L'incidenza dei provvedimenti amministrativi sulla circolazione degli immobili
L'incidenza dei provvedimenti amministrativi sulla circolazione degli immobili
di Federico Magliulo
Notaio in Roma

Generalità

La disciplina del condono edilizio ha ormai assunto nel vigente ordinamento una notevole complessità derivante non solo dalla peculiarità della fattispecie, ma anche dalla stratificazione di numerose norme che si sono succedute nel tempo.

La questione è tanto più delicata se si considera che la normativa in esame incide in modo rilevante sulla circolazione immobiliare, in quanto, in presenza di abusi edilizi c.d. maggiori [nota 1], l'inidoneità della domanda di sanatoria edilizia e/o l'omesso o incompleto adempimento delle formalità negoziali previste al riguardo dalla legge può impedire la stipulazione di un valido atto di disposizione dell'immobile condonato.

Tra i numerosi problemi che la materia in esame pone, quelli forse più insidiosi per l'attività notarile attengono al c.d. silenzio assenso sulla domanda di sanatoria ed agli immobili sottoposti a vincoli.

Da ciò deriva l'opportunità di richiamare l'attenzione degli operatori del settore sulle questioni più delicate che la materia in esame pone all'interprete.

Il silenzio assenso sulla domanda di sanatoria edilizia

Nozione di silenzio assenso

La nozione di silenzio assenso deriva dal diritto amministrativo e rientra nel novero delle fattispecie legali di qualificazione giuridica del silenzio della pubblica amministrazione.

Si tratta per la verità di valutazioni legali tipiche dell'inerzia della pubblica amministrazione, in quando solo una norma giuridica può attribuire al silenzio, comportamento in sé giuridicamente neutro, la valenza di un provvedimento amministrativo o comunque il prodursi di determinati effetti giuridici.

Si è così giunti a costruire tre principali figure di silenzio legalmente qualificato:

· il silenzio-assenso, nel quale l'inerzia della pubblica amministrazione su una istanza diretta all'emanazione di un provvedimento equivale all'accoglimento dell'istanza medesima;

· il silenzio-rigetto, nel quale l'inerzia della pubblica amministrazione su una istanza diretta all'emanazione di un provvedimento equivale al diniego dell'accoglimento dell'istanza medesima e quindi ad un provvedimento negativo;

· il silenzio-rifiuto, nel quale all'inerzia della pubblica amministrazione su una istanza diretta all'emanazione di un provvedimento la legge non ricollega né l'accoglimento dell'istanza né il diniego della stessa, ma soltanto la possibilità per il richiedente di impugnare il silenzio-rifiuto dell'amministrazione per ottenere in via giurisdizionale il rilascio del provvedimento omesso.

Nella materia del condono edilizio il legislatore sin dal primo condono (L. 28-2-1985, n. 47) ha fatto ricorso alla fattispecie del silenzio assenso sulla domanda di sanatoria.

Le fattispecie del silenzio rigetto e del silenzio rifiuto, come avremo modo di rilevare nel prosieguo della presente trattazione, sono state invece utilizzate nelle varie norme succedutesi nel tempo, per gli abusi commessi in aree sottoposte a vincoli, in relazione alle istanze dirette ad ottenere il rilascio, da parte dell'autorità preposta alla tutela del vincolo, del prescritto parere sull'istanza di sanatoria edilizia.

L'evoluzione normativa del silenzio assenso sulla domanda di sanatoria edilizia

Nel primo condono edilizio il silenzio assenso è disciplinato dall'art. 35, comma 12 della L. 47/85, ove si prevede che «Fermo il disposto del primo comma dell'articolo 40 e con l'esclusione dei casi di cui all'articolo 33, decorso il termine perentorio di ventiquattro mesi dalla presentazione della domanda, quest'ultima si intende accolta ove l'interessato provveda al pagamento di tutte le somme eventualmente dovute a conguaglio ed alla presentazione all'ufficio tecnico erariale della documentazione necessaria all'accatastamento. Trascorsi trentasei mesi si prescrive l'eventuale diritto al conguaglio o al rimborso spettanti».

A tal fine il citato articolo prescrive altresì che, nelle ipotesi previste nell'articolo 32, vale a dire per le opere eseguite su aree sottoposte a vincolo, il termine per la formazione del silenzio assenso «decorre dall'emissione del parere previsto dal primo comma dello stesso articolo 32».

Già in questa prima versione del condono edilizio la formazione del silenzio assenso non era, dunque, ricollegata alla sola presentazione della domanda di condono ed al decorso infruttuoso del termine di legge, ma anche ad altri presupposti, quali innanzitutto il pagamento di tutte le somme eventualmente dovute a conguaglio [nota 2], la presentazione all'ufficio tecnico erariale della documentazione necessaria all'accatastamento, l'emissione del parere favorevole dell'autorità preposta alla tutela del vincolo eventualmente gravante sull'area interessata.

Ma soprattutto la norma in esame faceva salvo il disposto del comma 1 dell'articolo 40, che prevede il caso in cui «la domanda presentata, per la rilevanza delle omissioni o delle inesattezze riscontrate, deve ritenersi dolosamente infedele», quale fattispecie impeditiva della sanatoria [nota 3].

Già dunque con il primo condono edilizio appariva evidente come la formazione del silenzio assenso potesse essere di non facile accertamento per i terzi.

Anche il secondo condono edilizio (art. 39, L. 23 dicembre 1994, n. 724) faceva ricorso alla tecnica del silenzio assenso, prevedendo che «Il pagamento dell'oblazione dovuta ai sensi della L. 28 febbraio 1985, n. 47, dell'eventuale integrazione di cui al comma 6, degli oneri di concessione di cui al comma 9, nonché la documentazione di cui al presente comma [nota 4] e la denuncia in catasto nel termine di cui all'art. 52, comma 2, della L. 28 febbraio 1985, n. 47, come da ultimo prorogato dall'art. 9, comma 8, del D.l. 30 dicembre 1993, n. 557, convertito, con modificazioni, dalla L. 26 febbraio 1994, n. 133, ed il decorso del termine di un anno e di due anni per i comuni con più di 500.000 abitanti dalla data di entrata in vigore della presente legge senza l'adozione di un provvedimento negativo del comune, equivale a concessione o ad autorizzazione edilizia in sanatoria».

Anche in questo secondo caso il verificarsi del silenzio assenso viene ad essere ancorato nella sostanza, in modo ancora più dettagliato, al verificarsi di una pluralità di circostanze, anche di carattere documentale.

Ma la fattispecie del silenzio assenso diviene ancora più complessa con l'emanazione del terzo condono edilizio di cui all'art. 32 del D.l. 30 settembre 2003, n. 269 convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326.

Il comma 37 del citato art. 32 dispone infatti che «Il pagamento degli oneri di concessione, la presentazione della documentazione di cui al comma 35 [nota 5], della denuncia in catasto, della denuncia ai fini dell'imposta comunale degli immobili di cui al decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, nonché, ove dovute, delle denunce ai fini della tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani e per l'occupazione del suolo pubblico, entro il 31 ottobre 2005, nonché il decorso del termine di ventiquattro mesi da tale data senza l'adozione di un provvedimento negativo del comune, equivalgono a titolo abilitativo edilizio in sanatoria. Se nei termini previsti l'oblazione dovuta non è stata interamente corrisposta o è stata determinata in forma dolosamente inesatta, le costruzioni realizzate senza titolo abilitativo edilizio sono assoggettate alle sanzioni richiamate all'articolo 40 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, e all'articolo 48 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380».

L'iter legislativo dell'istituto del silenzio assenso sulla domanda di sanatoria edilizia veniva così ad arricchirsi di ulteriori presupposti di operatività.

Ma nel contempo, probabilmente per un lapsus del legislatore, non si annoverava più tra gli elementi costitutivi del silenzio assenso anche il pagamento dell'oblazione, pur prevedendosi nel medesimo comma 37 che «Se nei termini previsti l'oblazione dovuta non è stata interamente corrisposta o è stata determinata in forma dolosamente inesatta, le costruzioni realizzate senza titolo abilitativo edilizio sono assoggettate alle sanzioni richiamate all'articolo 40 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, e all'articolo 48 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380».

Come se non bastasse, la sentenza della Corte costituzionale 28 giugno 2004, n. 196 nel dichiarare parzialmente incostituzionale l'art. 32 del decreto legge n. 269, nella sostanza attribuiva, con una pronuncia additiva, alle regioni ulteriori competenze nella materia di cui trattasi, tra cui quella di disciplinare diversamente il silenzio assenso.

Alcune regioni si sono avvalse di tale facoltà.

Valga per tutte l'esempio della Regione Lazio, che ha emanato disposizioni in materia con la legge regionale 8 novembre 2004, n. 12, il cui art. 6 commi 3 e 4 dispone che la presentazione della domanda e della relativa documentazione, il pagamento degli oneri concessori e dell'oblazione, la presentazione delle denunce di cui all'articolo 32, comma 37, del D.l. 269/2003 e successive modifiche, con le modalità e nei termini previsti dalla normativa vigente, nonché la mancata adozione di un provvedimento negativo del comune entro i trentasei mesi dalla data di scadenza del versamento della terza rata relativa agli oneri concessori prevista dall'articolo 7, comma 2, lettera b, numero 2, equivalgono a titolo abilitativo edilizio in sanatoria.

La norma ricalca quella statale con due differenze.

In primo luogo viene espressamente incluso tra le formalità necessarie per la formazione del silenzio - assenso il pagamento dell'oblazione che invece, come di detto, almeno dal punto di vista letterale, non era previsto dall'art. 32 comma 37 del D.l. 269/2003 come condizione per la formazione del silenzio assenso medesimo.

