Normative speciali e circolazione giuridica dei diritti edificatori
Normative speciali e circolazione giuridica dei diritti edificatori [nota *]
di Giuseppe Trapani
Notaio in Zagarolo

I fenomeni in gioco

L'art. 17 della legge n. 765 del 1967 che ha inserito l'art. 41-quinquies della legge n. 1150 del 1942 [nota 1] introduce per la prima volta il concetto di standards edilizi, diretti all'individuazione degli indici inderogabili di densità edilizia, quale espressione del rapporto tra la superficie interessata dall'intervento edificatorio e il volume del fabbricato realizzando.

Siffatti limiti sono determinati, di volta in volta, con riguardo a ben precisi criteri, quali in via esemplificativa la superficie edificabile in proprietà, le distanze tra i costruendi edifici, le aree destinate alle opere di urbanizzazione, alle attività collettive, pubbliche o private, a parcheggi, ed a verde pubblico.

L'interesse tutelato da una siffatta previsione normativa è di rango costituzionale: si tratta del più razionale sfruttamento degli spazi fabbricabili, nel rispetto delle regole di programmazione territoriale, devolute alla mano pubblica, a salvaguardia della salute della collettività (art. 32 Cost.) per la promozione delle attività economiche (artt. 41 e 44 Cost.), in funzione di assicurare la più adeguata funzione sociale della proprietà (art. 42 Cost.).

Nella prassi negoziale sono diffuse da ormai molto tempo accanto a forme sempre più evolute di accordi rivolti alla urbanizzazione delle aree di espansione o riqualificazione urbana, alcune forme di «micropianificazione ad iniziativa privata» [nota 2] consistenti in accordi tra privati, qualificati talora cessioni di volumetria o di cubatura [nota 3], con i quali il proprietario di un'area cede la potenzialità edificatoria della stessa o parte di essa ad un soggetto cessionario che incrementando la capacità di espansione fabbricabile del proprio terreno, possa ottenere dal comune un permesso di costruire (definito "maggiorato") idoneo alla edificazione di un manufatto avente un volume maggiore di quello che in origine avrebbe potuto esser realizzato [nota 4].

In tal modo, la volumetria fruibile complessivamente in base agli indici di densità edilizia viene concentrata su una o più aree.

Non viene mutato, insomma, l'indice di densità complessivo della zona o del comparto, non essendovi alcun intervento premiale della condotta del privato istante da parte dell'Amministrazione comunale [nota 5]: qualora quest'ultima accolga la regolazione privata approntata dalle parti dello sviluppo edificatorio delle aree di loro spettanza, all'inedificabilità totale o parziale del fondo del cedente, corrisponderà un eguale incremento della volumetria utilizzabile nel fondo di cui è proprietario il cessionario [nota 6]. L'indice edilizio è, infatti, stabilito per zone e non per singole aree: l'interesse pubblico è soddisfatto perfettamente anche se le costruzioni vengono realizzate su una sola area, restando le residue aree inedificate ed inedificabili.

Non deve mutare, insomma, nella realizzazione dei manufatti urbanisticamente rilevanti, la distribuzione totale del carico urbanistico sul territorio (c.d. "cubatura media"), indipendentemente dalla ripartizione e distribuzione reciproca da parte dei privati: «l'eccedenza di volumetria che si realizza in virtù del negozio in questione, trova compensazione nella correlativa minore edificazione dell'area asservita; cosicchè, l'alterazione del rapporto di densità edilizia è da reputarsi, avuto riguardo alla considerazione complessiva della zona interessata, inesistente» [nota 7].

In concreto, all'obiettivo di ancorare al parametro della superficie edificabile a disposizione dei singoli proprietari la capacità edificatoria corrisponde il concetto di «superficie minima edificabile» [nota 8].

Le regole che presiedono il governo del territorio hanno subito nell'ultima decade del 1900 radicali innovazioni.

La disciplina urbanistica che affonda le proprie radici nelle norme del 1942 [nota 9], improntata ad un rigido zoning, eredità dell'urbanistica razionalista, al pari del sistema degli standards, retto piuttosto da una logica rigidamente parametrica (metro cubo su metro quadrato) e dei vincoli preespropriativi diretti alla separazione delle aree sulle quali realizzare le opere pubbliche, è offuscata oggi dalla ricerca di soluzioni tecniche rivolte a favorire la compresenza di funzioni [nota 10] (mixité) [nota 11] che meglio permettano la realizzazione dei bisogni e degli interessi pubblici e della collettività che lì vive ed opera.

E' stato segnalato che proprio la progressiva consapevolezza che "il parametro suolo" è una risorsa limitata e "non rinnovabile", ha imposto «il passaggio da pianificazioni incrementali, fondate sulla diffusione urbana (sprawl), a piani connotati da una impostazione fortemente contenitiva, nella quale ogni ulteriore consumo di suolo agro-naturale deve trovare una rigorosa giustificazione» [nota 12].

Si assiste, insomma, ad una frammentazione nella quale ciascuna amministrazione individua ex ante «i valori ai quali conformare l'azione pianificatoria, gli obiettivi da assumere nella fase di impostazione (framing) del piano e da ultimo gli strumenti e le tecniche più efficienti al raggiungimento dei risultati prefissi» [nota 13].

In tale ottica, il ricorso alle metodiche della perequazione, della compensazione e della incentivazione rappresenta senz'altro espressione delle nuove tendenze.

L'analisi di siffatti orientamenti urbanistici risulta in realtà difficile e complessa atteso il fatto che le sperimentazioni tecniche sono temporalmente anteriori ed addirittura anche indipendenti dalla regolamentazione delle medesime fattispecie da parte delle norme di fonte regionale, in assenza anche di un organico quadro dispositivo nazionale [nota 14].

Storicamente, la soluzione perequativa, adottata in un primo tempo solo da alcune Amministrazioni comunali, trova un primo riscontro favorevole nel vaglio della giurisprudenza amministrativa [nota 15], che si è espressa, in particolare, in tal senso in occasione dei ricorsi proposti contro il piano regolatore di Reggio Emilia; in siffatta pronuncia, che affronta specificamente la questione della legittimità delle previsioni urbanistiche, è affermata, a chiare lettere, l'indipendenza dello strumento perequativo rispetto alla necessità (presunta) di una modificazione della vigente legislazione sia essa di rango nazionale o regionale.

La perequazione consentirebbe, inoltre, secondo una tale impostazione, di far beneficiare del vantaggio dell'edificabilità la proprietà garantendo, nel contempo, l'elevazione della qualità urbana: la chiave di lettura della perequazione è, insomma, concentrata proprio «in questa inscindibilità tra vantaggi della trasformazione ed oneri infrastrutturativi» [nota 16] o in altre parole tra l'utilità pubblica e l'utilità immediata dei cittadini uti singuli.

Il progressivo abbandono della zonizzazione importa, poi, che quest'ultima divenga espressione esclusiva di una mera componente progettuale: le tavole di zoning non coincidono più con il piano e sono organizzate più spesso per tessuti organici e sempre meno per zone omogenee [nota 17]. Si realizza, in tal modo, il singolare risultato di un doppio livello di pianificazione, che ha l'effetto di svincolare e, per così dire, liberare la cubatura sviluppata dai singoli lotti: il primo livello, diretto a disciplinare le previsioni insediative ed infrastrutturali; il secondo livello, funzionale alla allocazione delle dotazioni volumetriche ed al riparto dei costi infrastrutturali su un'ampia base di titolari del diritto di proprietà.

L'obiettivo di una siffatta scelta urbanistica è quello, evidente, di evitare l'insorgere di sperequazioni tra i proprietari delle aree interessate dall'attività di programmazione, indipendentemente dalla distinzione delle funzioni destinatorie delle aree medesime.

Il meccanismo richiede, tuttavia, in concreto, una modulazione dei diritti edificatori e della titolarità delle aree che ha assunto, nella realtà, diverse forme tecnico-giuridiche, senza purtuttavia pervenire ancor oggi, in assenza di un generale ed univoco dato normativo che coaguli le diverse locali esperienze urbanistiche a risultati che possano avere il pregio della soddisfazione.

Il modello perequativo tende, insomma, a generare il massimo dell'equità applicando all'intero territorio un unico indice di edificazione, con l'esclusione delle sole zone agricole e del centro storico. In tale luce, in prima approssimazione, la permuta o la cessione delle aree o lo scambio (a titolo oneroso) dei diritti edificatori ripartiti prima di tutto sui fondi c.d. sorgente (sending areas) permetteranno al tempo della successiva concentrazione dei volumi (c.d. fase di atterraggio) sui soli fondi c.d. accipienti o riceventi (receiving areas) di garantire anche ai proprietari dei fondi c.d. sorgente di ottenere una frazione in senso economico o nel senso dello sfruttamento edificatorio dell'attività di trasformazione del territorio urbano interessato dall'intervento [nota 18].

Il rischio di un tale meccanismo, che richiede necessariamente di essere affinato è, però, palese: la totale parificazione delle aree, dal punto di vista urbanistico reca con sé, infatti, il risultato paradossale di non tenere in alcuna considerazione le differenze discendenti dalla allocazione delle medesime, generando in tal modo una disuguaglianza per così dire di ritorno.

Per evitare un tale risultato inefficiente e soprattutto iniquo e certo discordante con le premesse di partenza, è necessario procedere, allora, «alla decodificazione dei caratteri e delle invarianti territoriali» (la c.d. classificazione dei suoli): i lotti compresi in una certa classe riceveranno una eguale potenzialità di cubatura, indipendentemente dalla destinazione finale; le dinamiche perequative consentono, infatti, con la revisione profonda delle regole di pianificazione, una maggiore flessibilità [nota 19].

Dovranno essere, di conseguenza, fissate le regole di trasformazione all'interno di unità minime di intervento (comparti, piani attuativi, ambiti o distretti) o le regole di circolazione dei titoli volumetrici esattamente corrispondenti con la cubatura sviluppata da ciascun fondo interessato [nota 20].

E' necessario, a questo punto, definire i contorni degli istituti della perequazione e della compensazione, che concernono in concreto - nonostante di frequente vengano utilizzati in modo confuso e le linee direttrici dei piani e delle norme regionali disegnino ipotesi pratiche che sono talora espressione di una sorta di melting pot urbanistico - fattispecie del tutto diverse tra loro.

La perequazione [nota 21], intesa quale equa ripartizione tra più proprietari dei vantaggi ed oneri derivanti dalla trasformazione in senso edificatorio delle aree, attuata mediante tecniche che «consentono il raggiungimento dell'indifferenza delle situazioni proprietarie rispetto agli effetti conformativi delle scelte discrezionali di allocazione delle diverse funzioni territoriali» [nota 22] trova la propria fonte in numerose leggi regionali [nota 23], ma ancor di più nei piani regolatori approvati con sempre maggiore frequenza negli anni più recenti, strumenti questi ultimi che danno maggiormente il segno dei modelli scelti ed in concreto praticati dalle amministrazioni locali.

Le disposizioni vigenti di rango regionale, insomma, sono diffuse in modo non organico ed unitario sul territorio nazionale, in assenza di disposizioni nazionali che abbiano un siffatto crisma, e subiscono deroghe anche rilevanti per effetto delle regole contenute nei piani di volta in volta approvati.

Un dato deve, tuttavia, essere sottolineato.

I sistemi perequativi non sono obbligatori e costituiscono semplicemente uno strumento opzionale nella pianificazione territoriale.

Si assiste, comunque, pur in assenza di una disposizione - quadro nazionale che incentivi la creazione e la fruizione di tali fattispecie, ad una progressivo irrobustimento della prospettiva perequativa, soprattutto per effetto di interventi della giurisprudenza amministrativa [nota 24] secondo la quale in ipotesi di vaste acquisizioni di aree, il modello della perequazione giunge a divenire obbligatorio, proprio in considerazione dei rilevanti vantaggi che esso in concreto presenta; in particolare, in ipotesi di reiterazione dell'imposizione di vincoli urbanistici scaduti, nella motivazione del provvedimento amministrativo deve darsi certamente conto della «mancanza di possibili soluzioni alternative o di perequazione fra i proprietari espropriabili» [nota 25], atteso che le alternative su base volontaria all'esito espropriativo devono sempre e comunque essere privilegiate dall'amministrazione pubblica.

In tale luce, la riproposizione di un tessuto vincolistico sulle aree da destinare alla realizzazione di opere pubbliche può trovare spazio solo laddove motivi squisitamente urbanistici inibiscano il ricorso alle metodiche perequative e compensative.

Nei modelli urbanistici tradizionali viene, infatti, trascurata, sempre ed integralmente, la dimensione distributiva; nel modello perequativo, ispirato ad un parametro di eguaglianza sostanziale, oggetto dell'analisi sono invece il numero, l'entità e l'allocazione delle aree, secondo il criterio del maximin (maximum minimorum) [nota 26]: «la strategia egualitaria si concentra, in realtà, sull'innalzamento del risultato ottenibile dei proprietari altrimenti svantaggiati» [nota 27].

Per effetto del modello perequativo, invece, ai fondi che secondo il modello tradizionale verrebbero gravati da vincoli, viene riconosciuta una frazione della cubatura complessiva, addirittura modulabile e fruibile in altre aree contigue o meno.

E' opportuno ricorrere ad un esempio tratto dalla recente dottrina [nota 28] per chiarire gli elementi sin qui esposti: nei piani tradizionali, un solo fondo è beneficiato della capacità volumetrica derivante dalla sua utilizzazione edificatoria in misura 1mc/1mq e contestualmente altri 4 fondi sono assoggettati a vincoli per la realizzazione delle opere infrastrutturali o quale verde privato. Nei piani ispirati ai modelli perequativi, invece, lo sviluppo volumetrico è ripartito equamente tra i cinque lotti a ciascuno dei quali verrà assegnato un indice perequativo 0,2mc/1mq, con contestuale identificazione di un solo fondo sul quale avverrà la concentrazione edificatoria e delle aree da destinare a verde o ad infrastrutture.

L'obiettivo di una maggiore eguaglianza tra i cittadini nello sfruttamento delle risorse del territorio è, in definitiva, di tutta evidenza.

Diverso dalla perequazione in senso tecnico è, invece, lo strumento della compensazione, che sino ad oggi ha avuto una maggiore diffusione rispetto alla prima [nota 29].

Siffatto ultimo meccanismo si è risolto, talora, nell'inserimento in piani di stampo tradizionale di accordi di scambio tra aree destinate alla realizzazione di infrastrutture e diritti edificatori o ancora nel rapporto matematico con l'esecuzione delle opere a scomputo, in un'ottica che offrisse nel contempo una soluzione alla storica inefficienza della pubblica amministrazione, senza per questo abbandonare gli schemi consolidati classici di pianificazione urbanistica, nell'erroneo convincimento per altro verso che «la moneta volumetrica» [nota 30] fosse per i comuni a costo nullo o quasi nullo, ponendo al contrario nuove questioni, mai postesi prima, in ordine al «consumo di territorio a fini edificatori» [nota 31].

Le tecniche utilizzate dalle amministrazioni e dalle leggi regionali sono molto diverse tra loro ed in assenza di precise e chiare disposizioni-quadro nazionali profondamente eterogenee.

Non esiste, infatti, un unico modello perequativo o compensativo [nota 32].

Appare difficile, in tal senso, individuare addirittura uno schema categoriale unitario al quale fare riferimento allo scopo di definire le regole urbanistiche e la disciplina civilistica applicabile, soprattutto in considerazione della poca precisione tecnica con la quale tali termini vengono impiegati (indifferentemente) nella redazione delle disposizioni regionali e delle norme degli strumenti urbanistici [nota 33], spesso frutto di commistioni di fattispecie eteronome.

E' stato innanzi tutto posto in dubbio, come già ricordato, al proposito se fosse necessaria o meno una «copertura legislativa» [nota 34] nazionale o quanto meno regionale per l'adozione da parte dei singoli comuni dei sistemi perequativi [nota 35].

In realtà, un'opera di conformazione delle tecniche perequative e compensative ai principi desumibili dalla legislazione vigente in tema di esercizio della pianificazione territoriale è stata effettuata dalla giurisprudenza amministrativa la quale ha consentito di volta in volta di verificare che lo strumento tecnico in questione non deroga ma attua le scelte del legislatore nazionale, «declinando il modulo base del comparto di cui all'art. 23 della legge urbanistica del 1942» [nota 36]: in tale luce, non è neppure necessaria (ma semmai fortemente opportuna) l'adozione di una disciplina da parte delle regioni, ferme restando appunto le linee direttrici fissate dal legislatore nazionale [nota 37].

Secondo un'impostazione recente [nota 38], che fa proprie tali considerazioni, dovrebbe, innanzi tutto più correttamente esser fatto riferimento più che alla perequazione ed alla compensazione, alle perequazioni ed alle compensazioni.

E' possibile, allora, tracciare alcune linee guida distintive delle diverse ipotesi:

La perequazione urbanistica pura: è previsto, in tal caso, dal piano un'equa ed ampia distribuzione dei vantaggi dell'edificazione mediante un'attribuzione omogenea delle cubature alle aree nelle quali saranno effettuate le trasformazioni urbanistiche e le aree (c.d. interstiziali) che devono restare immodificate per ragioni urbanistiche;

La perequazione infrastrutturale (o infrastrutturativa) o con oneri di cessione: si tratta di un modello che segue logiche di equità e conformazione condivisa; il piano deve prevedere oltre un'equa ed ampia distribuzione dei vantaggi dell'edificazione l'acquisizione di aree senza esborsi di sorta a carico del comune; in tale ipotesi trovano spazio possibilità edificatorie ben più ampie del caso della c.d. perequazione urbanistica pura, con contestuale cessione delle aree al comune per la realizzazione delle infrastrutture pubbliche e concentrazione della cubatura nelle aree esattamente individuate;

La perequazione con volumetria pubblica aggiuntiva: oltre allo schema proprio dei modelli sopra descritti ai numeri 1 e 2, il piano attribuisce al comune una frazione della volumetria concentrabile su lotti specifici [nota 39]; in tali ipotesi, il comune potrà o cedere tale volumetria a titolo oneroso a terzi (anche privati) o realizzare mediante l'utilizzazione diretta di essa dei programmi di social housing [nota 40];

La perequazione sui residui: si tratta del piano che si occupa di tutte le previsioni edificatorie espresse dai piani precedenti, rimaste inattuate e giudicate non confermabili; in tale caso, si prevede una trasformazione delle potenzialità edificatorie in veri e propri diritti edificatori che possono formare autonomo oggetto di scambio; l'obiettivo del piano in questione è di orientare altrove l'atterraggio dei diritti edificatori, perseguendo una sorta di equità intertemporale tra piani;

La compensazione infrastrutturativa: l'amministrazione comunale individua delle aree nelle quali - in considerazione dell'importanza delle opere da realizzare - essa non può rinunciare all'imposizione di vincoli preespropriativi quinquennali ed alla conseguente potestà di espropriazione delle stesse; il ristoro del proprietario potrà avere luogo solo attraverso l'attribuzione di un credito compensativo [nota 41] in luogo del consueto indennizzo [nota 42]; l'obiettivo non è di esercitare un principio di autorità, quanto piuttosto incentivare l'adesione del privato a meccanismi convenzionali, che presentano un minor grado di diseconomicità;

La compensazione paesaggistico-ambientale: si tratta di un piano in cui in considerazione di rischi ambientali o paesaggistici (per la presenza di manufatti in via esemplificativa degradati o abusivi) è possibile invitare i privati a procedere ad operazioni di riqualificazione urbana i cui oneri vengono remunerati mediante l'attribuzione di "crediti compensativi".

Emergono, in definitiva, dalla classificazione proposta i tratti distintivi delle fattispecie delle perequazioni dalle ipotesi di compensazioni, che purtroppo la prassi urbanistica non presenta distinte in modo altrettanto netto.

In maggiore sintesi, la perequazione costituisce una efficiente alternativa all'imposizione del vincolo, allargando la platea dei soggetti proprietari sui quali si distribuiscono i vantaggi e gli oneri del piano, "spalmando" sui proprietari i vantaggi del piano ed è fondata su un'adesione volontaria del proprietario al quale, in ogni caso, competono dei vantaggi. La redistribuzione permette, poi, di diffondere i vantaggi derivanti dall'edificazione, senza tenere in considerazione le differenze delle aree stesse; il diritto edificatorio, insomma, «viene ad accedere al fondo, anche se tale potenzialità, prodotta dal fondo, non sarà dispiegabile sul fondo» [nota 43] stesso.

E' stato, poi, sottolineato [nota 44] che l'applicazione delle tecniche di perequazione può avvenire all'interno di ambiti o piani attuativi (c.d. perequazione endoambito) oppure su tutta la porzione territoriale interessata, mediante la circolazione dei diritti edificatori (c.d. perequazione estesa) [nota 45].

A] Il primo caso, definito quale perequazione endoambito, è il modello più diffuso nelle normative regionali e trova applicazione in perimetri (anche discontinui) [nota 46] denominati in modo non univoco [nota 47]. Il meccanismo è attuato mediante l'assegnazione di una potenzialità volumetrica all'intero ambito da parte del piano regolatore, dedotta la volumetria degli edifici esistenti; è, poi, il piano attuativo a ripartire tra tutti i proprietari le capacità edificatorie e gli oneri derivanti dalle trasformazioni territoriali. I proprietari attraverso la redazione di un piano di ricomposizione fondiaria avente ad oggetto un complesso sistema di permute e cessioni reciproche consentono la realizzazione dell'intervento pubblico. Invero, è proprio il vincolo di attuazione necessariamente unitario delle previsioni di piano a imporre (o consigliare) ai proprietari di cooperare fattivamente, fatta salva la loro rinuncia generale ai vantaggi edificatori; e la cooperazione presuppone certamente che la redistribuzione delle aree (e della loro volumetria) sia percepita equa dagli stessi attori della vicenda urbanistica. In tale ipotesi, la perequazione è attuata attraverso delle ricomposizioni fondiarie, che assumono generalmente la forma delle cessioni di volumetria.

