva localizzazione della capacità edificatoria sulle singole proprietà e dalla imposizione di vincoli di inedificabilità apposti al fine di garantire all'amministrazione la disponibilità di spazi da destinare ad opere collettive.
Il che reca con sé che i proprietari partecipano in misura uguale alla distribuzione dei valori e degli oneri correlati alla trasformazione urbanistica: si supera, in tal modo, la discriminatorietà degli effetti propri della zonizzazione, si consente al contempo, ed entro certi limiti, al comune di disporre gratuitamente di aree pubbliche.
Il meccanismo perequativo nella sua essenza di base è il seguente:
ciascun proprietario di un'area edificabile - seppur titolare del diritto di costruire - non può sfruttare in concreto il proprio diritto all'edificazione, e ciò in quanto l'area soggetta a perequazione non raggiunge il limite minimo dell'indice di edificabilità previsto; pertanto il proprietario sarà incentivato a procurarsi altrove la differenza volumetrica al fine di poter esercitare in concreto il proprio diritto all'edificazione.
Perequazione ristretta o per comparti e perequazione allargata o a priori
Si distingue per vero tra perequazione ristretta e perequazione allargata.
La prima (ristretta) è riferita ai comparti oggetto degli strumenti urbanistici attuativi; la seconda (allargata) è riferita tendenzialmente a tutto il territorio comunale.
Nella perequazione ristretta (a posteriori o per comparti) è identificato un insieme di aree di proprietà privata, che formano un comparto; all'interno di questo, a ciascuna area viene attribuita un'identica capacità volumetrica proporzionale all'estensione dell'area, ma in ogni caso inferiore al limite minimo fondiario di edificabilità. Contestualmente vengono individuate le aree destinate ai servizi ed opere di pubblica utilità. Successivamente il proprietario di un'area destinata a pubblici servizi od alla realizzazione di opere di interesse pubblico potrà autonomamente decidere di cedere senza corrispettivo in denaro tali aree al comune, attualizzando i diritti edificatori assegnati direttamente a tale area a seguito della formazione del piano.
Tecnicamente il meccanismo consiste nell'assegnazione all'insieme delle aree, pur con diverse destinazione pubbliche e private, costituenti un comparto, un indice perequativo, inferiore all'indice fondiario attribuito alle aree destinate all'edificazione.
Ne consegue che i proprietari delle aree destinate all'edificazione privata dovranno ristorare i proprietari delle aree con destinazione pubblica, acquistando da quest'ultimi i diritti edificatori, che rappresentano una quota dell'indice fondiario, al fine di esercitare concretamente il loro diritto ad edificare.
Il privato non subisce un vincolo e non è gravato dall'obbligo di soggiacere all'esproprio, ma sarà titolare dell'onere previsto dal piano perequativo il cui assolvimento gli permetterà di partecipare ai vantaggi del piano stesso.
In questo tipo di perequazione, assume rilievo la figura del comparto, che costituisce pertanto l'unità di intervento perequativo, ricomprendendo sia una zona edificabile sia una zona preordinata ad ospitare attrezzature collettive o destinata in funzione ambientale a rimanere verde.
Tale modello presenta tuttavia una variante, che è quella che prevede l'edificabilità attribuita anche ad aree esterne al comparto (pure se non contigue), le quali possono contribuire alla trasformazione dello stesso. In questo caso l'edificabilità convenzionale attribuita alle aree esterne, di cui si richiede la conservazione, viene spostata all'interno del comparto determinando una capacità edificatoria aggiuntiva, mentre la perequazione degli oneri viene ripartita tra tutte le aree esterne o interne ad esso.
Inteso in siffatti termini, il metodo perequativo non può certo dirsi una novità assoluta nel panorama urbanistico, in quanto tra le modalità attuative del piano regolatore la legge fondamentale già aveva previsto il comparto edificatorio.
L'istituto del comparto era già previsto nell'art. 23 della legge urbanistica del 1942, che lo indica come strumento per l'attuazione delle previsioni di piano, suggerendo il consorziamento tra i diversi proprietari per distribuire vantaggi e svantaggi.
E' quanto consente peraltro di rispondere in senso affermativo alla questione della ammissibilità di una perequazione siffatta anche in assenza di specifiche previsioni nella legislazione nazionale e regionale.
In giurisprudenza non si registrano prese di posizione contrarie al ricorso alla perequazione.
C'è tuttavia da chiedersi se un approccio come quello perequativo, per l'obiettivo distacco dal paradigma (o forse solo dallo stereotipo) razionalista fatto proprio dall'art. 7 della L. n. 1150 del 1942 e, ancor più, dal D.m. n. 1444 del 1968, deve certamente essere giustificato alla luce del principio di legalità che informa anche la disciplina pianificatoria. Il problema, ovviamente, si pone in termini diversi nelle regioni che hanno espressamente introdotto la perequazione nella rispettiva legislazione urbanistica.
