I diritti edificatori: la prospettiva del civilista
I diritti edificatori: la prospettiva del civilista [nota *]
di Giuseppe Amadio
Ordinario di Istituzioni di Diritto Privato
Università di Padova

Le premesse di metodo

Accade sovente, da qualche tempo in qua, che di fronte alle novità normative il civilista sia chiamato a fare i conti con la propria coscienza critica. Messo a confronto con interventi, dei quali si declama l'intento modernizzatore, ma che al tempo stesso segnano un sempre maggiore scostamento dalle categorie, l'interprete, che ancora non intenda abbandonare il sistema, dovrà misurarsi col difficile compito di conciliare gli obiettivi pratici con la costruzione teorica. Senza per altro consentire a ragioni di natura puramente "economica" di contaminare quella costruzione: come accade quando, inseguendo il (pur commendevole) traguardo del massimo risparmio fiscale, si trasformano quelle che dovrebbero dirsi conseguenze della qualificazione sostanziale, in criteri idonei a orientarla surrettiziamente. Del che, la prima fase del dibattito dedicato al nostro tema offre testimonianze esemplari.

Ciò premesso, tuttavia, deve riconoscersi che i limiti imposti in questa sede, la complessità del dato normativo da cui si muove, e soprattutto le interferenze tra ambiti disciplinari eterogenei (quello urbanistico, del tutto preponderante, quello civilistico, compendiato, a ben vedere, in un'unica norma), orientano necessariamente il discorso del civilista verso obiettivi più limitati. Quella che vorrei proporre è dunque solo una prima lettura del fenomeno condotta attraverso un duplice confronto:

· da un lato, tra le proposte ricostruttive avanzate dagli interpreti prima e dopo la novella (dalle prime, dedicate al fenomeno della c.d. cessione di cubatura, sino alle più recenti, collocate nel nuovo ambito tematico della perequazione e compensazione urbanistica) e le categorie ordinanti del diritto civile;

· dall'altro, tra i risultati così acquisiti e l'indice fornito dal nuovo art. 2643, n. 2-bis, c.c.

Sarà un discorso condotto restando fedeli il più possibile a quelle categorie: che, per altro, non son sicuro valga la pena di abbandonare, specie se attraverso il loro impiego, anziché complicarla, possa rendersi più semplice la ricostruzione degli istituti; ma con la consapevolezza che altrettanto difficile, di fronte a figure normative completamente nuove, è perseguirne l'obiettivo della sussunzione tout court nei modelli noti.

E sarà, ancora, un discorso che accredita il legislatore del 2011 di una presunzione, quanto meno relativa, di razionalità: che cioè, sino a prova contraria, assume la collocazione topografica e il tenore letterale della nuova norma come tecni camente significativi, piuttosto che liquidarne sbrigativamente il problema ermeneutico (come pure talvolta capita di sentire), considerando quella collocazione e quel tenore come semplici anomalie.

Vorrei avviare l'analisi fissando tre assunzioni fondamentali (quasi tre premesse di metodo) utili a individuare i criteri ermeneutici, attorno ai quali condurla.

a) La prima mette in luce un'opzione preliminare da cui dipende, in certo senso, la legittimità stessa dell'indagine. E' del tutto evidente che un discorso dedicato al trasferimento dei diritti edificatori e condotto nell'ottica del civilista, non è neppure pensabile se si ritenga di accogliere l'idea (proposta da taluno, ma di cui forse non si son colte tutte le implicazioni) che limita la rilevanza del fenomeno al piano dei rapporti tra privato e pubblica amministrazione.

Chi, interrogandosi sulla natura della situazione giuridica soggettiva, descrittivamente evocata con il riferimento alla "volumetria", ritiene che «oggetto delle cessioni e trasferimenti di cubatura non sono diritti edificatori, ma interessi legittimi volti a pretendere» dall'amministrazione competente «il rilascio del titolo abilitativo» [nota 1], condanna fatalmente il civilista al silenzio.

Ora, nessuno dubita che la vicenda traslativa in esame si colloca a stretto contatto con il procedimento volto all'ottenimento del permesso di costruire; e che dunque un'analisi del fenomeno puramente endocivilistica risulterebbe fuorviante.

Ma altrettanto (se non più) fuorviante sarebbe ridurre la rilevanza del fenomeno stesso al piano dei rapporti con l'amministrazione; operazione non dissimile da quelle (risalenti) letture panpubblicistiche della cubatura (e più in generale dello ius aedificandi) che in un certo periodo storico, favorite dal lessico normativo, tentarono di costruirli come facoltà non più comprese nel diritto di proprietà [nota 2].

Ed è strano che, dopo aver qualificato il diritto edificatorio come interesse legittimo pretensivo rilevante esclusivamente nei cfr della P.A., quella stessa dottrina riaffermi (in continuità rispetto a un orientamento di pensiero ratificato dal giudice costituzionale oltre trent'anni or sono) [nota 3] che lo ius aedificandi «è una facoltà facente parte della proprietà immobiliare» e che solo il suo «concreto esercizio» risulta subordinato al rilascio del suddetto titolo abilitativo.

Senza avvedersi, innanzi tutto, che per la qualificazione del contenuto di una determinata Sgs (e dunque della sua natura giuridica), la considerazione del presupposto che ne legittima (rectius: rimuove gli ostacoli al) l'esercizio è pressoché inconferente.

E dimenticando, poi, che la pretesa nei confronti dell'amministrazione, nella quale si sostanzierebbe l'interesse legittimo, in tanto potrà esercitarsi e realizzarsi, in quanto il richiedente possa vantare un titolo idoneo ad esercitarla: titolo che precede, logicamente e cronologicamente, l'esercizio della pretesa stessa, collocandosi sul diverso piano di riconoscimento giuridico proprio del diritto civile.

Conclusione del tutto analoga a quanto lucidamente affermato, proprio nel momento più "buio" della rilevanza civilistica della facoltà di edificare (quello della legge Bucalossi e della c.d. concessione edilizia): la necessità, per l'istante che intenda ottenere il provvedimento amministrativo, di giustificare la sua facoltà di trasformazione dell'immobile "in concreto" e cioè mediante l'esibizione di un titolo valido e non meramente potenziale [nota 4].