B] La seconda ipotesi, qualificata perequazione estesa [nota 48], consiste nella dematerializzazione della dotazione volumetrica del fondo sorgente sub specie di diritto edificatorio cedibile a titolo oneroso a terzi. Tale diritto edificatorio (generato da un lotto insuscettibile di una variazione in senso edificatorio) può atterrare sui soli fondi c.d. accipienti o riceventi (receiving areas), previsti quali aree di concentrazione necessaria realizzando l'obiettivo di garantire anche ai proprietari dei fondi c.d. sorgente di ottenere una frazione in senso economico o di sfruttamento edificatorio dell'attività di trasformazione del territorio urbano interessato dall'intervento. Il piano regolatore, in tale secondo caso, lascia libere le parti di modulare le diverse ipotesi di atterraggio dei diritti edificatori, con l'unico limite di un coefficiente di ponderazione avente la forma di un indice fondiario differenziato [nota 49] che consente, nel caso in cui il meccanismo riguardi aree poste in parti del territorio aventi accentuate differenze morfologiche, di modulare il diritto edificatorio in funzione delle aree di atterraggio dello stesso, nel rispetto del principio di eguaglianza. Il vantaggio di tale ultima prospettiva è rappresentato dalla grande libertà della quale godono i proprietari nella realizzazione di fattispecie piuttosto complesse, giungendo addirittura ad ipotizzare una sorta di mercato dei titoli volumetrici nel quale sia agevole identificare un elevato numero di interlocutori: tale meccanismo escluderebbe così proprio le patologie tipiche del mercato, che impedirebbero al modello di funzionare [nota 50].

La compensazione rappresenta, invece, uno strumento che svolge una piena funzione di ristoro per eliminare le conseguenze pregiudizievoli derivanti dall'imposizione dei vincoli stessi o per soddisfare gli oneri sostenuti per il facere sopportato, mirando a ridurre gli effetti sfavorevoli e negativi del piano stesso; svolge insomma una funzione indennitaria (nel caso della compensazione c.d. infrastrutturativa) o economica (nel caso della compensazione paesaggistica o ambientale) per rendere neutra in tal modo l'imposizione di interventi posti a carico dei privati [nota 51].

Al proprietario del terreno gravato da un vincolo viene attribuita un'utilità consistente in una cubatura fruibile in altra area edificabile o in un credito compensativo trasferibile anche a terzi [nota 52], ispirata da ragioni di evidente efficienza amministrativa. Il privato, insomma, è dinanzi ad un'alternativa: accettare, senz'altro, la somma liquidata a titolo di indennizzo economico oppure accettare il credito compensativo.

Colui che adempie una precisa obbligazione di tipo urbanistico, ottiene un pieno ristoro mediante l'assegnazione di un titolo che permette una soddisfazione differita mediante lo sviluppo delle esigenze circolatorie. Si può configurare, in concreto, in tal ultimo caso, una sorta di datio in solutum atipica [nota 53] ad effetti non reali consistenti esattamente nell'attribuzione di siffatto credito compensativo che potrà essere utilizzato direttamente su fondo accipiente dal titolare o da costui ceduto a terzi.

Deve essere evidenziato, tuttavia, un possibile rischio di penalizzazione dei crediti compensativi rispetto ai diritti edificatori assegnati al momento stesso di entrata in vigore del piano e scambiabili sin da allora [nota 54]; invero, i primi hanno origine, invece, soltanto in seguito alla cessione volontaria al comune o all'esatto adempimento degli obblighi di riqualificazione paesaggistico - ambientale e, quindi, sorgono in un tempo necessariamente successivo ai secondi, con l'effetto paradossale di permettere al titolare una minore scelta tra le aree di atterraggio disponibili e conseguentemente generare un minore valore economico. Per evitare, insomma, una disarmonica ed iniqua fruizione delle volumetrie è necessario immaginare la previsione di una sorta di quota riservata a favore dei titoli che siano espressione dei crediti compensativi.

Essi potranno, infatti, essere oggetto di scambio solo dopo la cessione volontaria al comune o l'impegno irrevocabile ad effettuarla o ancora dopo l'esatto adempimento degli obblighi di riqualificazione paesaggistico-ambientale ora ricordati [nota 55], fatta eccezione per le fattispecie nelle quali vi è una espressa previsione normativa regionale che dispone in senso diverso.

E' il caso, ad esempio, delle regioni che hanno adottato a chiare lettere il Registro dei crediti di cubatura nei quali, ancor prima della cessione al comune dell'area vincolata, essi potrebbero essere iscritti (magari in una speciale sezione) sin dall'apposizione iniziale del vincolo [nota 56].

Le scarne regole

Il fenomeno della circolazione dei diritti edificatori affonda le proprie origini qualche decennio fa nella prassi, generata proprio negli studi notarili, in specie negli accordi di micropianificazione.

In particolare, la cessione di cubatura nasce e si sviluppa nella pratica e trova riscontro ed espressione nell'elaborazione della dottrina e della giurisprudenza, di massima amministrativa, in assenza per lungo tempo, di alcuna specifica disciplina normativa, in considerazione non solo dell'esigenza di disciplinare l'accordo intervenuto tra le parti nei limiti consentiti all'autonomia privata, ma anche di garantire ai terzi la piena conoscibilità dello stato giuridico dei terreni [nota 57].

Le difficoltà che il trasferimento, l'accorpamento e la riserva della cubatura pongono, divengono ancora maggiori nelle ipotesi della perequazione c.d. estesa e della compensazione, nelle quali è permessa la circolazione di titoli volumetrici anche a favore di più aventi causa in tempi successivi tra loro, in modo da permettere al loro titolare originario, che non sia anche proprietario del fondo accipiente, di cederli a fronte di un prezzo ad altro soggetto, anch'egli estraneo alla titolarità del lotto recipiente; le vicende traslative dei titoli volumetrici divengono così talmente astratte da prescindere dal collegamento reale immobiliare che le ha originate.

Se dal punto di vista meramente descrittivo, la fattispecie può essere disegnata con brevi tratti, l'ostacolo concreto è, invero, un altro; difetta, infatti, del tutto una qualsiasi regolamentazione organica della fattispecie nella legislazione nazionale, essendo la disciplina fissata spesso solo in disposizioni di legge regionale ed ancor più frequentemente da norme contenute negli strumenti di programmazione urbanistica; manca, inoltre, la disciplina civilistica applicabile alle fattispecie, certamente non delegabile alla competenza normativa delle singole regioni: la materia del diritto privato, a mente dell'art. 117, comma 2, lettera l, della Costituzione ("ordinamento civile") è esclusivamente riservata alla competenza normativa del Parlamento della Repubblica, restando devoluta, invece, alla legislazione concorrente la regolamentazione del "governo del territorio" (art. 117, comma 3 Cost.) [nota 58].

In assenza di tali, auspicate, disposizioni quadro di legge nazionale, che fissino i punti fermi della disciplina perequativa, delineando esattamente il confine tra la competenza statuale e la competenza delle regioni [nota 59], soccorrono, allora, alcune norme regionali che attribuiscono al comune interessato lo svolgimento di un ruolo attivo di equilibrio e di garanzia nell'incontro tra domanda ed offerta di tali titoli volumetrici [nota 60].

Le soluzioni accolte in concreto sull'intero territorio nazionale non hanno certo il pregio della loro reciproca uniformità e coerenza.

E' evidente, insomma, che le regioni hanno regolato la fattispecie in questione in modo del tutto diverso tra loro, come emerge sin dall'impiego di termini non omogenei in ordine alla definizione dei meccanismi compensativi: si fa rispettivamente riferimento in Veneto, ai crediti edilizi, in Lombardia alla disciplina di incentivazione, in Umbria agli incrementi premiali o alle compensazioni, ed ancora nella provincia di Trento alla compensazione urbanistica.

L'obiettivo delle norme regionali è però chiaro: riempire (nei limiti concessi dall'ordinamento giuridico nazionale e dal dato costituzionale) un vuoto e, nel contempo, garantire la certezza dei negozi giuridici perequativi in presenza di un sistema pubblicitario nazionale informatizzato presso l'Agenzia del territorio impostato su canoni tecnici rigidi, poco flessibili e fondato sulla tipicità delle situazioni giuridiche [nota 61], dall'accesso al quale sistema, appunto, allo stato sembravano essere escluse l'accesso le fattispecie urbanistiche in argomento.

E' possibile rinvenire, ciò nonostante, alcuni elementi comuni nella complessiva normazione regionale.

Un dato unificante delle diverse discipline diffuse sul territorio può, innanzi tutto, essere rinvenuto nello scopo riconosciuto dell'istituto premiale, giustificato proprio generalmente dall'esecuzione di interventi di riqualificazione urbanistica ed ambientale; alcune regioni aggiungono, tuttavia, ad un tale elemento di coesione, anche altri obiettivi quali, ad esempio, la realizzazione di interventi di edilizia residenziale pubblica (Lombardia, Trento e Puglia), la tutela e la valorizzazione di beni storico- artistici in generale (Lombardia e Veneto) e dei centri storici in particolare (Umbria), il risparmio energetico (Lombardia) ed infine la prevenzione sismica (Umbria) [nota 62].

Un altro elemento normativo comune alle disposizioni regionali è dato dalla necessaria perimetrazione delle aree di intervento, la cui individuazione è devoluta in gran parte dei casi allo strumento urbanistico (Trento, Umbria e Veneto), talaltra semplicemente alla sola pianificazione attuativa (Lombardia).

Purtroppo, gli elementi unificanti, almeno sino all'approvazione, molto attesa, di una legge quadro nazionale, sono destinati a rimanere esili e rari.

E' diverso, infatti, il criterio per determinare i luoghi di c.d. atterraggio del credito: secondo un'impostazione della normativa regionale (Veneto), quest'ultimo può essere utilizzato in ambiti anche diversi da quelli di origine; in altra (Provincia di Trento), invece la fruizione potrà avere luogo solo negli ambiti di perequazione, eccezion fatta qualora vi sia un'espressa previsione del piano regolatore; altrove (Umbria), i crediti possono atterrare, invece, solo nell'area nella quale si svolge l'intervento di riqualificazione che lo origina, ad eccezione dei casi in cui esso sia diretto a realizzare attrezzature e servizi, in aggiunta agli standards, o a migliorare la qualità ambientale, nei quali esso può essere esercitato al di fuori dell'ambito di origine [nota 63]; in Lombardia, ancora, lo sfruttamento potrà trovare spazio solo nell'ambito di origine, senza eccezioni di sorta.

Altrettanto eterogeneo è il criterio di quantificazione della misura del credito stesso: talora, è delineata una disciplina che consente un incremento non superiore al quindici per cento rispetto alla volumetria ammessa (Lombardia), talaltra, invece, un incremento corrispondente ai costi, sostenuti dal comune o ai benefici che quest'ultimo ne ha tratto (Umbria); o ancora, è consentito un incremento nella misura da definirsi in sede di approvazione dello strumento urbanistico (Provincia di Trento) o, infine, addirittura, in senso diametralmente opposto, non è dato rinvenire alcuna limitazione normativa né alcuna definizione, per così dire, a monte dei criteri generatori (Veneto) [nota 64].

Altrettanto non uniforme nel tessuto normativo regionale, è la definizione del regime della commerciabilità, che in alcuni casi è libero (Veneto), in altri è limitato ad alcune fattispecie soltanto (in Umbria agli interventi nei centri storici, nella Provincia di Trento agli ambiti perequativi), ed in altri ancora è del tutto escluso (Lombardia).

Anche la previsione di meccanismi pubblicitari di siffatte operazioni su base squisitamente localistica è il frutto di interventi normativi disorganici e spazialmente diffusi a macchia di leopardo e non basta a risolvere in modo conforme tutte le questioni poste sul tappeto al proposito. Alcune leggi regionali (Provincia di Trento, Veneto e Lombardia) soltanto hanno, ad esempio, introdotto un registro di diritti (e crediti) edificatori gestito, dal comune nel quale sono annotati (rectius trascritti) [nota 65], dopo l'assegnazione, i diritti edificatori ed i crediti compensativi e (annotate) le loro vicende circolatorie, laddove altre nulla hanno previsto al riguardo.

La carenza, in realtà, sino a ieri, di un sistema pubblicitario organico e generalmente diffuso sul territorio nazionale è, tuttavia, essa stessa espressione del limite e della valenza parziale di siffatte previsioni; difetta, inoltre, in tali registri introdotti solo da alcune regioni, la funzione primaria di regolazione dei conflitti che è, invece, propria dei Registri immobiliari.

In definitiva, le registrazioni operate dall'amministrazione comunale permettono solo ed esclusivamente di far conoscere la disponibilità di titoli volumetrici ai proprietari dei fondi c.d. accipienti o riceventi (receiving areas).

L'assenza di qualsivoglia disposizione in materia non però è oggi certo un dato di attualità: alla essenzialità delle norme presenti nella legislazione nazionale (pur in mancanza di ormai necessarie disposizioni quadro) fa da contraltare un'ipertrofia evidente della legislazione regionale [nota 66], che trascura, tuttavia, per l'espresso limite di cui all'art. 117 della Costituzione che devolve al legislative nazionale la regolamentazione delle fattispecie di diritto privato.

La questione assume maggiore difficoltà proprio a proposito della perequazione c.d. estesa e della compensazione nelle quali si realizza un distacco vero e proprio del diritto edificatorio dal suolo che lo ha generato a vantaggio di soggetti che non sono titolari di diritti reali sul fondo stesso; secondo recente dottrina [nota 67] è possibile, al riguardo, ipotizzare una sorta di dematerializzazione dello ius aedificandi o ancor meglio qualificare la rispettiva fattispecie «alla stregua di un (nuovo ed autonomo) bene di natura non reale (superando, in tal modo, il problema del numero chiuso dei diritti reali)».

Alcuni sporadici interventi del legislatore nazionale confermano un tale assunto [nota 68].

La legge 15 dicembre 2004, n. 308 [nota 69], all'art. 1, comma 21 dispone che «qualora per effetto di vincoli sopravvenuti diversi da quelli di natura urbanistica non sia più esercitabile il diritto di edificare che sia già stato assentito a norma delle vigenti disposizioni è in facoltà del titolare del diritto di chiedere di esercitare lo stesso su un'altra area del territorio comunale, di cui abbia acquisito la disponibilità a fini edificatori».

Ed al comma 22 aggiunge che «in caso di accoglimento dell'istanza presentata ai sensi del comma 21, la traslazione del diritto di edificare su area diversa comporta la contestuale cessione al comune a titolo gratuito dell'area interessata dal vincolo sopravvenuto» [nota 70].

L'art. 1 commi 258 e 259 della legge n. 244 del 24 dicembre 2007 [nota 71] dispone, poi, che all'interno dei meccanismi perequativi e delle previsioni degli strumenti urbanistici, in aggiunta delle aree necessarie per garantire gli standards, siano definiti ambiti (e non più zone) la cui trasformazione è subordinata alla cessione gratuita da parte dei proprietari, singoli o riuniti in forma consortile, di aree o immobili da destinare a edilizia residenziale sociale in rapporto al fabbisogno locale e in relazione all'entità e al valore della trasformazione. In tali ambiti, è possibile prevedere, inoltre, l'eventuale fornitura di alloggi a canone calmierato, concordato e sociale [nota 72]. Si può, poi, prevedere in occasione della localizzazione di interventi finalizzati alla realizzazione di edilizia residenziale sociale, di rinnovo urbanistico ed edilizio, di riqualificazione e miglioramento della qualità ambientale degli insediamenti, una premialità di cubatura che deve restare nei limiti di incremento massimo della capacità edificatoria prevista per gli ambiti stessi, come definiti dalla medesima legge [nota 73].

I comuni potranno, insomma, mediante i propri strumenti urbanistici, definire gli ambiti nei quali è permessa l'attribuzione di diritti premiali purché:

- il diritto edificatorio premiale sia assegnato per il perseguimento di finalità relative all'attuazione dell'edilizia residenziale sociale, al rinnovo urbanistico ed edilizio, e alla riqualificazione e miglioramento della qualità ambientale degli insediamenti;

- l'incremento volumetrico non superi l'incremento massimo della capacità edificatoria prevista per gli ambiti nei quali sono collocate le aree destinate all'edilizia residenziale sociale.

L'art. 11 della legge 6 agosto 2008, n. 133 [nota 74], sotto la rubrica "Piano Casa", contiene le linee guida per l'emanazione di un decreto legislativo che abbia quale fine il garantire su tutto il territorio nazionale i livelli minimi essenziali di fabbisogno abitativo per il pieno sviluppo della persona umana [nota 75]. E' evidente il segnale di un nuovo interesse del legislatore per l'edilizia residenziale sociale, la cui incentivazione è fondata sul ruolo degli imprenditori privati ai quali è devoluto il compito della promozione dell'iniziativa [nota 76].

Tale disposizione contiene al comma 5 [nota 77] tre precise indicazioni normative che per la prima volta - nella legislazione nazionale - attribuiscono alla cubatura in sé (rectius ai diritti edificatori), vera e propria dignità di bene, inteso nel senso tecnico giuridico di cui all'art. 810 c.c.: la volumetria cessa insomma di essere un mero rapporto matematico per assurgere essa stessa ad oggetto del diritto.

In particolare, gli interventi del Piano Casa potranno essere realizzati anche:

- mediante il trasferimento di diritti edificatori in favore dei promotori degli interventi di incremento del patrimonio abitativo (lettera a);

- mediante incrementi premiali di diritti edificatori finalizzati alla dotazione di servizi, spazi pubblici e di miglioramento della qualità urbana, nel rispetto delle aree necessarie per le superfici minime di spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi di cui al decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444 (lettera b);

- ed ancora mediante la cessione, in tutto o in parte, dei diritti edificatori come corrispettivo per la realizzazione anche di unità abitative di proprietà pubblica da destinare alla locazione a canone agevolato, ovvero da destinare alla alienazione in favore delle categorie sociali svantaggiate (lettera e).

Dopo il primo timido tentativo della ricordata legge 15 dicembre 2004, n. 308, ma ancor più dopo le disposizioni appena menzionate del 2007 e del 2008, il legislatore nazionale inizia a mostrare un interesse nuovo nei confronti dell'urbanistica perequativa, compensativa e premiale, sia con riguardo alla sua genesi, sia alla circolazione vera e propria dei diritti edificatori, legittimando e, forse, anche incentivando, la creazione di prassi negoziali [nota 78]: la carenza assoluta di una disposizione - quadro di legge nazionale avrebbe, infatti, rafforzare il tentativo di dissuadere il pratico e l'interprete dalla ricerca di soluzioni negoziali che fossero sempre più appaganti, proprio per l'assunto della riserva costituzionale alla mano del legislatore nazionale e della preclusione al legislatore regionale di qualsiasi intervento su tale materia.

Va, invece, in senso nettamente contrario, segnalato, come acutamente già evidenziato [nota 79], che le appena ricordate disposizioni sembrano piuttosto presupporre il fenomeno e non assumere il ruolo di elementi fondanti dello stesso: la generazione ed il trasferimento dei diritti edificatori sono semplicemente enunciati, lasciando che «ambiti, contenuti e condizioni» siano regolati da normative regionali e prassi applicative alle quali è devoluta la disciplina delle ipotesi, delle forme e delle modalità di trasferimento [nota 80].

La ricordata produzione normativa nazionale, magari non organica e carente nelle sue linee definitorie e contenutistiche, magari anche colorata dal sapore dell'occasionalità, ha, però, certo il pregio di avere per la prima volta dato un chiaro e inequivoco fondamento tecnico giuridico alle attività negoziali che hanno ad oggetto siffatti diritti, sulla scorta della variegata disciplina regionale.

E', per altro verso, vero, infatti, che la regolazione convenzionale delle fattispecie premiali affonda, in realtà, le proprie radici addirittura nella legge urbanistica del 17 agosto 1942, n. 1150, laddove attribuisce direttamente ai comuni il potere di conformazione della proprietà immobiliare.

La riconduzione ultima della urbanistica premiale nell'alveo della disciplina urbanistica del 1942 reca in sé la soggezione di essa ad alcuni evidenti limiti: in particolare, il richiamo essenziale alla zonizzazione (art. 7) ed all'obbligo di determinare per ciascuna zona «limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza di distanza tra i fabbricati (art. 41-quinquies), con l'effetto tecnico pratico che l'atterraggio dei diritti edificatori potrà avvenire solo ed esclusivamente nelle zone a tal uopo esattamente destinate dallo strumento urbanistico vigente» [nota 81].

Ecco, perché il legislatore nazionale, nella scrittura delle scarne disposizioni appena citate, si è limitato quasi a dichiarare semplicemente come presupposto un fenomeno che appare creato dal diritto vivente.

La vera novità è tuttavia rappresentata dall'art. 5 del D.l. 13 maggio 2011, n. 70 pubblicato sulla Gazzetta ufficiale n. 110 del 13 maggio 2011 ed entrato in vigore in data 14 maggio 2011.

I profili di interesse per la materia sono due: innanzi tutto la previsione al comma 1, lettera c, della «tipizzazione di un nuovo schema contrattuale diffuso nella prassi, denominato "cessione di cubatura" e la previsione al comma 3 della stessa disposizione dell'accesso ai Registri immobiliari di siffatte operazioni» [nota 82].

In occasione della conversione del citato decreto legge sono state apportate alcune modifiche al testo originario. Sulla Gazzetta ufficiale n. 160 del 12 luglio 2011 è stato infatti pubblicata la legge di conversione 12 luglio 2011, n. 106, rubricata: "Semestre europeo - Prime disposizioni urgenti per l'economia" che reca modifiche all'art. 5 comma 3 del decreto legge ora ricordato secondo il testo seguente:

Per garantire certezza nella circolazione dei diritti edificatori, all'articolo 2643 del codice civile, dopo il n. 2, è inserito il seguente: «2-bis, i contratti che trasferiscono, costituiscono o modificano i diritti edificatori comunque denominati, previsti da normative statali o regionali, ovvero da strumenti di pianificazione territoriale».

Ed ancora il comma 9 dello stesso suddetto art. 5 (non modificato in occasione della conversione in legge del decreto) statuisce che al fine di incentivare la razionalizzazione del patrimonio edilizio esistente nonché di promuovere agevolare la riqualificazione di aree urbane degradate con presenza di funzioni eterogenee e tessuti edilizi disorganici o incompiuti nonché di edifici a destinazione non residenziale dismessi o in via di dismissione ovvero da rilocalizzare tenuto conto anche della necessità di favorire lo sviluppo dell'efficienza energetica e delle fonti rinnovabili le regioni approvano entro sessanta giorni dall'entrata in vigore del presente decreto specifiche leggi per incentivare tali azioni anche con interventi di demolizione e ricostruzione che prevedano:

a) il riconoscimento di una volumetria aggiuntiva rispetto a quella preesistente come misura premiale;

b) la delocalizzazione delle relative volumetrie in area o aree diverse;

c) l'ammissibilità delle modifiche di destinazione d'uso purchè si tratti di destinazioni tra loro compatibili o complementari;

d) le modifiche della sagoma necessarie per l'armonizzazione architettonica con gli organismi edilizi esistenti [nota 83].