La questione resta invece aperta con riferimento ai piani regolatori che, in numero sempre crescente, fanno ricorso a questa tecnica in assenza di una esplicita copertura legislativa regionale.
Rinviando alla successiva trattazione per un esame più approfondito del tema, merita già qui segnalare Tar Salerno, 5 luglio 2002, n. 670, secondo cui tale tipologia di perequazione si colloca entro la dimensione attuativa del piano.
La perequazione non solo si pone a valle della pianificazione generale, ma - soprattutto - coinvolge unicamente alcuni particolari ambiti del territorio, (generalmente) ordinati in comparti.
Dunque quando si parla di piani perequativi si deve precisare che ci si riferisce ad una vicenda che investe specifici e circoscritti ambiti, preventivamente identificati dal piano regolatore. Andando oltre l'identificazione di questo rapporto di non alternatività tra perequazione e piano regolatore, si può affermare che la perequazione si inserisce entro la trama dello zoning [nota 3].
In un piano perequativo siffatto il principio della zonizzazione è comunque fatto salvo: solo in alcune specifiche porzioni del territorio si verifica una vicenda che, ed è questo il punto centrale, non contraddice affatto il principio di zonizzazione, ma - semplicemente - ne costituisce una particolare forma di attuazione.
L'altro modello è la perequazione estesa, che prevede l'assegnazione ai cosiddetti fondi sorgente di una dotazione volumetrica sotto forma di diritto edificatorio cedibile ai terzi.
Il Piano si limita a prevedere due macrocategorie di fondi: aree di trasformazione ed aree di conservazione.
L'utilizzo del diritto edificatorio che spetta ad un'area non suscettibile di trasformazione secondo le indicazioni del pianificatore potrà avvenire su un altro fondo detto accipiente, scelto tra le numerose aree di atterraggio previste dal piano.
Non vi è la predeterminazione della destinazione dei diritti edificatori, ma il Piano si limiterà a prevedere che ogni trasformazione sia il risultato di un atterraggio di diritti edificatori che si uniranno alla dotazione intrinseca di edificabilità dell'area, di per se stessa insufficiente a consentire la trasformazione dell'area (perequazione ad arcipelago).
Il Piano in questa ipotesi sarà attuato in una frammentazione di iniziative dei singoli proprietari, che individueranno le possibili soluzioni di atterraggio. L'attuazione delle scelte urbanistiche in questo caso avviene in maniera frammentaria, dando origine ad una specie di grande mosaico che si comporrà nel tempo.
Misure perequative, compensative e incentivanti: le differenze
Più recentemente si è posto il problema di trovare un rimedio agli errori commessi nelle scelte di pianificazione precedenti nelle quali si è fatto largo uso della categoria del vincolo urbanistico, il cui superamento attraverso l'esproprio delle aree da parte del comune è divenuto assai difficile, se non impossibile, per la previsione di un indennizzo al valore venale del bene, cui le amministrazioni locali non possono provvedere per mancanza di risorse finanziarie.
Si è prospettata così l'ipotesi di trovare soluzioni alternative all'indennizzo espropriativo monetario.
La stessa Corte (n. 179/99) - con una decisione assai innovativa - ha riconosciuto la legittimità della compensazione urbanistica in alternativa all'indennizzo espropriativo monetario, previa cessione del bene, attraverso l'attribuzione di quote di edificabilità da spendere in altre aree o la permuta con altre aree. I giudici hanno riconosciuto, cioè, la legittimità d'istituti compensativi che non penalizzino i soggetti interessati dalle scelte urbanistiche che incidono su beni determinati, riconoscendo la conformità all'ordinamento di moduli di compensazione anche a prescindere da specifiche previsioni normative.
Volendo distinguere tra perequazione e compensazione, può dirsi che:
· la cessione perequativa è alternativa all'espropriazione perché non prevede l'apposizione di un vincolo preespropriativo sulle aree destinate ai servizi pubblici ma prevede che tutti i proprietari, sia quelli che possono edificare sulle loro aree sia quelli i cui immobili dovranno realizzare la città pubblica, partecipino alla realizzazione delle infrastrutture pubbliche attraverso l'equa e uniforme distribuzione di diritti edificatori indipendentemente dalla localizzazione delle aree per attrezzature pubbliche e dei relativi obblighi nei confronti del comune;
· la cessione compensativa invece si caratterizza per l'individuazione da parte del pianificatore di aree destinate alla costruzione della città pubblica rispetto alle quali l'amministrazione non può rinunciare a priori al vincolo ed alla facoltà imperativa e unilaterale dei acquisizione coattiva delle aree. In queste aree il comune appone il vincolo espropriativo ed entro il termine di 5 anni deve far ricorso all'espropriazione con la possibilità di ristorare il proprietario mediante l'attribuzione di crediti compensativi od aree in permuta in luogo dell'indenizzo pecuniario.