Si noti: quanto appena osservato basta a confutare anche un'obiezione di merito, sollevata da taluno proprio con riguardo ai diritti edificatori previsti dalla nuova norma, ma che caratterizza certa dottrina urbanistica su di un piano più generale: obiezione che intenderebbe negare la rilevanza civilistica di quei diritti, osservando che la loro esistenza è pur sempre esposta al rischio di un successivo mutamento delle determinazioni della P.A. in ordine allo sfruttamento edilizio del territorio. Si dice: i diritti edificatori, come nascono dallo strumento urbanistico, così da esso potrebbero poi essere cancellati. Ma che l'obiezione provi troppo è dimostrato dal fatto che essa (se coerentemente sviluppata) condurrebbe a negare rilevanza civilistica allo stesso diritto di proprietà, il quale, tutte le volte in cui risulti conformato da previsioni di piano, sconta pur sempre il rischio di sopravvenienze modificative del suo contenuto di facoltà edificatorie, senza per questo cessare di essere una situazione giuridica soggettiva civilisticamente rilevante.

b) Acquisita così la rilevanza civilistica della cessione, la seconda indicazione generale è suggerita dalla lettura dei primi contributi dedicati al problema qualificatorio, cioè alla ricostruzione della natura giuridica dei c.d. diritti edificatori; e consiste nel sottolineare l'esigenza, talora in quei contributi trascurata, che il problema venga affrontato e risolto in prospettiva unitaria.

Tanto va detto perchè si ritrovano, nei primi commenti, proposte di duplice qualificazione divergente della figura, a seconda che essa circoli (adattando la metafora linguistica, escogitata dagli urbanisti) "a terra", oppure "in volo".

Tale impostazione viene citata, ad esempio, da un'attenta indagine, in cui si legge che (fermo restando il diverso rilievo assunto nei confronti della P.A.) nei rapporti tra privati la volumetria trasferita diverrebbe oggetto «di un rapporto obbligatorio di natura personale riconducibile allo schema del diritto di credito quando il trasferimento opera in volo», e viceversa «di un diritto reale« allorquando «i meccanismi di decollo e di atterraggio sono definiti» ab origine [nota 5].

Senza entrare, per il momento, nel merito della singola qualificazione, quel che lascia dubbiosi è la variabilità della natura giuridica così riconosciuta alla situazione trasferita; e più in particolare è la sua ascrizione, nei due casi, rispettivamente allo schema della pretesa (il diritto di credito), e a quello del diritto assoluto (il diritto reale).

Vedremo più avanti che la difficoltà suscitata dal trasferimento in volo, proprio perché attiene a uno dei caratteri identificativi della situazione reale (quello dell'inerenza), potrebbe anche spiegare il tentativo di riqualificazione. Ma ciò, oltre a non giustificare comunque il passaggio alla categoria del credito, appare difficilmente conciliabile con la costruzione (cui quella stessa dottrina aderisce) della volumetria come bene immateriale: rispetto alla quale, pur in difetto di inerenza reale, risulta perfettamente coerente la qualificazione come diritto assoluto della relativa situazione di appartenenza.

c) La terza, ed ultima, indicazione generale vuole avvertire che, nel procedere alle qualificazioni non dovranno mai sovrapporsi (come inconsciamente sembra accadere in taluni degli interventi sul tema) la natura giuridica della situazione trasferita, e l'effetto del contratto con cui se ne dispone. Confondendo cioè tra realità del diritto (e conseguente sua riferibilità a un bene corporale) e realità dell'effetto contrattuale, che [se correttamente intesa] è cosa affatto diversa e indipendente da quella.

La confusione nasce già in quella dottrina che, affrontando lo schema atipico della cessione di cubatura (in un torno di tempo compreso all'incirca tra la metà degli anni Settanta e i primi anni Novanta dello scorso secolo) finisce per dividersi sul tipo di efficacia prodotta dal contratto. Da taluni considerata reale (come dimostra il ricorso, frequente all'epoca, alla figura della servitù), da altri obbligatoria.

Già nel corso di quel dibattito si ritrovano oscillazioni e aporie nell'uso dei concetti, che rischiano di tornare anche oggi. Come quando, in una delle indagini monografiche più estese dell'epoca, si legge (definendola come cosa "ben nota") che «un negozio ad effetti reali deve avere necessariamente per oggetto ultimo un bene» [nota 6].

Con ciò trascurando (prima ancora che l'insegnamento istituzionale) la norma definitoria del codice che, all'art. 1376, qualifica come ad effetti reali il contratto che ha per oggetto il trasferimento, non solo della proprietà, ma di qualsiasi "altro diritto". Per cui - tanto per fare un esempio - nessuno può seriamente dubitare che abbia effetto reale la cessione del credito a una prestazione di facere, cioè un contratto che certamente non ha come oggetto ultimo (neppure mediato) un bene, e che altrettanto certamente non ha per oggetto immediato un diritto reale.

Per converso, e questo è un altro effetto nefasto della sovrapposizione di piani appena denunciata, un contratto può avere ad oggetto un bene, ed anzi (tanto per restare nel nostro ambito di specifico interesse) un diritto reale su un bene immobile pur risultando inidoneo a produrre effetti reali immediati. Qui gli esempi sono talmente elementari che rischiano di offendere il lettore: dai trasferimenti sospensivamente condizionati a tutte le ipotesi subtipiche di compravendita a effetti reali differiti (si pensi alla cosa altrui, a quella generica, a quella futura).

Ecco: io credo che questa sovrapposizione tra natura del diritto trasferito e natura degli effetti del trasferimento, e più ampiamente tra il piano della circolazione e quello dell'esercizio del diritto stesso, abbia reso più difficile la corretta ricostruzione del fenomeno, e in particolare abbia indotto quel processo di reificazione della volumetria (che la concepisce come bene immateriale), di cui già abbiamo detto, e su cui torneremo.

Il diritto edificatorio: l'ipotesi di lavoro

Muovendo da queste premesse, tentiamo allora di rileggere il trasferimento della volumetria, a partire dal suo oggetto, questo diritto edificatorio "comunque denominato" cui allude il nuovo n. 2-bis dell'art. 2643, c.c., tenendo fede (come annunciato) alle categorie ordinanti proprie del diritto civile: il che significa che tutto quanto diremo prescinde dal problema del titolo abilitativo, che considera un momento successivo e distinto del procedimento di realizzazione finale dell'interesse protetto.

Con un'ultima, fondamentale precisazione.

I rilievi che seguiranno intendono mantenersi entro l'ambito applicativo possibile della nuova norma. Tradotto in chiaro, ciò significa che essi valgono per una parte della fenomenologia astrattamente evocata dal sintagma "diritti edificatori" ampiamente inteso.

Più in particolare valgono per quelle ipotesi in cui il diritto sia idoneo (per le sue caratteristiche intrinseche, in larga parte dipendenti dal tipo di fattispecie costitutiva da cui origina) a formare oggetto di un contratto traslativo trascrivibile nei Registri immobiliari [nota 7].

Si potrà giudicare tale scelta come una colpevole sineddoche tematica.

Ma la circostanza che il mio vorrebbe essere il discorso di un civilista, rivolto a un uditorio di notai, rende forse la scelta meno incomprensibile.