In secondo luogo il temine per la formazione del silenzio - assenso viene portato dal decorso di ventiquattro mesi dal 30 giugno 2005 (e quindi 30 giugno 2007) al decorso di trentasei mesi dalla data di scadenza del versamento della terza rata relativa agli oneri concessori prevista dall'articolo 7, comma 2, lettera b, numero 2 (e quindi 2 maggio 2009) [nota 6].

Inoltre la norma regionale introduce delle ipotesi di sospensione del termine per la formazione del silenzio-assenso.

E' infatti stabilito che detto termine resta sospeso nelle ipotesi previste dall'articolo 5, commi 1 e 2 L.r., nonché dall'articolo 6 comma 1 L.r., relativi alla richiesta di integrazione da parte del comune, per tutto il periodo decorrente dal ricevimento della comunicazione del comune e fino alla scadenza del termine dato all'interessato per i relativi adempimenti.

Le leggi statali in materia di primo secondo e terzo condono edilizio non prevedevano, invece, fattispecie di sospensione del termine per la formazione del silenzio assenso, alimentando in tal modo l'opinione [nota 7], peraltro suffragata dal tenore letterale della disposizione della legge 47/85, che il termine in esame fosse perentorio, onde non fosse consentito all'amministrazione comunale sospenderlo mediante una richiesta di documentazione integrativa.

Effetti del silenzio assenso

Per altro verso deve sottolinearsi che la formazione del silenzio assenso sulla domanda di sanatoria edilizia, per quanto, alla stregua delle esposte considerazioni, di assai difficile accertamento, determina in definitiva gli stessi effetti del rilascio del provvedimento espresso di sanatoria.

Ne consegue che non v'è ragione di negare alla fattispecie del silenzio assenso l'attitudine a produrre tutti gli effetti che la legge riconnette al rilascio del provvedimento espresso di sanatoria, sia in via diretta che in via diretta.

Si allude in particolate alla c.d. sanatoria di diritto prevista dall'art. 2, comma 57, della legge n. 662 del 1996, secondo cui a seguito del rilascio della concessione in sanatoria ai sensi dell'articolo 39 della legge n. 724 del 1994, gli atti tra vivi la cui nullità non sia stata ancora dichiarata, acquistano validità di diritto.

Si tratta peraltro di una norma il cui ambito di applicazione è stato esteso, ad onta del tenore letterale della stessa, anche al primo condono edilizio [nota 8].

Ma soprattutto si è ritenuto che la sanatoria di diritto consegua anche al verificarsi del silenzio assenso, proprio in ragione dell'equiparazione dello stesso al rilascio di un espresso provvedimento di accoglimento dell'istanza di sanatoria [nota 9].

Le formalità negoziali in presenza di silenzio assenso

La formazione del silenzio assenso sulla domanda di sanatoria edilizia ha peraltro una diretta incidenza sulle formalità negoziali richieste dalla legge a pena di nullità.

E' noto che per lungo tempo la materia è stata regolata in via esclusiva dall'art. 40 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, il quale prevedeva una dettagliata disciplina delle formalità negoziali per gli atti notarili posti in essere con una domanda di sanatoria in itinere.

Nondimeno esso non faceva espressamente alcun cenno alle formalità necessarie, laddove sulla domanda di sanatoria edilizia si fosse formato il silenzio assenso, onde il compito di individuare quale fosse la disciplina applicabile al caso di specie era stato, non senza difficoltà, svolto dalla dottrina notarile [nota 10].

La materia delle formalità negoziali relative agli immobili oggetto di domanda di sanatoria edilizia è stata poi nuovamente disciplinata dall'art. 2 comma 58 della legge 23 dicembre 1996, n. 662, il quale si è in sostanza sovrapposto alla precedente disposizione di cui all'art 40 della legge 28 febbraio 1985, n. 47.

La legge 662/1996 sopraggiungeva peraltro dopo un lungo e travagliato iter legislativo relativo.

E' noto infatti che la nuova normativa in tema di sanatoria degli abusi edilizi prese le mosse dal D.l. 26 luglio 1994, n. 468, il quale, attraverso una serie di reiterazioni [nota 11], sfociò nella legge 23 dicembre 1994, n. 724. Tale normativa fu poi oggetto di modifiche ed integrazioni per effetto di un'ulteriore ed interminabile selva di decreti legge mai convertiti [nota 12], i quali avevano di volta in volta innovato parzialmente alla normativa previgente in materia, seminando il caos tra gli addetti ai lavori.

Le ragioni di tale confusione normativa sono da individuarsi principalmente nella tecnica legislativa adottata.

Ed invero già la legge 724/1994, più che dettare una normativa esaustiva del nuovo condono edilizio, si limitava da un lato a richiamare integralmente le disposizioni della vecchia legge 28 febbraio 1985, n. 47, dall'altro a dettare alcune disposizioni innovative che si sovrapponevano, senza alcun espresso coordinamento, alle norme della legge n. 47. Inoltre la medesima legge n. 724 interveniva anche a dettare disposizioni modificative della procedura relativa alle vecchie domande di sanatoria ancora in corso.

La medesima tecnica legislativa risulta essere stata adottata dalla citata legge 662/96, la quale in più punti non modifica espressamente le disposizioni delle leggi n. 47/85 e 724/94, ma detta delle norme che si sovrappongono senza coordinamento alle disposizioni precedenti.

Nondimeno la legge 662/1996 ha l'indubbio merito di prevedere per la prima volta un'espressa disciplina delle formalità negoziali da osservare per il caso in cui sulla domanda di sanatoria si fosse formato il silenzio assenso.

L'art. 2 comma 58 della legge 23 dicembre 1996, n. 662 dispone, infatti, al riguardo che «Verificatosi il silenzio assenso disciplinato dall'articolo 39, comma 4, della legge 23 dicembre 1994, n. 724, nei predetti atti devono essere indicati, a pena di nullità, i seguenti elementi costitutivi dello stesso: data della domanda, estremi del versamento di tutte le somme dovute, dichiarazione dell'autorità preposta alla tutela dei vincoli nei casi di cui al periodo precedente, dichiarazione di parte che il comune non ha provveduto ad emettere provvedimento di sanatoria nei termini stabiliti nell'articolo 39, comma 4, della citata legge n. 724 del 1994».

La norma tuttavia lascia perplessi da un triplice punto di vista.

Il problema della verifica dell'avvenuta formazione del silenzio assenso

Da un lato, infatti, essa sembra connettere alle parti l'onere di verificare quando sia effettivamente intervenuta la fattispecie del silenzio assenso, circostanza il cui accertamento, come si è visto, può essere enormemente complesso e difficile.

Nondimeno al riguardo è di estrema importanza notare come le menzioni richieste al riguardo siano in parte le medesime richieste dalla precedente disposizione del comma 58 con riguardo alle domande non definite per silenzio assenso.

E precisamente si tratta:

- degli estremi della domanda di condono (anzi in questo caso il legislatore si limita a richiedere la sola data di presentazione);

- degli estremi del versamento di tutte le somme dovute.

Fin qui pertanto nihil novi sub sole.

Senonché la norma prosegue richiedendo, in aggiunta alle menzioni anzidette, anche:

1. «dichiarazione dell'autorità preposta alla tutela dei vincoli nei casi di cui al periodo precedente».

Si noti peraltro che in tal caso, a differenza di quanto previsto per le domande di condono in itinere, non è sufficiente la semplice richiesta di parere. La ragione è evidente: il formarsi del silenzio assenso presuppone, come si è visto, che il parere sia stato non solo richiesto, ma anche rilasciato in senso favorevole (cfr. art. 35 comma 13 della legge 47/85) [nota 13];

2. «dichiarazione di parte che il comune non ha provveduto ad emettere provvedimento di sanatoria nei termini stabiliti nell'art. 39, comma 4, della citata legge n. 724 del 1994».

Orbene è facile notare come sotto tale norma si celi una grave insidia, in quanto dalla formulazione letterale della stessa parrebbe che, una volta verificatosi il silenzio assenso, non possano più utilizzarsi le formalità relative alle domande di condono ancora in itinere, ma debba obbligatoriamente ricorrersi, peraltro a pena di nullità, alle specifiche formalità sopra esposte previste per il caso di intervenuto silenzio assenso.

Sicché in teoria ci si dovrebbe far carico di verificare preventivamente - accertamento non sempre facile - se tale silenzio assenso si sia verificato per poter sapere se applicare l'una o l'altra formalità negoziale.

Tuttavia - ed anche tale circostanza è di estrema importanza - la legge non richiede affatto che venga dichiarato espressamente che si è verificato il silenzio assenso [nota 14].

Ciò rende possibile evitare l'insidia derivante dalla disposizione che detta le formalità negoziali da osservarsi per il caso di intervenuto silenzio assenso.

E' sufficiente al riguardo configurare sempre la clausola in modo tale che, laddove sia in astratto anche soltanto possibile l'avvenuto perfezionamento del silenzio assenso, la clausola stessa contenga gli elementi sufficienti a salvare la validità dell'atto sia che il silenzio assenso si sia effettivamente verificato sia che il silenzio assenso non si sia in realtà perfezionato.

In particolare ogni qual volta vi sia la possibilità che siano decorsi i termini per la formazione del silenzio assenso appare opportuno inserire in atto la dichiarazione che il comune competente non ha provveduto ad emettere espresso provvedimento di sanatoria nei termini di legge, anche quando, per il caos interpretativo creatosi a seguito della sovrapposizione delle diverse normative in tema di condono edilizio, sia dubbio se in concreto si sia effettivamente formato il silenzio assenso [nota 15].