Volendo utilizzare un ulteriore criterio di distinzione, può anche dirsi che:
· la cessione perequativa si caratterizza per il fatto che il terreno che sarà oggetto di trasferimento in favore dell'amministrazione sviluppa volumetria propria (espressa appunto dall'indice di edificabilità territoriale che gli viene attribuito), che, però, può essere realizzata solo sulle aree su cui deve concentrarsi l'edificabilità (aree alle quali è attribuito un indice urbanistico adeguato a ricevere anche la cubatura proveniente dai terreni oggetto di cessione);
· la cessione compensativa, invece, prevede la corresponsione di un corrispettivo (per la cessione) in volumetria (diritto edificatorio) o in aree in permuta ( anzichè in denaro, come avverrebbe tanto nel caso in cui l'area fosse acquisita bonariamente quanto nel caso venisse espropriata)" (Tar Lombardia, 17 settembre 2009, n. 4671).
La perequazione va concettualmente distinta anche dalla misure c.d. incentivanti, ossia dalla premialità edilizia.
La premialità edilizia consiste nell'attribuzione da parte dell'Amministrazione comunale di diritti edificatori in aggiunta a quelli riconosciuti in via ordinaria dal Piano a favore di taluni soggetti ritenuti meritevoli in quanto hanno posto in essere condotte che hanno favorito il raggiungimento di interessi pubblici. Gli interventi di riqualificazione urbana diretti a realizzare attrezzature e servizi in aggiunta a quanto necessario per soddisfare gli standard o migliorare la qualità ambientale determinano quindi un premio riconosciuto dalla pubblica amministrazione e consistente nell'attribuzione di un bonus di diritti edificatori in aggiunta a quelli già spettanti all'area.
Volendo ulteriormente differenziare, può dirsi che diverse sono le ragioni che sottendono le distinte misure urbanistiche in esame: redistributive nella perequazione, indennitarie nella compensazione, incentivanti nella premialità.
A tali diversità ontologiche corrispondono, del resto, anche differenze nella disciplina dei diritti edificatori rivenienti dal ricorso a misure rispettivamente perequative, compensative o incentivanti.
Mentre i diritti perequativi vengono assegnati direttamente in seguito alla formazione del Piano e sono commerciabili nel momento stesso in cui il Piano è approvato, avendo il terreno che sarà oggetto di trasferimento alla P.A. una volumetria propria che però potrà essere realizzata solo sulle aree di concentrazione; i diritti compensativi sono attribuiti in seguito alla cessione all'Amministrazione comunale del fondo sorgente e non hanno limiti spaziali, i diritti incentivanti o premiali sono attribuiti in seguito all'intervento di riqualificazione urbanistica ed ambientale.
La diversa natura e genesi dei due tipi di diritti edificatori dovrebbe determinare anche una diversità funzionale degli stessi.
Mentre i diritti perequativi rimangono assoggettati a revisioni in seguito alle modifiche del Piano che li ha assegnati, i diritti compensativi costituiscono il corrispettivo di una prestazione che il privato ha già assolto cedendo l'area o (per quelli in funzione incentivante) avendo effettuato l'intervento di riqualificazione urbana e pertanto dovrebbero essere indifferenti alle eventuali variazione del Piano.
Misure di tipo perequativo, compensativo e incentivante: l'effetto comune. L'attitudine a generare diritti edificatori. L'art. 5, comma 3, D.l. 13 maggio 2011, n. 70
Chiarite le differenze tra perequazione propriamente detta, compensazione e incentivazione, è utile segnalare che le stesse presentano un comune denominatore costituito dall'attitudine a generare diritti edificatori.
Si tratta dei diritti edificatori cui ha ora riguardo l'art. 5, comma 3, D.l. 13 maggio 2011, n. 70, convertito con L. 12 luglio 2011, n. 106 (c.d. decreto sviluppo), laddove dispone che, «per garantire certezza nella circolazione dei diritti edificatori, all'articolo 2643, comma 1, del codice civile, dopo il n. 2, è inserito il seguente:
"2-bis) i contratti che trasferiscono i diritti edificatori comunque denominati nelle normative regionali e nei conseguenti strumenti di pianificazione territoriale, nonché nelle convenzioni urbanistiche ad essi relative"».
Allorché l'amministrazione ricorre alle misure citate si registra, invero, una separazione della capacità edificatoria dalla proprietà del terreno da cui la stessa ha origine, divenendo tale capacità qualcosa di trasferibile e negoziabile.
I diritti edificatori attribuiti ad un soggetto in seguito a perequazione, incentivazione o compensazione della cessione di aree al comune si connotano, infatti, perché rimangono svincolati dal fondo potendo verificarsi che al momento dell'attribuzione della volumetria il beneficiario dei diritti edificatori non sia proprietario di altro suolo su cui sfruttare la volumetria attribuitagli, avendo già ceduto al comune l'area di sua proprietà e dovendosi pertanto limitare a mantenere i diritti edificatori in vista di un acquisto futuro.