A tal fine, non potremo che muovere dalla teoria generale delle situazioni giuridiche soggettive di diritto privato, la quale traccia il confine tra diritti assoluti e diritti relativi con riguardo alle modalità realizzative dell'interesse protetto: ricordando, dalle prime letture istituzionali, che è diritto assoluto, riproduttivo dello schema dell'agere licere, quello in cui l'interesse trova realizzazione attraverso il comportamento proprio del titolare (le facoltà di godimento del proprietario come prototipo); e viceversa è diritto relativo, cui si addice l'immagine della pretesa, quello in cui l'interesse trova realizzazione attraverso il comportamento di un soggetto diverso dal titolare (la prestazione del debitore che il creditore ha appunto diritto a pretendere).

E ancora, che all'interno della categoria dei diritti assoluti, accanto e in contrapposizione ai diritti della personalità, trova posto la specie "diritto reale", il cui indice ulteriore di riconoscimento è dato dal rapporto immediato con il bene, dalla c.d. inerenza rispetto alla res.

Ora, se provassimo a interrogare lo studente di Istituzioni, in merito alla natura di un diritto la cui modalità di realizzazione (cioè di attuazione dell'interesse protetto) consiste nell'edificare, cioè nello sfruttare la potenzialità edificatoria del suolo, con ogni probabilità ci sentiremmo rispondere che si tratta di un diritto assoluto.

E anch'io francamente, pur essendomi posto il problema con serietà, non riesco davvero a immaginare come al nostro diritto edificatorio possa adattarsi il diverso schema della pretesa al comportamento altrui.

In tal senso depone, innanzi tutto, il sistema ricevuto: che pur configurando lo sfruttamento edificatorio come facoltà ricompresa nel diritto di proprietà del suolo, quando lo riconosce come situazione giuridica autonoma, distinta da quella, ne fa un diritto reale (superficie).

Nè in senso contrario potrebbe richiamarsi quella parte dell'elaborazione teorica della cessione di cubatura, che la costruiva (lo ricordavamo poc'anzi) come fonte di un diritto personale del cessionario avente a oggetto un facere del cedente, che sarebbe consistito nell'adoperarsi per far ottenere al primo il rilascio del titolo abilitativo. Costruzione già opinabile al tempo, ma oggi senz'altro cancellata, per il tramite della prevista trascrivibilità del trasferimento: trascrivibilità, si noti, disposta a' sensi e per gli effetti di cui all'art. 2643, c.c., cioè di una norma che (letta in combinato disposto con il successivo art. 2645) disciplina vicende relative a immobili o diritti reali immobiliari.

La conclusione non è smentita, come talora si sostiene, rovesciando il rapporto tra regola e eccezione [nota 8]:

- né dal riferimento alla locazione ultranovennale, sia per la natura peculiare del diritto personale di godimento, cui la miglior dottrina riconosce una "tendenziale realità" [nota 9], sia soprattutto per il valore di disciplina di secondo grado di un'opponibilità già regolata sul piano sostanziale dall'art. 1599);

- né tanto meno dalla previsione di cui al n. 9 del 2643 (liberazione e cessione di fitti e pigioni non scadute), norma che si spiega come mero completamento di quella che la precede, e della quale comunque è pacifico il carattere anomalo e come tale non significativo ai fini della ricostruzione del sistema [nota 10].

Allora, se l'effetto della trascrizione è (e non può essere altro che) quello enunciato all'art. 2644, c.c., il contratto costitutivo o traslativo di diritti edificatori trascritto risulterà opponibile anche alla P.A., quanto meno come atto costitutivo del titolo che legittima l'ottenimento del permesso di costruire da parte dell'acquirente: esito che, dunque, non ha alcun senso trasformare in un credito dell'acquirente stesso, nei confronti del cedente.

Respinti così, anche da questo punto di vista, i tentativi di configurare il trasferimento del diritto edificatorio come fonte di «un rapporto obbligatorio di natura personale riconducibile allo schema del diritto di credito» [nota 11], diritto di credito che risulta, come appena detto, inutile nei confronti del cedente e inconcepibile nei confronti della P.A., l'ipotesi che si delinea (a livello di precomprensione) è che il diritto edificatorio sia un diritto assoluto, e probabilmente un diritto reale.

Gli ostacoli da superare: il principio di tipicità e l'inerenza reale

Si tratta di ipotesi, a sostegno della quale sarebbe troppo facile e sbrigativo addurre conferme testuali. Basterebbe leggere la norma del nuovo n. 2-bis, in consecuzione con il numero successivo: esso allude a contratti, che sui «diritti menzionati nei numeri precedenti» costituiscono una comunione, la quale (se nel frattempo non è stato modificato anche l'art. 1101, c.c.) è fenomeno, almeno normativamente, previsto in riferimento alla proprietà e agli altri diritti reali.

Si tratta, in realtà, di un'ipotesi qualificatoria che deve fare i conti con due difficoltà, in apparenza assai gravi, l'esame delle quali costituisce il culmine della dimostrazione.

La prima difficoltà nasce dal sistema (o meglio dal sistema precedente la novella) e investe il diritto edificatorio nel suo insieme: essa è data dal principio secondo il quale una facoltà ricompresa in un diritto reale tipico non è mai situazione soggettiva autonoma rispetto al diritto cui inerisce, nè tale potrebbe diventare mediante un atto di autonomia privata che ne disponga specificamente.

In una parola: una ricaduta specifica del Ppio di tassatività dei diritti reali, con il quale è necessario sin d'ora confrontarsi, salvo tornarvi per ulteriori considerazioni, ad esito dell'indagine.

La seconda difficoltà sorge invece per le peculiari caratteristiche del diritto edificatorio, e riguarda quel versante della sua circolazione che si definisce come trasferimento in volo: se si ammette (come pare indubitabile dall'esame delle normative settoriali) l'acquisto del diritto da parte di un soggetto che non è (attualmente) titolare di un diritto di proprietà di un suolo, ciò che sembra venir meno è l'inerenza reale.

In una parola: la carenza di un indice di riconoscimento della realità del diritto.

All'una e all'altra difficoltà s'è tentato di ovvviare, ridefinendo l'oggetto della tutela: alla prima (atipicità), costruendo la potenzialità edificatoria non come diritto, ma come bene; alla seconda (difetto di inerenza), affermandone in più la natura di bene immateriale.

Vediamo se tali passaggi sono davvero necessari.

Il problema dell'atipicità (la volumetria come bene)

La necessità di pensare la volumetria come bene autonomo viene postulata in nome del principio del numerus clausus dei diritti reali.