Ed invero nel caso in cui risulti che il silenzio assenso si fosse effettivamente formato alla data di stipulazione dell'atto, la mancanza di tale menzione determinerebbe, ai sensi dell'art. 2 comma 58 seconda parte della legge 662/1996, in caso di abusi maggiori, la nullità dell'atto; ove invece risultasse che il silenzio assenso non si era effettivamente formato, tale menzione appare inutile, ma non dannosa, in quanto oltretutto la stessa non è diretta ad attestare l'avvenuta formazione del silenzio assenso - attestazione, come si è detto, non richiesta dalla legge - bensì a dichiarare l'avvenuto decorso dei termini di legge.

In ogni caso si tratta peraltro pur sempre di dichiarazioni di parte.

Ne consegue che siffatte dichiarazioni costituiscono a tutti gli effetti dichiarazioni dell'intestatario, sul quale soltanto ricade la relativa responsabilità.

Pertanto il notaio deve rispondere solo del fatto che la dichiarazione di parte sia resa ed inserita in atto, ma certamente egli non è tenuto ad accertarsi aliunde della falsità o meno della dichiarazione, salvo che non abbia assunto uno specifico incarico in tal senso [nota 16].

Il problema dell'applicabilità delle norme sul silenzio assenso anche al primo ed al terzo condono

In secondo luogo l'art. 2 comma 58 della legge 23 dicembre 1996, n. 662 dal punto di vista letterale sembra fare riferimento al solo «silenzio assenso disciplinato dall'articolo 39, comma 4, della legge 23 dicembre 1994, n. 724» e non anche al silenzio assenso previsto dal primo e dal terzo condono edilizio.

Se ne dovrebbe dedurre, a prima vista, che non dovrebbe porsi per il primo ed il terzo condono la necessità di osservare le formalità dettate dal citato comma 58 della legge 662/96 per il caso di avvenuta formazione del silenzio assenso, in quanto la norma in esame fa riferimento al solo silenzio assenso di cui all'art. 39 comma 4 della legge 724/1994, il quale sembra dettare la disciplina della presentazione e definizione delle domande di cui al secondo condono, mentre la disciplina del primo e terzo condono edilizio non dettano alcuna specifica prescrizione formale in caso di sopravvenuto silenzio assenso.

Nondimeno è stato autorevolmente sostenuto che il predetto art. 39 comma 4 troverebbe applicazione per tutte le domande di condono per le quali al 1° gennaio 1995 (data di entrata in vigore della legge 724) non era intervenuto il silenzio assenso e che la disposizione del citato comma 58 relativa all'intervenuto silenzio assenso troverebbe applicazione «per tutte le fattispecie anche precedentemente realizzatesi» [nota 17].

Tale interpretazione sembra trovare un unico riscontro nel testo normativo: la disciplina del citato art. 39 comma 4, per il resto integralmente riferita alle procedure relative alle nuove domande di condono, inaspettatamente introduce tra gli elementi costitutivi del silenzio assenso, dopo il pagamento dell'oblazione, anche il pagamento «dell'eventuale integrazione di cui al comma 6», il quale espressamente si riferisce alle vecchie domande di condono.

L'incongruenza è resa ancor più evidente dalla circostanza che il medesimo comma 4, tra gli elementi costitutivi del silenzio assenso, adduce il pagamento «degli oneri di concessione di cui al comma 9» (relativi al secondo condono), ma non anche il pagamento degli oneri concessori di cui al comma 10 (relativi ai primo condoni).

Tuttavia non appare del tutto certo che da un singolo riferimento applicabile alle vecchie domande di condono possa dedursi che tutto il resto della disposizione, e pertanto anche i termini per la formazione del silenzio assenso, siano riferibili a dette domande, tenuto conto del fatto che per le medesime esisteva già una specifica disciplina dei termini di formazione del silenzio assenso.

Ma, a tutto voler concedere all'opinione in esame, pur ammettendo che il detto art. 39 comma 4 disciplini integralmente anche le vecchie domande di condono non ancora definite per non essere maturato il silenzio assenso sotto il vigore della previgente normativa, è indiscutibile che rimangono fuori dalla nuova disciplina le vecchie domande di condono per le quali il silenzio assenso si era già formato prima dell'entrata in vigore della legge 724/94 ai sensi dell'art. 35 comma 12 della legge n. 47/85.

A tali domande non potrebbe pertanto in ogni caso applicarsi in via diretta l'art. 2 comma 58 seconda parte della legge 662/1996, il quale fa appunto riferimento ai soli casi di silenzio assenso maturato in base all'art. 39 comma 4 della legge 724/1994.

Ciononostante si ritiene opportuno, per motivi tuzioristici e per evitare qualsiasi contestazione al riguardo, attenersi alla sopra citata più rigorosa interpretazione.

Ed analoghe considerazioni potrebbero essere effettuate anche per il terzo condono edilizio, in quanto anche per quest'ultimo, come per i precedenti condoni si è utilizzata largamente la tecnica del rinvio normativo ai condoni pregressi [nota 18].

In particolare l'art. 32 comma 25 del D.l. 269/2003 sancisce espressamente che «le disposizioni di cui ai capi IV e V della legge 28 febbraio 1985, n. 47, e successive modificazioni e integrazioni, come ulteriormente modificate dall'articolo 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, si applicano alle opere abusive che risultino ultimate entro il 31 marzo 2003».

L'indicazione in atto dei presupposti del silenzio assenso

In terzo luogo la norma non prevede che si debbano menzionare in atto tutti i presupposti che, in base alle leggi di volta in volta succedutesi, sono costitutivi del silenzio assenso, ma solo alcuni di essi, evidentemente ritenuti di maggiore importanza.

Ne consegue che si deve ritenere che non sia necessario, ai fini della validità dell'atto, indicare nello stesso anche tutti gli altri presupposti costitutivi del silenzio assenso.

Del resto come si è avuto modo di sottolineare i presupposti di formazione del silenzio assenso variano non solo in ragione della circostanza che si tratti di primo, secondo o terzo condono edilizio, ma anche nell'ambito della medesima tipologia di condono [nota 19].

I vincoli urbanistici ed il condono edilizio

Generalità

Il rapporto tra la condonabilità degli abusi edilizi ed i vincoli urbanistici è stato da sempre problematico e complesso.

La ragione di tale complessità risiede innanzitutto nella considerazione che già in astratto la tutela dei beni protetti dal vincolo, e l'orientamento di politica legislativa che a tale tutela è sottesa, confliggono con la logica permissiva che è alla base delle disposizioni che dal 1985 hanno consentito, ad intervalli decennali, il condono edilizio delle opere abusivamente realizzate.

Nondimeno la materia esame è resa ancor più insidiosa dalla circostanza che le normative in materia hanno subito nel tempo un'evoluzione che ha creato non di rado numerosi punti di conflitto.

D'altra parte il legislatore non ha certamente agevolato l'opera dell'interprete, poichè egli non ha provveduto a dettare norme di coordinamento dirette ad attenuare e risolvere i conflitti in esame.

L'evoluzione normativa dell'art. 32 della legge 28 febbraio 1985, n. 47

La riprova della tormentata evoluzione normativa della materia in esame si può agevolmente dedurre dalle numerose modifiche succedutesi nel tempo in ordine all'art. 32 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, che tratta della sanatoria edilizia delle opere soggette a vincolo.

In realtà in principio, nel sistema della legge 47/85, la sussistenza di un vincolo non era configurata, di regola, come circostanza ostativa all'ottenimento della sanatoria edilizia, poichè l'art. 32 della legge sopra citata si limitava nel suo testo originario a stabilire che - salvo che per le opere eseguite in contrasto con vincoli che comportino l'inedificabilità assoluta, fattispecie per la quale l'art. 33 della legge 47/85 preclude la sanabilità dell'opera - la sussistenza di un vincolo implicava che il rilascio della sanatoria fosse subordinato al parere favorevole delle amministrazioni preposte alla tutela del vincolo stesso.

La medesima disposizione prevedeva inoltre che se, detto parere non veniva emesso entro 180 giorni dalla richiesta, esso si intendeva reso in senso negativo, precludendo in tal modo la sanatoria.

Tale ultima norma dunque introduceva un elemento di rigidità in una normativa tendenzialmente permissiva in materia di sanabilità di opere su immobili soggetti a vincolo.

Ma anche tale rigidità fu attenuata in seguito al D.l. 12 gennaio 1988, n. 2, convertito nella legge 13 marzo 1988, n. 68, con il quale l'art. 32 della legge 47/85 fu modificato nel senso che il silenzio-rigetto di cui sopra fu trasformato in silenzio-rifiuto, il quale non precludeva la sanatoria, ma si limitava a rendere possibile per il richiedente di impugnare detto silenzio per ottenere in via giurisdizionale il rilascio del parere omesso [nota 20].

Ancora tale disposizione era parsa evidentemente troppo restrittiva ed in conseguenza un ulteriore alleggerimento della procedura di sanatoria fu apportato con le leggi 23 dicembre 1994, n. 724, che modificò ancora l'art. 32 della legge 47/85, prevedendo che per le opere eseguite su immobili soggetti alla L. 29 giugno 1939, n. 1497, e al D.l. 27 giugno 1985, n. 312, convertito, con modificazioni, dalla L. 8 agosto 1985, n. 431, relative ad ampliamenti e nelle tipologie di abuso che non comportassero aumento di superficie o di volume [nota 21], il silenzio rifiuto si trasformasse in silenzio-assenso con termine di 120 giorni dalla richiesta, nel senso che il silenzio dell'amministrazione protrattosi oltre detto termine comportava che il parere dovesse intendersi rilasciato in senso favorevole.

