Conferimento di azienda e successiva cessione della partecipazione: rappresenta "abuso di diritto" con riguardo all'imposta di registro?
Conferimento di azienda e successiva cessione della partecipazione: rappresenta "abuso di diritto" con riguardo all'imposta di registro?
di Luca Trabattoni
Dottore Commercialista, Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti contabili di Genova

È frequente che l’amministrazione finanziaria eccepisca l’applicabilità della tassa proporzionale di registro alle operazioni di conferimento di azienda seguite dalla cessione della partecipazione ricevuta a fronte del conferimento, laddove ogni sindacato di elusività, sotto il profilo della imposizione diretta, pare precluso dall’espressa norma esimente prevista dal comma 3 dell’art. 176 Tuir. L’azione accertativa dell’amministrazione fonda il proprio sostegno giuridico sugli articoli 20 e 53-bis della legge di registro (D.P.R. 131/1986) e sulla teoria del c.d. “abuso di diritto” recentemente formulata dalla Corte di Cassazione. La relazione analizza tali ragioni anche con riferimento alla giurisprudenza ed alla dottrina in merito, per evidenziare come appaia tutt’altro che pacifica sia la fondatezza del ricorso a tali presupposti di diritto, sia che lo “schema” operativo in commento sia, nella ordinarietà dei casi, la fondata configurabilità dell’operazione alla stregua di un comportamento teso all’aggiramento di disposizioni tributarie e al conseguimento di risparmi d’imposta indebiti e contrari agli obiettivi del sistema fiscale

Premessa

L’operazione in esame

L’operazione riferita nella presente relazione - oggetto di addebito di porsi in violazione del divieto di “abuso di diritto” - gode di una regime fiscale che potremmo definire “di favore”, e può essere sintetizzata, in sostanza, con il seguente schema.

  • La società “Beta SpA” delibera l’aumento del proprio capitale sociale mediante conferimento in natura.
  • Il socio (unico) di Beta, società “Alfa”, sottoscrive l’aumento di capitale conferendo un proprio ramo di azienda (che include beni immobili di rilevante valore).
  • Successivamente, Alfa cede l’intera propria partecipazione ad un terzo soggetto, “Gamma”.

Il regime fiscale di questo schema, come vedremo, è esplicitamente normato sotto il profilo delle imposte dirette e, nella successione dei suoi “passaggi”, trova anche una situazione di favore dal punto di vista delle imposte indirette.

La fiscalità diretta dell’operazione

L’art. 176 del Tuir disciplina il regime fiscale dei conferimenti di azienda tra soggetti residenti, effettuati nell’esercizio di imprese commerciali, stabilendone la piena “neutralità” fiscale, nel senso che:

  • L’operazione non dà luogo all’emersione di plusvalenze o minusvalenze fiscalmente rilevanti, indipendentemente dai valori attribuiti all’azienda dal punto di vista “civilistico”.
  • La società conferitaria subentra nella posizione fiscale della conferente per quanto riguarda gli elementi dell’attivo e del passivo trasferiti con l’azienda stessa, elementi che, quindi, mantengono inalterato il proprio ”valore fiscale” e quant’altro, senza che si verifichi alcuna discontinuità con la posizione già della conferente.
  • Quest’ultima, per parte sua, assume come valore (o “costo”) fiscale della partecipazione ricevuta a fronte del conferimento il valore netto - ovviamente fiscale - che l’azienda conferita aveva nei suoi “libri”.

Alternativamente, è prevista la facoltà per la conferitaria di vedersi riconosciuti - in tutto, ma anche in parte - i maggiori valori attribuiti in bilancio agli elementi dell’attivo costituenti le immobilizzazioni immateriali e materiali dell’azienda ricevuta in conferimento, a fronte del pagamento di una imposta “sostitutiva” commisurata ai maggiori fiscali “affrancati”.