Da questo angolo visuale l'innovatività degli istituti urbanistici della perequazione, compensazione ed incentivazione sta nel fatto che i diritti edificatori dagli stessi generati sono autonomi ed idonei in quanto tali ad essere oggetto di negozi giuridici, senza un collegamento diretto con l'area di provenienza o destinazione; con la precisazione che se nell'ipotesi di perequazione c'è un collegamento genetico tra diritto e terreno (la qualità edificatoria è propria del terreno), nell'ipotesi di compensazione e di incentivazione può mancare il rapporto diretto anche nel momento genetico il diritto edificatorio essendo infatti attribuito dall'amministrazione quale corrispettivo per la cessione di un'area o in seguito ad un intervento di riqualificazione, non costituendo quindi qualità intrinseca dell'area stessa.
I problemi: i rapporti con il principio di legalità, con l'art. 42 Cost., con i criteri di riparto tra Stato e regioni della potestà legislativa
Cosi chiarite le nozioni e tralasciando le pur numerose questioni che si pongono per così dire a valle del ricorso alle misure perequative [nota 4], giova soffermarsi sui profili giuridici di tipo spiccatamente pubblicistico.
Tra queste, è venuta in rilievo la questione della copertura legislativa delle misure perequative.
E' davvero necessaria una copertura legislativa per l'adozione dei sistemi perequativi?
Si tratta, cioè, di verificare se sussista un preciso referente normativo che abiliti le Amministrazioni ad utilizzare la tecnica perequativa.
Si tratta, per vero, di questione in parte ridimensionata nella sua problematicità per effetto del moltiplicarsi delle leggi urbanistiche regionali che per l'appunto contemplano la tecnica perequativa provvedendo a disciplinarla più o meno diffusamente.
La mancanza quindi della legge nazionale non va drammatizzata, tanto più che, come già chiarito, la perequazione affonda le sue radici negli istituti perequativi della legge fondamentale, i comparti, e delle successive leggi di settore.
Del resto, le pronunce della giurisprudenza amministrativa che hanno riconosciuto diritto di cittadinanza alle fattispecie perequative sono intervenute ancor prima delle leggi regionali che hanno espressamente contemplato la perequazione [nota 5].
Senonché, la varietà dei modelli perequativi cui le amministrazioni ricorrono ha posto talvolta, attesa l'idoneità degli stessi ad incidere in varia misura sul diritto di proprietà, un problema di compatibilità con altri referenti costituzionali, primo tra tutti quello di cui all'art. 42 Cost. che prevede l'espropriabilità nei soli casi previsti dalla legge e salvo indennizzo.
E' il problema posto da quelle misure con finalità perequative destinate a connotarsi per la previsione, in sede di pianificazione, di una quota di edificabilità da destinare alla realizzazione di opere di interesse pubblico ovvero di una riserva di provvista finanziaria.
Sono le questioni esaminate dalla giurisprudenza intervenuta a definire i contenziosi involgenti talune previsioni contenute nel piano regolatore del Comune di Bassano del Grappa [nota 6] (e recanti una riserva al comune del 50% delle volumetrie concesse alle aree private) e nel piano di Roma.
E' quest'ultima pronuncia che appare quanto mai significativa dell'orientamento espresso dalla giurisprudenza amministrativa sul tema dei rapporti tra le nuove tecniche (perequative e incentivanti), principio di legalità dell'azione amministrativa e indennizzabilità degli interventi di tipo espropriativo.
Giova ricostruire la vicenda avendo cura di mettere a fuoco la diversità che le previsioni del piano romano, reputate legittime dal Consiglio di Stato, presentano rispetto a quelle contenute nel piano regolatore del Comune di Bassano del Grappa, annullate invece da Cons. Stato, sez. IV, 21 agosto 2006, n. 4833, intervenuta a confermare Tar Veneto, sez. I, n. 1356/1997.
La vicenda del Prg di Roma: misure perequative, potestà conformativa e amministrazione per accordi
Nel dettaglio, con le due distinte previsioni di piano contestate, dichiaratamente volte a realizzare obiettivi di "perequazione urbanistica", è stato previsto che:
· il proprietario potesse acquisire una quota aggiuntiva di superficie edificabile mettendone una quota maggioritaria a disposizione del comune, affinché questo la utilizzasse per finalità di interesse pubblico (riqualificazione urbana, tutela ambientale, edilizia con finalità sociali, servizi di livello urbano);
· detta quota maggioritaria è soggetta al pagamento di un contributo finanziario straordinario, da utilizzare per il finanziamento di opere e servizi pubblici in ambiti urbani degradati, con finalità di riqualificazione urbana.
Il primo giudice ha considerato illegittime le specifiche previsioni innanzi richiamate in tema di cessione di aree al comune e di contributo straordinario, ritenendo che le modalità in tal modo adottate per il perseguimento degli obiettivi di perequazione urbanistica (e finanziaria) violassero il principio di legalità. In specie:
· la cessione di aree realizzerebbe una forma larvata di ablazione della proprietà non trovante "copertura" normativa in alcuna espressa disposizione di legge (e quindi in violazione dello statuto del diritto di proprietà, e mediatamente dell'art. 42 Cost.);
· il contributo straordinario integrerebbe un'imposizione patrimoniale, seppur di natura non tributaria, a sua volta in difetto di espressa previsione e quindi in violazione della riserva di legge ex art. 23 Cost.