La situazione mutò ancora a seguito della L. 23 dicembre 1996, n. 662, che ripristinò il principio generale del silenzio-assenso nei 180 giorni dalla richiesta, ma mantenne il silenzio-rifiuto per i vincoli maggiori (vincoli di cui alla L. 1° giugno 1939, n. 1089, L. 29 giugno 1939, n. 1497, ed al D.l. 27 giugno 1985, n. 312, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1985, n. 431, vincoli imposti da leggi statali e regionali e dagli strumenti urbanistici, a tutela di interessi idrogeologici e delle falde idriche nonché dei parchi e delle aree protette nazionali e regionali qualora istituiti prima dell'abuso).

Infine con il D.l. 269/2003 l'art. 32 della L. 47/85 viene ulteriormente modificato, nel senso che viene ripristinato per tutti i vincoli il principio del silenzio rifiuto nei centottanta giorni dalla data di ricevimento della richiesta di parere, fermo restando che il parere non è richiesto quando si tratti di violazioni riguardanti l'altezza, i distacchi, la cubatura o la superficie coperta che non eccedano il 2 per cento delle misure prescritte.

Il divieto di autorizzazione paesaggistica in sanatoria

Peraltro le normative in materia di vincoli e quella in materia di sanatoria edilizia, pur trovando simultaneamente applicazione in relazione alla medesima opera, sono indiscutibilmente dirette a tutelare interessi distinti.

Da ciò consegue che la legge prevede diversi provvedimenti autorizzativi, ciascuno dei quali è funzionale ad assicurare il rispetto delle disposizioni di tutela del singolo interesse protetto.

Nondimeno la concorrenza di due procedure autorizzative per la medesima opera non poteva non generare interferenze tra le medesime e in conseguenza l'insorgenza di conflitti normativi di non agevole soluzione.

Ad esempio, in materia di vincoli ambientali, l'art. 146, comma 4, del D.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, recante il codice dei beni culturali e del paesaggio, dispone infatti, con riferimento al vincolo paesaggistico, che «L'autorizzazione paesaggistica costituisce atto autonomo e presupposto rispetto al permesso di costruire o agli altri titoli legittimanti l'intervento urbanistico-edilizio. Fuori dai casi di cui all'articolo 167, commi 4 e 5, l'autorizzazione non può essere rilasciata in sanatoria successivamente alla realizzazione, anche parziale, degli interventi».

A sua volta i commi 4 e 5 dell'articolo 167 citato prevedono che «4. L'autorità amministrativa competente accerta la compatibilità paesaggistica, secondo le procedure di cui al comma 5, nei seguenti casi:

a. per i lavori, realizzati in assenza o difformità dall'autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati;

b. per l'impiego di materiali in difformità dall'autorizzazione paesaggistica;

c. per i lavori comunque configurabili quali interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria ai sensi dell'articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380.

5. Il proprietario, possessore o detentore a qualsiasi titolo dell'immobile o dell'area interessati dagli interventi di cui al comma 4 presenta apposita domanda all'autorità preposta alla gestione del vincolo ai fini dell'accertamento della compatibilità paesaggistica degli interventi medesimi. L'autorità competente si pronuncia sulla domanda entro il termine perentorio di centottanta giorni, previo parere vincolante della soprintendenza da rendersi entro il termine perentorio di novanta giorni. Qualora venga accertata la compatibilità paesaggistica, il trasgressore è tenuto al pagamento di una somma equivalente al maggiore importo tra il danno arrecato e il profitto conseguito mediante la trasgressione. L'importo della sanzione pecuniaria è determinato previa perizia di stima. In caso di rigetto della domanda si applica la sanzione demolitoria di cui al comma 1. La domanda di accertamento della compatibilità paesaggistica presentata ai sensi dell'articolo 181, comma 1-quater, si intende presentata anche ai sensi e per gli effetti di cui al presente comma».

Tale disposizione dunque sembrerebbe a prima vista, salve le eccezioni ivi contemplate, precludere il rilascio dell'autorizzazione ambientale anche laddove questa sia propedeutica alla sanatoria urbanistica.

In altre parole astrattamente la sanabilità dell'opera dal punto di vista urbanistico non implica ipso jure la sanabilità della stessa dal punto di vista ambientale.

Ma a ben vedere un parziale coordinamento normativo tra le due sanatorie esiste.

Ed invero l'art. 32 comma 27 lett. d, del D.l. 269/2003 consente, salvo più restrittive norme regionali, la sanabilità urbanistica delle opere realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela dei beni ambientali e paesistici, purchè conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici, sia pure con alcune rilevanti limitazioni che avremo modo di esaminare nel prosieguo della presente trattazione.

D'altra parte, come si è visto, l'art. 32 della legge 47/85 sancisce che il rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria per opere eseguite su immobili sottoposti a vincolo è subordinato al parere favorevole delle amministrazioni preposte alla tutela del vincolo stesso.

Ne consegue con ogni evidenza che deve ritenersi consentito il rilascio a sanatoria del parere favorevole dell'autorità preposta alla tutela del vincolo stesso, altrimenti non avrebbe avuto alcun senso statuire la sanabilità urbanistica dell'opera effettuata su beni soggetti a vincolo ambientale, poiché questa sarebbe stata impossibile da conseguire per il divieto di rilascio dell'autorizzazione paesaggistica a sanatoria.

Pertanto deve ritenersi che la norma di cui all'art. 32 della legge 47/85, che richiede, e dunque implicitamente consente, il rilascio del parere favorevole dell'amministrazione preposta alla tutela del vincolo costituisce una norma speciale che deroga in parte qua al principio di cui all'art. 146, comma 10, lett. c, del Codice dei beni culturali e del paesaggio.

Del resto il condono di cui all'art. 32 del D.l. 269/2003 costituisce una procedura di per sé extra ordinem e dunque derogatoria dei principi generali della materia.

Il terzo condono edilizio ed i vincoli urbanistici

Ma l'aspetto forse più rilevante ed innovativo delle nuove disposizioni risiede nella circostanza che l'articolo 32 del D.l. 269/2003 esclude in certi casi la possibilità di ricorrere al terzo condono per le opere realizzate su immobili soggetti a vincoli.

Peraltro l'ambito di applicazione di tale esclusione è incerto a causa della contorta ed ambigua formulazione dell'art. 32, commi 26 e 27, del D.l. 269/2003.

Infatti l'art. 32 comma 27 del D.l. 269 del 2003 contraddittoriamente, da un lato fa salvo quanto previsto dagli articoli 32 e 33 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, che consentono la sanatoria degli abusi su aree vincolate, purchè non si tratti di vincoli di inedificabilità assoluta, dall'altro alla lettera d, esclude indiscriminatamente la sanatoria delle opere realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere, dei beni ambientali e paesistici, nonché dei parchi e delle aree protette nazionali, regionali e provinciali qualora istituiti prima della esecuzione di dette opere, in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici [nota 22].

In riferimento a quest'ultimo punto la Regione Lazio [nota 23], con l'avvallo del Ministero per i beni e le attività culturali [nota 24], ha assunto un interpretazione alquanto restrittiva, ritenendo che in tal caso la possibilità di condonare le opere abusive è sottoposta ad una duplice condizione:

la conformità dell'opera abusiva alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici espressamente prevista dalla lettera d, del comma 27 del D.l. 269/2003;

la circostanza che si tratti di interventi c.d. minori, vale a dire quelli di cui alle tipologie di illecito previste dai numeri 4, 5 e 6 dell'allegato 1 del D.l. 269/2003 (Opere di restauro, risanamento conservativo e manutenzione straordinaria).

Ciò sulla base della giurisprudenza penale della Cassazione [nota 25] e della Relazione governativa al D.l. n. 269/2003 secondo cui «... è fissata la tipologia di opere assolutamente insanabili tra le quali si evidenziano ... quelle realizzate in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio nelle aree sottoposte ai vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici, ambientali e paesistici ... Per gli interventi di minore rilevanza (restauro e risanamento conservativo) si ammette la possibilità di ottenere la sanatoria edilizia negli immobili soggetti a vincolo previo parere favorevole da parte dell'autorità preposta alla tutela».

Resterebbero pertanto sicuramente escluse dalla possibilità di ricorrere al terzo condono edilizio le nuove costruzioni in quanto abusi di tipo c.d. maggiore.

Peraltro l'inclusione delle opere interne tra quelle non sanabili è stata criticata [nota 26] per quanto attiene ai vincoli paesaggistici, atteso che in base all'art. 149 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, adottato con D.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, gli interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria, di consolidamento statico e di restauro conservativo che non alterino lo stato dei luoghi e l'aspetto esteriore degli edifici non sono soggetti all'autorizzazione paesaggistica, perché non sono idonei a compromettere il bene tutelato da tali norme.

Se ne potrebbe dedurre che, laddove dette opere non abbiano alterato lo stato dei luoghi e l'aspetto esteriore degli edifici, non dovrebbe alle stesse applicarsi il divieto di sanatoria previsto sia dalle leggi statali che da eventuali leggi regionali, poiché verrebbe meno la ragione che ha indotto il legislatore a sancire la non sanabilità delle opere nelle zone vincolate.

In ogni caso si tratterebbe peraltro di abusi che non incidono sulla commerciabilità [nota 27].