Si tratta di un premio di volumetria la cui regolamentazione è in prima battuta devoluta alle regioni (a statuto ordinario), salva la disciplina dettata per la carenza di previsioni.

Il nuovo panorama

Il quadro di riferimento appare oggi, insomma, modificato in un senso certamente deciso: alla tipizzazione di un nuovo schema contrattuale diffuso nella prassi, denominato "cessione di cubatura" si accompagna la previsione dell'accesso ai Registri immobiliari di siffatte operazioni traslative, indipendentemente dalla espressione della qualità giuridica specifica dei diritti edificatori.

Al legislatore deve essere certamente riconosciuto il merito di avere fotografato una realtà che con forza stava trovando emersione nella pratica, attraverso il ricorso a metodiche poco trasparenti.

Il limite della disposizione è in un certo senso rappresentato proprio dall'aver regolato la pubblicità della fattispecie, senza disciplinare il fenomeno giuridico in sé; il richiamo della memoria è al meccanismo di cui all'art. 2645-ter c.c., con un dato differenziale però chiaro: nell'ipotesi dei diritti edificatori l'esecuzione della formalità della trascrizione era già effettuata nella prassi sia pure con il ricorso ricostruttivo dell'ipotesi in termini di servitù (altius non tollendi o inaedificandi); nel caso, invece, dell'atto di destinazione che diviene trascrivibile, la nuova disposizione ha imposto limitazioni soggettive (in ordine alla individuazione dei beneficiari) e di validità e/o di efficacia (in ordine all'espressione di un giudizio di meritevolezza ai sensi dell'art. 1322 c.c.) che hanno impedito all'istituto di avere nuova vitalità e concreta applicazione nella quotidiana pratica giurdica.

L'esigenza di una regolazione della materia, che era già emersa durante l'attesa dell'auspicata conversione in legge del decreto, dall'analisi degli emendamenti presentati al testo, conferma la sostanziale condivisione da parte di tutti gli schieramenti politici dei profili definitori e pubblicitari dettati dal legislatore d'urgenza.

Dalla lettura della disposizione emergono alcuni dati di rilievo che è necessario sottolineare:

La natura giuridica dei diritti edificatori

Il legislatore ha reputato che per garantire certezza nella circolazione dei diritti edificatori, essendo insufficienti gli strumenti offerti dalle amministrazioni comunali (sia pure innovativi quali, in via meramente esemplificativa, i titoli di credito di cubatura da esse stesse emessi) all'articolo 2643 del codice civile, dopo il n. 2, dovesse essere inserito il seguente numero 2-bis secondo il quale «i contratti che trasferiscono, costituiscono o modificano i diritti edificatori comunque denominati, previsti da normative statali o regionali, ovvero da strumenti di pianificazione territoriale» devono essere trascritti.

Per lungo tempo è stato sollevato il dubbio che la cubatura potesse essere considerata quale bene giuridico autonomo, valutabile dal punto di vista patrimoniale [nota 84].

La questione è prepotentemente riemersa oggi all'indomani della approvazione delle nuove norme.

Dalle prime letture, emergono due schemi interpretativi.

!. La teoria dello ius in re aliena

E' stato di recente sostenuto [nota 85] che - escluso il carattere obbligatorio della fattispecie, quale specie di diritto di credito - il diritto edificatorio possa, invece, essere ricondotto agevolmente allo schema del diritto assoluto ed in particolare del diritto reale. E' stato infatti al riguardo segnalato poi che una tale lettura abbia maggiore forza proprio a seguito della recente modifica normativa ed inoltre che, per altro verso, la ricostruzione dogmatica dei diritti edificatori quale bene risenta di una difettosa prospettiva storica, ormai superata appunto in base al recente dato positivo.

Secondo tale impostazione, infatti, presupposto un interesse pacificamente meritevole di tutela (quale la circolazione dei crediti edificatori, mediante l'accesso ad un sistema pubblicitario tecnicamente affidabile), era proprio l'assenza di una specifica norma ad imporre la ricerca una ricostruzione dogmatica della volumetria quale "bene giuridico" in sé, idonea ad impedire la violazione del principio del numerus clausus dei diritti reali.

Un tale sforzo di ricerca e di interpretazione sarebbe oggi sulla base delle considerazioni appresso indicate oggi del tutto inutile.

Secondo tale opinione, il nuovo n. 2-bis dell'art. 2643 c.c., andrebbe letto in consecuzione con il numero 3 che segue immediatamente della stessa disposizione che fa riferimento alla trascrizione nei Registri immobiliari dei contratti, che sui «diritti menzionati nei numeri precedenti» costituiscono una comunione, fenomeno normativamente riferibile proprio alla proprietà e agli altri diritti reali.

Un tale riferimento letterale consentirebbe di qualificare i diritti edificatori in termini di realità. Si tratterebbe, infatti, secondo una tale impostazione, di un diritto reale e tipico proprio per effetto di due controprove; in primo luogo, se la volumetria fosse realmente un bene, non sarebbe stata affatto necessaria l'autonoma previsione del n. 2-bis, ma sarebbe semplicemente stato sufficiente ricondurre il c.d. bene ad una situazione giuridica tipica, quale il diritto di proprietà [nota 86].

In secondo luogo, la conferma in positivo di una tale impostazione, discenderebbe dall'evoluzione testuale della norma in sede di conversione, mediante la previsione normativa del contratto costitutivo del diritto edificatorio.

Ebbene, la costituzione non sarebbe neppure concepibile, se fosse vero che la volumetria è bene in sé; se la potenzialità edificatoria al pari del suo incremento, a seguito di previsione urbanistica, si costruisce come facoltà insita nel diritto dominicale, deriverebbe che tale facoltà assurga ad autonoma situazione giuridica soggettiva riconducibile allo schema della costitutività.

Secondo tale indirizzo, resterebbe ancora da spiegare la possibilità che un diritto qualificato come reale, possa essere acquistato da un soggetto nella cui sfera giuridica può anche mancare un bene idoneo alla sua realizzazione; invero, sempre secondo tale opinione alle medesime difficoltà andrebbe incontro anche la teoria che identifica nella cubatura un bene autonomo, poiché la "proprietà della volumetria" non potrà cioè mai diventare proprietà di un edificio, se non in quanto quell'acquirente disponga di un suolo su cui costruire. Il vero limite, insomma, di ogni ricostruzione sarebbe rappresentato dal c.d. diritto in volo.

In realtà, può osservarsi al contrario che la volumetria è bene in sé proprio perché è giuridicamente e di fatto del tutto indipendente dalla realizzazione di un fabbricato futuro, edificato in forza di essa cubatura: si pensi, ad esempio, non solo all'ipotesi in cui il titolare non voglia per le ragioni più disparate (personali o economiche) realizzarlo, ma anche al caso in cui per effetto di modifiche normative (nazionali, regionali semplicemente di piano), successive alla origine dei diritti edificatori o al loro trasferimento all'attuale titolare, la capacità edificatoria venga ridotta o addirittura del tutto annullata, ponendo seri problemi evizionali.

Invero, il bene cubatura (volumetria o diritti edificatori che dir si voglia), non subisce alcuna mutazione genetica o fisiologica se è incorporato ad un'area o a un fabbricato [nota 87] o se è in volo: questo semmai è proprio il limite della impostazione che qualifica la fattispecie quale diritto reale, trovandosi inevitabilmente a dover rintracciare un bene che forma oggetto del diritto stesso [nota 88]. Tale ultima osservazione, inoltre, appare non propria in quanto sovrappone la lettura e la ricerca delle regole di circolazione con l'analisi del contenuto del bene stesso, come destinato alla circolazione.

Secondo l'impostazione riferita che qualifica la fattispecie in esame in termini di realità, non si tratterebbe, però, di un diritto reale su cosa altrui, atteso che in tal caso sarebbe necessario che il bene, su cui il nuovo diritto dovesse esercitarsi, fosse oggetto di una concorrente proprietà (nuda) altrui, cosa che in questa materia è radicalmente esclusa. Semmai il richiamo alla superficie potrebbe essere utile magari per ricostruire il contenuto della situazione giuridica, con il conseguente distacco di una facoltà inerente il dominio e la sua elevazione a diritto a sè stante.

In conclusione, secondo tale tesi, il nuovo n. 2-bis del 2643 costituirebbe tipizzazione di un contratto e riconoscimento di un nuovo diritto reale. Il trasferimento dei diritti edificatori potrebbe essere qualificato contratto consensuale avente a oggetto il trasferimento di un diritto reale, che ha come contenuto lo sfruttamento edificatorio (in misura quantitativamente predeterminata) del suolo.

Le difficoltà di una tale impostazione sorgono, come è evidente, laddove è logicamente obbligata ad affermare che la vicenda costitutivo-realizzativa del diritto previsto dalla nuova disposizione si svolge in relazione a due beni distinti, con evidente «deviazione dal paradigma tradizionale, in cui il diritto (anche su cosa altrui) nasce e si esercita con riferimento allo stesso bene», nonché laddove afferma che l'inerenza al bene su cui il diritto deve esercitarsi potrà mancare nell'ipotesi di diritto edificatori creati originari, ossia svincolati da un legame con un fondo sorgente, diritti ai quali proprio il nuovo termine "costituiscono (posto appunto dopo il termine "trasferiscono", impiegato dal legislatore nella stesura del testo adottato in occasione del decreto legge, prima della conversione) sembra, invece, appunto alludere.

Non si pone in realtà un problema di irrealizzabilità tecnica di una trascrizione non riferita direttamente a un immobile, ma al contrario proprio di una definizione tecnica della stessa, come emerge dall'attesa dell'intervento di un decreto attuativo del numero 2-bis. E' la norma a prevedere, infatti, la trascrizione nei Registri immobiliari degli atti di trasferimento aventi ad oggetto la cubatura in volo.

E' evidente che la fattispecie "diritti edificatori" non possa assumere colorazioni diverse dal punto di vista tecnico se è in volo, se sorge, se atterra o se non è originata, ma è sempre eguale a sé stesso in ogni diversa ipotesi: anzi, è proprio questa la novità vera della nuova disposizione che omologa dal punto di vista della pubblicità i diritti edificatori comunque denominati, siano essi previsti da normative statali o regionali, ovvero da strumenti di pianificazione territoriale.

I primi interventi dell'Agenzia del territorio, ancor oggi all'attenzione di alcuni tribunali e non pubblicati, sembrano proprio confermare la diversa impostazione che conduce alla cosificazione della cubatura, trascrivendo con riserva gli atti che difettano di determinazione contenutistica della volumetria medesima, in relazione alle disposizioni che lo regolano.

2. La teoria della cubatura quale bene

E' stato sostenuto, per altro verso, sviluppando i contributi offerti dalla dottrina e dalla giurisprudenza anteriori alla riforma del 2011, che la volumetria costituisca appunto una res.

Sarebbe, tuttavia, troppo semplice per sostenere l'opinione della reificazione della cubatura che si preferisce, richiamare o enfatizzare letture testuali della disposizione [nota 89], ricordandone la genesi: l'uso al plurale e non al singolare del termine diritti (e non diritto) edificatori, (in contrasto con l'accezione singolare del termine diritto nell'art. 2643 c.c.) [nota 90], la distinzione tra i contratti di cubatura e l'oggetto di essi quali diritti edificatori (con il retaggio di difficoltà che una tale ipotesi recherebbe in sé) e l'altrettanto ovvia (ma non scontata) affermazione in senso opposto che il termine "diritti edificatori" non sarebbe altro che un sinonimo, magari più elegante, dei termini forse abusati "cubatura" e "volumetria".

Sarebbe troppo semplice in tale luce enfatizare l'endiade "comunque denominati" che segue le parole "diritti edificatori", per significare che l'accezione alla quale il legislatore si riferisce prescinde dal dato nominalistico, anche se evidente che è proprio il dato testuale già in prima lettura a condurre ad un'interpretazione diversa da quella che riconduce la fattispecie ad un nuovo diritto reale, tipico in quanto previsto proprio dalla nuova disposizione (art. 2643 n. 2-bis c.c.).

Va subito ricostruita la fattispecie alla luce dell'inciso del comma 3 dell'art. 5 della legge n. 106 del 2011: l'introduzione del meccanismo della pubblicità nei Registri immobiliari per il nuovo tipo di contratto tipizzato allo scopo di «garantire certezza nella circolazione dei diritti»; a tal fine, andranno trascritti tutti i contratti che trasferiscono, costituiscono o modificano i diritti edificatori comunque denominati, previsti da normative statali o regionali, ovvero da strumenti di pianificazione territoriale.

Deve, invece, essere ribadito - contrariamente all'opinione di coloro che in tale assunto vedono un limite della lettura che si preferisce - che è proprio lo studio della prospettiva storica a condurre alla qualificazione della volumetria quale bene: la trascrizione è, infatti, funzionale ad un meccanismo di circolazione che abbia il canone della certezza, principio che l'assenza di un intervento normativo rendeva e renderebbe, invece, estremamente difficoltoso; non si trattava, infatti, soltanto di ammettere semplicemente un tale ingresso per le operazioni di micropianificazione urbanistica, ricondotte ormai pacificamente, secondo lo schema maggioritario, alla servitù (altius non tollendi o inaedificandi), ma di trovare piuttosto delle soluzioni tecnico giuridiche che realizzassero tale obiettivo, indipendentemente dall'ambito generativo della cubatura; l'esigenza di regole sicure di circolazione è avvertita, insomma, non solo in relazione ad un'ipotesi di tipo tradizionale quale appunto è la micropianificazione urbanistica, ma anche in ipotesi in cui vi sia il ricorso a meccanismi perequativi, compensativi, incentivanti o, per rendere l'ipotesi ancor più complessa, di tipo misto. Inoltre, l'introduzione dell'obbligatorietà della trascrizione per la realizzazione degli effetti di cui all'art. 2644 c.c. in tutte le ipotesi di cessione di cubatura, quale sia la fonte o il contenuto di un tale bene, comunque siano essi denominati, consente di superare tutte le opinioni in ordine qualificazione delle operazioni di cubatura anteriori alla riforma, tale da consentire l'emersione pubblicitaria di tali atti.

Il ricorso a mere scritture private non autenticate, la semplice sottoscrizione di elaborato progettuali, o in altri casi l'adesione a convenzioni e la creazione di carthulae che inglobano siffatti diritti, nella prospettiva di una prossima cartolarizzazione, il tutto regolato non tanto o non solo da leggi regionali tra loro dissonanti e scarne norme nazionali, ma soprattutto da disposizioni di piani regolatori diversi da comune a comune o addirittura da da strumenti di pianificazione territoriale, non ben precisati e talora non chiare nella loro portata ed efficacia, rendeva la materia particolarmente delicata e permetteva l'espressione di una seria preoccupazione non solo da parte dei tecnici del settore e dei pratici del diritto, ma anche e soprattutto da parte della pubblica amministrazione che avrebbe perso contezza della identificazione soggettiva del soggetto titolare della fattispecie.

La capacità edificatoria di un lotto, espressa in termini di volumetria, rappresenta sempre di più, anche nel comune sentire e nelle previsioni normative delle regioni, un valore economico che costituisce esso stesso oggetto direttamente di attività negoziale tra privati.

La difficoltà maggiore nell'ammettere che la cubatura possa formare oggetto di diritti è, però, legata alla impossibilità di immaginare che lo spazio aereo connesso alla proprietà del suolo possa essere oggetto di diritti separatamente dalla proprietà del suolo [nota 91]. Quest'ultima è però ormai una prospettiva non solo sbagliata, ma anche superata dalle recenti evoluzioni del dato positivo.

Oggetto di diritti e, quindi, oggetto di trasferimento può essere solo la porzione di materia, la res corporalis, e lo spazio non è una cosa, bensì il mezzo in cui si trova l'oggetto del diritto [nota 92].

Essenziale è, tuttavia, sulla questione l'interpretazione dell'art. 810 c.c. che recita «sono beni le cose che possono formare oggetto di diritti» [nota 93]; tale disposizione offrirebbe un criterio di qualificazione solo per quei beni definibili cose.

Vi sono cose che non sono beni e non possono formare oggetto di diritti e beni che, d'altro canto, non sono cose [nota 94]. In realtà, il concetto di bene è più ampio del concetto di cosa, comprendendo non solo le cose materiali o corporali (tra le quali sono le energie), ma anche quelle entità immateriali o ideali che pur non essendo cose sono idonee a formare oggetto di diritti, per la soddisfazione degli interessi tutelati dal nostro ordinamento giuridico [nota 95].

La scelta normativa del legislatore del 1942 permette di attribuire al termine cosa il significato di porzione materiale o ideale, ma determinata del mondo esteriore che diviene bene in senso giuridico proprio nel momento in cui è idonea ad adempiere una certa funzione economica [nota 96].

Le cose per potere costituire oggetto di rapporti giuridici debbono essere beni: «ciò vuol dire che debbono essere utili, atte a soddisfare un bisogno umano, senza di che mancherebbe persino l'interesse giuridicamente tutelabile» [nota 97]; ed il bene costituisce, insomma, l'oggetto del diritto soggettivo [nota 98].

Resterebbe, comunque, da chiarire se, qualificata la cubatura come bene astrattamente idoneo a formare oggetto di diritto e quindi di per sé trasferibile, la situazione giuridica della quale formi oggetto possa essere ricondotta tra quelle reali o tra quelle personali [nota 99], rispetto al bene immobile [nota 100] al quale inerisce.

E' stato affermato [nota 101], anticipando con sensibilità una tendenza dai connotati all'epoca di redazione dello studio solo appena precisati, che pur non risultando difficoltoso verificare se riguardo alla fattispecie in esame sussistano astrattamente i presupposti per adattare «la disciplina civilistica dei beni o estendere ad essa la tutela delle situazioni proprietarie», in concreto l'utilizzabilità delle potenzialità edificatorie del fondo, se non è un bene in senso tecnico giuridico, è certamente almeno un'utilità oggettiva del lotto, in grado di avere un valore economico, magari anche notevole, espresso tecnicamente dal rapporto matematico ed ingegneristico tra i metri quadrati di superficie del lotto e i metri cubi di costruzione edificabili sul medesimo, in rappresentazione figurativa delle dimensioni che la futura costruzione dovrà avere.

Il rapporto matematico, insomma, è l'unità di misura della cubatura che in quanto tale è in sé stessa bene in senso giuridico e non esso stesso un sinonimo della volumetria [nota 102] ed il bene-cubatura, in quanto tale è un elemento idoneo a formare oggetto di diritto [nota 103].

Il segno dell'evoluzione del pensiero giuridico sul punto è però evidente, nell'ammettere che la cubatura, quale bene giuridico autonomo non urta, poi, con il principio del numero chiuso dei diritti reali, non costituendo essa stessa un diritto [nota 104], bensì un bene in sé, bene, dotato di una sua apprezzabilità economica, che può costituire oggetto di accordo tra privati ed in particolare oggetto di diritti reali [nota 105].

Secondo un'autorevole opinione [nota 106], «mentre il suolo è immobile per sé, la fabbrica è immobile in quanto costituisca accessorio del suolo»; i beni immobili sono, in altre parole, tali per effetto dell'accessione, in virtù di un legame che opera finché non venga sciolto. La qualità immobiliare discende dalla incorporazione naturale o artificiale rispetto al suolo e si verifica allorquando la cosa mobile «faccia corpo al suolo» e «si immedesimi con esso, formando un tutto inseparabile senza danno» [nota 107].

Il termine immobile, insomma, secondo tale impostazione, usato in senso proprio serve per distinguere una classe di beni, in senso improprio «vale solo ad indicare il rapporto di accessione tra una cosa e l'altra»: in senso improprio, insomma, alcune cose mobili sono immobili in relazione al loro rapporto con altre, proprio perché non si possono considerare disgiunte da queste [nota 108]. Il regime immobiliare trova applicazione solo in quanto queste cose siano in connessione con gli immobili veri e propri.

Un esempio può agevolare la comprensione.

Con riguardo agli alberi, essi sono dichiarati immobili per natura: l'esecuzione immobiliare sul fondo si estende agli alberi, mentre un'esecuzione separata su di essi non è possibile, perché danneggerebbe l'agricoltura [nota 109]. Quanto ai frutti, invece, pur essendo anch'essi immobili per natura è possibile l'esecuzione separata nella forma mobiliare. Essi stessi, ad esempio, possono formare oggetto di furto, reato che concerne evidentemente i beni mobili.

In realtà, la dottrina prevalente reputa che quando la legge detta in un caso per i mobili le disposizioni relative agli immobili in altro distingue nettamente o ancora quando in generale le disposizioni relative agli immobili vengono estese a certi mobili, questi agli effetti della legge sono beni mobili, atteso che «i beni sono mobili o immobili non tanto perché astrattamente considerati tali, ma quanto perché concretamente regolati in un modo o nell'altro» [nota 110]. I frutti in definitiva sono mobili per certi effetti e per altri effetti immobili, in funzione della previsione normativa.

Tali considerazioni possono agevolmente estese alla fattispecie in esame.

Si tratterebbe in specie nell'ipotesi della cubatura di un bene immateriale di origine immobiliare [nota 111], certamente lecito e possibile e comunque astrattamente dotato delle caratteristiche di cui all'art. 1346 c.c. e quindi determinato o determinabile [nota 112].

Nessun ostacolo si frapporrebbe, in tal caso, ad ammettere che la volumetria possa essere intesa quale bene autonomo in senso economico e di conseguenza costituire oggetto di diritto reali, qualsiasi forma e struttura abbia assunto il negozio; in una tale ottica, andrebbe, poi, distinta la circolazione del bene cubatura dalla sua fruizione: la prima, devoluta esclusivamente alla regolamentazione pattizia, la seconda, subordinata all'esito favorevole dell'attività provvedimentale della pubblica amministrazione [nota 113].

Ulteriore conferma di una siffatta soluzione è possibile rinvenire nella ricostruzione tecnico - giuridica di alcune fattispecie del tutto speculari seppur afferenti materie del tutto diverse, alle operazioni aventi ad oggetto i diritti edificatori.