Se è vero che la possibilità di costruire è una mera facoltà ricompresa nel diritto di proprietà del suolo; e se è vero, come dicevamo, che all'autonomia privata non è consentito scorporare tale facoltà se non ricorrendo alle figure di qualificazione giuridica tipiche (nel caso, il diritto di superficie); ne consegue che sarebbe indispensabile costruire la volumetria come bene distinto dal suolo, per poi attrarlo a una figura di qualificazione nominata, che sarà ovviamente il diritto di proprietà.

In questa logica, poiché manca la tipizzazione di un nuovo diritto reale, idoneo a fornir tutela all'interesse allo sfruttamento edificatorio (e diverso dalla superficie), la costruzione di un nuovo bene è imposta dalla necessità di farlo oggetto di un vecchio diritto (la proprietà).

A chi conserva memoria storica, le ragioni del tentativo messo così in atto, si spiegano piuttosto facilmente e sono tutt'altro che nuove.

E' un dato incontestabile che la qualificazione di determinate utilità in termini di "beni giuridici" è sempre stata condotta dall'interprete in nome di un'esigenza di tutela non ancora accolta dal legislatore [nota 12].

Di fronte a interessi meritevoli, e al mancato riconoscimento normativo di specifici strumenti di protezione (cioè di diritti soggettivi come tali qualificati dalla legge), il teorico si è trovato costretto a costruire, surrettiziamente, il substrato necessario a garantire la tutela carente: finendo così per «svincolare la qualificazione di una qualsiasi utilità» come bene, dai suoi naturali «presupposti materiali».

E così, per assicurare protezione all'equilibrio ecologico si è qualificato come bene l'ambiente; per garantire tuttela al mondo dell'informazione si sono considerate beni le informazioni stesse.

Si aggiunga che, in tutti questi casi, il pensiero del giurista è corso in prima battuta ai diritti reali, e alla proprietà in particolare, dando luogo a vicende teoriche assai note (e spesso risalenti), ma altrettanto superate: come quella relativa ai diritti sulle opere dell'ingegno (per lungo tempo ricondotti, sia dalla dottrina francese che da quella italiana, allo schema proprietario), o quella dell'azienda (qualificata come universitas al fine di attrarla all'applicazione del diritto di proprietà), o ancora quella esemplare relativa al diritto al nome.

Si noti: tutte applicazioni del binomio bene-diritto di proprietà, che l'evoluzione successiva del pensiero ha finito per abbandonare.

L'equivoco risiede nel sillogismo costruttivo sopra evocato:

a. data l'esistenza di un interesse meritevole di protezione;

b. e a fronte del mancato riconoscimento normativo di una figura di qualificazione giuridica dello stesso (in termini più semplici: mancata tipizzazione di uno specifico diritto soggettivo);

c. si costruisce l'interesse come bene giuridico al fine di attrarlo al paradigma massimamente protettivo del diritto assoluto (e in ispecie del diritto dominicale).

E così, trasferendo la stessa logica al nostro problema: data l'indubbia meritevolezza dell'interesse allo sfruttamento edificatorio del suolo, e vista la mancata tipizzazione (almeno sino all'introduzione del nuovo n. 2-bis all'art. 2643, c.c.) di tale interesse come diritto soggettivo distinto dalla proprietà del suolo, la cubatura prima, e il diritto edificatorio oggi, si sono costruiti come beni, al fine di poterli ricondurre alla figura di qualificazione giuridica tipica massimamente protettiva, rappresentata dalla proprietà.

Lo sforzo, comprensibile in prospettiva storica, si rivela oggi superfluo.

L'art. 2643, n. 2-bis, come espressamente si propone di introdurre un nuovo tipo negoziale, così contestualmente riconosce al diritto edificatorio dignità di situazione giuridica soggettiva autonoma, disponibile indipendentemente dal trasferimento della proprietà del suolo (e - aggiungiamo - indipendentemente dal ricorso alla superficie).

Cade con ciò la necessità di "reificare" la volumetria per assicurarle la tutela (e l'attitudine circolatoria) garantite dalla proprietà, di cui verrebbe così (surrettiziamente) fatta oggetto: in quanto analoga tutela le è attribuita oggi dal legislatore nazionale, per il tramite della nuova figura di qualificazione giuridica rappresentata dal diritto edificatorio. Diritto reale, quindi, e diritto reale tipico.

Due controprove: l'una a contrario, l'altra in positivo.

La prima: se la volumetria fosse bene, non sarebbe stata affatto necessaria l'autonoma previsione del n. 2-bis: sarebbe stato sufficiente ricondurre il c.d. bene alla situazione giuridica soggettiva tipicamente volta ad assicurarne la titolarità e già prevista dalla norma: il diritto di proprietà, di cui al n. 1 della disposizione.

La seconda conferma, questa in positivo, è data dall'evoluzione testuale che la norma subisce in sede di conversione: alludo alla previsione (assente nel testo del Decreto sviluppo ed estremamente significativa, ai nostri fini) del contratto "costitutivo" del diritto edificatorio: costituzione che non sarebbe neppure concepibile, se fosse vero che la volumetria è bene in sé, e che dunque, come tale, una volta "attribuito al proprietario", in forza della previsione urbanistica, non avrebbe bisogno di alcun atto negoziale costitutivo, ma solo semmai, come nella prima versione della norma, di un trasferimento.

A meno che non si dica (ma non lo sostiene, ovviamente, neppure la tesi qui criticata) che all'atto negoziale del proprietario, attributivo a terzi del diritto edificatorio, si ricollega altresì un singolare effetto "creativo" di un nuovo bene (immateriale).

Si noti. La modificazione del tenore originario della norma risulta opportuna e spiegabile in modo coerente all'impostazione qui accolta: se la potenzialità edificatoria (come il suo incremento) derivante dalla previsione urbanistica, si costruisce come facoltà insita nel diritto dominicale (che da quel provvedimento viene "conformato"), è evidente che tale facoltà assurge ad autonoma situazione giuridica soggettiva attraverso un atto di disposizione modellato secondo lo schema della costitutività.

Produrrà dunque un effetto costitutivo-attributivo il contratto con cui il proprietario, il cui diritto dominicale incorpora la potenzialità edificatoria, attribuisce a un terzo la suddetta potenzialità (elevandola a diritto); saranno viceversa traslativi i contratti con cui quel diritto (ormai assurto a situazione giuridica autonoma) verrà trasferito ad ulteriori aventi causa.

Il problema dell'inerenza reale (la volumetria come bene immateriale)

L'interpretazione intuitiva della norma orienta, dunque, verso lo schema del diritto reale.

Con questo, per altro, i problemi sono tutt'altro che esauriti. Resta, innanzi tutto, la seconda difficoltà costruttiva, sopra individuata con riferimento al profilo dell'inerenza reale. Resta da spiegare, cioè, la possibilità che un diritto, che si è qualificato come reale, possa essere acquistato da un soggetto nella cui sfera giuridica può anche mancare un bene idoneo alla sua realizzazione: a consentire cioè, previo ottenimento del titolo abilitativo, quel comportamento (lo sfruttamento edificatorio del suolo), in cui s'è visto consistere il contenuto del diritto stesso.