In quest'ottica si è posta in altra occasione, oltre che l'amministrazione dello Stato [nota 28], anche la Regione Lazio [nota 29], con riferimento alle opere interne che non alterino lo stato dei luoghi e l'aspetto esteriore degli edifici anche laddove esse non siano conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici.

Le sanzioni penali

Altro punto di attrito tra la normativa urbanistica e quella sui vincoli è rappresentato dalle sanzioni penali.

Ad esempio l'esecuzione di opere in assenza di autorizzazione ambientale e di permesso di costruire è assoggettata a sanzioni penali distinte in ragione di ciascuna delle norme violate.

L'art. 181 del Codice dei beni culturali e del paesaggio assoggetta infatti ad autonoma sanzione penale chi esegua opere in assenza di autorizzazione paesaggistica o in difformità da essa.

Orbene la giurisprudenza penale in passato aveva ritenuto che il reato paesaggistico non si estinguesse in conseguenza del rilascio della concessione edilizia in sanatoria, in caso di accertamento di conformità ex art. 36 del T.U. edilizia, come avviene per il reato urbanistico ex art. 45 del T.U. edilizia o del pagamento dell'oblazione, in caso di sanatoria straordinaria, come avviene per il reato urbanistico ex art. 38 comma 2 della legge 47/85.

A sostegno di tale assunto si adduceva infatti la considerazione che dette norme si limitano a prevedere l'estinzione dei soli reati ivi espressamente previsti e non anche quelli previsti da altre disposizioni di legge [nota 30] e ciò proprio in forza della diversa oggettività giuridica delle norme penali coinvolte.

Ne derivava che chi proponeva istanza di condono su immobili vincolati poteva incorrere nelle sanzioni penali previste per la violazione delle norme ambientali.

Ma tale conseguenza si pone in evidente contrasto con la logica permissiva posta alla base del condono edilizio, minandone le fondamenta normative, donde la necessità di attenuare la rigida separazione tra l'operatività delle norme ambientali e quella delle norme urbanistiche.

Per porre rimedio a tale incongruenza l'art. 32 del D.l. 269/2003, nel riformulare l'art. 32 della legge 47/85, ha previsto che «il rilascio del titolo abilitativo edilizio estingue anche il reato per la violazione del vincolo».

Ma tale estinzione dell'illecito penale ambientale può operare solo laddove sia possibile ottenere la sanatoria urbanistica su beni sottoposti al vincolo ambientale e dunque, nell'ultimo condono, solo ove si tratti di opere conformi agli strumenti urbanistici e salve le eventuali più restrittive norme regionali.

La rilevanza del vincolo nelle formalità negoziali

La presenza di un vincolo urbanistico incide inoltre anche sulle formalità negoziali da porre in essere in presenza di una domanda di sanatoria edilizia.

Il citato art. 2 comma 58 della legge 662/1996 prescrive infatti che, qualora il fabbricato in oggetto sia assoggettato ai vincoli di cui all'art. 32, comma 3, della legge 47/85 come introdotto dal comma 44 della citata legge 662/1996 (vincoli di cui alla L. 1° giugno 1939, n. 1089, L. 29 giugno 1939, n. 1497, ed al D.l. 27 giugno 1985, n. 312, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1985, n. 431, "Vincoli imposti da leggi statali e regionali e dagli strumenti urbanistici", a tutela di interessi idrogeologici e delle falde idriche nonché dei parchi e delle aree protette nazionali e regionali qualora istituiti prima dell'abuso), occorre, sempre a pena di nullità, «l'attestazione dell'avvenuta richiesta alle autorità competenti dell'espressione del parere di cui alla citata disposizione».

Il soggetto della dichiarazione inerente la richiesta del parere sul vincolo

Qualora tali vincoli sussistano in concreto si pone il problema di chi debba effettuare detta "attestazione" ed al riguardo si è ormai concordi nel ritenere che è sufficiente una dichiarazione di parte contenuta in atto, in omaggio ai principi generali delle formalità negoziali in materia urbanistica, essenzialmente basate, com'è noto, sulle dichiarazioni di parte [nota 31].

Naturalmente nulla vieta di allegare all'atto una copia della richiesta di parere datata e protocollata dall'autorità destinataria della detta richiesta. Tale documento infatti è senz'altro idoneo ad "attestare" l'avvenuta richiesta del parere in oggetto [nota 32].

Tuttavia stante l'indubbia rilevanza della sussistenza di tali vincoli ai fini della validità dell'atto, appare opportuno, ancorché non richiesto dalla legge, che anche qualora i detti vincoli non sussistano, sia inserita in atto un'apposita dichiarazione di parte attestante appunto l'assenza dei vincoli medesimi.

Appare, infatti, assai difficile ottenere dal comune competente una dichiarazione attestante tale circostanza, mentre la soluzione proposta appare conforme alla sistematica della normativa sulle formalità urbanistiche ai fini della commerciabilità degli immobili, la quale si basa fondamentalmente sulle dichiarazioni di parte.

L'assenza di vincoli peraltro non sempre potrebbe essere desumibile dalla domanda di condono.

Infatti solo per i vecchi condoni esisteva una modulistica ufficiale, la quale conteneva una apposita casella relativa alla esistenza o meno di vincoli.

In ogni caso le informazioni desunte al riguardo dalla domanda di condono consistono pur sempre in dichiarazioni di parte, in quanto tale è la domanda di condono, la quale appunto consiste in una mera istanza rivolta dal privato al comune competente.

L'avvenuto rilascio del parere sul vincolo

Ciò posto, in presenza dei vincoli di cui all'articolo 32, comma 3, della legge 28 febbraio 1985, n. 47 appare opportuna, oltre alla menzione della richiesta di parere, anche quella attestante che detto parere non è stato al momento della stipula ancora rilasciato [nota 33].

Ciò in quanto, ove detto parere sia stato rilasciato ed in conseguenza si sia formato il silenzio assenso, ai sensi dell'art. 2 comma 58 seconda parte della legge 662/96, sarebbe insufficiente la sola menzione della richiesta del parere, occorrendo invece la «dichiarazione dell'autorità preposta alla tutela dei vincoli».

Stante l'imprecisa formulazione legislativa, non è chiaro se detta "dichiarazione", che deve senza dubbio ritenersi consistere nel rilascio del parere favorevole sui vincoli di cui trattasi [nota 34], vada solo menzionata ovvero allegata all'atto.

Nondimeno una considerazione complessiva del sistema delle formalità negoziali urbanistiche indurrebbe a ritenere che sia sufficiente la semplice menzione, in quanto la negoziazione degli edifici è sempre nel sistema positivo commessa alla mera dichiarazione dei parte degli estremi del provvedimento o della procedura edilizia.

Ove invece il parere sia stato rilasciato, ma non si sia ancora formato il silenzio assenso, la menzione e/o l'allegazione del parere, accompagnata dalla generica attestazione che detto parere è stato rilasciato, come peraltro appare ovvio, «previa regolare richiesta», è sicuramente idonea a far ritenere osservata anche la formalità richiesta al riguardo dalla prima parte del comma 58 citato per i condoni ancora in itinere.

I vincoli rilevanti ai fini delle formalità negoziali

Nel sistema instaurato dall'art. 2 comma 58 della legge 662/1996 non tutti i vincoli erano rilevanti ai fini della loro menzione del rogito, in quanto tale disposizione faceva riferimento solo ai vincoli c. d. maggiori, vale a dire a quelli di cui all'art. 32, comma 3, della legge 47/85 come introdotto dal comma 44 della citata legge 662/1996 (vincoli di cui alla L. 1° giugno 1939, n. 1089, L. 29 giugno 1939, n. 1497, ed al D.l. 27 giugno 1985, n. 312, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1985, n. 431, vincoli imposti da leggi statali e regionali e dagli strumenti urbanistici, a tutela di interessi idrogeologici e delle falde idriche nonché dei parchi e delle aree protette nazionali e regionali qualora istituiti prima dell'abuso).

La questione si è tuttavia complicata dopo l'emanazione del terzo condono edilizio in quanto, come si è già avuto modo di accennare, l'art. 32 della L. 47/85 è stato sostituito dal comma 43 dell'art. 32, D.l. 30 settembre 2003, n. 269.

Nella sua formulazione attuale esso non prevede più un comma 3 che faccia riferimento ai soli vincoli maggiori, onde a prima vista non appare più chiaro per quali vincoli sia necessaria la menzione in atto della richiesta di parere.

Nel tentativo di risolvere l'intricata questione è stato autorevolmente sostenuto che «la norma fa esclusivo riferimento ai seguenti vincoli, già disciplinati dall'art. 32, comma 3 della legge 47 prima versione: vincoli artistici, vincoli ambientali, vincoli idrogeologici, vincoli da parco. Va notato che il richiamo contenuto nell'art. 2, comma 58 della legge n. 662 non è al comma 3 dell'art. 32 vecchia versione, bensì ai vincoli ivi contenuti. Deve pertanto ragionevolmente ritenersi che le quattro categorie di vincoli siano le stesse che debbono essere presi in considerazione ai fini della commerciabilità del manufatto abusivo caratterizzato da vincoli e non sembra che abbia alcun rilievo la circostanza che ormai il comma 3 dell'art. 32 riformato della legge 47 più non menzioni alcun vincolo.

In conclusione, il comma 58 predetto deve ritenersi tuttora pienamente imperante per il terzo condono, anche in ordine alle dichiarazioni in atto necessarie allorquando il bene condonato sia caratterizzato da vincoli» [nota 35].