Ebbene, nel ribaltare tali conclusioni, Cons. Stato 13 luglio 2010, n. 4545, ha fatto sostanzialmente leva su due essenziali pilastri argomentativi dalla sezione ritenuti idonei a giustificare l'opzione per la legittimità delle previsioni di piano contestate:
· da un lato, la potestà conformativa del territorio di cui l'Amministrazione è titolare nell'esercizio della propria attività di pianificazione;
· dall'altro, la possibilità di ricorrere a modelli privatistici e consensuali per il perseguimento di finalità di pubblico interesse.
Giova dare atto dei passaggi centrali del complesso percorso motivazionale.
Quanto alla previsione in forza della quale il proprietario può acquisire una quota aggiuntiva di superficie edificabile mettendone una quota maggioritaria a disposizione del comune, la quarta sezione ne ha messo da subito in evidenza la diversità rispetto a quella, apparentemente analoga, contenuta nel piano del Comune di Bassano, come rilevato annullata dal Consiglio di Stato nel 2006.
Ha osservato il Consiglio di Stato che il nuovo Prg di Roma, nel procedere alla ricognizione delle aree la cui destinazione comporterà l'applicabilità dei nuovi istituti perequativi, ha in partenza confermato gli indici di fabbricabilità sulle stesse previsti dalla disciplina urbanistica previgente, di tal che le nuove previsioni vanno ad affiancarsi, integrandolo, a un assetto sostanzialmente confermativo di quello preesistente.
La riferita circostanza rende la vicenda romana diversa da quella relativa al piano del comune di Bassano del Grappa, volto viceversa a riservare alla "mano pubblica" una quota di superficie con diretta incisione sulla totalità della capacità edificatoria dei suoli, ivi compresa quella in atto già da questi posseduta, in tal modo effettivamente realizzandosi una forma larvata di esproprio.
Nel caso di specie, invece, la previsione della cessione al comune di una quota di edificabilità è stata introdotta de futuro, in stretta correlazione con la previsione di una quota di edificabilità aggiuntiva di cui il proprietario potrà fruire consentendo - appunto - alla cessione di parte di essa; analogamente, a norma dell'art. 20 delle Nta, il proprietario del suolo potrà fruire di ulteriore edificabilità corrispondendo un contributo straordinario predeterminato ex ante.
In altri termini, il pianificatore in questo caso, dopo aver proceduto alla fase "statica" dell'assegnazione a ciascuna zona della propria destinazione urbanistica e dei relativi indici di edificabilità, ha inteso conferire al Prg anche una dimensione "dinamica", idonea a prevedere la possibile evoluzione futura dell'assetto del territorio comunale: in tale prospettiva, per quanto concerne la realizzazione di opere pubbliche, urbanizzazioni e infrastrutture, in aggiunta e in alternativa all'imposizione di vincoli su specifici suoli finalizzati a future espropriazioni, per il reperimento dei suoli e delle risorse necessarie sono stati introdotti i meccanismi appena descritti.
1. Misure perequative e potestà conformativa
Così ricostruite le previsioni in contestazione, il Consiglio di Stato ha escluso che siano stato così superati i limiti del potere conformativo spettante all'Amministrazione nella propria attività di pianificazione del territorio.
Si tratta - ricorda la quarta sezione - di potestà amministrativa di governo del territorio cui è connaturata la facoltà di porre condizioni e limiti al godimento del diritto di proprietà non di singoli individui, ma di intere categorie e tipologie di immobili identificati in termini generali e astratti; richiamando Corte cost. 179 del 20 maggio 1999, il Consiglio di Stato ha osservato che non possono qualificarsi in termini di vincolo espropriativo tutte le condizioni e i limiti che possono essere imposti ai suoli in conseguenza della loro specifica destinazione.
Ebbene, l'operazione condotta dal Comune di Roma attraverso i ricordati meccanismi perequativi connessi all'attribuzione de futuro ai suoli di una cubatura aggiuntiva rientra a pieno titolo nel legittimo esercizio della potestà pianificatoria e conformativa del territorio.
Ad avviso del Consiglio di Stato, la disciplina impressa ai suoli attraverso i due momenti pianificatori testé indicati, con tutta evidenza, non può in alcun modo essere ritenuta tale da integrare una sostanziale ablazione della proprietà né una surrettizia sottrazione di volumetrie le quali, in assenza delle previsioni perequative, sarebbero state edificabili.
2. Misure perequative e amministrazione per accordi
Chiarito che le prescrizioni urbanistiche contestate risultano in linea con una moderna concezione della potestà conformativa riconosciuta all'Amministrazione nella propria attività di pianificazione del territorio, la sezione si è quindi soffermata sulle particolari modalità con le quali le Nta dispongono debba avvenire la perequazione urbanistica e finanziaria, allorquando troveranno applicazione i richiamati istituti della cessione di volumetrie al comune e del contributo straordinario: in questa parte della disamina viene in rilievo il secondo dei pilastri su cui ad avviso della quarta sezione si reggono le innovative previsioni del Prg capitolino, e cioè il ricorso a strumenti negoziali e consensuali per il perseguimento di obiettivi di pubblico interesse.