Il primo esempio è offerto dalle c.d. quote latte: nel contesto della disciplina emanata in applicazione delle normativa comunitaria avente ad oggetto la regolazione le quote della produzione del latte bovino assegnate a ciascun produttore, la titolarità di essa compete al produttore nella sua qualità di conduttore dell'azienda agricola, salve diverse pattuizioni tra le parti (art. 10, comma 1 della legge 26 novembre 1992, n. 468); il secondo comma della stessa disposizione prevede poi che il conduttore possa cedere o affittare totalmente o parzialmente, anche per singole annate, la quota latte senza alienare l'azienda agricola, a condizione che l'azienda del produttore cessionario sia ubicata nella medesima regione e si trovi in un territorio della medesima categoria.

La quota latte è perciò un bene immateriale, incorporale, collegato all'azienda dell'allevatore quale elemento di essa, e non più al terreno. Si tratta, insomma, di un bene oggetto di una specifica tutela giuridica il diritto sul quale, esercitato dal rispettivo titolare, è ricostruito dalla giurisprudenza europea [nota 114] e costituzionale [nota 115] quale diritto di proprietà, che può essere dismesso in cambio di un'indennità o ceduto in tutto o in parte, definitivamente o temporaneamente a favore di un terzo in cambio di un certo prezzo.

Altra ipotesi è il c.d. diritto al reimpianto del vitigno [nota 116] che può esser trasferito a favore di altri viticoltori, con modalità autonome rispetto all'azienda di appartenenza originaria che siano determinate tra le parti convenzionalmente. Una tale fattispecie acquisisce in tal modo il rilievo oggettivo di un vero e proprio bene - nel significato di cui all'art. 810 c.c. - del tutto indipendente anch'esso rispetto al terreno di riferimento.

Ipotesi del tutto analoga è quella dei diritti/titoli all'aiuto, la cui disciplina frammentata [nota 117] prevede che l'agricoltore al quale tali quote sono assegnate in alternativa alla richiesta di pagamento possa trasferirle unicamente ad altro agricoltore stabilito nello stesso Stato membro [nota 118], «a titolo oneroso o mediante qualsiasi altro trasferimento definitivo, con o senza terra». Si tratta anche in questo caso di beni immateriali, sia pure collegati ad un bene immobile, secondo l'interpretazione preferibile [nota 119].

La dottrina, pur ricostruendo nei termini di volta in volta sopra ricordati, la fattispecie della cessione di volumetria, senza giungere, se non occasionalmente, a qualificare quale bene in sé la cubatura stessa ha, tuttavia, sempre dimostrato, nel tempo, un atteggiamento prudente, forse in più o meno consapevole attesa di un intervento normativo che fosse indice di un segnale di mutamento da parte del legislatore nazionale.

Il difetto di un elemento normativo nel panorama legislativo di qualsiasi rango ha indotto, poi, anche la dottrina più lungimirante al termine di un'approfondita analisi a discernere la circolazione del bene-cubatura, dalla sua concreta fruizione e dal suo godimento sottoposto in ogni caso alla valutazione amministrativa.

Secondo una recente impostazione [nota 120], inoltre, la circolazione del bene-cubatura, pur oggettificato dal punto di vista giuridico, deve essere distinta rispetto al godimento ed allo sfruttamento di essa sul lotto beneficiato dall'attribuzione, che in ogni caso è subordinata all'esito positivo dell'iter procedimentale per il rilascio del permesso di costruire.

Ebbene, siffatti diritti edificatori, pur costituendo la dimensione quantitativa dello ius aedificandi, assurgono oggi proprio a seguito dei ricordati interventi del legislatore ordinario, alla dignità di bene, inteso nel senso tecnico giuridico di cui all'art. 810 c.c. e possono costituire essi stessi oggetto di rapporti giuridici e del diritto soggettivo [nota 121].

La cubatura reificata consiste, insomma, in una chance ossia «una potenzialità di trasformazione in termini volumetrici del territorio» [nota 122], ed è bene in sé distinto dal bene finale (la costruzione), la cui prerogativa è la concreta possibilità di impiego della volumetria corrispondente, proprio in considerazione dell'elevato grado di rigore che anima la disciplina urbanistica ed edilizia. Né una tale segmentazione può condurre a escludere la cosificazione della cubatura.

Se nessun dubbio vi è infatti in ordine alla possibilità che un contratto possa avere ad oggetto un bene (rectius la proprietà di un bene) pur non essendo idoneo a produrre effetti reali immediati (come nelle ipotesi di trasferimenti sospensivamente condizionati o nelle diverse fattispecie di compravendite ad effetti reali differiti), invero nell'ipotesi della cessione di diritti edificatori il bene in questione è trasferito dal cedente e dal cessionario, indipendentemente, anzi a prescindere dal suo concreto, eventuale e futurante sfruttamento edificatorio, che potrà mancare non solo per decisione del soggetto titolare ma anche per un sopravvenuto intervento normativo.

La peculiarità della fattispecie è, dunque, evidente: le operazioni sulla volumetria si pongono sull'esatto confine tra diritto amministrativo e diritto civile, atteggiandosi la cubatura quale bene che può formare oggetto di diritti nei rapporti interprivatistici e contemporaneamente interesse legittimo nei confronti della pubblica amministrazione strettamente collegato al potere di pianificazione di quest'ultima.

Riemerge, allora, in modo prepotente la questione mai sopita del rilievo che per il giurista hanno le categorie ordinanti [nota 123].

La chance edificatoria - la cui lesione sul piano extracontrattuale è, peraltro, ormai perfettamente risarcibile - si può conformare, insomma, in modo diverso (quale rispettivamente diritto soggettivo ed interesse legittimo), in relazione al piano sul quale si opera [nota 124]: essa è, nei rapporti tra le parti private immediatamente efficace [nota 125] sia allorquando il trasferimento opera in volo, senza necessità di decollo o atterraggio oppure, come avviene, ad esempio, in materia di micropianificazione urbanistica o di perequazione, nelle quali i meccanismi di decollo e atterraggio sono ben definiti; assume, invece, almeno sino al tempo dell'avvenuto rilascio del titolo edilizio che ne costituisce lo scopo ultimo [nota 126], la veste di interesse legittimo nei confronti della pubblica amministrazione [nota 127].

Appare evidente, in una tale configurazione della fattispecie, il rilievo del profilo contrattuale e con esso il ruolo che il notaio deve svolgere, attesi i rischi che la circolazione di siffatta chance, reca proprio per i suoi chiari profili di indeterminatezza; l'atterraggio potrebbe essere, infatti, impedito, in concreto, dalla mancanza o dalla scarsità delle aree o ancora da sopravvenienze di tipo normative o addirittura di fatto.

Inoltre, qualora si aderisse alla impostazione [nota 128] secondo la quale l'oggetto immediato del rapporto contrattuale è costituito dall'interesse legittimo di tipo pretensivo sopra descritto, ne discenderebbe una effettiva imprescrittibilità che ha indotto un interprete a sollecitare uno specifico intervento normativo sul punto [nota 129].

E' preferibile, invece, ritenere che il regime della prescrizione operi in funzione della natura giuridica del diritto in gioco, in linea con la conformazione del rapporto giuridico effettuata dalle parti.

Il pregio della distinzione nella qualificazione della fattispecie tra diritto soggettivo (nei rapporti tra le parti, atteggiato a sua volta nei termini richiesti da ciascuna fattispecie) avente ad oggetto il bene cubatura ed interesse legittimo (nei riguardi della pubblica amministrazione), permette, allora, di realizzare anche lo scopo di porre accanto al chiaro richiamo allo strumentario del contrattualista nella predisposizione dell'atto negoziale, che curerà l'emersione dei profili di realità [nota 130], il riferimento evidente ai meccanismi di salvaguardia specifici della situazione giuridica lesa nei confronti dell'ente pubblico [nota 131].

Né è vero che la prospettiva storica non aiuta.

E' stato ricordato prima che la dottrina prevalente reputa che quando la legge detta in un caso per i mobili le disposizioni relative agli immobili in altro distingue nettamente o ancora quando in generale le disposizioni relative agli immobili vengono estese a certi mobili, questi agli effetti della legge sono beni mobili, atteso che «i beni sono mobili o immobili non tanto perché astrattamente considerati tali, ma quanto perché concretamente regolati in un modo o nell'altro» [nota 132].

Ebbene, anche nell'ipotesi di diritti edificatori in volo è proprio il legislatore ad aver affermato che le regole di circolazione seguono le norme dettate in tema di pubblicità immobiliare, ancorchè la cubatura svincolata dall'area o dal fondo che la ha prodotta, abbia appunto una natura mobiliare.

E', infatti, la legge a dettare le regole; ed è questa semplicemente la ragione per la quale era necessario chiarire legislativamente quale fosse la disciplina applicabile in concreto, restando in assenza di essa altrimenti un ampio margine di dubbio. Senza la norma, in conclusione, sarebbe difficile immaginare la trascrizione nei Registri immobiliari degli atti di trasferimento aventi ad oggetto la cubatura in volo.

La reificazione dei diritti edificatori (o della cubatura, volumetria o capacità edificatoria, che dir piaccia) costituisce insomma la soluzione più appagante dal punto di vista teorico, ma anche pratico [nota 133] ed economico [nota 134].

Restano in conclusione ancora alcune considerazioni di rilievo in ordine alle ulteriori difficoltà che la teoria della cubatura quale diritto reale non riesce ad offrire soluzioni condivisibili.

La cubatura in volo non può assumere una nuova fisionomia rispetto alla cubatura che circola immediatamente dal fondo sorgente al fondo di atterraggio; ed è inoltre difficilmente ipotizzabile un diritto reale a contenuto talmente lato da dover ogni volta essere necessariamente identificato e qualificato analiticamente. E' vero che il diritto di servitù coniuga la tipicità della genere con un ampio numero di specie, ma nell'ipotesi dei diritti edificatori la assunta salvaguardia del principio del numero chiuso dei diritti reali finirebbe per essere scardinata proprio in relazione alle innumerevoli tipologie di diritti edificatori ipotizzabili.

Inoltre, la qualificazione dei diritti edificatori quale ius in re aliena mal si concilia con le ipotesi di concentrazione o accorpamento di cubatura, nelle quali operazioni di micropianificazione la unisoggettività dei titolari è incompatibile con la necessaria alterità dei soggetti titolari. Eppure l'esigenza di una emersione pubblicitaria di tali fattispecie è stata di recente rilevata con forza dal Consiglio di Stato [nota 135]. L'ipotesi opposta richiamerebbe alla mente la distinzione operata dai glossatori tra usufrutto formale ed usufrutto causale: il primo corrisponde al diritto reale su cosa altrui e concorre con la proprietà (nuda) del bene stesso spettante ad altro soggetto; il secondo individua «le facoltà - corrispondenti al diritto di usufrutto - del proprietario sul proprio bene e troverebbe la sua causa nella proprietà del bene stesso» [nota 136]. Ebbene, una tale distinzione, funzionale all'assetto del diritto comune, non trova spazio negli ordinamenti moderni, come non trovava nel diritto romano nel quale l'usufrutto non può avere riguardo al godimento di cose proprie e si estingue se l'usufruttuario acquista la proprietà del bene che ne forma oggetto [nota 137].

Ciò nonostante è stato oggetto di discussione se il debitore pieno proprietario potesse ipotecare la sola facoltà di godimento che gli spetta quale proprietario a solo scopo di garanzia, riservandosi la proprietà per il tempo successivo ad un'eventuale attività di espropriazione che avesse dovuto subire, scindendo in tal modo l'usufrutto dalla proprietà (nuda). Solo a seguito dell'esecuzione forzata l'aggiudicatario godrà di un diritto di usufrutto formale e non causale. Anche una tale questione viene risolta negativamente poiché l'azione esecutiva garantita che si verrebbe a creare non solo non è legislativamente prevista, ma non può neppure essere devoluta all'iniziativa negoziale delle parti: il creditore, insomma, ben potrebbe espropriare un usufrutto formale, ma non un usufrutto causale [nota 138].

La questione si ripropone per le operazioni aventi ad oggetto la cubatura.

L'iscrizione di ipoteca su un fondo, ove i diritti edificatori siano qualificati come ius in re aliena, comporta l'impossibilità di esclusione dell'estensione di essa a questi ultimi; anzi non solo è inevitabile l'estensione dell'ipoteca ai diritti edificatori (non potendo in tale luce neppure essere ipotizzabili diritti edificatori per così dire causali), ma non sarebbe neppure ipotizzabile la cancellazione dell'ipoteca dai diritti edificatori, manente l'unicità del soggetto titolare del diritto di proprietà del fondo e dei diritti edificatori stessi.

La questione potrà essere affrontata diversamente ove si acceda alla diversa ricostruzione che qui si accoglie.

L'art. 2811 recita che l'ipoteca si estende ai miglioramenti, alle costruzioni e alle altre accessioni dell'immobile ipotecato, salve le eccezioni stabilite dalla legge. L'interpretazione estensiva della disposizione permette di applicarla anche all'ipotesi in cui il disponente voglia applicarla ai diritti edificatori.

Tutta tale disciplina è derogabile pacificamente [nota 139] con atti di autonomia privata. E' infatti pacificamente lecito il patto che limiti o escluda l'estensione dell'ipoteca a tutti gli accessori o ad una categoria di essi o a un singolo bene; un tale patto può essere coevo alla costituzione dell'ipoteca o anche successivo ed è configurato come una rinuncia parziale all'ipoteca quanto a capacità forma ed opponibilità.

Nessun dubbio insomma che una siffatta pattuizione possa riguardare anche i diritti edificatori. Va però prestata attenzione nell'ipotesi in cui l'ipoteca sull'area di partenza sia iscritta prima della trascrizione della cessione dei diritti edificatori, con conseguente evidente prevalenza della prima sulla seconda.

Se è corretta una tale ricostruzione potrà anche ipotizzarsi una restrizione di ipoteca, che liberi i diritti edificatori dalla garanzia reale che ad essi si è estesa; un tale orientamento pare ammesso nelle prime applicazioni pratiche dell'Agenzia del territorio, del tutto ingiustificabile laddove si qualifichi appunto la fattispecie quale ius in re aliena.

Resta di tutta evidenza la difficoltà del compito devoluto all'operatore contrattuale, chiamato a dipanare una matassa tecnico giuridica che diviene vieppiù complessa ove si pone mente alla sempre più mobile frontiera dei diritti reali [nota 140].

Una tale ricostruzione opererebbe, però, chiaramente in funzione limitativa del contenzioso, atteso che ciascuno dei profili della fattispecie sarebbe soggetto alla propria disciplina ed, in particolare, ai meccanismi di tutela propri di essa, ordinaria o amministrativa. E la salvaguardia sarebbe vieppiù maggiore quanto più ampio è l'ambito di atterraggio di siffatti diritti, come nell'ipotesi della c.d. perequazione estesa [nota 141].

La omogeneità degli stessi dal punto di vista del genus e la tipizzazione di diverse species

Le tipologie di diritti edificatori non possono essere accomunate in unica specie.

L'attuale testo del n. 2-bis dell'art. 2643 c.c. concerne infatti i contratti che trasferiscono, costituiscono o modificano i diritti edificatori comunque denominati, previsti da normative statali o regionali, ovvero da strumenti di pianificazione territoriale [nota 142]. Gli atti aventi ad oggetto la costituzione, il trasferimento o la modificazione dei diritti edificatori, quale sia il loro nomer iuris devono essere trascritti.

Si tratta di ipotesi aventi una diversa fonte (non solo legislativa statale o regionale, ma spesso, semplicemente derivante da norme comunali di piano), alla quale è necessario fare un immediato riferimento per potere regolare al meglio contrattualmente i rapporti tra le parti e conseguentemente tra costoro e la pubblica amministrazione, limitando i rischi di un contenzioso che potrebbero discendere dalla difettosa qualificazione della fattispecie.

Vengono quoad effectum in definitiva accomunate ipotesi diverse in ordine alla fonte dalla quale promanano; vanno trascritti infatti i contratti che trasferiscono diritti edificatori comunque denominati nelle normative regionali e nei conseguenti strumenti di pianificazione territoriale; in sede di conversione del decreto legge è stato soppresso l'inciso «nonché nelle convenzioni urbanistiche ad essi relative».

Mancava nel testo originario del decreto il riferimento alle normative statali nella indicazione della disposizione oggi vigente, introdotto in sede di conversione; è evidente però che ben la norma avrebbe potuto essere completa anche se il tenore di essa fosse stato semplicemente «vanno trascritti infatti i contratti che trasferiscono diritti edificatori comunque denominati».

In senso inverso, del tutto ultroneo appariva il riferimento alle convenzioni urbanistiche, che difficilmente costituiscono la fonte prima dalla quale i diritti edificatori promanano. Più corretto sarebbe stato il riferimento agli strumenti urbanistici comunali nonché dai conseguenti strumenti di pianificazione territoriale. Del tutto condivisibile appare allora la soluzione adottata.

La disposizione ha riguardo alla trascrizione dei contratti traslativi dei diritti edificatori, ma tralasciava qualsiasi riferimento alle fattispecie modificative e costitutive degli stessi.

A prima lettura potrebbe sembrare una svista del legislatore. Può invece esprimersi una considerazione di segno opposto.

Ebbene, certamente con riguardo alle prime può agevolmente sostenersi che la modificazione operata dalla pubblica amministrazione del contenuto del diritto edificatorio come conformato in origine dalla fonte dalla quale promana è frutto dell'azione esclusiva dell'attività urbanistica comunale, non potendo in alcun modo su di esso incidere la condotta delle parti.

Di tale evenienza se ne dovrà tenere conto nella modulazione delle garanzie contrattuali allo scopo di predeterminare il reale impatto di tali alterazioni sul rapporto sinallagmatico. E' stato osservato prima che la distinzione nella qualificazione della fattispecie tra diritto soggettivo (nei rapporti tra le parti, atteggiato a sua volta nei termini richiesti da ciascuna fattispecie) ed interesse legittimo (nei riguardi della pubblica amministrazione), permette, allora, di realizzare anche lo scopo di porre accanto al chiaro richiamo allo strumentario del contrattualista nella predisposizione dell'atto negoziale, che curerà l'emersione dei profili di realità [nota 143], il riferimento evidente ai meccanismi di salvaguardia specifici della situazione giuridica lesa nei confronti dell'ente pubblico.

In tale luce, qualsiasi variazione contenutistica dei diritti edificatori, qualunque ne sia la loro origine, non può trovare emersione dai Registri immobiliari, avendo una colorazione squisitamente urbanistica.

Ciò che rileva dal punto di vista della pubblicità immobiliare sono evidentemente le vicende concernenti il trasferimento di siffatti beni e non i provvedimenti amministrativi che li conformano.

Le vicende che riguardano i permessi di costruire, dal rilascio all'eventuale ritiro in autotutela all'annullamento non possono avere emersione pubblicitaria presso i registri dell'Agenzia del territorio, ma solo evidentemente le vicende dei diritti reali sugli immobili realizzati in forza di essi.

Allo stesso modo, nessun rilievo pubblicitario possono avere le vicende inerenti il contenuto del diritto edificatorio. In questo senso, allora la vicenda estrema dell'estinzione del diritto edificatorio per effetto di successivi provvedimenti amministrativi non ha nessun rilievo pubblicitario, pur avendo grande rilevanza urbanistica e contrattuale in relazione alla caducazione del contratto stesso.

Del pari, per le stesse ragioni nessun rilievo pubblicitario è necessario che abbia l'evento costitutivo del diritto edificatorio.

Resta impregiudicata la possibilità di costituire diritti reali parziali su tali beni. Se il bene dal quale promana il diritto edificatorio che viene ceduto è gravato di usufrutto (di qualsivogli durata temporale), nell'atto di cessione dovranno intervenire nel loro rispettivo titolo usufruttuario e nudo proprietario; ed allora perché proprio in considerazione della natura di bene dei diritti edificatori non immaginare anche un acquisto da parte di aventi causa che abbia la medesima connotazione tecnica.

Alcune di tali questioni trovano espressione nell'emendamento n. 5.47 [nota 144] (primo firmatario Morassut) che propone un nuovo testo dell'art. 2643 n. 2-bis c.c. del seguente letterale tenore: «vanno trascritti infatti i contratti che trasferiscono costituiscono o modificano i diritti edificatori comunque denominati, previsti da normative statali o regionali o da strumenti di pianificazione territoriale» ed un art. 2645-quater c.c. in virtù del quale si imponga la trascrizione degli atti anche unilaterali aventi ad oggetto beni immobili (siano essi convenzioni o contratti) con i quali vengono costituiti a favore dello Stato delle regioni o degli altri enti pubblici territoriali ovvero degli enti svolgenti un servizio di interesse pubblico vincoli di uso pubblico e comunque ogni altro vincolo a qualsiasi altro fine richiesto dalle normative statali e regionali, dagli strumenti urbanistici comunali nonché dai conseguenti strumenti di pianificazione territoriale e dalle convenzioni urbanistiche ad essi relative.

Tale ultima disposizione proposta chiarisce i limiti dell'impiego dell'atto di destinazione in materia urbanistica, che numerose critiche ha trovato, soprattutto in considerazione della presenza di un termine novantennale di efficacia del vincolo.

La emersione pubblicitaria dai Registri immobiliari quale condizione di opponibilità e di regola dei conflitti

L'inserimento dei contratti che trasferiscono diritti edificatori comunque denominati tra gli atti che si devono rendere pubblici col mezzo della trascrizione reca in sé anche l'applicazione della disciplina di cui all'art. 2644 c.c. che statuisce il c.d. effetto di prevalenza; gli atti di cui all'art. 2643 c.c. non hanno effetti riguardo ai terzi che a qualunque titolo hanno acquistato diritti sugli immobili in base ad un atto trascritto o iscritto anteriormente alla trascrizione dei medesimi. E' pertanto conseguente che seguita la trascrizione non può avere effetto contro colui che ha trascritto alcuna trascrizione o iscrizione di diritti acquistati verso il suo autore, quantunque l'acquisto risalga a data anteriore.