In contrario è stato affermato che «Per quanto riguarda le domande presentate a sensi delle precedenti leggi 47/1985 e 724/1994 e che alla data del 2 ottobre 2003 non fossero ancora state definite, non vi è dubbio che alle stesse si applica la disciplina previgente (menzioni obbligatorie solo in presenza dei vincoli "maggiori" indicati dal previgente comma 3, art. 32 legge 47/1985) in quanto l'art. 32 comma 43-bis dello stesso D.l. 269/2003 stabilisce che le modifiche apportate dai commi precedenti (tra i quali pertanto anche il comma 43) alla legge 47/1985 non si applicano alle domande già presentate a sensi delle leggi 47/1985 e 724/1994».

Invece per il terzo condono dovrebbe ritenersi che «le menzioni prescritte dall'art. 2 comma 58 legge 662/1996 siano obbligatorie in presenza di qualsiasi vincolo, in quanto con la modifica apportata all'art. 32 legge 47/1985 dal D.l. 269/2003 il legislatore ha voluto sottoporre i vincoli (non preclusivi della possibilità stessa di chiedere il condono) ad una identica disciplina senza distinzioni di sorta. Pertanto, se in precedenza, le menzioni erano richieste solo per i vincoli per i quali era previsto il silenzio-rifiuto (richiamo al solo terzo e non anche al primo comma dell'art. 32 legge 47/1985), dal 2 ottobre 2003, con l'entrata in vigore del D.l. 269/2003, per tutti i vincoli non preclusivi del condono stesso è previsto il silenzio-rifiuto e pertanto sembra ragionevole ritenere equiparabili detti vincoli a quelli che in precedenza erano disciplinati dal terzo anziché dal primo comma dell'art. 32 legge 47/1985, anche ai fini del richiamo contenuto nell'art. 2 comma 58 legge 662/1996» [nota 36].

A mio avviso non pare che quest'ultima tesi sia fondata.

Ed invero il sistema normativo, sia pure nella sua complessità e disorganicità, sembra strutturato nel senso che mentre appare diversa, per ciascuno dei tre condoni edilizi succedutisi, la disciplina dei presupposti di condonabilità dell'abuso, unica sembra di regola per tutte le fattispecie di sanatoria la disciplina delle formalità negoziali, contenuta nell'art. 2 comma 58 della L. 662/1996.

Tant'è che l'ultimo periodo di tale comma ha dovuto disporre espressamente che «Le norme del presente comma concernenti il contributo concessorio non trovano applicazione per le domande di sanatoria presentate entro il 30 giugno 1987», disponendo con ogni evidenza un'eccezione alla regola secondo cui le formalità negoziali per gli immobili oggetto di domanda di sanatoria sono le medesime per tutte le tipologie di condono.

L'epoca di apposizione del vincolo

E' tuttora oggetto di discussione se il detto parere occorra anche qualora il vincolo, pur sussistendo al momento in cui dovrebbe rilasciarsi la sanatoria edilizia, non esisteva al momento della realizzazione dell'abuso.

E' il caso della legge Galasso che nel 1985 assoggettò a vincolo paesaggistico intere categorie del territorio statale, quali ad es. i territori costieri e lacustri compresi in una fascia della profondità di 300 metri dalla battigia, nonché le sponde dei corsi d'acqua per una fascia di 150 metri dagli argini.

La giurisprudenza del Consiglio di Stato ha oscillato al riguardo tra la tesi della necessità del parere anche per gli immobili vincolati dopo la realizzazione dell'abuso [nota 37].

La prima teoria si basava sulla circostanza che mentre l'art. 33 della legge 47/85 dispone che i vincoli ivi previsti ostano alla sanatoria solo se imposti prima dell'esecuzione dell'opera abusiva, non era prevista analoga limitazione per i vincoli di cui all'art. 32 della medesima legge.

Tale tesi è stata fatta propria dal Ministero dei lavori pubblici con la circolare 18 luglio 1995 esplicativa del nuovo condono, la quale al capitolo 7.2 afferma «Si tratta di opere che, in precedenza - mancando della concessione o essendo state realizzate in difformità da questa - non avevano giuridica esistenza e, pertanto, in occasione della richiesta di concessione in sanatoria, debbono essere valutate secondo la normativa vigente al momento del relativo rilascio».

La questione è stata in qualche modo riaperta con l'emanazione della legge 662/1996, la quale modificò l'art. 32 della legge 47/85, inserendo al comma 3, dopo l'elencazione dei vincoli al cui parere è subordinato il rilascio della sanatoria, l'espressione «qualora istituiti prima dell'abuso».

Nondimeno si è interpretato tale innovazione restrittivamente come riferita ai soli vincoli dei parchi nazionali e regionali che sono in coda all'elencazione di cui al citato art. 32 comma 3 e non anche agli altri vincoli contenuti in detta elencazione [nota 38].

Legittimazione attiva e passiva alla richiesta del parere

In passato si era concordi nel ritenere che la richiesta di parere potesse tanto essere inoltrata dal comune quanto dal privato interessato [nota 39].

Oggi l'art. 32, comma 4, della legge 47/1985 nel nuovo testo introdotto dall'art. 32 comma 43, D.l. 269/2003, prevede che «Ai fini dell'acquisizione del parere di cui al comma 1 si applica quanto previsto dall'articolo 20, comma 6, del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380», il quale a sua volta dispone che «Nell'ipotesi in cui, ai fini della realizzazione dell'intervento, sia necessario acquisire atti di assenso, comunque denominati, di altre amministrazioni, diverse da quelle di cui all'articolo 5, comma 3, il competente ufficio comunale convoca una conferenza di servizi ai sensi degli articoli 14, 14-bis, 14-ter, 14-quater della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni».

La norma appare peraltro applicabile solo al terzo condono atteso che l'art. 32 comma 43-bis del D.l. 269/2003 stabilisce che le modifiche apportate dai commi precedenti alla legge 47/1985 non si applicano alle domande già presentate a sensi delle leggi 47/1985 e 724/1994.

Nondimeno si è ritenuto che «non si può peraltro escludere la facoltà per l'interessato di richiedere direttamente all'Autorità preposta alla tutela del vincolo il rilascio del parere, da presentare poi al comune ad integrazione della documentazione già prodotta, soprattutto, in caso di inerzia del comune, se l'interessato debba procedere alla stipula di un atto di trasferimento o di divisione» [nota 40].

Peraltro la circostanza che la convocazione della conferenza di servizi sia un atto dovuto dal comune ha posto il problema se, per il terzo condono edilizio, si possa ritenere superflua la presentazione di un'apposita richiesta di parere all'Autorità preposta alla tutela del vincolo.

A tale riguardo è stato tuttavia riaffermata in tal caso la necessità di un'istanza ad hoc in quanto «La norma in questione nel richiedere che venga attestata la presentazione di una richiesta di espressione del parere intende, nel momento stesso in cui si procede alla negoziazione del bene abusivo, che sia comunque "garantito" l'avvenuto avvio del sub-procedimento inerente l'acquisizione del parere dell'Autorità preposta alla tutela del vincolo, al rilascio del quale è subordinata la definizione dell'intera procedura di sanatoria.

La norma in questione per conseguire il fine proposto pone quindi un requisito di carattere puramente formale che deve necessariamente estrinsecarsi in una apposita ed autonoma richiesta di parere …

Pertanto, nell'inerzia del comune che non abbia ancora acquisito il parere, convocando la conferenza di servizi o con atto proprio interno, nel caso di competenza delegata al comune medesimo, spetterà all'interessato (avvalendosi di quella facoltà che gli deve comunque essere riconosciuta anche in occasione del terzo condono) richiedere l'espressione del parere con apposita autonoma istanza, i cui estremi dovranno essere oggetto di "attestazione" con le modalità e nei termini sopra illustrati» [nota 41].

La necessità di menzionare in atto la richiesta di parere all'autorità preposta alla tutela del vincoli pone, peraltro, il problema, non sempre di facile soluzione, dell'individuazione dell'autorità competente volta per volta al rilascio del parere in oggetto [nota 42].

In questa sede basti ricordare che in relazione ad un vincolo di frequente ricorrenza nella pratica, quello di cui alla legge 29 giugno 1939, n. 1497 e al D.l. 27 giugno 1985, n. 312 convertito nella L. 8 agosto 1985, n. 431 (c.d. legge Galasso), la competenza al rilascio della relativa autorizzazione era originariamente della regione per effetto del trasferimento delle competenze statali in materia effettuato alle regioni, in attuazione dell'art. 117 Cost., dall'art. 82 D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616.

Senonché spesso le regioni hanno sub-delegato tali competenze ai comuni sicché in alcuni casi competente ad emettere il parere relativo al vincolo di cui trattasi è il medesimo ente che dovrebbe poi emettere il provvedimento di sanatoria.

A tale riguardo si è posto recentemente un ulteriore problema interpretativo in relazione al nuovo testo dell'art. 146 del D.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, recante il codice dei beni culturali e del paesaggio, a seguito delle modifiche apportate dal prima dal D.lgs. 157/2006 e poi dal D.lgs. 26 marzo 2008, n. 63.

Il citato art. 146 nel testo oggi vigente dispone infatti che «La regione esercita la funzione autorizzatoria in materia di paesaggio avvalendosi di propri uffici dotati di adeguate competenze tecnico-scientifiche e idonee risorse strumentali. Può tuttavia delegarne l'esercizio, per i rispettivi territori, a province, a forme associative e di cooperazione fra enti locali come definite dalle vigenti disposizioni sull'ordinamento degli enti locali, ovvero a comuni, purché gli enti destinatari della delega dispongano di strutture in grado di assicurare un adeguato livello di competenze tecnico-scientifiche nonché di garantire la differenziazione tra attività di tutela paesaggistica ed esercizio di funzioni amministrative in materia urbanistico-edilizia».