Sul punto, il Consiglio di Stato ha ritenuto di escludere la pertinenza del richiamo all'art. 13 della legge 7 agosto 1990, n. 241, laddove esclude l'applicabilità agli atti generali e di pianificazione della disciplina generale in materia di partecipazione del privato all'attività procedimentale (ivi compresa quella in tema di accordi ex art. 11 della stessa legge n. 241 del 1990).
Ha evidenzato la sezione che la fattispecie all'esame non è connotata affatto da una sostituzione della pianificazione generale con moduli convenzionali: infatti, il Prg del Comune di Roma esiste certamente come atto provvedimentale e autoritativo, essendo stato approvato all'esito di un procedimento di carattere pubblicistico interamente promosso e gestito dall'Amministrazione pianificatrice; gli strumenti privatistici e consensuali sono destinati a intervenire nella fase attuativa delle prescrizioni poste dal Piano.
Nel caso di specie - ha sostenuto la quarta sezione - il richiamo più pertinente è quello agli accordi sostitutivi dell'espropriazione di cui all'art. 45, D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, che costituiscono proprio una applicazione, alla particolare materia dell'ablazione della proprietà privata per la realizzazione di opere pubbliche, del generale principio dell'utilizzabilità di modelli negoziali per il perseguimento di scopi di pubblico interesse.
Più in generale, la sezione ha reputato che la "copertura" normativa alla previsione dei più volte richiamati strumenti consensuali per il perseguimento di finalità perequative (e ciò vale sia per la cessione di aree che per il contributo straordinario) vada individuata nel combinato disposto degli artt. 1, comma 1-bis, e 11, L. n. 241 del 1990.
Ed invero, ad avviso della dottrina e della giurisprudenza maggioritarie, con la "novella" del 2005 il legislatore ha optato per una piena e assoluta fungibilità dello strumento consensuale rispetto a quello autoritativo, sul presupposto della maggiore idoneità del primo al perseguimento degli obiettivi di pubblico interesse.
Ha così sostenuto la quarta sezione che, essendo venuta meno la previgente riserva alla legge dei casi in cui alle amministrazioni è consentito ricorrere ad accordi in sostituzione di provvedimenti autoritativi, tale possibilità deve ritenersi sempre e comunque sussistente (salvi i casi di espresso divieto normativo); col che, secondo l'opinione preferibile, non è stato affatto introdotto il principio della atipicità degli strumenti consensuali in contrapposizione a quello di tipicità e nominatività dei provvedimenti, atteso che lo strumento convenzionale dovrà pur sempre prendere il posto di un provvedimento autoritativo individuato fra quelli "tipici" disciplinati dalla legge: a garanzia del rispetto di tale limite, lo stesso art. 11 innanzi citato prevede l'obbligo di una previa determinazione amministrativa che anticipi e legittimi il ricorso allo strumento dell'accordo.
Pertanto, nel caso di specie l'Amministrazione altro non ha fatto che predeterminare le condizioni alle quali potranno attivarsi i ridetti meccanismi convenzionali, solo se e quando i proprietari interessati ritengano di voler avvalersi degli incentivi cui sono collegati (e, cioè, di voler fruire della volumetria aggiuntiva assegnata ai loro suoli dal Prg); ove ciò non avvenga, il comune che fosse interessato alla realizzazione di opere di urbanizzazione e infrastrutture dovrà attivarsi con gli strumenti tradizionali all'uopo predisposti dall'ordinamento, in primis le procedure espropriative (naturalmente, se del caso, previa localizzazione delle aree su cui operare gli interventi e formale imposizione di vincoli preordinati all'esproprio con apposita variante urbanistica).
E' proprio la natura "facoltativa" degli istituti perequativi de quibus, nel senso che la loro applicazione è rimessa a una libera scelta degli interessati, ad escludere che negli stessi possa ravvisarsi una forzosa ablazione della proprietà nonché, nel caso del contributo straordinario, che si tratti di prestazione patrimoniale imposta in violazione della riserva di legge ex art. 23 Cost.
Ad avviso della Sezione è quindi ridimensionata la questione di quali siano le specifiche disposizioni di legge (nazionale o regionale) individuabili quale "copertura" legislativa delle prescrizioni urbanistiche oggetto del contenzioso: si è visto, infatti, che queste ultime trovano il proprio fondamento in principi ben radicati nel nostro ordinamento, con riguardo da un lato al potere pianificatorio e di governo del territorio (quale disciplinato dalla legislazione urbanistica fin dalla legge 17 agosto 1942, n. 1150) e dall'altro alla facoltà di stipulare accordi sostitutivi di provvedimenti.