A ben vedere, con la stessa difficoltà deve fare i conti anche la tesi della volumetria come bene autonomo: che se pure si ritenga essere acquistato come tale "in proprietà" dal cessionario, dovrà comunque confrontarsi con il contesto normativo tipico del diritto dominicale, e col riferimento in esso presente alla nozione di cosa, come oggetto del diritto. La presunta "proprietà della volumetria" non potrà cioè mai diventare proprietà di un edificio, se non in quanto quell'acquirente disponga di un suolo su cui costruire: è, in una parola, il problema principale (anche se non unico) sollevato dal c.d. diritto in volo.

Ciò spiega l'ulteriore sviluppo costruttivo della tesi in esame, che, stretta tra la necessità di costruire la proprietà attuale su di un bene, e la possibile mancanza di un substrato materiale idoneo alla realizzazione dell'interesse (che tale affermata proprietà dovrebbe garantire) finisce per immaginare la volumetria come bene immateriale.

L'espediente costruttivo non è affatto nuovo: basterebbe ripercorrere il dibattito sviluppatosi, nel vigore del codice abrogato, intorno all'art. 440, e al problema della proprietà della colonna d'aria: e ricordare che la concezione dello spazio aereo come res (pur ripudiata a conclusione di quel dibattito) impose ai suoi sostenitori di concepirlo (appunto) come cosa incorporale [nota 13]. E non va dimenticato che quel tentativo traeva origine (non diversamente dagli interventi sui diritti edificatori anteriori alla novella codicistica) da una lacuna normativa del codice abrogato, il quale non conteneva una disciplina positiva del diritto di superficie.

Pur apprezzabile sul piano costruttivo, la qualificazione della potenzialità edificatoria in termini di bene immateriale, urta contro una difficoltà insuperabile.

Tutta l'elaborazione teorica, anzi la stessa categoria concettuale del bene immateriale, si giustifica come razionalizzazione e riconduzione al sistema di una categoria di diritti, i quali, pur trovando riconoscimento normativo e tecniche di protezione coerenti con il modello del diritto assoluto (che si realizza, cioè, attraverso un agere licere, tutelato erga omnes), non hanno come termine di riferimento oggettivo dell'interesse tutelato un'entità materiale. Nei quali cioè, l'esercizio del diritto si realizza senza la necessità di alcun rapporto con quel substrato materiale. Non a caso, proprio da ciò discende l'ulteriore nota distintiva della categoria: quel profilo dinamico che induce a definire il contenuto della tutela come diritto alla utilizzazione economica ripetuta della creazione intellettuale [nota 14].

Ma chi potrebbe seriamente sostenere che l'interesse ad edificare, tradizionalmente ricompreso tra le facoltà interne alla proprietà del suolo, e oggi tipizzato nella nuova figura autonoma del diritto edificatorio, può trovare realizzazione finale senza una relazione qualificata (proprietà o altro diritto idoneo) con il bene materiale "suolo"?

Se poi si ritenesse di replicare, facendo leva sulla circostanza che il diritto edificatorio acquistato "in volo", può essere ritrasferito altrettanto in volo, con ciò consentendo di realizzarne il valore economico, senza instaurare alcuna forma di inerenza materiale col suolo, l'equivoco diverrebbe anche più grave.

Certo in termini economici può anche ritenersi congruo l'accostamento tra valore d'uso e valore di scambio; e senz'altro, sul piano patrimoniale, disporre della potenzialità edificatoria consente di realizzare un interesse rilevante (come un interesse rilevante realizza il proprietario dell'immmobile, alienandolo).

Ma sul piano delle qualificazioni giuridiche, e in particolare della distinzione tra le diverse specie di situazioni giuridiche soggettive, l'argomento tratto dalla realizzabilità immediata del valore di scambio, più ancora che inconferente risulta fuorviante: dato che identico risultato consegue al trasferimento di un diritto di credito, di un diritto potestativo, di un diritto su bene immateriale, di un diritto reale immobiliare, dovremmo concludere per l'indistinguibilità dei diversi modelli di diritto.

Il che conferma che non le modalità di trasferimento, ma solo quelle di realizzazione finale dell'interesse protetto, possono fornire argomenti idonei alla qualificazione.

Inerenza reale e disciplina della circolazione

La conclusione appena raggiunta racchiude lo spunto per superare l'apparente incompatibilità (quasi una contraddizione in termini) tra qualificazione del diritto come reale e mancanza di inerenza attuale a una res.

Data la sua trasferibilità "in volo", il diritto edificatorio offre, infatti, all'interprete l'immagine di un diritto a inerenza virtuale: ma a un'osservazione più attenta, anche questa sensazione discende dal sovrapporsi della prospettiva della circolazione all'analisi del contenuto del diritto.

A prima vista, si potrebbe essere indotti a ricondurre la mancanza attuale della res a un fenomeno ben noto alla contrattualistica immobiliare: lo schema esemplare è quello offerto dai negozi su beni futuri, oggi arricchito da nuove discipline speciali (sia in tema di contratto preliminare, che di immobili da costruire), e oggetto da sempre di una cospicua elaborazione teorica. In proposito, un insegnamento fa ricorso alla categoria della pendenza condizionale; la migliore dottrina nega trattarsi di condizione e ricostruisce correttamente le fattispecie come ipotesi di mancanza attuale dei termini di riferimento oggetttivo (e - aggiungiamo - anche soggettivo) dell'effetto negoziale (adducendo gli esempi della cosa futura per l'oggetto e del nascituro per il soggetto) [nota 15]. La figura teorica utilizzata è quella della fattispecie in via di formazione, e la connessa circolazione dell'aspettativa tutelata, che tuttavia non incide sulla perfezione del regolamento e tanto meno sulla natura delle situazioni giuridiche finali che ne costituiscono oggetto.

E tuttavia, il richiamo allo schema del trasferimento a effetti differiti, rischia di rivelarsi del tutto incongruo. L'atto traslativo (come quello costitutivo) del diritto edificatorio sembra descritto dalla legge come immediatamente efficace. In termini di titolarità, l'acquirente sembra poter vantare un diritto vero e proprio, piuttosto che un'aspettativa tutelata [nota 16].