Ci si deve si chiedere al riguardo se per effetto di questa disposizione debbano ritenersi tuttora operanti le deleghe già rilasciate dalle regioni ai comuni.

Nondimeno è stato al riguardo sottolineato che «Il legislatore con la previsione di cui al comma in esame, non ha ... modificato la competenza dei comuni in materia di esercizio della funzione autorizzatrice (ad esempio eliminando del tutto la possibilità di delega a loro favore), ma ha solo limitato l'esercizio delle discrezionalità della regione al momento del rilascio della delega.

Tuttavia, considerato che il nuovo testo dell'art. 146 del codice dei beni culturali ha condizionato, come visto, la possibilità di delega da parte delle regioni ai comuni occorre stabilire se restino operative, in mancanza di tali presupposti le vecchie deleghe.

La risposta a tale interrogativo appare essere negativa per i seguenti motivi:

· in primo luogo si osserva che la modifica introdotta con il D.lgs. 157/2006 entra in vigore a far data dal 12 maggio 2006, pertanto, considerato che la legge dispone solo per l'avvenire, e, mancando una norma transitoria ad hoc, il comma 3 deve applicarsi solo alle deleghe rilasciate dal 12 maggio 2006.

· alla stessa conclusione è possibile arrivare anche riflettendo sulla possibilità di ritiro di un provvedimento amministrativo come quello della delega.

· la regione mantiene la competenza a rilasciare l'autorizzazione. Tale ente, considerato che oggetto di delega è solo l'esercizio della funzione, può in ogni momento revocare la delega;

· rientra nei poteri della regione, in qualità di delegante, valutare se sia nell'interesse pubblico revocare o modificare le deleghe rilasciate (in quanto, ad esempio, non più rispondenti al soddisfacimento dell'interesse pubblico);

· l'atto amministrativo di revoca (così come quello di delega) certamente legittimo non può essere dedotto in via interpretativa ma deve essere esplicito. In altri termini la rimozione deve avvenire mediante un provvedimento di revoca, che si basa sull'esercizio di un potere eguale e contrario a quello esercitato quando la delega è stata conferita. Si noti che per la dottrina di diritto amministrativo la revoca opera ex nunc. Pertanto, gli atti posti essere dal delegato prima della revoca mantengono la loro validità ed efficacia …

Anche aderendo a tale ricostruzione è possibile ritenere che le deleghe, rilasciate sotto il vigore della vecchia normativa, non siano state caducate di diritto per effetto della nuova disposizione. Resta nella discrezionalità della regione decidere se revocarle o modificarle» [nota 43].

Il silenzio rifiuto e la commerciabilità dell'immobile

Peraltro l'art. 32 della legge 47/85dispone che qualora il parere sui vincoli non sia reso entro centottanta giorni dalla domanda, il richiedente può impugnare il silenzio-rifiuto dell'amministrazione.

Tale disposizione tuttavia non intende assolutamente equiparare l'inerzia della P.A. ad un vero e proprio rigetto dell'istanza ovvero ad un parere negativo, ma evidentemente intende soltanto rendere possibile all'interessato di ottenere in via giudiziale un provvedimento favorevole.

Pertanto il c.d. silenzio-rifiuto non può in nessun caso essere interpretato come causa ostativa al conseguimento in futuro di un espresso provvedimento favorevole e/o alla stipulazione dell'atto.

Sarà pertanto possibile stipulate l'atto sia nel caso in cui non sia ancora decorso il termine di centottanta giorni dalla domanda, sia nel caso in cui esso sia decorso senza che l'amministrazione competente si sia pronunciata [nota 44].


[nota 1] Sulla rilevanza ai fini della commerciabilità dei soli abusi c.d. maggiori v. ex multis circ. Ministero dei lavori pubblici 17 giugno 1995, n. 2241; Condono edilizio e commerciabilità dell'edificio abusivo dopo la legge collegata alla finanziaria per il 1997, in CNN, Condono edilizio, Milano, 1999, p. 67; La legge 28 febbraio 1985, n. 47Criteri applicativi, ibidem, p. 3 e ss.

[nota 2] Al riguardo è stato precisato che «Il presupposto perché non operi l'istituto del silenzio assenso è che il comune dichiari (entro il termine di 24 mesi dalla domanda) l'eventuale somma dovuta a conguaglio e che l'interessato, sempre entro il termine di 24 mesi, non provveda al versamento della somma comunicata dal comune. Il comune, insomma, non può mantenere in sospeso il silenzio assenso per tutto il tempo desiderato, ben oltre i termini di legge, perché sostenere ciò significherebbe tradire lo strumento stesso posto dal legislatore a tutela del privato di fronte all'inerzia della pubblica amministrazione. Nel nostro caso, insomma, se il comune non ha segnalato entro i 24 mesi le somme dovute a conguaglio, il silenzio assenso si è realizzato regolarmente» (G. CASU, Condono edilizio ex lege 47/1985, silenzio assenso, richiesta di somma aggiuntiva a titolo di oblazione e commerciabilità, quesito n. 45-2006/C).

[nota 3] G. BARALIS - E. MARMOCCHI, Silenzio-assenso e formalità negoziali nella L. n. 47/85, in Consiglio nazionale del Notariato, Tre studi sul condono edilizio (con Massimario di giurisprudenza e appendice legislativa), Roma, 1988, p.13 e ss.

[nota 4] Si tratta dei seguenti documenti:
· documentazione di cui all'articolo 35, comma 3, della L. 28 febbraio 1985, n. 47, sostituita da apposita dichiarazione del richiedente resa ai sensi dell'art. 4 della L. 4 gennaio 1968, n. 15;
· documentazione fotografica;
· ove prescritto presentazione della perizia giurata, della certificazione di cui alla lettera b, del predetto comma 3, nonché del progetto di adeguamento statico di cui al comma 5 dello stesso articolo 35.

[nota 5] Si tratta della seguente documentazione:
a) dichiarazione del richiedente resa ai sensi dell'articolo 47, comma 1, del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, con allegata documentazione fotografica, dalla quale risulti la descrizione delle opere per le quali si chiede il titolo abilitativo edilizio in sanatoria e lo stato dei lavori relativo;
b) qualora l'opera abusiva supera i 450 metri cubi, da una perizia giurata sulle dimensioni e sullo stato delle opere e una certificazione redatta da un tecnico abilitato all'esercizio della professione attestante l'idoneità statica delle opere eseguite;
c) ulteriore documentazione eventualmente prescritta con norma regionale.

[nota 6] Termine così prorogato dalla legge regionale 3 ottobre 2005, n. 17.

[nota 7] G. BARALIS – E. MARMOCCHI, Silenzio-assenso…, cit.

[nota 8] CNN, note 3 giugno 1997, n. 1612 e 12 aprile 2000; G. CASU, Condono edilizio e art. 2, comma 57, legge 662/1996, quesito n. 356/2007/C; G. CASU, Falsità della dichiarazione di parte relativa all'insussistenza di abusi edilizi. Sussistenza di abuso minore e commerciabilità, quesito n. 399/2007/C.

[nota 9] G. CASU, Condono edilizio…, cit.; G. CASU, Falsità della dichiarazione di parte…, cit.

[nota 10] G. BARALIS – E. MARMOCCHI, Silenzio-assenso e formalità…, cit.

[nota 11] D.l. 27 settembre 1994 , n. 551 e 25 novembre 1994, n. 649.

[nota 12] D.l. 26 gennaio 1995, n. 24; D.l. 27 marzo 1995, n. 88, 26 maggio 1995, n. 193; D.l. 26 luglio 1995, n. 310; D.l. 20 settembre 1995, n. 400; D.l. 25 novembre 195, n. 498; D.l. 24 gennaio 1996, n. 30; D.l. 25 marzo 1996, n. 154; D.l. 25 maggio 1996, n. 285; D.l. 22 luglio 1996, n. 388; D.l. 24 settembre 1996, n. 495.

[nota 13] G. LAURINI, Condono edilizio e commerciabilità dell'edificio abusivo dopo la legge collegata alla finanziaria 1997, studio n. 1541, in Condono edilizio, Milano.

[nota 14] G. LAURINI, Condono edilizio e commerciabilità dell'edificio…, cit.

[nota 15] Si consideri infatti che secondo G. LAURINI, Condono edilizio e commerciabilità dell'edificio…, cit., i nuovi termini dettati dall'art. 39 comma 4 della legge 724/94 sarebbero applicabili anche alle vecchie domande di condono non ancora definite per silenzio assenso.