Il fatto, poi, che si tratti di principi affermati nella legislazione nazionale consente di escludere in radice - secondo il Consiglio di Stato - ogni lesione delle prerogative statali in materia, l'operazione posta in essere dal Comune di Roma con il varo del nuovo Prg apparendo rispettosa dei limiti posti dalla legislazione statale (sia esclusiva ex art. 117, comma 2, lettera m, Cost. che concorrente in materia di governo del territorio) alla potestà regolamentare riconosciuta ai Comuni nelle materia di propria competenza dall'ultimo comma dello stesso art. 117 Cost.
3. Misure perequative e criteri di riparto tra Stato e regioni della potestà legislativa
Con la stessa sentenza, il Consiglio di Stato sia pure incidenter (e con specifico riferimento al caso di specie portato al suo vaglio) affronta, in uno al problema della copertura legislativa delle misure in senso lato perequative, anche quello relativo alla possibilità delle regioni di legiferare in materia.
Il problema è stato posto da chi ha sostenuto che nella disciplina statale mancherebbe l'individuazione di un principio fondamentale in tema di perequazione urbanistica.
Sul punto la Corte costituzionale ha chiarito che «la mancanza di un'espressa, specifica disciplina statale contenente i principi fondamentali di una determinata materia di competenza legislativa concorrente, non impedisce alle regioni di esercitare i propri poteri, in quanto in ogni caso i principi possono e devono essere desunti dalla preesistente legislazione statale» [nota 7].
Peraltro, lo stesso principio della materia sarebbe desumibile dall'art. 23 della legge urbanistica fondamentale in materia di comparti perequativi.
La perequazione urbanistica rientra più in generale nel potere conformativo della proprietà espressione del più generale potere di governo del territorio.
Più delicata la questione riguardo al confine dell'ordinamento civile.
Per vero, la Corte costituzionale ha avuto modo di chiarire in più di una sentenza che «la preclusione al potere legislativo regionale di interferenze nella disciplina dei diritti soggettivi riguarda i profili civilistici dei rapporti da cui derivano, cioè i modi di acquisto e di estinzione, i modi di accertamento, le regole sull'adempimento delle obbligazioni e sulla responsabilità per inadempimento, la disciplina della responsabilità extracontrattuale, i limiti dei diritti di proprietà connessi ai rapporti di vicinato, e via esemplificando, ma non la conformazione del contenuto dei diritti di proprietà» [nota 8]. E ancora più esplicitamente la Consulta ha sottolineato che «se alle regioni è precluso legiferare in materia di diritto privato, tale preclusione concerne i rapporti intersoggettivi e non riguarda il potere di conformare il contenuto del diritto di proprietà al fine di assicurarne la funzione sociale». (Corte cost., n. 190/2001).
Ne consegue che i meccanismi perequativi previsti dalle norme di piano possono essere considerati espressione del potere di conformazione del territorio e della proprietà laddove incidano su diritti collegati a un bene immobile al fine di assicurarne la funzione sociale.
Tuttavia, i modelli perequativi prevedono il trasferimento dei diritti edificatori, la loro libera commerciabilità e il loro atterraggio in altre aree del piano regolatore, il che coinvolge diritti soggettivi e i rapporti civilistici che ne derivano.
Al riguardo, la Corte costituzionale [nota 9], esaminando i profili di costituzionalità del «piano nazionale di edilizia abitativa» di cui alla legge n. 133/2008, ha avuto modo di rilevare che gli aspetti che attengono al trasferimento e alla cessione dei diritti edificatori vanno regolati dal legislatore statale rientrando nell'ambito delle competenze di cui all'art. 117, comma 2, lett. l, "ordinamento civile".
Non agevole sostenere, del resto, che possa essere affidato al legislatore regionale il compito di disciplinare gli aspetti giuridici relativi alla pubblicità e alla opponibilità ai terzi degli atti di trasferimento dei diritti edificatori [nota 10].
[nota 1] In tema, P. URBANI, «Disciplina regionale concorrente in materia di governo del territorio e principio perequativo nel pianificazione urbanistica comunale», in questo volume; P. URBANI, La perequazione tra ipotesi di riforma nazionale e leggi regionali, in Ed. e terr.. Commenti e norme, 2008, 30; ID., voce Urbanistica, in Enc. giur. Treccani, Aggiornamento XVII, 2009; ID., «Concertazione e perequazione urbanistica», in Atti del Convegno di Lisbona sulla perequazione urbanistica 15-18 giugno 2008, in www.pausania.it; ID., «Ancora sui principi perequativi e sulle modalità di attuazione dei piani urbanistici», in Riv. giur. urb., 2004, p. 509 e ss.; ID., «I problemi giuridici della perequazione urbanistica», ivi, 2002, p. 587 e ss.; ID., «Sistemi di pianificazione urbanistica perequativa e principio di legalità dell'azione amministrativa dopo le decisioni del Consiglio di Stato sul Prg di Roma», in www.giustamm.it, pubblicato il 2 agosto 2010. Agli studi del prof. Urbani ci si è rifatti nel presente scritto nel ricostruire le nozioni di perequazione, compensazione e incentivazione, oltre che nel segnalare le esigenze che ne hanno giustificato il sempre più diffuso utilizzo.