La disposizione si riferisce poi non solo ai conflitti tra più atti aventi ad oggetto il trasferimento di diritti edificatori (come nell'ipotesi della c.d. doppia alienazione, con conseguente configurazione della responsabilità contrattuale del secondo acquirente primo trascrivente), ma anche al caso in cui il conflitto sorga con diritti reali minori; si pensi all'ipotesi di concessione dell'ipoteca a garanzia di un mutuo iscritta anteriormente alla trascrizione di un contratto di cessione di volumetria ai sensi del citato n. 2-bis dell'art. 2643 c.c. o alla concessione di diritti reali minori che possono incidere - sia pure astrattamente - sulla legittimazione alla cessione della cubatura medesima.

Non parrebbe che possano trovare emersione pubblicitaria, invece, i contratti preliminari di trasferimento della volumetria, ad una prima lettura. Il contratto preliminare, pur preordinato ad un mutamento della titolarità di un immobile, importa invero semplicemente la costituzione di un'obbligazione di trasferire ed ha pertanto natura squisitamente obbligatoria.

L'art. 2645-bis c.c. dispone che possono essere trascritti solo i contratti preliminari aventi ad oggetto la conclusione di taluno dei contratti di cui ai numeri 1, 2, 3, e 4, dell'art. 2643 c.c. anche se sottoposti a condizione o relativi ad edifici da costruire o in corso di costruzione; la preclusione della tassativa enunciazione numerica nell'incipit della disposizione non può essere neppur superata mediante il richiamo alla disciplina degli immobili da costruire, attesa l'assoluta inconferenza del richiamo con la materia dei diritti edificatori.

Si tratta piuttosto di un banale difettoso coordinamento dispositivo, che in concreto non inibisce ovviamente la stipulazione dei contratti preliminari di trasferimento della cubatura; sembrerebbe tuttavia contraddittoria una siffatta interpretazione ed in contrasto con una previsione normativa che tipizza il contratto di cessione di cubatura, ma che nel contempo inibisce esclusivamente la loro emersione pubblicitaria.

E' preferibile allora un'interpretazione favorevole all'estensione al preliminare avente ad oggetto un obbligo di cedere la cubatura la possibilità di accesso ai Registri immobiliari.

L'art. 2650 c.c. dispone poi che nelle ipotesi in cui un atto di acquisto è soggetto a trascrizione come nell'ipotesi dei contratti avento ad oggetto il trasferimento della cubatura, le successive trascrizioni od iscrizioni a carico dell'acquirente non producono effetto se non è stato trascritto l'atto anteriore di acquisto e che quando siffatto atto è trascritto le successive iscrizioni e trascrizioni producono effetto secondo il loro ordine rispettivo. L'inefficacia delle trascrizioni ed iscrizioni in difetto di continuità è solo temporanea atteso che esse riprendono vigore ed efficacia secondo il loro ordine rispettivo quando eseguita la trascrizione del passaggio omesso sia stata ripristinata la continuità.

Il principio di continuità delle trascrizioni deve insomma essere letto in relazione al principio di prevenzione di cui all'art. 2644 c.c., in modo da assicurare la completezza delle risultanze dei Registri immobiliari, consentendo di determinare la consecuzione temporale dei diversi titolari sino all'originario dal quale la circolazione dei diritti edificatori promana.

E' però evidente che nell'ipotesi dei diritti edificatori la continuità è assicurata a far data dalla trascrizione del primo atto di trasferimento della cubatura non essendo per nulla necessaria l'emersione dai Registri immobiliari di qualsivoglia atto della pubblica amministrazione dal quale sia promanata la nuova volumetria o più in generale la volumetria ceduta.

Un tale meccanismo salvaguarda insomma la corretta circolazione delle volumetrie nei rapporti tra le parti.

Appare invero poi paradossale il mancato richiamo dell'art. 2651 c.c. (sotto la rubrica "Trascrizione di sentenze") alla impossibilità di trascrivere le sentenze civili che concernano il trasferimento dei diritti edificatori. Si tratta anche in questa ipotesi di un mero difettoso coordinamento delle nuove disposizioni.

Non pare che invece sussistano dei limiti in ordine alla trascrizione delle domande giudiziali; devono infatti essere trascritte le domande giudiziali esattamente indicate all'art. 2652 c.c. e nell'art. 2653 c.c. qualora abbiano ad oggetto le fattispecie di cui all'art. 2643 c.c. e tra esse i diritti edificatori.

La chiara ammissibilità di atti dispositivi di tali beni

La disciplina del rapporto convenzionale avente ad oggetto diritti sulla volumetria risente inevitabilmente della soluzione e più in particolare della configurazione specifica a monte alla quale si accede.

L'art. 5 del D.l. 13 maggio 2011, n. 70, come convertito nella legge 12 luglio 2011, n. 106 come prevede al comma primo lettera c, la tipizzazione di un nuovo schema contrattuale diffuso nella prassi, denominato "cessione di cubatura" che deve essere reso pubblico con il mezzo della trascrizione a norma dell'art. 2643 c.c.

Atteso tale presupposto, indipendentemente dall'anlisi in ordine alla natura giuridica della fattispecie, non si può prescindere dalla forma scritta ad substantiam: solo l'atto pubblico o la scrittura privata autenticata permettono, secondo le regole codicistiche, l'accesso ai Registri immobiliari ed assicurano in tal modo l'adempimento delle condizioni idonee per la pubblicità del negozio stipulato.

L'interprete deve poi indicare altri elementi ricostruttivi che la norma molto scarna non offre. Negli atti deve certamente essere definito l'oggetto, che deve avere i requisiti di cui all'art. 1346 c.c.: oltre alla possibilità e liceità esso deve essere determinato o determinabile, in modo da escludere incertezze che possano derivare dalla sua definizione, anche attraverso meccanismi di tipo relazionale.

La volumetria generata è poi un bene presente, spendibile concretamente in seguito mediante la realizzazione dell'opera a cubatura maggiorata, ma non certo un bene futuro di cui all'art. 1348 c.c.

Tali negozi possono, allora, avere carattere gratuito o liberale (richiedendo il rispetto dei requisiti legali in ipotesi in cui si configuri una donazione vera e propria) [nota 145] o oneroso.

In particolare sul punto, se la cubatura costituisce un bene, del tutto attuale, economicamente apprezzabile immediatamente dal suo titolare, indipendentemente dall'atterraggio futuro sul fondo di destinazione, non vi è ostacolo alcuno alla possibilità che la volumetria possa formare oggetto di negozi gratuiti o liberali non trovando evidentemente alcuna applicazione il divieto di cui all'art. 771 c.c. in materia di donazione di beni futuri.

E' stata ipotizzata [nota 146], poi, la possibilità di configurare accanto alla usuale vendita, una permuta (anche di bene presente con bene futuro) [nota 147], o una datio in solutum , ma anche una cessione a terzi dell'area sorgente con riserva al cedente dei diritti edificatori.

Può ipotizzarsi invero il ricorso alla vendita con riserva di proprietà di cui all'art. 1523 c.c.; tale norma dispone che nella vendita a rate il venditore può riservarsi la proprietà del bene sino all'integrale pagamento del prezzo, benché il bene venga immediatamente consegnato al venditore [nota 148]. Si tratta, insomma, sotto il profilo squisitamente economico di un istituto che assolve ad una funzione di finanziamento e di incentivazione degli affari, a fronte della quale la riserva di proprietà salvaguarda il venditore dai rischi di inadempimenti ed abusi dell'acquirente [nota 149].

Sebbene la norma non faccia espresso riferimento ai beni immobili, non sorge alcun dubbio in ordine alla possibilità che tali diritti possano formarne oggetto sia in considerazione del rinvio generico al termine cessione nel ricordato art. 5, sia in virtù dell'impiego nella ricordata disposizione del termine "cosa", sia ancora in forza del generale principio dell'autonomia contrattuale.

E' del pari ipotizzabile la cessione di diritti edificatori totalmente o parzialmente altrui.

La reificazione dei diritti edificatori permette agevolmente di ammettere anche un conferimento in società sia in fase costitutiva [nota 150], sia in fase di aumento di capitale [nota 151] non solo di una società a responsabilità limitata, trattandosi indubbiamente a norma dell'art. 2464 c.c. di elementi dell'attivo suscettibili di valutazione economica, ma anche di una società per azioni appunto in quanto bene.

In tutte le ipotesi comunque convenzionalmente configurate ed ipotizzate, sarà poi fortemente opportuno il ricorso a meccanismi di regolazione dell'evizione o anche di tipo condizionale, ad eccezione della permuta in occasione della quale l'elemento accidentale della condizione diviene addirittura necessario ed imprescindibile [nota 152].

Ed ancora i diritti edificatori possono essere oggetto di apposita disposizione testamentaria, anche di tipo divisionale. E' immaginabile che possano formare oggetto di accordi diretti alla reintegra dei diritti del legittimario leso o pretermesso.

Non può essere costituita sui diritti edificatori un'ipoteca per la difettosa previsione dell'art. 2810 c.c.

Mediante l'atto di divisione più soggetti partecipanti ad una comunione pongono fine ad essa, ottenendo in via esclusiva la titolarità di alcuni beni già comuni in misura corrispondente al valore della quota a ciascuno di essi spettante. E' ipotizzabile, in via esemplificativa, non solo una divisione tra i contitolari della volumetria sviluppata da un lotto in occasione della cessione volontaria di esso al comune, destinata ad atterrare in lotti già in proprietà divisa dei condividenti, ma anche divisioni nelle quali l'apporzionamento delle quote venga effettuato mediante assegnazioni di volumetria ad alcuni condividenti e di beni (mobili o immobili) ad altri ed ancora assegnazioni di cubatura ad uno dei condividenti con conguagli in danaro agli altri.

Conclusioni

Per paesaggio si intende il territorio espressivo di identità, il cui carattere deriva dall'azione di fattori naturali, umani e dalle loro interrelazioni. Secondo il comma 5 dell'art. 131 del codice dei beni culturali «la valorizzazione del paesaggio concorre a promuovere lo sviluppo della cultura» [nota 153].

Ebbene, anche il territorio è un valore che gli enti preposti devono spendere con parsimonia nell'interesse collettivo.

La valorizzazione di entrambi deve essere attuata nel rispetto rigoroso delle esigenze della loro tutela e salvaguardia.

L'introduzione di regole certe che governano i diritti edificatori e la circolazione di essi è allora ormai un'esigenza non ulteriormente differibile.

Per troppo tempo le società restano inchinate a quello che John Maynard Keines chiamava l'incubo del contabile e cioè il pregiudizio secondo cui nulla si può fare, se non comporta frutti economici immediati [nota 154].

La definitiva regolamentazione delle operazioni aventi ad oggetto il trasferimento di cubatura nella linea indicata dall'art. 5 del Decreto Sviluppo non costituisce in definitiva un costo economico che aggrava la circolazione di tali beni e conseguentemente un costo sociale, ma un vantaggio collettivo proprio per la maggiore certezza che ad esse attribuisce sia in termini di garanzia in ordine alla loro titolarità sia in ordine alla conformazione alle esigenze ed agli interessi dei soggetti in gioco, in virtù dell'autonomia privata; ed il ruolo giocato dal notaio sarà in questa luce essenziale.


[nota *] La relazione tiene in conto le modifiche apportate dalla legge di conversione 12 luglio 2011, n. 106, rubricata: "Semestre europeo - Prime disposizioni urgenti per l'economia" pubblicata sulla Gazzetta ufficiale n. 160 del 12 luglio 2011 ed è l'aggiornata rielaborazione del mio contributo «Dalla cessione di cubatura alle operazioni sui crediti di cubatura: evoluzione o mutazione del diritto» in Studi e Materiali, 2011, n. 2 p. 339-438.

[nota 1] Tale disposizione recita nel testo come ulteriormente modificato a seguito del testo unico dell'edilizia «1.Nei comuni dotati di piano regolatore generale o di programma di fabbricazione, nelle zone in cui siano consentite costruzioni per volumi superiori a tre metri cubi per metro quadrato di area edificabile ovvero siano consentite altezze superiori a metri 25 non possono essere realizzati edifici con volumi ed altezze superiori a detti limiti se non previa approvazione di apposito piano particolareggiato o lottizzazione convenzionata estesi all'intera zona e contenenti disposizione planovolumetrica degli edifici previsti nella zona stessa. 2. In tutti i comuni, ai fini della formazione di strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, debbono essere osservati limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza tra i fabbricati, nonché rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi. 3. I limiti e i rapporti previsti dal precedente comma sono definiti per zone territoriali omogenee, con decreto del Ministro per i lavori pubblici di concerto con quello per l'interno, sentito il Consiglio superiore dei lavori pubblici. In sede di prima applicazione della presente legge, tale decreto viene emanato entro sei mesi dall'entrata in vigore della medesima».

[nota 2] L'espressione di A. GAMBARO, La proprietà edilizia, in Tratt. dir. civ. diretto da P. Rescigno, VII, Torino 1982, p. 527, è poi ripetuta dall'Autore in Il diritto di proprietà, in Tratt. dir. civ. e comm. a cura di A. Cicu e F. Messineo Milano 1995, p. 309.

[nota 3] Sulla cessione di cubatura tra i tanti si ricordano i contributi di A. CANDIAN, Trasferimento di cubatura, in Dig. disc. priv., sez. priv. (aggiornamento), Torino, 2000, p. 735; A. CECCHERINI, «Funzione ed efficacia della cessione di cubatura», in Giust. civ., 1990, II, p. 103; ID., «Asservimento di area edificabile e cessione di cubatura», in Nuova giur. civ. comm., 2009, p. 557; S. CERVELLI, I diritti reali, Milano, 2001, p. 65-67; N.A. CIMMINO, «La cessione di cubatura nel diritto civile», in Riv. not., 2003, p. 1113; R. CONTI, La proprietà e i diritti reali minori, Milano, 2009, p. 413; C. FRANCO, «Appunti sulla c.d. cessione di cubatura», in Vita not., 1997 p. CXC; A. GAMBARO, La proprietà edilizia, cit., p. 527, ID., Il diritto di proprietà, cit. p. 309; F. GAZZONI, La trascrizione immobiliare, tomo I, artt. 2643-2644, in Il codice civile comm. diretto da P. Schlesinger, Milano, 1991, p. 655 e ss.; F. GERBO I diritti immobiliari di godimento su cosa altrui, Milano, 2001, p. 246; ID., «La cessione di volumetria», in Il Notaro, 1998, p. 105; N. GRASSANO, «La cessione di cubatura nel processo conformativo della proprietà edilizia privata», in Riv. not., 1992, p. 1070 (ed in Giur. it., 1990, I, c. 383); A. IANNELLI, «La cessione di cubatura e i così detti atti di asservimento», in Giur. mer., 1977, IV p. 740; M. LANGELLA, «Brevi cenni in tema di cessione di cubatura», in Vita not., 2007, p. 428; M. LEO, «Il trasferimento di cubatura», in Studi e materiali, VI, t. 2, 1998-2000, p. 669; ID., voce Trasferimento di volumetria, del Dizionario enciclopedico del Notariato, Roma, 2002, vol. V, p. 710; M. LIBERTINI, «Sui trasferimenti di cubatura», in Contr. e impr., 1991, p. 73; ID., Sui trasferimenti di cubatura, in I contratti del commercio, dell'industria e del mercato finanziario diretto da F. Galgano, tomo 3, Torino, 1995, p. 2253; M. MARE', «Natura e funzione dell'atto d'obbligo nell'ambito del procedimento di imposizione di vincoli di destinazione urbanistica», in Riv. not., 1990, p. 1347; M.A. MAZZOLA, Le servitù, in Proprietà e diritti reali a cura di G. Cassano, Padova, 2007, tomo II, p. 1815; F. PATTI - F. RUSSO, «La cessione di cubatura tra diritto privato e diritto pubblico», in Vita not., 2001, p. 1675; S. SCARLATELLI, «La c.d. cessione di cubatura, problemi e prospettive», in Giust. civ., 1995, II, p. 287; R. TRIOLA, «La "cessione di cubatura": Natura giuridica e regime fiscale», in Riv. not., 1974, p. 115; P.L. TROJANI, «Tipicità e numerus clausus dei diritti reali e cessione di cubatura. Lo stato della dottrina e della giurisprudenza ed una ipotesi ricostruttiva originale», in Vita not., 1990, p. 285; G. VIOTTI, «Vincoli di destinazione convenzionali e loro efficacia nei confronti degli enti pubblici», in Vita not., 2001, p. 148, nota a Corte App. Ancona 19 giugno 1999. Per le monografie si rinvia a G. CECCHERINI, Il c.d. trasferimento di cubatura, Milano, 1985; A. CANDIAN, Il contratto di trasferimento di volumetria, Milano, 1994; S.G. SELVAROLO, Il negozio di cessione di cubatura, Napoli, 1989; C.T. SILLANI, I limiti verticali della proprietà fondiaria, Milano, 1994, p. 575. Per comodità di lettura si segnala che in tutti i richiami alle opere precedenti all'entrata in vigore del testo unico dell'edilizia i richiami al permesso di costruire si intendono fatti dal rispettivo Autore alla licenza edilizia o alla concessione edilizia (salvo espresso riferimento in contrario). Deve poi essere richiamato l'originale ed interessante contributo di A. FUSARO, La determinazione convenzionale circa l'uso dei beni immobili nel diritto inglese e nel diritto italiano, Genova, 2002, ricevuto per la consueta cortesia dell'Autore.
Sia consentito un riferimento ai miei contributi, «Dalla cessione di cubatura», cit. p. 339-438, alla relazione «Dalla cessione di cubatura al credito di cubatura: evoluzione o mutazione del diritto», in Attualità e problematiche in materia di contratti e diritti reali - Atti del Convegno di Savelletri di Fasano (Brindisi 18-19 giugno 2010), ed. Viverein, 2011, p. 143-150, ed al breve studio «Cessione di cubatura e legge regionale dell'Emilia Romagna. Fattispecie particolare», in Studi e materiali, 2011, 2, p. 602.

[nota 4] F. GAZZONI, La trascrizione immobiliare, cit., p. 655 ricorda che "talvolta" la cessione di cubatura trae origine dalla espressa previsione nei piani regolatori (per tutti quello della città di Torino, approvato con D.P.R. 6 ottobre 1959, art. 6); M. LEO, «Il trasferimento di cubatura», cit., p. 669 e ss. ritiene invece che «il trasferimento di cubatura è un'operazione giuridica ed economica in grado di esprimere una indubbia utilità sociale e non solo nell'ipotesi in cui il Prg lo preveda espressamente». Secondo F. PATTI - F. RUSSO, op. cit., p. 1689 e ss. sono possibili quattro diverse ipotesi in ordine all'atteggiamento del comune in relazione alla cessione di volumetria; in particolare il comune potrà: a) prevedere, ammettere e regolare espressamente la fattispecie della cessione di volumetria; b) negare espressamente l'ammissibilità del trasferimento di volumetria; c) prevedere la cessione di cubatura in particolari casi soltanto e previa espressa autorizzazione; d) non prevedere nulla in relazione alla fattispecie de qua. In tale ultima ipotesi, che ad avviso degli Autori, è la più ricorrente, è del tutto legittimo lo strumento della cessione di cubatura allo scopo di trasferire la volumetria da «un'area contigua a quella direttamente interessata dalla costruzione (Cons. Stato, sez. V, 8 settembre 1983, n. 366, citato dagli Autori stessi senza altri riferimenti)». Il permesso di costruire sarà allora rapportato alla volumetria disponibile pari a quella sviluppata dall'immobile sul quale sorgerà il manufatto e quella acquisita a seguito di cessioni di cubatura. Nello stesso senso, A. GAMBARO, Il diritto di proprietà, cit., p. 312, il quale ricorda che le cessioni di volumetria prescindono da una previsione di piano espressa, atteso che essi svolgono una funzione utile maggiormente proprio nelle zone non disciplinate da alcuno strumento urbanistico. Si segnala di recente AA.VV., Della trascrizione, in Comm. cod. civ. a cura di P. Cendon, Milano, 2009 che dedica un intero capitolo alla questione della cessione di cubatura.

[nota 5] A differenza di quanto accade nella disciplina dei crediti di cubatura, nei quali, invece, è proprio la condotta collaborativa a generare un premio consistente esattamente nell'incremento dell'indice di cubatura dell'area appartenente al soggetto stesso.

[nota 6] N.A. CIMMINO, op. cit., p. 1113, il quale afferma che per inedificabilità, totale o parziale, a seguito della cessione di volumetria, «si intende non solo l'impossibilità a costruire sull'area, ma anche l'impossibilità che l'area stessa venga nuovamente presa in considerazione ai fini del calcolo della volumetria per il rilascio di una nuova concessione edilizia».

[nota 7] L'espressione è di N. GRASSANO, op. cit., p. 1070.

[nota 8] M. LEO, «Il trasferimento di cubatura», cit., p. 669 e ss. il quale afferma che «l'attività sulle aree è consentita solo se a disposizione del costruttore vi sia un'area con la superficie minima idonea a contenere una determinata volumetria».

[nota 9] Il riferimento è naturalmente alla legge urbanistica del 17 agosto 1942, n. 1150. In particolare sull'evoluzione dello zoning, M. MIGLIORANZA «Le funzioni delle zone e degli edifici: individuazione e conseguenze», in Riv. giur. ed., 2005, p. 245.