Neppure questa, tuttavia, è difficoltà insuperabile, se appena si tien conto di quanto in precedenza osservato, in ordine agli indici rilevanti per la qualificazione dei diritti: se si ricordi, cioè, che non sono le modalità del trasferimento, quanto piuttosto quelle di realizzazione dei diritti medesimi ad orientare quella qualificazione. Per cui un diritto non sarà meno reale (e non vedrà venir meno la sua necessaria inerenza a una res) per il fatto che se ne consenta il mutamento di titolarità (con effetto immediato) pur in mancanza del rapporto attuale col bene. Ciò che conta è che in nesun caso quel diritto potrà essere esercitato (id est: l'interesse protetto potrà realizzarsi) in difetto di un rapporto qualificato con un suolo edificabile. O, più esattamente, finchè manchi la titolarità di una situazione giuridica soggettiva idonea ad assicurare quel rapporto qualificato: proprietà, o superficie.

Prima che tale presupposto si realizzi, il diritto edificatorio, (pur "staccatosi" per così dire dal fascio di facoltà insite nella proprietà del fondo sorgente) sarà assimilabile al credito inesigibile; ma non per questo vedrà mutare la propria natura giuridica.

Potremmo concludere sottolineando che l'inerenza attuale a un suolo (o meglio la titolarità attuale di una Sgs che ne consenta lo sfruttamento edificatorio) è requisito imprescindibile per la realizzazione, ma non per la circolazione dei diritti edificatori.

Questo è il profilo di autentica novità (o, se si vuole, qui si consuma la vera rottura) rispetto alla dogmatica degli strumenti traslativi: il trasferimento del diritto edificatorio (che pure sembra potersi qualificare reale) non è trasferimento di aspettativa, e dunque non rientra nello schema del differimento di efficacia, ma produce l'acquisto immediato della situazione giuridica, pur in difetto attuale del substrato materiale su cui essa potrà esercitarsi. Resta ferma, tuttavia, la circostanza che l'interesse protetto non potrà realizzarsi, se non in presenza della disponibilità [nota 17] di un suolo edificabile.

E allora, se ci si libera per un istante dagli eccessi del dogmatismo, la differenza tra titolarità di un diritto non esercitabile e titolarità di un'aspettativa di acquisto tende a perdere in nitidezza: lo dimostra il dibattito svoltosi sulla figura del credito soggetto a condizione, che ci si interroga se possa considerarsi mera aspettativa di diritto (come suggerirebbe la disciplina della condizione), o piuttosto diritto di credito, esistente come tale, ma inesigibile (nel senso reso palese dalle norme in tema di compensazione).

La circostanza che il trasferimento del diritto edificatorio si perfezioni, sul piano degli effetti, anche se l'acquirente non dispone di un diritto sul suolo dimostra solo che l'inerenza alla res, se è presupposto necessario per la realizzazione del diritto (leggi: per la soddisfazione finale dell'interesse che ne costituisce il contenuto) non è stato ritenuto viceversa, dal legislatore della novella, presupposto necessario per la sua circolazione, e dunque (ciò che più conta per il notaio) per la stipulazione del contratto con cui se ne disponga con effetti traslativi e a dirittura costitutivi.

Se si concorda con tale impostazione, il problema della natura giuridica del diritto edificatorio può ricondursi al sistema.

Esso identifica uno schema di qualificazione normativa del comportamento riconducibile alla categoria del diritto assoluto (inteso come agere licere) e del diritto reale in particolare.

Non sarà, come pure sostenuto, diritto reale su cosa altrui. L'equivoco è dato, anche qui, dalla sovrapposizione tra il piano dispositivo e quello realizzativo: se è vero che il diritto edificatorio nasce attraverso l'atto con cui la potenzialità edificatoria (insita nel diritto dominicale) viene costituita in situazione giuridica soggettiva autonoma, e se ciò evoca (anche per l'indubbia assonanza con la superficie) la nascita di uno ius in re aliena, è altrettanto vero che per potersi riferire a quest'ultima categoria sarebbe necessario che il bene, su cui il nuovo diritto dovesse esercitarsi, fosse oggetto di una concorrente proprietà (nuda) altrui. Il che, nel caso del diritto edificatorio è escluso in radice.

L'assimilazione alla superficie può dunque rivelarsi utile per ricostruire il contenuto della situazione giuridica, e conseguentemente descriverne la genesi, che (analogamente a quella) avviene attraverso il distacco di una facoltà inerente il dominio e la sua elevazione a diritto a sè stante: l'accostamento tuttavia non consente di attrarre la nuova figura alla categoria dei diritti reali su cosa altrui.

E anche il quesito circa l'autonomia del diritto va spiegato: senz'altro, sul piano della circolazione il diritto edificatorio si presenta come autonomo oggetto di atti dispositivi; ma non c'è dubbio che esso non potrà esercitarsi (realizzare cioè l'interese protetto) se non in forza della concorrente titolarità di un'ulteriore situazione giuridica soggettiva, idonea ad assicurare la disponibilità di un suolo a fini edificatori (proprietà o superficie).

Le ricadute sullo schema contrattuale

Possiamo allora tirare le fila del ragionamento e segnalare (per cenni) le ricadute della novella sullo schema contrattuale.

La previsione di cui al nuovo n. 2-bis del 2643 costituisce, insieme, tipizzazione di un contratto e riconoscimento di un nuovo diritto reale.

A chi obiettasse che ciò significa sopravvalutare la portata della norma, può replicarsi richiamando le conclusioni raggiunte dalla più estesa indagine monografica dedicata alla vecchia cessione di cubatura: in essa il principio del numerus clausus (che impedisce all'autonomia privata di configurare la cubatura come nuovo diritto reale) viene fondato (in accordo alla migliore dottrina specialistica) su una ratio di natura non politica, ma tecnico-organizzativa: l'esigenza cioè che «la creazione di diritti reali su beni immobili [sia] accompagnata da un regime di pubblicità» [nota 18].

Si trattava di un'applicazione (al problema storicamente sollevato dalla prassi delle cessioni di cubatura) di un esito cui sarebbe approdata la più moderna dottrina, con riguardo al tema più generale della tipicità delle situazioni reali (e della sua ratio).

Rilevando che i limiti imposti ancor oggi all'autonomia privata, discendono non tanto da un'esigenza di organizzazione interna della proprietà, quanto da un problema di comunicazione esterna: ciò che si tratta di garantire non è, cioè, l'immutabilità dello schema proprietario, quanto piuttosto l'interesse di acquirenti e creditori «a conoscere con chiarezza e precisione i diritti loro opponibili su beni che intendono acquistare» [nota 19].

Se è dunque il sistema pubblicitario (fondato sulla necessaria predeterminazione normativa degli atti trascrivibili) a opporsi alla creazione, ad opera dell'autonomia privata, di nuove situazioni reali, alle quali non sarebbe assicurata una corrispondente pubblicità, simmetricamente, potrà dirsi che proprio il riconoscimento di un nuovo tipo contrattuale trascrivibile, a' sensi e per gli effetti di cui all'art. 2643, rimuove l'ostacolo tecnico all'ampliamento, ad opera del legislatore e non dell'autonomia privata, del novero delle situazioni reali.