[nota 2] In argomento, tra gli altri, S. PERONGINI, Profili giuridici della pianificazione urbanistica perequativa, Milano, 2005; P.L. PORTALURI, Poteri urbanistici e principio di pianificazione, Napoli, 2003; A. QUAGLIA, Pianificazione urbanistica e perequazione, Torino, 2000; G. SABBATO, «La perequazione urbanistica», relazione al Convegno di studi di Salerno, 20 novembre 2009, "Attività edilizia fra governo del territorio e tutela paesaggistica e ambientale"; A. TRAVI, «Accordi fra proprietari e comune per modifiche al piano regolatore e oneri esorbitanti», in Foro it., 2002, c. 274 e ss.; A. GAMBARO, «Compensazione urbanistica e mercato dei diritti edificatori», in Riv. giur. ed., 2010, 1, parte II, p. 3 e ss.; A. POLICE, «Gli strumenti di perequazione urbanistica. Magia evocativa dei nomi, legalità ed effettività», in Riv. giur. ed., 2004, 1, parte II, p. 3 e ss.; P. STELLA RICHTER, «La perequazione urbanistica», ivi, 2005, 2, p. 169 e ss.
[nota 3] E. BOSCOLO, «Una conferma giurisprudenziale (e qualche novità legislativa) in tema di perequazione urbanistica», in Riv. giur. ed., 2003, 3, p. 823. Dello stesso Autore, «Le perequazioni e le compensazioni», in Riv. giur. urb., 2010, 1, p. 104 e ss.
[nota 4] Tra cui, in specie, quelle relative alla natura dei diritti edificatori (interesse legittimo pretensivo; diritto reale; diritto di credito con comune in veste di debitore), alla configurazione del negozio di trasferimento (cessione di cubatura; vendita di cosa futura; cessione di credito), alla trascrizione. Al riguardo, è importante segnalare che l'art. 5, comma 3, D.l. 13 maggio 2011 , n. 70, convertito con L. 12 luglio 2011, n. 106 (c.d. decreto sviluppo), al fine di garantire certezza nella circolazione dei diritti edificatori, ha previsto, con una novella all'art. 2643 del codice civile, che debbano essere resi pubblici, attraverso la trascrizione, i contratti che trasferiscono i diritti edificatori (c.d. cessione di cubatura) comunque definiti nelle normative regionali e nei conseguenti strumenti di pianificazione territoriale, nonché nelle convenzioni urbanistiche ad essi relative.
[nota 5] Tra le altre, Tar Salerno, 5 luglio 2002, n. 670.
[nota 6] Cons. Stato, sez. IV, 21 agosto 2006, n. 4833, che ha confermato Tar Veneto, sez. I, n. 1356/1997, di annullamento delle disposizioni del Prg del 1998 del Comune di Bassano del Grappa. Ha sostenuto il Consiglio di Stato che è illegittima la disposizione di piano in forza della quale «una quota del 50% della capacità insediativa totale è riservata al comune» in quanto volta a configurare una forma di espropriazione del tutto atipica, non ricondotta e non correttamente riconducibile ad alcuna specifica norma delle leggi vigenti in materia. Non è invero «dato rinvenire alcuna disciplina, di fonte legislativa, che autorizzi una riserva di proprietà fondiaria alla mano pubblica - come quella prefigurata nella specie - al fine di contenimento dei prezzi, in un'ottica "dirigista" del mercato dei terreni edificabili. Va ribadito, quindi, che in assenza di specifica normativa primaria la disposizione in parola si manifesta priva del supporto legislativo necessario per giustificare la cennata compressione del diritto di proprietà, al di fuori delle garanzie previste in proposito dall'art. 42 della Carta costituzionale».
[nota 7] Corte cost., 19 dicembre 2003, n. 359 in Giur. cost., 2003, p. 3722 e ss., con nota di G. RESCIGNO, «La Corte scambia i principi fondamentali della materia per principi fondamentali dell'oggetto».
[nota 8] Corte cost., n. 391/1989, nonché n. 379/1994 e 164/2000. Ancora più esplicitamente la Corte precisa che «per quanto attiene alla normativa conformativa del contenuto dei diritti di proprietà allo scopo di assicurarne la funzione sociale la riserva di legge stabilita dall'art. 42 Cost. può trovare attuazione anche in leggi regionali, nell'ambito, s'intende, delle materie indicate dal 117 Cost.» (sent. n. 391/1989).
[nota 9] Corte cost., n. 121/2010.
[nota 10] A colmare questa grave lacuna normativa è intervenuto ora il D.l. 70/2011 che, all'art. 5, ha introdotto all'art. 2643, comma.1, c.c., la nuova figura dei contratti di trasferimento dei diritti edificatori.
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