[nota 10] Sulla questione, E. BOSCOLO, «Le perequazioni e le compensazioni», relazione pubblicata in Atti del Convegno organizzato dalla società Paradigma tenuto nel mese di marzo 2009 in Milano e nel mese di aprile 2009 in Roma. Inoltre, A. BARTOLINI, «I diritti edificatori in funzione premiale (le c.d. premialità edilizie)» (pubblicato anche in Giust. amm. 2008, n. 4, p. 163); E. MICELLI, «La perequazione urbanistica in alcune esperienze di piani e progetti» (slide); A. QUAGLIA, «Gli strumenti di concertazione pubblico-privato nelle politiche di rinnovamento urbano»; G. RIZZI, «I crediti edilizi: l'esperienza della legge Regione Veneto n. 11 del 2004»; P. URBANI, «La perequazione tra ipotesi di riforma nazionale e leggi regionali», relazioni pubblicate tutte negli atti del Convegno organizzato dalla società Paradigma nel mese di febbraio 2009 in Milano. I riferimenti ai contributi appena citati si intendono fatti alle pagine del rispettivo dattiloscritto pubblicato, ad eccezione del saggio di A. Bartolini, per il quale varranno i richiami al testo pubblicato in Giustizia Amministrativa. Sulla questione dei crediti di volumetria diffusamente altresì, A. BARTOLINI, «Profili giuridici del c.d. credito di volumetria», in Riv. giur. urb., 2007, p. 302; P. MARZARO GAMBA, «Credito edilizio compensazione e potere di pianificazione. Il caso della legge urbanistica veneta», in Riv. giur. urb., 2005, p. 644; P. URBANI, «Conformazione della proprietà diritti edificatori e moduli di destinazione d'uso dei suoli», in Urb. e app., 2006, p. 905. Sul tema della perequazione, E. BOSCOLO, «Una conferma urbanistica (e qualche novità legislativa) in tema di perequazione urbanistica», in Riv. giur. ed., 2003, 3, p. 823; S. DE PAOLIS, «Pianificazione di dettaglio e perequazione», in Riv. giur. ed., 2008, p. 527; P. STELLA RICHTER, «La perequazione urbanistica», in Riv. giur. ed., 2005, p. 169; P. URBANI, «La perequazione tra ipotesi di riforma nazionale e leggi regionali», in www.pausania.it/files /perequazione.
Si rinvia per un inquadramento generale delle fattispecie in esame a N. ASSINI, Pianificazione urbanistica e governo del territorio, Padova, 2000, p. 148 e ss.; N. CENTOFANTI, Diritto urbanistico, Padova, 2008; E. MICELLI, Perequazione urbanistica, Marsilio, 2004; P. URBANI, Urbanistica consensuale, Bollati Boringhieri, 2000; AA.VV., Urbanistica e perequazione a cura di S. Carbonara e C.M. Torre, Franco Angeli 2008.
In tema di lettura della fattispecie dal punto di vista fiscale A. PISCHETOLA, «Utilizzo di volumetria perequativa e ipotesi di applicabilità delle agevolazioni ex legge n. 10 del 1977», in Studi e materiali, 2006, 1, p. 556.

[nota 11] E. BOSCOLO, «Le perequazioni e le compensazioni», cit., p. 1.

[nota 12] E. BOSCOLO, «Le perequazioni e le compensazioni», cit., p. 6, il quale sottolinea anche un problema di formazione del consenso intorno ai modelli della perequazione e della compensazione, dal momento che oggi spesso le uniche possibilità di intervento sono rappresentate dalla «ricucitura di circoscritte aree interstiziali» e che anche in un piano che preveda il mantenimento delle capacità insediative anteriori (i c.d. residui di piano), i proprietari delle aree attualmente edificabili chiamati a condividere le possibilità edificatorie vivono tale situazione quale «un'autentica privazione»; rispetto, infatti, ad un piano tradizionale in cui il saldo volumetrico non subisce variazioni mutano «gli esiti individuali». Deve essere segnalato che la tecnica dello zoning segnava inevitabilmente anche le sorti dei proprietari sulla base delle linee disegnate dal pennarello del pianificatore (p. 9). La perequazione costituisce insomma il rimedio alle «esternalità negative dello zoning» (p. 10). Questione questa delicatissima, ma già segnalata in un risalente ma attuale saggio da P. STELLA RICHTER, «Il potere di pianificazione nella legislazione urbanistica», in Riv. giur. ed., 1968, II, p. 123, il quale già all'epoca affermava il carattere intrinsecamente discriminatorio degli schemi tradizionali.

[nota 13] E. BOSCOLO, «Le perequazioni e le compensazioni», cit., p. 2.

[nota 14] Il richiamo esemplificativo può esser fatto al piano regolatore di Torino che prescinde dall'assenza di una regolamentazione regionale della materia.

[nota 15] Tar Emilia Romagna, sez. I, 14 gennaio 1999, n. 22 con nota di E. BOSCOLO, «Dalla zonizzazione alla perequazione», in Riv. giur. urb., 2000, p. 5 ed in Urb. app., 2000, p. 780 con nota di A. MANDARANO, «Nuove tendenze della pianificazione: perequazione, integrazione funzionale, tutela ambientale».

[nota 16] L'espressione è di E. BOSCOLO, «Le perequazioni e le compensazioni», cit., p. 10. Sottolinea l'Autore che intorno agli anni novanta il valore etico dell'equità che già era stato utilizzato in materia sociale o tributaria, trova spazio anche in materia urbanistica.

[nota 17] E. BOSCOLO, «Le perequazioni e le compensazioni», cit., p. 11.

[nota 18] In questo senso, E. BOSCOLO, «Le perequazioni e le compensazioni», cit., p. 11; P. URBANI, «Conformazione della proprietà diritti edificatori e moduli di destinazione d'uso dei suoli», in Urb. app., 2006, 8, p. 905 e ss., ricorda che «una certa dose di diseguaglianza è connaturale alla pianificazione urbanistica», dal momento al contrario verrebbe meno la possibilità stessa di differenziare «attraverso tale tecnica, le forme di utilizzazione, di trasformazione e di tutela del territorio». Ed aggiunge che questa impossibilità egalitaria riemerge nella disciplina delle tutele parallele (paesaggio, difesa del suolo delle acque, beni ambientali e naturali).

[nota 19] Diffusamente, sul punto, E. BOSCOLO, «Le perequazioni e le compensazioni», cit., p. 12.

[nota 20] E. BOSCOLO, «Le perequazioni e le compensazioni», cit., p. 13 segnala che occorre l'identificazione di un set di indicatori conoscibili e rendere aperta ad un'autentica partecipazione l'attività di applicazione di tali indicatori ai suoli e che spesso manca nei piani regolatori e addirittura nelle leggi regionali in argomento proprio la qualificazione giuridica delle classi differenziate dei suoli.

[nota 21] P. URBANI, «La perequazione tra ipotesi di riforma nazionale e leggi regionali», cit., p. 3 distingue tra la perequazione di valori e la perequazione di volumi. La prima consiste nella monetizzazione dei diritti edificatori unita ai trasferimenti compensativi delle disparità derivanti dalla pianificazione; si tratta di un modello che richiede l'applicazione all'intero territorio comunale ed è quindi di difficile applicazione concreta. La seconda, piuttosto diffusa negli strumenti di pianificazione già adottati, si realizza allorquando a certe aree (o ambiti) esattamente individuate, è attribuito un unico indice territoriale. Compete ai privati il trasferimento e la conseguente distribuzione delle quote di edificabilità; alla pubblica amministrazione posta in posizione di terzietà spetta il controllo sul rispetto delle previsioni di piano.

[nota 22] L'espressione è di P. URBANI, «La perequazione tra ipotesi di riforma nazionale e leggi regionali», cit., p. 2.

[nota 23] Si indicano di seguito tra parentesi le fonti che regolano la fattispecie in ciascuna regione; Toscana (legge 3 gennaio 2005, n. 1, che ha sostituito l'originaria legge 16 gennaio 1995, n. 5); Emilia Romagna (24 marzo 2000, n. 20); Basilicata (11 agosto 1999, n. 23); Lazio (22 dicembre 1999, n. 38); Puglia (27 luglio 2001, n. 20); Calabria (16 aprile 2002, n. 19); Campania (22 dicembre 2004, n. 16); Veneto (23 aprile 2004, n. 1); Lombardia (11 marzo 2005, n. 12); Umbria (22 febbraio 2005, n. 11); Provincia di Trento (11 novembre 2005, n. 16 sostituita dalla legge 4 marzo 2008, n. 1) Friuli Venezia Giulia (23 febbraio 2007, n. 20); Provincia di Bolzano (2 luglio 2007, n. 3 a modifica della legge 11 agosto 1997, n. 13, art. 55-bis).

[nota 24] Cons. Stato, sez. IV, 16 ottobre 2006, n. 6171; Cons. Stato, sez. IV, 30 giugno 2005, n. 3535, entrambe in Ced Cassazione.

[nota 25] Cons. Stato, sez. IV, 16 ottobre 2006, n. 6171, cit., in Ced Cassazione. E. BOSCOLO, «Le perequazioni e le compensazioni», cit., p. 4 sottolinea l'importanza nel diritto amministrativo del principio di proporzionalità - idoneità, in specie dello strumento rispetto agli obiettivi che ciascun comune si prefigge di raggiungere.

[nota 26] E. BOSCOLO, «Le perequazioni e le compensazioni», cit., p. 7.

[nota 27] E. BOSCOLO, «Le perequazioni e le compensazioni», cit., p. 7. L'Autore ricorda ancora che alla soddisfazione di alcun proprietari corrisponderà l'insoddisfazione di altri, soprattutto per effetto del confronto inevitabile tra lo strumento urbanistico originario e quello perequativo. E' però vero che in una oggettiva carenza di spazi edificabili è proprio l'adozione di un criterio perequativo a garantire maggiormente la pace sociale, proprio perché appare particolarmente stringente l'esigenza di estendere ad un sempre maggiore numero di proprietari, evitando oggettive discriminazioni l'allocazione della cubatura disponibile (in particolare nota 7 di p. 7).

[nota 28] L'esempio è di E. BOSCOLO, «Le perequazioni e le compensazioni», cit., p. 7, nota 31.

[nota 29] Ricorda P. URBANI, «La perequazione tra ipotesi di riforma nazionale e leggi regionali», cit., p. 5 che è stata la sentenza della Corte costituzionale n. 179 del 1999 a legittimare l'istituto della compensazione e che la rimozione nell'art. 11 della legge 7 agosto 1990, n. 241 dei limiti apposti agli accordi sostitutivi di provvedimento ai soli casi previsti dalla legge.

[nota 30] L'espressione è di E. BOSCOLO, «Le perequazioni e le compensazioni», cit., p. 8. Aggiunge un Autore (P. URBANI, «Conformazione della proprietà diritti edificatori e moduli di destinazione d'uso dei suoli», cit., p. 906) che il vero problema è rappresentato dalla crisi sistemica che conduce gli enti a «utilizzare la risorsa territorio come merce di scambio per coprire il fabbisogno di opere di urbanizzazione e di servizi per la collettività».

[nota 31] L'espressione è di P. URBANI, «Conformazione della proprietà diritti edificatori e moduli di destinazione d'uso dei suoli», cit., p. 906.

[nota 32] Anche la terminologia in ordine ai meccanismi compensativi è diversa da una regione all'altra: si fa rispettivamente riferimento in Veneto, ai crediti edilizi, in Lombardia alla disciplina di incentivazione, in Umbria agli incrementi premiali o alle compensazioni, nella provincia di Trento alla compensazione urbanistica.

[nota 33] P. URBANI, «La perequazione tra ipotesi di riforma nazionale e leggi regionali», cit., p. 4 ricorda che i legislatori regionali hanno pasticciato «creando commistioni tra perequazione di valori e di volumi»).

[nota 34] L'espressione è di P. URBANI, «La perequazione tra ipotesi di riforma nazionale e leggi regionali», op. cit., p. 4.

[nota 35] In giurisprudenza, per tutte, Tar Emilia Romagna sez. I, 14 gennaio 1999, n. 22 con nota di E. BOSCOLO, «Dalla zonizzazione alla perequazione», cit., p. 5 ed in A. MANDARANO, op. cit., p. 780, sulla non necessità di una regolazione a monte della materia.

[nota 36] In questo senso, P. URBANI, «La perequazione tra ipotesi di riforma nazionale e leggi regionali», cit., p. 5.

[nota 37] Sul punto, si rinvia alla storica pronuncia, già ricordata, del Tar Emilia Romagna sez. I, 14 gennaio 1999, n. 22, cit. con nota di E. BOSCOLO, «Dalla zonizzazione alla perequazione», op. cit., p. 5 ed in A. MANDARANO, op. cit., p. 780.

[nota 38] E. BOSCOLO, «Le perequazioni e le compensazioni», cit., p. 16-18.

[nota 39] Si può trattare di lotti facenti parte di piani attuativi o di recupero di edifici dismessi; in tal senso, E. BOSCOLO, «Le perequazioni e le compensazioni», cit., p. 17.

[nota 40] Solleva qualche perplessità al riguardo, E. BOSCOLO, «Le perequazioni e le compensazioni», cit., p. 17 il quale sottolinea la necessità che il diritto edificatorio dovrebbe comunque essere legato ad un fondo, affinchè il proprietario possa farne un uso efficiente; desta dubbi la possibilità che l'amministrazione possa godere di diritti edificatori disancorati dal suolo stesso. Un siffatto modello è previsto dalla legge urbanistica calabrese.

[nota 41] Un siffatto ristoro può assumere la veste di quote di edificabilità o di recupero di cubature in altra area o la possibilità di permuta con altre aree o addirittura la possibilità di mantenere la proprietà dell'area sulla quale realizzare direttamente gli interventi pubblici per servizi gestendoli mediante convenzione; sulla questione P. URBANI, «Conformazione della proprietà diritti edificatori e moduli di destinazione d'uso dei suoli», cit., p. 906.

[nota 42] Secondo E. BOSCOLO, «Le perequazioni e le compensazioni», cit., p. 18 la definizione di perequazione infrastrutturativa discende proprio dal fatto che è una tale esigenza a dominare la condotta della pubblica amministrazione. L'Autore ricorda, al proposito, che l'incentivazione del ricorso alla cessione bonaria è espressione di un ruolo fondamentale di «approcci neocomportamentali» e di «modelli di formazione delle preferenze individuali» (p. 37).

[nota 43] L'espressione è di E. BOSCOLO, «Le perequazioni e le compensazioni», cit., p. 43. P. URBANI, «Conformazione della proprietà diritti edificatori e moduli di destinazione d'uso dei suoli», cit., p. 907 segnala che la scarsa applicazione dell'istituto del comparto è dovuta alla sua rigidità, dimostrando all'epoca più duttile applicazione il meccanismo della lottizzazione convenzionata; aggiunge che una tale duttilità agevola la diffusione dello strumento perequativo atteso che oggi l'esigenza più sentita concerne la riqualificazione degli edifici già realizzati e relativa dotazione di opere e servizi.

[nota 44] E. BOSCOLO, «Le perequazioni e le compensazioni», cit., p. 22.

[nota 45] Ricorda siffatta distinzione dogmatica lo schema, già ricordato, proposto da P. URBANI, «La perequazione tra ipotesi di riforma nazionale e leggi regionali», cit., p. 3 tra perequazione di valori (consistente nella monetizzazione dei diritti edificatori unita ai trasferimenti compensativi delle disparità derivanti dalla pianificazione, modello da applicarsi all'intero territorio comunale, di difficile applicazione concreta, che ricorda la c.d. perequazione estesa) e perequazione di volumi (che si realizza allorquando a certe aree o ambiti esattamente individuati, è attribuito un unico indice territoriale che ricorda la c.d. perequazione endoambito).

[nota 46] E. BOSCOLO, «Le perequazioni e le compensazioni», cit., p. 23 richiama al riguardo alla nota 87 l'art. 16 delle Norme Tecniche di attuazione del comune di Piacenza. Aggiunge poi che le difficoltà ricostruttive incontrano poi l'ulteriore ostacolo della tassazione incerta (p. 35); il carattere della contiguità dei fondi non è, comunque, elemento essenziale della fattispecie; è possibile ipotizzare, infatti, comparti discontinui, nei quali le receiving areas non sono attigue alle sending areas produttive di diritti edificatori (p. 36). Sulla questione, E. MICELLI, «La perequazione urbanistica in alcune esperienze di piani e progetti», cit., par. 2; P. URBANI, «Conformazione della proprietà diritti edificatori e moduli di destinazione d'uso dei suoli», cit., p. 907.

[nota 47] Si tratta di piani attuativi, ambiti, distretti della trasformazione.

[nota 48] Ne è espressione l'art. 11, comma 2 della legge della regione Lombardia del giorno 11 marzo 2005, n. 12. Si tratta di una fattispecie di minore diffusione territoriale. Sul punto, P. URBANI, «Conformazione della proprietà diritti edificatori e moduli di destinazione d'uso dei suoli», cit., p. 908, il quale rileva che i diritti edificatori costituiscono in tal modo autonomi beni giuridici che circolano indipendentemente dagli immobili di riferimento.

[nota 49] E. BOSCOLO, «Le perequazioni e le compensazioni», cit., p. 25.

[nota 50] E. BOSCOLO, «Le perequazioni e le compensazioni», cit., p. 26, ricorda che un tale modello permette di escludere forme monopolistiche, di dipendenza e di atteggiamento predatorio che diventerebbero «fattori esiziali di inceppamento del modello». L'amministrazione comunale, nei modelli perequativi, svolge una funzione diretta ad ottenere il risultato urbanistico programmato, con la massima efficienza, «intesa come allocazione dei titoli volumetrici e delle possibilità edificatorie nelle mani dei soggetti interessati allo sfruttamento». Inoltre, se la pianificazione deve essere impostata su un meccanismo di stampo essenzialmente consensualistico è bene che il piano sia corredato da schede contenenti simulazioni di scenari secondo ipotesi come nella teoria dei giochi (p. 32). A tale proposito, devono essere poi accentuati i sistemi che permettono la realizzazione dei risultati urbanistici prefissati, al fine di escludere che il principio consensualistico divenga paradossalmente un ostacolo insormontabile; espressione di un tale assunto è l'art. 27, comma 5, della legge 1° agosto 2002, n. 166 nel quale è statuito che i proprietari delle aree equivalenti alla maggioranza assoluta di un piano esecutivo possono richiedere che si proceda all'esproprio delle aree dei proprietari non rimanenti di cui sono titolari i proprietari non cooperanti, che non vogliono partecipare al consorzio attuativo del piano stesso (p. 33).

[nota 51] Accanto ai vincoli urbanistici espropriativi, sussistono dei vincoli che limitano l'attività d'impresa svolta su una certa area; il decreto legislativo n. 227 del 2001 prevede la possibilità di compensare il sacrificio imposto alle attività incompatibili con la normativa forestale mediante indennizzi; analoghe disposizioni sono previste dalla disciplina di tutela delle acque (decreto legislativo n. 152 del 1999); sulla questione, P. URBANI, «Conformazione della proprietà diritti edificatori e moduli di destinazione d'uso dei suoli», cit., p. 906.

[nota 52] La previsione di soluzioni alternative all'espropriazione trova la sua fonte nella sentenza della Corte Costituzionale n. 179 del 1999, già ricordata, e di essa ne è espressione la legge 15 dicembre 2004, n. 308, esaminata nel paragrafo seguente per i profili concernenti l'oggetto del presente studio.

[nota 53] L'espressione è di E. BOSCOLO, «Le perequazioni e le compensazioni», cit., p. 37; sulla questione diffusamente A. QUAGLIA, op. cit., p. 8 e ss.; si tratta, invero, di accordi complessi, che consentono di sgravare la pubblica amministrazione del costo di esproprio e/o dell'esecuzione di opere pubbliche, nelle quali il riconoscimento della edificabilità compensa le spese affrontate dal privato.

[nota 54] E. BOSCOLO, «Le perequazioni e le compensazioni», cit., p. 43 definisce i diritti edificatori un «prodotto interno del piano». Sulla questione P. URBANI, «Conformazione della proprietà diritti edificatori e moduli di destinazione d'uso dei suoli», cit., p. 908 segnala che la carenza di un'adeguata disciplina pone il rischio che la possibilità di utilizzare altrove le volumetrie dissolve l'elemento organizzativo contrattuale che lega i comproprietari dei fondi allocati nel comparto, depotenziando la potestà decisionale dell'apparato pubblico. E se addirittura taluni soggetti facessero incetta di tali diritti, aggiunge l'Autore, concentrandole in aree il cui valore crescerebbe in modo esponenziale, l'amministrazione si troverebbe costretta a concordare con i privati l'allocazione dei maggiori diritti edificatori in altre aree in grado di sostenere l'impatto di essi dal punto di vista sociale, ambientale ed estetico, ottenendo in concreto proprio una lesione del principio di eguaglianza che i canoni perequativi mirano a realizzare.

[nota 55] Va segnalato che i diritti edificatori possono essere oggetto di revisione da parte dell'amministrazione comunale, salva un'eventuale autolimitazione da parte del comune stesso, sia pure limitata nel tempo; diversa la regola per i crediti compensativi che hanno origine in una prestazione già effettuata (quale la cessione dell'area o la sua riqualificazione paesaggistico - ambientale).

[nota 56] E. BOSCOLO, «Le perequazioni e le compensazioni», cit., p. 38 segnala, infatti, che il credito, ancor prima della cessione al comune, potrebbe essere iscritto in una speciale sezione del registro sin dall'apposizione del vincolo; in tal modo, la circolazione anticipata del credito stesso «fungerebbe da volano dell'intero sistema». E' evidente che l'intero meccanismo indennitario subisce un radicale mutamento dall'impianto della legge 25 giugno 1865, n. 2359, più volte rimaneggiata sino al testo unico di cui al D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327. La compensazione permette un ristoro economicamente più accettabile al privato il cui terreno sia stato assoggettato a vincolo.

[nota 57] M. LEO, «Il trasferimento di cubatura», cit., p. 669 e ss., segnala ricostruendo storicamente la nota questione dello ius aedificandi, sintetizzando l'ampio dibattito dottrinale e giurisprudenziale sulla questione, che il dato di novità della legge 28 gennaio 1977, n. 10 è il passaggio dal sistema della licenza edilizia a quello della concessione, che - come evidenziato dalla lettura della Corte costituzionale n. 5 del 30 gennaio 1980 (pubblicata in Riv. giur. ed.. 1980, I, p. 17 ed in Giur. cost. 1980, p. 21) - ha carattere puramente nominalistico, restando il diritto di edificazione parte integrante del contenuto del diritto di proprietà del suolo. In ordine alle intese che precedono il rilascio del permesso di costruire Cass. 13 luglio 2001, n. 9524, in Riv. not., 2002, p. 488.

[nota 58] Sulla questione della legislazione concorrente in materia di urbanistica e pianificazione del territorio G. RIZZI, op. cit., p. 1.

[nota 59] Sul punto, P. URBANI, «La perequazione tra ipotesi di riforma nazionale e leggi regionali», cit., p. 6, in specie in ordine alla necessità di chiarire e definire la qualificazione dei diritti edificatori. Sul punto, G. RIZZI op. cit., p. 3, precisa che la disciplina urbanistica regionale non può in alcun modo derogare i principi posti dal diritto civile.

[nota 60] E. BOSCOLO, «Le perequazioni e le compensazioni», cit., p. 27, il quale ipotizza indici perequativi temporalmente limitati oppure indici progressivamente destinati a diminuire con il decorso del tempo (p. 28). Si può verificare, inoltre, la programmazione di un sistema di "aste amministrate" nel quale il comune assume la garanzia della regolarità delle trattative tra titolari e terzi interessati all'acquisto dei diritti edificatori (ad esempio in Basilicata e Veneto); oppure un intervento di mediazione a mezzo di una società pubblica (ad esempio la società Veneto scambi SpA).