Il trasferimento dei diritti edificatori si qualificherà quindi come contratto consensuale avente a oggetto il trasferimento di un diritto reale, avente come contenuto lo sfruttamento edificatorio (in misura quantitativamente predeterminata) del suolo.

Il vero fattore di discontinuità della nuova disciplina rispetto alle figure ricevute dalla tradizione, sta nella nuova fisionomia assunta dall'inerenza reale, la quale presenta almeno due aspetti devianti.

In primo luogo, il suo duplice riferimento oggettivo: quello previsto dalla nuova norma è diritto la cui vicenda costitutivo-realizzativa si svolge in relazione a due beni distinti: il che costituisce una prima deviazione dal paradigma tradizionale, in cui il diritto (anche su cosa altrui) nasce e si esercita con riferimento allo stesso bene.

Altrettanto anomalo è poi il fatto che l'inerenza al bene su cui il diritto deve esercitarsi potrà essere immediata o differita rispetto all'acquisto (è quella che prima s'è denominata inerenza virtuale); essa incide sulla realizzabilità del diritto (cioè sull'esercizio in concreto della facoltà di sfruttamento edificatorio), ma non impedisce il perfezionarsi della fattispecie traslativa, come rivelato dalla previsione della trascrivibilità immediata dell'acquisto.

Quel che non può mancare, e così trova definitiva evidenza l'ambito entro il quale il discorso sin qui svolto assume significato, è l'inerenza d'origine: se fosse vero che un diritto edificatorio può essere attribuito indipendentemente dalla titolarità di un'area, e che può prospettarsi, di conseguenza, l'ipotesi di diritti edificatori creati, per così dire, "dal nulla", cioè svincolati da un legame con un fondo sorgente, ebbene a tali figure il discorso sin qui svolto non si adatta in alcun modo.

Ma che si tratti di fattispecie estranee al nostro tema è dimostrato proprio dall'impossibilità di attrarle alla disciplina del nuovo n. 2-bis del 2643: per la irrealizzabilità tecnica di una trascrizione non riferita a un immobile.

Dunque, anche l'esito più forte qui ipotizzato è sostenibile per le sole ipotesi di diritto edificatorio (che vorrei definire) a base reale: che cioè (indipendentemente dalla sua successiva circolazione e dal termine di riferimento oggettivo della sua futura realizzazione) viene comunque ad accedere alla proprietà d'origine, secondo il modello (anche urbanisticamente) tipico della previsione conformativa.

Non preoccupa invece (o preoccupa meno) l'impossibilità di indicare, nell'ipotesi del trasferimento in volo, l'immobile di destinazione: non essendo accostabile il nuovo diritto edificatorio alla servitù, lo scopo della trascrizione può dirsi raggiunto assicurando evidenza all'effetto che si produce "a carico" del fondo d'origine.

Eccettuata quindi l'ipotesi-limite di mancanza del fondo sorgente (che si è detto fuoriesce dall'ambito di disciplina segnato dal nuovo n. 2-bis dell'art. 2643, c.c.), in tutti gli altri casi, la disciplina della trascrizione risulterà applicabile per gli effetti ad essa propri, primo fra tutti, la soluzione dei conflitti: l'acquisto del diritto edificatorio trascritto prevarrà dunque sulle trascrizioni successive, soccomberà viceversa rispetto a quelle anteriori.

Postilla: pubblicità incompleta e vicende del diritto

Quanto detto sin qui, se non elimina il tasso di anomalia del fenomeno, fornisce però una serie di appigli per ricondurlo a una logica circolatoria meno incoerente rispetto al sistema civilistico, o, se si preferisce, a un sistema civilistico riferito alla contemporaneità.

Resta invece, e in tutta la sua gravità, il problema che qui si è (dichiaratamente) trascurato: quello del rapporto tra tutela della circolazione tra privati, alla cui certezza il nuovo n. 2-bis del 2643 intende contribuire, e modalità di esercizio del potere pubblico di governo sul territorio.

In una parola, il confronto con il versante amministrativo del rapporto.

In questa prospettiva, non ci si può nascondere che la trascrivibilità sancita dalla nuova norma inserisce un tassello nel sistema pubblicitario che rischia di rivelarsi debole, se solo si considera che il trasferimento dei diritti edificatori rappresenta un segmento di circolazione a titolo derivativo (o, se si vuole, costitutivo-derivativo), a monte e a valle del quale si collocano vicende che sfuggono (tendenzialmente) alla segnalazione pubblicitaria.

Lo strumento urbanistico perequativo (e la stessa convenzione compensativa) che di quei diritti è fattispecie costitutiva, rispetto ai quali cioè funge da titolo dell'acquisto, non è (almeno sino ad oggi) soggetto a trascrizione [nota 20]. E parimenti non soggette a trascrizione, o (se soggette) rilevanti sul piano della mera notizia, sono le determinazioni della P.A. (successive all'acquisto) modificative e/o estintive della situazione giuridica attribuita.

Ciò rischia di sottrarre la formalità prevista dalla nuova norma, che pure (alla luce del combinato disposto degli artt. 2643 e 2644) è segnalazione finalizzata all'opponibilità della vicenda, ai principi di continuità e omogeneità di valore che caratterizzano le segnalazioni pubblicitarie conseguenti alla circolazione dei diritti a titolo derivativo.

Il primo correttivo a tale parzialità della tutela resta affidato all'ars stipulatoria mediata dal ministero notarile.

L'atto di trasferimento di diritti edificatori richiederà senz'altro un approfondimento della tecnica regolativa; a partire dall'enunciazione dei presupposti, in primo luogo quelli relativi alla legittimazione del cedente, rappresentati con ogni probabilità da provvedimenti amministrativi o convenzioni non trascritte.

Per poi estendersi alla disciplina dei segmenti ulteriori della fattispecie (che taluno suggerisce di governare attraverso il congegno condizionale), e delle vicende successive (quelle che potremmo definire sopravvenienze): si pensi al caso del provvedimento modificativo o estintivo della potenzialità edificatoria, che sopravvenga al trasferimento ma preceda l'ottenimento del titolo abilitativo da parte dell'acquirente, ipotesi che non è facile, come pure si è suggerito, ricondurre all'area di operatività della garanzia evizionale, data la non preesistenza della causa, ma che perciò sarà opportuno fare oggetto di specifica regolamentazione pattizia.