[nota 16] V. per tutti v. G. LAURINI, Condono edilizio e commerciabilità dell'edificio…, cit., p. 103-104; CNN, La legge 28 febbraio 1985, n. 47 - Criteri applicativi, ibidem, p. 32 -38; G. RIZZI, Terzo condono edilizio: formalità redazionali con istanza di sanatoria in itinere, studio n. 5533/C in Studi e materiali, 1986-1988, 2; A. RUOTOLO, Menzioni urbanistiche, dichiarazioni di parte e responsabilità notarile, quesito n. 6115/C.
In giurisprudenza Cass. 17 giugno 1999, n. 6018, in Riv. not., 2000, p. 445, con nota di G. CASU, secondo la quale «Il notaio che abbia autenticato le sottoscrizioni delle parti in calce ad una scrittura privata di vendita di una unità immobiliare compresa in un edificio, senza avere ricevuto dalle parti un incarico specifico di assistenza e consulenza, non può essere considerato responsabile di una dichiarazione invalida resa dalla parte relativamente alla rispondenza dello stato di fatto della singola porzione immobiliare alla concessione edilizia relativa all'intero edificio, non estendendosi la fede privilegiata propria dell'atto notarile al contenuto delle dichiarazioni rese dalle parti, onde non è configurabile alcuna attività obbligatoria di accertamento da parte del notaio, che non ne abbia ricevuto specifico incarico, sulla veridicità delle dichiarazioni stesse e quindi alcuna sua responsabilità per invalidità dell'atto derivante da loro inidoneità» (nello stesso senso Cassazione, sentenza 19 settembre 2008, n. 35999, sez. V penale; App. Roma, 27 maggio 1991, in Riv. not., 1992, p. 203).

[nota 17] G. LAURINI, Condono edilizio e commerciabilità dell'edificio…, cit.,

[nota 18] CNN, Il terzo condono edilizio. Considerazioni generali, studio n. 4673/A; G. RIZZI, Terzo condono edilizio: formalità redazionali…, cit.

[nota 19] In senso diverso v. invece G. RIZZI, Terzo condono edilizio: formalità redazionali…, cit., secondo cui sarebbe «opportuno che nella dichiarazione da riportare in atto circa l'avvenuta formazione del silenzio assenso gli elementi prescritti dalla legge siano integrati con gli altri elementi costitutivi del silenzio assenso (ad esempio avvenuta presentazione della documentazione da allegare alla domanda di sanatoria, della denuncia catastale, della denuncia Ici, delle denunce, se dovute, ai fini della Tarsu e della Tosap) ».

[nota 20] G. CASU- M. VELLETTI, Condono edilizio e vincoli artistico-ambientali, in CNN, Condono edilizio, Circolari studi e riflessioni del notariato, Milano, 1999, p. 298.

[nota 21] Peraltro per le violazioni di minima entità (riguardanti l'altezza, i distacchi, la cubatura o la superficie coperta che non eccedono il 2% delle misure prescritte) la legge esclude la necessità di acquisire il parere dell'autorità preposta alla tutela del vincolo.

[nota 22] Sul punto v. G. LAVITOLA, in Guida al condono edilizio, Il Sole 24 Ore, 26 novembre 2004, p. 114 e ss., che in conseguenza ne deduce dubbi di costituzionalità a carico di tale disposizione, che si estenderebbero anche alla legge regionale Lazio, che pure fa salvi gli articoli 32 e 33 della legge 28 febbraio 1985, n. 47.

[nota 23] Regione Lazio, Dipartimento del territorio, Direzione regionale territorio e urbanistica, nota 7 marzo 2005, prot. 34283.

[nota 24] Ministero per i beni e le attività culturali, Dipartimento per i beni culturali e paesaggistici, nota 24 marzo 2005 prot. Dip. Giu/02.113/2862 e Ministero per i beni e le attività culturali, Ufficio legislativo, nota 31 marzo 2005, prot. Udc 9150.

[nota 25] Cfr. per tutte Cass. pen., sez. III, 13 novembre 2003, (dep. 29 gennaio 2004) n. 3350, e Cass. pen., sez. III, 4 maggio 2004, (dep. 24 settembre 2004), n. 37865; Cass. 26 aprile 2007, (dep. 21 giugno 2007), n. 24451; Cass. 29 maggio 2007, (dep. 18 luglio 2007), n. 28517; Cass. 15 giugno 2009, n. 24647; Cass. 28 aprile 2010, n. 16471.

[nota 26] G. LAVITOLA, op. cit., p. 115.

[nota 27] Circ. Ministero dei lavori pubblici 17 giugno 1995, n. 2241.

[nota 28] Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, circolare 7 dicembre 2005, n. 2699, secondo cui «deve ritenersi ammessa la sanatoria delle opere interne pur in contrasto con gli strumenti urbanistici in zone sottoposte a vincolo paesaggistico per le quali già non sussiste l'obbligo del previo nullaosta ambientale (cfr. art. 152 del decreto legislativo n. 490/1999 e, dal 1° maggio 2004, art. 149 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 41 - Codice dei beni culturali e del paesaggio)». Ed anzi in detta circolare si afferma anche che «Tuttavia, la disposizione contenuta nel punto d, del citato comma 27 appare mitigata in presenza dei presupposti previsti dal comma 1, ultima parte, del novellato art. 32 della legge n. 47 del 1985, e cioè con riferimento a violazioni relative ad altezza, distacchi, cubatura, o superficie coperta che non eccedano il 2 per cento delle misure prescritte».

[nota 29] Regione Lazio, Dipartimento del territorio, Direzione regionale territorio e urbanistica, pareri 27 marzo 2007 prot. 20578 e 21 febbraio 2007 prot. 31639.
Anche il citato comunicato stampa del 1° dicembre 2004 della Regione Lazio - Assessorato urbanistica e Casa, affermava che «anche in mancanza di una espressa previsione nella normativa regionale sono suscettibili di sanatoria edilizia le opere di cui all'art. 2 comma 1 lettera f, g, h, (opere di restauro e risanamento conservativo e opere di manutenzione straordinaria) ricadenti su immobili soggetti ai vincoli di cui all'art. 32 della legge 28 febbraio 1985, n. 47».

[nota 30] Cass. pen., 18 marzo 2002, n. 11149; Cass. pen., 21 marzo 2002, n. 11511; Cass. pen., 26 settembre 2002, n. 32146; Cass. pen., 18 maggio 2004 , n. 23230.

[nota 31] G. LAURINI, Condono edilizio e commerciabilità dell'edificio…, cit.

[nota 32] In quest'ottica v. G. RIZZI, Terzo condono edilizio: formalità redazionali…, cit., secondo il quale «Si ritiene pertanto sufficiente la semplice dichiarazione di parte (alienante o condividente) da cui risulti:
· l'Autorità preposta alla tutela del vincolo destinataria della richiesta;
· la data di presentazione della richiesta di espressione del parere ed il numero di protocollo (se attribuito) (in caso di presentazione diretta);
· ovvero la data di invio della lettera raccomandata con avviso di ricevimento (in caso di richiesta presentata per il tramite del servizio postale).
Non è invece necessaria, ai fini della validità dell'atto, la allegazione della richiesta del parere: ciò non esclude che si possa comunque, se lo si ritenga opportuno, allegare all'atto copia della richiesta del parere datata e protocollata dall'autorità destinataria ovvero con la ricevuta della raccomandata utilizzata per l'invio, e ciò al fine di comprovare, anche sotto il profilo documentale, l'avvenuta richiesta dell'espressione del parere».

[nota 33] Tale menzione tuttavia, pur essendo opportuna per quanto si dirà nel testo, non è tuttavia richiesta dalla legge per la validità dell'atto. V. in tal senso G. LAURINI, Condono edilizio e commerciabilità dell'edificio…, cit., il quale giunge ad affermare la validità dell'atto anche qualora il parere sia stato al momento della stipulazione rilasciato in senso negativo, fermo restando l'obbligo del notaio di informare le parti sulle relative conseguenze.

[nota 34] G. LAURINI, Condono edilizio e commerciabilità dell'edificio…, cit.,

[nota 35] Il terzo condono edilizio. Considerazioni generali, studio n. 4673/A. Nello stesso senso G. CASU, Terzo condono, vincolo a parco e vincolo paesaggistico e requisiti per la commerciabilità, quesito n. 433/2006/C, in Studi e materiali, 2007, 2 p. 1399.

[nota 36] G. RIZZI, Terzo condono edilizio: formalità redazionali…, cit.

[nota 37] Cons. Stato, sez. V, 2 dicembre 1994, n. 1574; Cons. Stato, sez. V, 4 maggio 1995, n. 696) e l'opposta tesi nella non necessità del parere in tali casi (Cons. Stato, sez. VI, 30 settembre 1995, n. 1029).

[nota 38] G. LAURINI, Condono edilizio e commerciabilità dell'edificio…, cit.; G. CASU, Quesiti vari in tema di terzo condono edilizio, quesito n. 175/2006/C.

[nota 39] G. CASU - N. RAITI, Condono edilizio e attività negoziale, in Quaderni di Notariato, Milano; Circolare Ministero dei lavori pubblici in data 30 luglio 1985, n. 3357/25 § 4.2; G. RIZZI, Terzo condono edilizio: formalità redazionali…, cit.

[nota 40] G. RIZZI, Terzo condono edilizio: formalità redazionali…, cit. Nello stesso senso G. CASU, Terzo condono, vincolo a parco e vincolo paesaggistico e requisiti per la commerciabilità, quesito n. 433/2006/C.

[nota 41] G. RIZZI, Terzo condono edilizio: formalità redazionali…, cit.

[nota 42] V. al riguardo G. CASU- M. VELLETTI, Condono edilizio e vincoli artistico-ambientali, studio n. 1290.

[nota 43] C. LOMONACO, Il nuovo testo del comma terzo dell'art. 146 del codice dei beni culturali, quesito n. 385/2006/C, in Studi e materiali, 2006, 2, p.1971.

[nota 44] G. RIZZI, Terzo condono edilizio: formalità redazionali…, cit. Nello stesso senso G. CASU, Terzo condono, vincolo a parco e vincolo paesaggistico…, cit.; G. CASU, Quesiti vari in tema di terzo condono edilizio, quesito n. 175/2006/C. Contra G. LAURINI, Condono edilizio e commerciabilità dell'edificio…, cit.

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