[nota 61] Secondo E. BOSCOLO, «Le perequazioni e le compensazioni», cit., p. 28, la trascrivibilità dei negozi aventi ad oggetto titoli volumetrici nei Registri immobiliari presso l'Agenzia del territorio potrebbe avere luogo solo laddove questi vengano considerati diritti atipici di natura reale pur se una tale configurazione urterebbe contro il principio del numero chiuso dei diritti reali. Invero, non tutte le situazioni giuridiche che hanno emersione pubblicitaria sono caratterizzate dalla realità: basti pensare alla locazione ultranovennale o all'anticresi.

[nota 62] Sul punto, A. BARTOLINI «I diritti edificatori in funzione premiale…», cit., p. 165.

[nota 63] A. BARTOLINI «I diritti edificatori in funzione premiale…», cit., p. 165, segnala che in ipotesi di intervento nei centri storici il diritto edificatorio può essere esercitato al di fuori di essi in aree particolari individuate dallo stesso programma o dagli strumenti urbanistici in modo espresso.

[nota 64] Sul punto, A. BARTOLINI «I diritti edificatori in funzione premiale…», cit., p.165

[nota 65] Il termine annotazione, utilizzato probabilmente per rappresentare l'attività di registrazione su supporto cartaceo o elettronico, evoca in realtà l'esecuzione delle formalità nei registri tenuti dall'Agenzia del territorio o nei Registri dello stato civile; si tratta tuttavia di una suggestione priva di concretezza; i Registri dei diritti e crediti edificatori, previsti semplicemente da norme regionali, hanno una valenza molto limitata: non è chiaro infatti il metodo né l'accessibilità della consultazione.

[nota 66] Un tale dato riguarda tuttavia solo alcune regioni particolarmente sensibili sulla questione.

[nota 67] E. BOSCOLO, «Le perequazioni e le compensazioni», cit., p. 29.

[nota 68] Un antecedente storico può essere rinvenuto nell'art.30 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 che dispone «In luogo della indennità di esproprio, i proprietari di lotti di terreno, vincolati a destinazioni pubbliche a seguito delle varianti di cui all'art. 29 possono chiedere che vengano loro assegnate equivalenti lotti disponibili nei piani di zona di cui alla legge 18 aprile 1962, n. 167 per costruirvi singolarmente o riuniti in cooperativa la propria prima abitazione. I proprietari di terreni coltivatori diretti o imprenditori agricoli a titolo principale possono chiedere al comune in luogo dell'indennità di esproprio, l'assegnazione in proprietà di equivalenti terreni facenti parte del patrimonio disponibile delle singole amministrazioni comunali, per continuare l'esercizio dell'attività agricola. I proprietari degli edifici per i quali è prevista la demolizione possono chiedere l'assegnazione di un lotto nell'ambito dei piani di zona di cui alla legge 18 aprile 1962, n. 167 per costruirvi la propria prima abitazione». Su tale disposizione, P. URBANI, «Conformazione della proprietà diritti edificatori e moduli di destinazione d'uso dei suoli», cit., p. 906.

[nota 69] Pubblicata con la rubrica "Delega al Governo per il riordino, il coordinamento e l'integrazione della legislazione in materia ambientale e misure di diretta applicazione" nella Gazzetta ufficiale del 27 dicembre 2004, n. 302 supplemento ordinario, n. 187.

[nota 70] I commi 23 e 24 così recitano: «Il comune può approvare le varianti al vigente strumento urbanistico che si rendano necessarie ai fini della traslazione del diritto di edificare di cui al comma 21» e «L'accoglimento dell'istanza di cui ai commi 21 e 22 non costituisce titolo per le richieste di indennizzo, quando, secondo le norme vigenti, il vincolo sopravvenuto non sia indennizzabile. Nei casi in cui, ai sensi della normativa vigente, il titolare del diritto di edificare può richiedere l'indennizzo a causa del vincolo sopravvenuto, la traslazione del diritto di edificare su area diversa, ai sensi dei citati commi 21 e 22 è computata ai fini della determinazione dell'indennizzo eventualmente dovuto».

[nota 71] Recita il ricordato comma 258 «Fino alla definizione della riforma organica del governo del territorio, in aggiunta alle aree necessarie per le superfici minime di spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi di cui al decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444 e alle relative leggi regionali negli strumenti urbanistici sono definiti ambiti la cui trasformazione è subordinata alla cessione gratuita da parte dei proprietari, singoli o in forma consortile, di aree o immobili da destinare a edilizia residenziale sociale in rapporto al fabbisogno locale e in relazione all'entità e al valore della trasformazione. In tali ambiti è possibile prevedere, inoltre, l'eventuale fornitura di alloggi a canone calmierato, concordato e sociale». Ed il comma 259 aggiunge: «Ai fini dell'attuazione di interventi finalizzati alla realizzazione di edilizia residenziale sociale, di rinnovo urbanistico ed edilizio, di riqualificazione e miglioramento della qualità ambientale degli insediamenti, il comune può, nell'ambito delle previsioni degli strumenti urbanistici, consentire un aumento di volumetria premiale nei limiti di incremento massimi della capacità edificatoria prevista per gli ambiti di cui al comma 258».

[nota 72] P. URBANI, «La perequazione tra ipotesi di riforma nazionale e leggi regionali», cit., p. 9 critica una siffatta disposizione, pur definendola "lodevole", nel senso che per l'edilizia sociale non è stata stabilita una misura minima degli standards, lasciando alla contrattazione tra le parti pubblica e privata la sua definizione quantitativa. In senso diverso sulla questione la legge n. 12 del 2008 della Regione Puglia.

[nota 73] P. URBANI, «La perequazione tra ipotesi di riforma nazionale e leggi regionali», cit., p. 10 rileva, inoltre, l'enfatizzazione dell'urbanistica per accordi delle nuove norme soprattutto in considerazione delle esigenze della residenzialità sociale. Sul punto, anche A. BARTOLINI «I diritti edificatori in funzione premiale…», cit., p. 166.

[nota 74] La legge reca la rubrica "Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, recante disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria" pubblicata nella Gazzetta ufficiale n. 195 del 21 agosto 2008 - Suppl. ordinario n. 196.

[nota 75] I commi 2, 3 e 4 dell'art. 11 così dispongono: 2. «Il piano è rivolto all'incremento del patrimonio immobiliare ad uso abitativo attraverso l'offerta di abitazioni di edilizia residenziale, da realizzare nel rispetto dei criteri di efficienza energetica e di riduzione delle emissioni inquinanti, con il coinvolgimento di capitali pubblici e privati, destinate prioritariamente a prima casa per: a) nuclei familiari a basso reddito, anche monoparentali o monoreddito; b) giovani coppie a basso reddito; c) anziani in condizioni sociali o economiche svantaggiate; d) studenti fuori sede; e) soggetti sottoposti a procedure esecutive di rilascio; f) altri soggetti in possesso dei requisiti di cui all'articolo 1 della legge 8 febbraio 2007, n. 9; g) immigrati regolari a basso reddito, residenti da almeno dieci anni nel territorio nazionale ovvero da almeno cinque anni nella medesima regione
3. Il Piano nazionale di edilizia abitativa ha ad oggetto la costruzione di nuove abitazioni e la realizzazione di misure di recupero del patrimonio abitativo esistente ed è articolato, sulla base di criteri oggettivi che tengano conto dell'effettivo bisogno abitativo presente nelle diverse realtà territoriali, attraverso i seguenti interventi:
a) costituzione di fondi immobiliari destinati alla valorizzazione e all'incremento dell'offerta abitativa, ovvero alla promozione di strumenti finanziari immobiliari innovativi e con la partecipazione di altri soggetti pubblici o privati, articolati anche in un sistema integrato nazionale e locale, per l'acquisizione e la realizzazione di immobili per l'edilizia residenziale; b) incremento del patrimonio abitativo di edilizia con le risorse anche derivanti dall'alienazione di alloggi di edilizia pubblica in favore degli occupanti muniti di titolo legittimo, con le modalità previste dall'articolo 13; c) promozione da parte di privati di interventi anche ai sensi della parte II, titolo III, capo III del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163; d) agevolazioni, anche amministrative, in favore di cooperative edilizie costituite tra i soggetti destinatari degli interventi, potendosi anche prevedere termini di durata predeterminati per la partecipazione di ciascun socio, in considerazione del carattere solo transitorio dell'esigenza abitativa; e) realizzazione di programmi integrati di promozione di edilizia residenziale anche sociale.
4. Il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti promuove la stipulazione di appositi accordi di programma, approvati con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, previa delibera del Cipe, d'intesa con la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni, al fine di concentrare gli interventi sulla effettiva richiesta abitativa nei singoli contesti, rapportati alla dimensione fisica e demografica del territorio di riferimento, attraverso la realizzazione di programmi integrati di promozione di edilizia residenziale e di riqualificazione urbana, caratterizzati da elevati livelli di qualità in termini di vivibilità, salubrità, sicurezza e sostenibilità ambientale ed energetica, anche attraverso la risoluzione dei problemi di mobilità, promuovendo e valorizzando la partecipazione di soggetti pubblici e privati. Decorsi novanta giorni senza che sia stata raggiunta la predetta intesa, gli accordi di programma possono essere comunque approvati».

[nota 76] In questo senso, A. BARTOLINI «I diritti edificatori in funzione premiale…», cit., p. 166.

[nota 77] I commi 5 e 6 dell'art. 11 così recitano: «5. Gli interventi di cui al comma 4 sono attuati anche attraverso le disposizioni di cui alla parte II, titolo III, capo III, del citato codice di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, mediante: a) il trasferimento di diritti edificatori in favore dei promotori degli interventi di incremento del patrimonio abitativo; b) incrementi premiali di diritti edificatori finalizzati alla dotazione di servizi, spazi pubblici e di miglioramento della qualità urbana, nel rispetto delle aree necessarie per le superfici minime di spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi di cui al decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444; c) provvedimenti mirati alla riduzione del prelievo fiscale di pertinenza comunale o degli oneri di costruzione; d) la costituzione di fondi immobiliari di cui al comma 3, lettera a, con la possibilità di prevedere altresì il conferimento al fondo dei canoni di locazione, al netto delle spese di gestione degli immobili; e) la cessione, in tutto o in parte, dei diritti edificatori come corrispettivo per la realizzazione anche di unità abitative di proprietà pubblica da destinare alla locazione a canone agevolato, ovvero da destinare alla alienazione in favore delle categorie sociali svantaggiate di cui al comma 2.
6. I programmi di cui al comma 4 sono finalizzati a migliorare e a diversificare, anche tramite interventi di sostituzione edilizia, l'abitabilità, in particolare, nelle zone caratterizzate da un diffuso degrado delle costruzioni e dell'ambiente urbano».

[nota 78] In questo senso, A. BARTOLINI «I diritti edificatori in funzione premiale…», cit., p. 166.

[nota 79] A. BARTOLINI «I diritti edificatori in funzione premiale…», cit., p. 167.

[nota 80] Le espressioni sono di A. BARTOLINI «I diritti edificatori in funzione premiale…», cit., p. 167.

[nota 81] A. BARTOLINI, «Profili giuridici del c.d. credito di volumetria», cit., p. 309, afferma che per derogare a tale disciplina e trasferire fuori zona la cubatura è necessaria una specifica previsione normativa nazionale e/o regionale, nel rispetto comunque della predeterminazione delle aree di atterraggio la cui individuazione non può essere lasciata al privato cessionario.

[nota 82] Il testo originario della disposizione era «per garantire certezza alla circolazione dei diritti edificatori, all'art. 2643, comma 1 c.c. dopo il numero 2, è inserito il comma seguente: "2-bis. I contratti che trasferiscono diritti edificatori comunque denominati nelle normative regionali e nei conseguenti strumenti di pianificazione territoriale, nonché nelle convenzioni urbanistiche ad essi relative"».

[nota 83] L'art. 5 della legge 106 del 2011 dispone ai commi successivi: «10. Gli interventi di cui al comma 9 non possono riferirsi ad edifici abusivi o siti nei centri storici o in aree ad inedificabilità assoluta, con esclusione degli edifici per i quali sia stato rilasciato il titolo abilitativo edilizio in sanatoria. 11. Decorso il termine di cui al comma 9, e sino all'entrata in vigore della normativa regionale, agli interventi di cui al citato comma si applica l'articolo 14 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 anche per il mutamento delle destinazioni d'uso. Resta fermo il rispetto degli standard urbanistici, delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell'attività edilizia e in particolare delle norme antisismiche, di sicurezza, antincendio, igienico-sanitarie, di quelle relative all'efficienza energetica, di quelle relative alla tutela dell'ambiente e dell'ecosistema, nonchè delle disposizioni contenute nel codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42. 12. Le disposizioni dei commi 9, 10 e 11 si applicano anche nelle Regioni a statuto speciale e nelle province autonome di Trento e di Bolzano compatibilmente con le disposizioni degli statuti di autonomia e con le relative norme di attuazione. 13. Nelle Regioni a statuto ordinario, oltre a quanto previsto nei commi precedenti, decorso il termine di sessanta giorni (dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto) e sino all'entrata in vigore della normativa regionale, si applicano, altresì, le seguenti disposizioni: a) è ammesso il rilascio del permesso in deroga agli strumenti urbanistici ai sensi dell'articolo 14 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 anche per il mutamento delle destinazioni d'uso, purchè si tratti di destinazioni tra loro compatibili o complementari; (b) i piani attuativi, come denominati dalla legislazione regionale, conformi allo strumento urbanistico generale vigente, sono approvati dalla giunta comunale) 14. Decorso il termine di 120 giorni (dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto) le disposizioni contenute nel comma 9, fatto salvo quanto previsto al comma 10, e al secondo periodo del comma 11, sono immediatamente applicabili alle Regioni a statuto ordinario che non hanno provveduto all'approvazione delle specifiche leggi regionali. Fino alla approvazione di tali leggi, la volumetria aggiuntiva da riconoscere quale misura premiale, ai sensi del comma 9, lettera a, è realizzata in misura non superiore complessivamente al venti per cento del volume dell'edificio se destinato ad uso residenziale, o al dieci per cento della superficie coperta per gli edifici adibiti ad uso diverso. Le volumetrie e le superfici di riferimento sono calcolate, rispettivamente, sulle distinte tipologie edificabili e pertinenziali esistenti ed asseverate dal tecnico abilitato in sede di presentazione della documentazione relativa al titolo abilitativo previsto».

[nota 84] Sia consentito un richiamo al mio «Dalla cessione di cubatura alle operazioni sui crediti di cubatura», cit., p. 339-438, in ordine alla ricostruzione delle ipotesi dogmatiche formulate al proposito.

[nota 85] G. AMADIO espressa autorevolmente sinora solo verbalmente in numerosi interventi dall'Autore e pubblicata in questo volume con il titolo «I diritti edificatori: la prospettiva del civilista». Nello stesso senso, B. CRETELLA, «Trascrizione degli atti relativi a "diritti edificatori" (c.d. cessione di cubatura o di volumetria)», in Gazz. not., 2011, p. 481. Una soluzione per così dire eterodossa è proposta da G.A. DI VITA, «Riflessioni sul tema cessione di cubatura: una lettura provocatoria della novella», in Il Notaro, 2011, p. 89 e ss.

[nota 86] Una tale considerazione sembra, invero, in contraddizione con la prospettiva di partenza secondo la quale appunto era proprio l'assenza di una specifica norma ad imporre la ricerca una ricostruzione dogmatica della volumetria quale "bene giuridico" in sé, idonea ad impedire la violazione del principio del numerus clausus dei diritti reali. Inoltre, è la legge a dettare lo statuto del bene; senza la norma sarebbe difficile immaginare la trascrizione degli atti circolatori aventi ad oggetto la cubatura in volo.

[nota 87] Si pensi all'ipotesi della demolizione e successiva ricostruzione con diversa sagoma di un edificio preesistente.

[nota 88] In tutti gli atti notarili, ad esempio, la struttura lessicale «vendo la mia casa di abitazione sita in …» sottintende evidentemente proprio il trasferimento del diritto di proprietà che ha ad oggetto la casa di abitazione stessa. Ebbene, in questo caso, il trasferimento della cubatura sottintende il trasferimento del diritto di proprietà del bene "cubatura", "diritti edificatori" o "volumetria", che dire piaccia.

[nota 89] Il riferimento è proprio all'aver vissuto quasi in diretta con alcuni amici la nascita della disposizione.

[nota 90] Con la sola eccezione del riferimento ai diritti del concedente e dell'enfiteuta in cui il plurale riguarderebbe proprio la diversità del diritto del direttario e dell'utilista.

[nota 91] Sul punto, M. LEO, «Il trasferimento di cubatura», cit., p. 671, P. URBANI, «Conformazione della proprietà diritti edificatori e moduli di destinazione d'uso dei suoli», cit., p. 908.

[nota 92] In questo senso, M. LEO, «Il trasferimento di cubatura», cit., p. 671.

[nota 93] Tale disposizione manca nel codice civile del 1865 nel quale l'art. 406 così recitava: «… tutte le cose che possono formare oggetto di proprietà pubblica o privata sono beni immobili o mobili».

[nota 94] F. SANTORO PASSARELLI, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1989, p. 55.

[nota 95] M. LEO, «Il trasferimento di cubatura», cit., p. 672; S. CERVELLI, op. cit., p. 1.

[nota 96] In questo senso, S. CERVELLI, op. cit., p. 1. Ricorda C.M. BIANCA, Diritto civile, tomo 6, La proprietà, 1999, Milano p. 54 che alle nozioni di bene e cosa corrispondono i termini bona e res delle fonti romane; la prima rileva per il suo valore intrinseco economico, al netto delle passività.

[nota 97] L'espressione è di F. SANTORO PASSARELLI, op. cit., p. 55 il quale aggiunge che i beni devono poi essere suscettibili di appropriazione atteso che un bisogno umano quale l'aria e l'acqua fluente proprio perché comune a tutti non può formare oggetto di rapporto giuridico.

[nota 98] C.M. BIANCA, op. cit., p. 50.

[nota 99] Secondo F. SANTORO PASSARELLI, op. cit., p. 56 la proprietà e gli altri diritti reali che dalla res si chiamano reali hanno ad oggetto una porzione della materia e si distinguono dagli altri diritti soggettivi appunto per il fatto che «pur indicendo, come ogni altro diritto, una relazione fra soggetti, investono direttamente la res» tanto che la generalità degli altri soggiace ad un obbligo secondario di astensione. L'oggetto degli altri diritti è invece non una cosa ma un comportamento del soggetto passivo (come nel diritto di credito) o del soggetto attivo (come nel diritto potestativo), anche se serve per procurare una cosa.

[nota 100] L'art. 812 c.c. definisce beni immobili il suolo, le sorgenti e i corsi d'acqua gli alberi gli edifici e le altre costruzioni anche se unite al suolo a scopo transitorio, e in genere tutto ciò che è incorporato al suolo. Al secondo comma statuisce che sono altresì reputati immobili i mulini, i bagni e gli altri edifici galleggianti quando sono saldamente assicurati alla riva o all'alveo e sono destinati ad esserlo in modo permanente per la loro utilizzazione.

[nota 101] M. LEO, «Il trasferimento di cubatura», cit., p. 699 e ss.

[nota 102] Al pari delle altre unità di misura (litri, grammi, chilometri, metri e così via) il rapporto matematico tra i metri quadrati di superficie del lotto e i metri cubi di costruzione edificabili sul medesimo, è la misura della cubatura e non la cubatura essa stessa. Solo superando un tale equivoco, è possibile affermare che la cubatura è essa stessa bene in senso giuridico.

[nota 103] C.M. BIANCA, op. cit., p. 54 afferma che beni sono tutte le entità fisiche o ideali idonee a costituire oggetto di diritto; le cose sono invece i beni corporali.

[nota 104] Tale opinione è stata sostenuta da G. RIZZI, op. cit., p. 12; l'Autore, partendo da un'indagine approfondita delle norme che disciplinano la materia delle operazioni su volumetria nella Regione Veneto nella quale Egli vive ed opera, trae le conclusioni della sua analisi tentando di delineare alcune linee in ordine alla definizione della natura giuridica della fattispecie; innanzi tutto afferma che il credito edilizio non può esser certo ricondotto ad alcuna fattispecie di diritti reali tipici atteso che nel caso di specie anche il ricorso alla servitù (o ad altro diritto reale tipico) apparirebbe vano, in considerazione del fatto che la cubatura edificabile che il credito edilizio stesso rappresenta «perde ogni collegamento con il bene immobile oggetto dell'intervento o della cessione che ha determinato il credito medesimo, potendo lo stesso circolare ed essere negoziato in maniera autonoma» (p. 12); aggiunge poi che la fattispecie non può assumere una colorazione esclusivamente obbligatoria e che in realtà la «prestazione cui ha diritto il titolare del credito (consistente nella possibilità di utilizzare un determinata quantità volumetrica ai fini edilizi) sia suscettibile di valutazione economica»; è evidente infatti che non mancano i profili di realità: 1) «titolare di detto credito non può che essere il proprietario di un immobile oggetto di uno degli interventi di riqualificazione urbanistico/ambientale; 2) il credito per la sua realizzazione presuppone la titolarità in capo al creditore di un immobile» «nel quale riversare la quantità volumetrica riconosciuta dal credito». Attese tali premesse, l'Autore afferma quindi che il credito edilizio è un diritto atipico di natura reale, posta la non unanime adesione al principio del numero chiuso dei diritti reali, che tuttavia la Suprema Corte ha dimostrato di preferire con la pronuncia citata n. 6807/88 pubblicata in Nuova giur. comm., 1989, I, p. 372 con nota M. COSTANZA con nota (anepigrafa), già cit., affermando che nella cessione di cubatura si è in presenza di un trasferimento diritto reale immobiliare. Invero, dalla lettura dello studio di Giovanni Rizzi emerge chiaramente il tentativo di superare il muro che separa la concezione (pur gravida di incognite) della cubatura quale diritto reale atipico dalla cubatura quale bene in sé, bene, dotato di una sua apprezzabilità economica, che può, a sua volta, costituire oggetto di diritti reali ovvero, secondo la prospettazione delle parti, di un rapporto obbligatorio, impostazione che a tacer d'altro incontra a suo favore non solo il dato normativo, ma anche il sentire comune. L'Autore avverte infatti la forte esigenza che la cubatura sia destinata a circolare in modo autonomo; inoltre, la qualificazione del credito edilizio «in termini di diritto reale atipico» (p. 18) consegue ad un'attività interpretativa di una situazione giuridica che concerne la materia urbanistica che ben rientra nella competenza concorrente del legislatore regionale al quale spetta la regolazione del governo del territorio (art. 117, comma 3 Cost.). Ad una tale ricostruzione, che rievoca nella materia della compensazione e della perequazione il ricorso allo schema del diritto reale atipico, pur nella meritevolezza delle istanze che la motivano, non è di impedimento l'eventuale deroga al principio del numero chiuso, quanto la regola che nega alle facoltà l'autonomia del diritto cui attengono. E' inaccettabile, infatti, ammettere che le singole facoltà possano essere rese autonome e trasferite quali specifici diritti reali, dotati di vita propria e proprie regole di circolazione. Il diritto di proprietà non è, in realtà, un fascio di facoltà autonome separabili, ma un diritto pieno ed unitario che può essere compresso per effetto della costituzione di diritti reali parziali per poi riespandersi a seguito della loro estinzione.