Ciò in quanto l'incompletezza della pubblicità (e la conseguente parzialità della tutela) assicurate dalla norma attuale, prima ancora che un problema tecnico-giuridico, rappresentano un ostacolo alla realizzazione di un mercato dei diritti edificatori effettivamente funzionante: il cui primo prerequisito (come tale identificato da studi economici recenti, sponsorizzati dalla Banca mondiale, ma già da secoli acquisito al novero dei principi generali del diritto civile) consiste nel garantire all'acquirente che il tradens sia effettivamente titolare del diritto che gli trasferisce [nota 21].


[nota *]Il saggio riproduce, con minime integrazioni ed essenziale corredo bibliografico, il testo della relazione presentata. Un più ampio e documentato studio è in corso di pubblicazione sull'Osservatorio di diritto civile e commerciale.

[nota 1] Così A. BARTOLINI, «Profili giuridici del c.d. credito di volumetria», in Riv. giur. urb., 2007, p. 304.

[nota 2] All'indomani dell'entrata in vigore della legge 28 gennaio 1977, n. 10, fu celebrata da taluni la definitiva scissione tra proprietà del suolo e facoltà di edificare su di esso; della copiosa dottrina formatasi in tal senso, non a caso prevalentemente di estrazione amministrativistica o urbanistica, bastino le letture di A.M. SANDULLI, «Nuovo regime dei suoli e Costi-tuzione», in Riv. giur. ed., 1978, II, p. 73 e ss. e di A. PREDIERI, La legge 28 gennaio 1977, n. 10 sull'edificailità dei suoli, Milano, 1977, p. 47 e ss.

[nota 3] Il riferimento, scontato, è a Corte cost., 25 gennaio 1980, n. 5, in Giur. cost., 1980, I, p. 273.

[nota 4] M. LIBERTINI, «Sui "trasferimenti di cubatura"», in Contr. impr., 1991, p. 83.

[nota 5] G. TRAPANI, «Dalla cessione di cubatura alle operazioni sui crediti di cubatura: evoluzione o mutazione del diritto?», in Studi e Materiali, 2011, 2, p.339 e ss. il quale per altro, come si avverte nel testo, sembra più riportare opinioni della dottrina urbanistica, che non esprimere il proprio pensiero sul punto.

[nota 6] A. CANDIAN, op. cit., p. 51.

[nota 7] Si allude qui all'impossibilità di ricondurre alla previsione della nuova norma codicistica quei casi (a dir il vero di non sicura ammissibilità) di "diritti edificatori" creati dagli strumenti di pianificazione senza alcun collegamento alla proprietà di un'area di origine (su cui v. infra, il penultimo paragrafo).

[nota 8] Già sul piano del metodo, di fronte all'inserzione dei diritti edificatori nell'elenco di cui all'art. 2643, c.c., onere ermeneutico dovrebbe essere dimostrare non la natura reale, ma quella obbligatoria del nuovo diritto.

[nota 9] F. GAZZONI, La trascrizione immobiliare, in Il Codice civile - Comm. diretto da Schlesinger, I, 2.a ed., Milano, 1998, p. 299.

[nota 10] ID., op. ult. cit.

[nota 11]A. BARTOLINI, «I diritti edificatori in funizone premiale (le c.d. premialità edilizie)», relazione in Atti del Convegno Paradigma, "Nuovi strumenti di pianificazione urbanistica e del territorio", p. 9 della relazione.

[nota 12] Per una casistica, costruita con riferimento all'epoca in cui stava sorgendo il problema del trasferimento della potenzialità edificatoria, sub specie di "cessione di cubatura", cfr. A. CANDIAN, op. cit, p. 70 e ss., da cui anche le successive citazioni.

[nota 13] Una rapida sintesi di quel dibattito si legge nelle ampie note da 42-50 a p. 54 ss. di A. CANDIAN, op. cit.

[nota 14] Si vedano, per tutti, le pagine di D. MESSINETTI, voce Beni imateriali, in Enc. giur. Treccani, 1988, ad vocem, p. e 4 ss. Che la riproducibilità possa tradursi, in ultima analisi, in una utilizzazione contemporanea da parte di più soggetti, che incide irrimediabilmente sulla nota dell'esclusività, tipica invece del diritto reale, e ne compromette la tutela possessoria è dimostrato da C. TENELLA SILLANI, voce Possesso e detenzione, in Digesto civ., XIV, Torino, 1996, p. 27 e ss.

[nota 15] Il riferimento obbligato è ancor oggi all'insegnamento di A. FALZEA, La condizione e gli elementi dell'atto giuridico, Milano, 1941, passim, e ID., voce Condizione, in Enc. giur. Treccani, 1988, ad vocem.

[nota 16] A ben vedere, è qui che si registra la discontinuità più rilevante dai principi: se, come sembra intuibile dalla scarna definizione normativa, i contratti traslativi di diritti edificatori devono considerarsi ad efficacia reale immediata, il nuovo n. 2-bis dell'art. 2643 sovverte non tanto la configurazione delle situazioni giuridiche soggettive reali, quanto piuttosto le previgenti regole codicistiche della loro circolazione, quando essa avvenga in difetto di inerenza reale attuale (cfr. art. 1472).

[nota 17] Espressione volutamente generica, che ricomprende in sé tanto la titolarità di un diritto dominicale quanto quella di un diritto di superficie.

[nota 18] A. CANDIAN, op. cit., p. 96.

[nota 19] U. MORELLO, Tipicità e numerus clausus dei diritti reali, in Trattato dei diritti reali diretto da A. Gambaro e U. Morello, I, Milano, 2008, p. 67 e ss. e 112 ss.

[nota 20] In questa prospettiva, avrebbe assunto specifico significato la proposta di emendamento alla disciplina introdotta in origine dal decreto sviluppo, che mirava a introdurre, in sede di conversione, un nuovo articolo 2645-quater, idoneo ad assoggettare a trascrizione anche gli atti (anche di natura amministrativo-urbanistica) in forza dei quali i diritti edificatori vengono acquistati in origine, o modificati in seguito; ma quella modifica è stata abbandonata nel testo convertito. Tuttavia, se si ritenesse di assegnare (come suggerito in precedenza) significato pregnante all'altra modifica testuale introdotta in sede di conversione, quella relativa all'idoneità del contratto a "costituire" il diritto edificatorio come Sgs autonoma, la mancata trascrizione degli atti che, a monte di quella costituzione, si limitano a "prevedere" quei diritti (rectius: la possibilità della loro costituzione), risulta meno irrazionale. Se la trascrizione attiene a vicende acquisitive a titolo derivativo, sarebbe improprio attrarre, ad es., anche la previsione di piano (o il diverso atto che "preveda" i diritti edificatori) nella catena dei passaggi che dà luogo a quelle vicende.

[nota 21] Lo ricorda A. GAMBARO, «Compensazione urbanistica e mercato dei diritti edificatori. Alcuni prolegomeni», in Riv giur. urb., 2004, 4, p.509-513.

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