[nota 105] F. PATTI - F. RUSSO, op. cit., p. 1686, i quali distinguono il caso della concentrazione di cubatura, dal caso della cessione in senso tecnico nel quale oggetto del trasferimento è la cubatura in sé, quale autonomo oggetto del rapporto tra le parti, al quale si accompagna una servitù di non edificazione corrispondente alla misura di volumetria rinunciata dal cedente. Gli Autori sottolineano poi che la cessione di cubatura costituisce un'indubbia operazione socialmente utile, in grado di soddisfare variegati interessi pubblici e privati. Nello stesso senso di recente R. CONTI, op. cit., p. 422, il quale sostiene che non vi è alcun conflitto tra cubatura e principio del numero chiuso dei diritti reali; la cubatura infatti non è un diritto ma l'oggetto di esso: «è il bene giuridico economicamente apprezzabile che può formare oggetto di un diritto reale ovvero di un rapporto obbligatorio». Secondo P. URBANI, «Conformazione della proprietà diritti edificatori e moduli di destinazione d'uso dei suoli», op. cit., p. 908, l'impossibilità di qualificare il diritto edificatorio come diritto reale, sganciato dalla proprietà dell'area, come diritto reale, per la tipicità di essi, ha condotto a valutare la fattispecie «in termini di bene immateriale e si è coniata la formula del credito edilizio o volumetrico ricorrendo in luogo del contratto di trasferimento della volumetria al contratto con effetti obbligatori»; creditore sarebbe il privato titolare del diritto edificatorio debitrice l'amministrazione comunale tenuta ad adempiere l'obbligazione; può, invero, obiettarsi a tale ultima impostazione che la reificazione dei diritti edificatori importa la loro soggezione ad un diritto soggettivo (reale o di credito), restando piuttosto sempre qualificabile come interesse legittimo la posizione nei confronti della pubblica amministrazione. In tal modo non si urta alcuno dei principi portanti del nostro ordinamento giuridico. La configurazione che si accoglie permette di escludere che i contenziosi tra privato possano coinvolgere la pubblica amministrazione, che è e resta arbitro della moneta urbanistica. Sulla questione del numero chiuso, diffusamente anche C.M. BIANCA, op. cit., p. 133 e ss.

[nota 106] S. PUGLIATTI, Beni e cose in senso giuridico, pubblicato nel volume Scritti giuridici, vol. IV, 1958-1964, Milano, 2011, p. 620.

[nota 107] L'espressione è di S. PUGLIATTI, op. cit., p. 622.

[nota 108] Sul punto S. PUGLIATTI, Beni immobili e beni mobili, pubblicato nel volume Scritti giuridici, vol. V, 1965-1996, Milano, 2011, p. 692, al quale appartiene l'espressione virgolettata.

[nota 109] In questo senso, S. PUGLIATTI, Beni immobili e beni mobili, cit., p.692.

[nota 110] In questo senso, S. PUGLIATTI, Beni immobili e beni mobili, cit., p. 694.

[nota 111] E' ipotizzabile in questo senso che la cubatura in quanto bene immateriale di origine immobiliare possa costituire oggetto di usufrutto ed anche di possesso. La qualcosa non deve destare perplessità ben potendo anche le energie costituire oggetto di possesso.

[nota 112] Nessun dubbio anche in ordine alla divisibilità della cubatura tra la pluralità di aventi causa.

[nota 113] F. PATTI - F. RUSSO, op. cit., p. 1689 affermano che se la circolazione del bene cubatura potrà essere attuata con il ricorso a schemi negoziali aventi una struttura e caratteri squisitamente privatistici, il suo godimento è piuttosto «strettamente legato all'intervento della P.A. e si realizza al momento in cui emana il provvedimento abilitativo della costruzione».

[nota 114] Si tratta della pronuncia n. 44/89 del 22 ottobre 1991 della Corte di giustizia.

[nota 115] Il riferimento è al giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale di cui alla sentenza 10-11 dicembre 1998, n. 398. in Gazz. uff., Rep. it., serie speciale 1^, 16 dicembre 1998, n. 50, p. 11. La quota latte è definita dal Giudice delle leggi quale un bene immateriale suscettibile di costituire l'oggetto di negozi di trasferimento separatamente dal complesso aziendale al quale inerisce. Nello stesso senso, sentenza del 26 marzo 6 aprile 1998, n. 100, in Gazz. uff., Rep. it., serie speciale 1^, del 15 aprile 1998, che in particolare afferma che la disciplina delle quote latte non tocca e non altera in alcun modo i rapporti giuridici tra proprietario ed affittuario, a vantaggio dell'uno o dell'altro, ma concerne esclusivamente la regolamentazione dei quantitativi di produzione e la legittimazione al compimento degli atti relativi.

[nota 116] Si tratta di una fattispecie regolata dal regolamento del 18 febbraio 1980 n.456/80 diretto ad incentivare l'abbandono definitivo o temporaneo delle superfici vinicole, che aveva previsto a favore di coloro che sceglievano la formula dell'abbandono temporaneo, il diritto a procedere al reimpianto delle viti dopo otto campagne vitivinicole; il regolamento del 16 marzo 1987, n. 822/87, nel vietare ogni nuovo impianto di viti stabiliva poi che il diritto al reimpianto può essere esercitato su una superficie equivalente a quella oggetto di estirpazione dello stesso fondo o del fondo altrui purché destinato alla produzione di vini di qualità prodotti in regioni determinate (v.q.p.r.d.).

[nota 117] Artt. 46 e ss. regolamento Ce n. b1782 del 2003, regolamento Ce n. 795 del 2004 e art. 10 D.m. 5 agosto 2004.

[nota 118] E' fatta eccezione per la successione o l'anticipo di successione.

[nota 119] Sul punto M.L. MATTIA, «Appunti sul regime di trasferimento dei diritti all'aiuto previsti dal regolamento Ce n. 1782/2003 nell'ambito della riforma della politica agraria comune», studio n. 2/2007, della Commissione Studi comunitari del Consiglio nazionale del Notariato approvato il 2 febbraio 2007 e pubblicato sul Notiziario il 21 maggio 2007.

[nota 120] R. CONTI, op. cit., p. 427.

[nota 121] A. BARTOLINI «I diritti edificatori in funzione premiale…», cit., p. 167, da un lato, afferma che i diritti edificatori costituiscono «una situazione soggettiva attinente alla dimensione quantitativa di una facoltà insita nel diritto di proprietà», dall'altro, si limita ad aggiungere che il diritto edificatorio «riguarda un bene della vita oggetto della disciplina del potere di piano», che in mancanza di un espresso divieto, «può essere liberamente commerciabile, trattandosi di diritti personali e non reali naturalmente».
Il proficuo risultato sino ad ora raggiunto parrebbe a questo punto privo di utili effetti concreti e sembrerebbe essere stato ricondotto in un alveo gravido di dubbi se si afferma che per un verso la cubatura è un bene della vita e, per altro, che essa può essere liberamente commerciabile, trattandosi di un diritto personale e non reale; in realtà, seguendo una tale impostazione dogmatica, si sovrappone il bene-cubatura al diritto che si esercita su di essa, che invero a sua volta può essere reale o personale.

[nota 122] L'espressione è di A. BARTOLINI, «I diritti edificatori in funzione premiale…», cit., p. 167.

[nota 123] Sulla questione delle categorie ordinanti, A. GAMBARO, I diritti reali come categoria ordinante, in Tratt. dei diritti reali a cura di A. Gambaro e U. Morello, vol. 1, Proprietà e possesso, cit., p. 3 e ss.; A. GUARNIERI, Diritti reali e diritti di credito, in Tratt. dei diritti reali, cit., p. 29; ID., «Le categorie ordinanti nel diritto civile (a proposito di Rodolfo Sacco, Il fatto, l'atto, il negozio)», in Riv. dir. civ., 2007, p. 547; R. SACCO, Il fatto, l'atto, il negozio, in Tratt. di diritto civile diretto da R. Sacco, Torino, 2005.

[nota 124] A. GUARNIERI, op. cit., p.42 ricorda la concezione classica dei diritti reali caratterizzata dal rapporto giuridico intercorrente tra titolare ed omnes, obbligati ad astenersi da ogni ingerenza sul bene, sino a giungere nel distinguere il diritto reale dal diritto di credito in virtù della bipartizione immediatezza/ mediatezza e assolutezza/relatività e sottolinea, ricordando la rivisitazione offerta da M. GIORGIANNI, (nella celebre voce Diritti reali, dir. civ., in Nuov. Dig. it., Torino, 1968, vol. V, p. 748), che «un punto di debolezza dell'antitesi è stato costituito in passato dall'elenco sempre variabile dei diritti reali»; aggiunge, poi, lo stesso Autore che vanno ricordati anche i tentativi, soprattutto provenienti dalle dottrine tedesca e francese dirette a costruire una categoria intermedia tra diritti reali e diritti di credito, motivata dall'esigenza di allocare in modo coerente al sistema alcune ipotesi del tutto peculiari (quali ad esempio il diritto del conduttore). In realtà, Egli continua, è la tipicità stessa degli iura in re aliena a dimostrare la presenza di una crisi della ricordata bipartizione tra diritti reali e di credito proprio perché i diritti su cosa altrui paiono semplicemente destinati ad essere riassorbiti nell'alveo di una proprietà che nel disegno codicistico appare essere libera da pesi, vincoli ed oneri di sorta. Si determina in tale modo un avvicinamento tra il diritto in alienis e il diritto obbligatorio che trova timido spazio nel nostro ordinamento (si pensi all'obbligo di miglioramento del fondo da parte dell'enfiteuta, il cui adempimento deve essere letto alla luce del criterio di cui all'art. 1176 c.c.), seppur già riconosciuto con maggiore ampiezza in altri ordinamenti, come nel BGB che secondo gli interpreti permette l'applicazione ai diritti reali su cosa altrui del diritto delle obbligazioni [par. 269] del tempo dell'adempimento [par. 271], della mora del creditore [par. 293] e della responsabilità del debitore per il fatto commesso da chi lo sostituisce nell'adempimento o ancora nell'art. 7 del codice svizzero che dispone che le regole del diritto delle obbligazioni relative alla conclusione, agli effetti ed all'estinzione dei contratti possono essere applicabili anche alle altre materie del diritto civile o infine l'art. 308 del codice cubano che estende le regole in tema di obbligazioni ai rapporti tra nudo proprietario e titolare di un diritto su cosa altrui.

[nota 125] Anche i beni immateriali possono formare oggetto di diritti assoluti, anche se per la particolare natura del loro oggetto ne differiscono in modo rilevante nell'esercizio; in tal senso, secondo una autorevole impostazione (F. SANTORO PASSARELLI, op. cit., p. 55) non può correttamente parlarsi di proprietà letteraria o industriale. E', tuttavia, vero che là i diritti edificatori costituiscono un bene diverso da questi ultimi.

[nota 126] A. BARTOLINI, «I diritti edificatori in funzione premiale…», cit., p. 168, riconduce i crediti di volumetria nell'alveo dei rapporti aventi natura obbligatoria.
Critica, poi, una visione bifronte della situazione giuridica in esame, A. BARTOLINI, «Profili giuridici del c.d. credito di volumetria», cit., p. 304, il quale osserva che una siffatta soluzione appare artificiosa, doppiando una situazione soggettiva unitaria, in un diritto edificatorio che riguarda l'astratta titolarità e nell'interesse legittimo che riguarderebbe la legittimazione ad esercitare il diritto; ed aggiunge che un tale sdoppiamento, «utile dal punto di vista logico», non appare «perseguibile sotto un profilo giuridico, atteso che di diritto edificatorio si potrà parlare solo laddove sia stato rilasciato il titolo ampliativo, il quale consentirà di esercitare concretamente l'astratto diritto che in realtà è un interesse legittimo pretensivo». La posizione dell'Autore in tale ultimo suo contributo risente della carenza del dato positivo, al tempo della sua redazione dato che è stato integrato, come ricordato a far tempo solo dal 2007.

[nota 127] C.M. BIANCA, op. cit., p. 24, qualifica l'interesse legittimo, interesse alla legittimità degli atti amministrativi; nei diritti soggettivi l'interesse del soggetto è tutelato direttamente in via autonoma, laddove negli interessi legittimi la tutela è in via indiretta solo mediante il potere di impugnativa degli atti illegittimi, dinanzi al giudice amministrativo.

[nota 128] A. BARTOLINI, «Profili giuridici del c.d. credito di volumetria», cit., p. 310.

[nota 129] A. BARTOLINI, «Profili giuridici del c.d. credito di volumetria», cit., p. 311 propone l'introduzione di un limite quinquennale.

[nota 130] L'inquadramento della fattispecie di volta in volta all'esame dell'interprete in termini di realità o obbligatorietà non è scevra di effetti; sulla questione diffusamente A. GUARNIERI, op. cit., p. 54 e ss.; in particolare, senza pretese di esaustività, nelle due ipotesi mutano le regole di circolazione, le tecniche di rinuncia al diritto, le ipotesi di estinzione (confusione per i diritti di credito e consolidazione per i diritti reali) le regole di protezione sul piano della tutela aquiliana e sul piano possessorio, ed infine le regole processuali. E', poi, discusso se l'atto emulativo, l'abuso del diritto, la funzione sociale e le regole di correttezza siano indistintamente applicabili ad ambedue le categorie.

[nota 131] G. AMADIO in La teorica degli effetti preliminari tra fattispecie e situazioni giuridiche soggettive in corso di pubblicazione ricorda a p. 17 del testo dattiloscritto del contributo, ricco di innumerevoli, proficui spunti, ricevuto per la cortesia dell'Autore «il passaggio da una sistematica incentrata sul paradigma del diritto soggettivo a una considerazione comprensiva di pluralità di schemi mediante i quali la norma formalizza le diverse posizioni di interesse soggettivo che giudica meritevoli di protezione, attribuendo ad esse giuridica rilevanza» e che «il risultato più importante di tale processo evolutivo è aver riconquistato completa autonomia alla situazione pendente, liberandola dal vincolo di strumentalità esclusiva, e dunque di dipendenza da quella finale, rappresentata dal diritto soggettivo pieno» «la consistenza effettiva della cubatura, gli indici di adeguamento della stessa in funzione dei fondi riceventi, nonché il suo eventuale contenuto temporale (previsione di scadenze per la fruizione della cubatura o una modulazione della stessa in funzione inversamente proporzionale al decorso del tempo) ed, infine, gli oneri ai quali è subordinata la fruizione del diritto edificatorio».

[nota 132] In questo senso, S. PUGLIATTI, Beni immobili e beni mobili, cit., p. 694.

[nota 133] In considerazione della maggiore capacità di autonomia dell'interprete e del pratico in ordine alla determinazione del contenuto del bene.

[nota 134] In relazione alla migliore ed agevolata tassazione.

[nota 135] Il riferimento è alla pronuncia del Consiglio di Stato, sez. IV, del 6 luglio 2010, n. 4333, in Ced Cassazione.

[nota 136] L'espressione è di G. MUSOLINO, L'usufrutto, Torino, p. 19 il quale ricorda il brocardo "competit ex causa proprietatis et conjunctus est cum causa". Nello stesso senso, G. MUSOLINO, «Usufrutto e proprietà», in Riv. not., 2011, p. 1321.

[nota 137] G. MUSOLINO, L'usufrutto, cit., p. 19; ID., «Usufrutto e proprietà», cit., p. 1329.

[nota 138] In questo senso, G. MUSOLINO, L'usufrutto, cit., p. 20; ID., «Usufrutto e proprietà», cit., p. 1329-1330.

[nota 139] D. RUBINO, L'ipoteca, Milano, 1956, p. 159.

[nota 140] L'espressione «mobili frontiere dei diritti reali» è di A. GUARNIERI, op. cit., p. 61. Sulla questione dello smembramento del diritto reale U. MATTEI, Regole sicure, Milano, 2006, in particolare p. 234 e ss. Di una tale difficoltà è espressione il richiamo all'atto ricognitivo di cui all'art. 1988 c.c. la cui applicazione, secondo un'impostazione ristretta ai soli diritti di credito, andrebbe alla luce di una diversa lettura, ora estesa anche ai diritti reali. In tale ultimo senso, sia pure non in modo completo, di recente Cass. civ., 13 ottobre 2004, n. 20198, in I contratti, 2005, p. 437 con nota di A. VALENTINI, «Efficacia della dichiarazione ricognitiva di diritti reali su beni immobili».

[nota 141] P. URBANI, «Conformazione della proprietà diritti edificatori e moduli di destinazione d'uso dei suoli», op. cit., p. 908 paventa un proliferare dei contenziosi contro la pubblica amministrazione ed un depotenziamento del suo ruolo, soprattutto in ipotesi di c.d. perequazione estesa. Può obiettarsi che adottando, invece, la diversa impostazione che qui si accoglie, con l'enfatizzazione del ruolo antiprocessuale del notaio, un tale rischio è senz'altro limitato.

[nota 142] Si riporta per comodità di lettura il testo contenuto nel D.l. prima della conversione «2-bis) i contratti che trasferiscono diritti edificatori comunque denominati nelle normative regionali e nei conseguenti strumenti di pianificazione territoriale, nonché nelle convenzioni urbanistiche ad essi relative».

[nota 143] L'inquadramento della fattispecie di volta in volta all'esame dell'interprete in termini di realità o obbligatorietà non è scevra di effetti; sulla questione diffusamente A. GUARNIERI, op. cit., p. 54 e ss.; in particolare, senza pretese di esaustività, nelle due ipotesi mutano le regole di circolazione, le tecniche di rinuncia al diritto, le ipotesi di estinzione (confusione per i diritti di credito e consolidazione per i diritti reali) le regole di protezione sul piano della tutela aquiliana e sul piano possessorio, ed infine le regole processuali. E', poi, discusso se l'atto emulativo, l'abuso del diritto, la funzione sociale e le regole di correttezza siano indistintamente applicabili ad ambedue le categorie.

[nota 144] Il riferimento è al testo delle commissioni riunite V (Bilancio, tesoro e programmazione) e VI (Finanze) alla data del 7 giugno 2011.

[nota 145] R. CONTI, op. cit., p. 427.

[nota 146] N. A. CIMMINO, op. cit., p. 1143; M. LEO, «Il trasferimento di cubatura», cit., p. 671.

[nota 147] F. PATTI - F. RUSSO, op. cit., p. 1688; R. CONTI, op. cit., p. 427. Si tratterebbe dello scambio tra cubatura ed unità immobiliari da realizzare in forza della volumetria ampliata.

[nota 148] Sulla questione della compravendita con riserva di proprietà M. LEO e A. RUOTOLO, «Vendita con riserva di proprietà e comunione legale dei beni», in Studi e materiali, VI.1, Milano, 2001, p. 197.

[nota 149] A. LUMINOSO, I contratti tipici e atipici, Milano, 1995, p. 102; A. RIZZIERI, La vendita obbligatoria, Milano, 2000, p. 85.

[nota 150] La questione del conferimento della cubatura in società di capitali, soprattutto in sede di costituzione appare meno problematica per le società a responsabilità limitata laddove nell'art. 2464 c.c. è espressamente statuito al secondo comma che possano essere conferiti appunto tutti gli elementi dell'attivo suscettibili di valutazione economica. E la cubatura intesa quale bene è certamente un elemento dell'attivo suscettibile di valutazione economica.

[nota 151] F. PATTI - F. RUSSO, op. cit., p. 1688 ricordano che nei negozi aventi ad oggetto la cubatura, intesa quale bene in sé «potrà essere introdotto l'elemento accidentale della condizione che appare quasi necessario nella fattispecie permutativa», ed inoltre che la condizione è elemento accidentale essenziale solo nell'ipotesi del contratto di permuta mancare in tutti gli altri casi in cui la cubatura formi oggetto di attività negoziale (in via esemplificativa, la cessione onerosa o gratuita, la datio in solutum , il conferimento sociale e così via).

[nota 152] R. CONTI, op. cit., p. 427.

[nota 153] Ed aggiunge John Maynard Keines (in National Self Sufficiency, in The Yale Review, XXII, (1933), n. 4, p. 755 tratto dalla traduzione italiana del volume Come uscire dalla crisi a cura di P. Sabatini, Roma-Bari, 2009, p. 101 e ss.) che «tale fine le amministrazioni pubbliche promuovono e sostengono, per quanto di rispettiva competenza, apposite attività di conoscenza, informazione e formazione, riqualificazione e fruizione del paesaggio nonché, ove possibile, la realizzazione di nuovi valori paesaggistici coerenti ed integrati».

[nota 154] Ricorda che «invece di utilizzare l'immenso incremento delle risorse materiali e tecniche per costruire la città delle meraviglie, abbiano creato ghetti e bassifondi; e si ritiene che sia giusto così perché fruttano mentre - in the imbecile idiom of the financial fashion - la città delle meraviglie potrebbe ipotecare il futuro. Questa regola autodistruttiva di calcolo finanziario governa ogni aspetto della vita. Distruggiamo le campagne perché le bellezze naturali non hanno valore economico. Saremmo capaci di fermare il sole e le stelle perché non ci danno alcun dividendo».

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