Per quanto riguarda la successiva cessione della partecipazione prevista dallo schema in esame, l’art. 176 prevede ancora che:

  • La partecipazione ricevuta in esito al conferimento si consideri iscritta come “immobilizzazione finanziaria” nei bilanci in cui risultavano iscritti i beni dell’azienda conferita, consentendo in tal modo alla conferente di assumere “l’anzianità” dell’azienda ai fini della sussistenza del requisito richiesto per la fruizione del c.d. regime della participation exemption per la cui applicazione l’art. 87 del Tuir richiede sia l’iscrizione della partecipazione nelle immobilizzazioni finanziarie sia un periodo minimo di possesso ininterrotto.
  • E prevede espressamente che la cessione della partecipazione, anche ove fruisca del regime “Pex” o di altri regimi che prevedano una riduzione sulla tassazione sui capital gain azionari, non rileva ai fini della norma “antielusiva” dell’art. 37-bis D.P.R. 600/72, e che quindi tale operazione non può essere disconosciuta dal fisco in ragione di una sua supposta elusività.
La fiscalità indiretta dell’operazione

Il conferimento di azienda è soggetto, come noto, a tassa fissa di registro.

Inoltre, qualora il compendio aziendale comprenda anche beni immobili, le imposte ipocatastali sulla componente immobiliare sono dovute in misura fissa.

Diversamente, la cessione di azienda comporta l’applicazione dell’imposta proporzionale di registro sul valore “netto” dell’azienda, “parametrata” ai beni trasferiti, e quindi, nel caso della presenza di beni immobili, con l’applicazione dell’aliquota “immobiliare” alla relativa componente. Le imposte ipocatastali proporzionali sono dovute sul valore lordo della componente immobiliare.

Anche dal punto di vista della fiscalità “indiretta”, quindi, l’operazione in discorso si pone su un piano di minore onerosità rispetto a quella della cessione di azienda.

L’atteggiamento dell’amministrazione finanziaria rispetto all’operazione

L’amministrazione finanziaria non di rado muove l’addebito di elusività dell’operazione oggetto della presente analisi, non sotto il profilo della fiscalità diretta - stante il “salvacondotto” riconosciuto dal comma 3 dell’art. 176 che esclude, in maniera che sembra insuperabile, la natura elusiva dell’operazione e la sua rilevanza dal punto di vista dell’art. 37-bis/600 - ma sotto il profilo dell’imposta di registro, rispetto alla più onerosa, sotto il profilo fiscale, fattispecie del negozio di compravendita di azienda.

La pretesa erariale viene supportata facendo riferimento principalmente all’art. 20 della legge di registro, in maniera più marginale al rinvio effettuato dall’art. 53-bis/131, e, più di recente, anche al principio generale “antiabuso” elaborato dalla recente giurisprudenza della Corte di Cassazione.

Sino ad oggi la pretesa ha trovato alcune pronunce giurisprudenziali favorevoli, ed una dottrina prevalentemente critica.

Di seguito si esaminano le argomentazioni portate a sostegno della pretesa.

L’art. 20 della legge di registro

Art. 20: «L’imposta è applicata secondo l’intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti presentati per la registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente».

La tesi “fiscale” vuole configurare, tra atto di conferimento e cessione della partecipazione, un’unica fattispecie contrattuale “a formazione progressiva”.

La tesi è commentata con riferimento a fattispecie non del tutto analoghe a quella in commento, in particolare perché caratterizzate dall’ “identità soggettiva” delle parti dei separati atti che compongono l’operazione, elemento che non ricorre nell’ipotesi di cui si tratta e che può avere rilevanza decisiva nell’ambito di una “riqualificazione” della natura di un contratto a cui si pretende attribuire un effetto giuridico desunto da elementi rinvenuti da altro atto.

Inoltre la stessa tesi presta il fianco alla critica per cui la natura di “imposta d’atto” dell’imposta di registro sembra far sì che l’ambito di operatività dell’art. 20 sia solo quello di consentire all’amministrazione finanziaria di discostarsi dal nomen iuris attribuito dalle parti all’atto, ma di esigere comunque le imposte in funzione degli effetti giuridici dell’atto sottoposto a registrazione, e non anche di quelli economici, giungendo quindi a pretendere l’imposta in funzione del risultato conseguito dall’operazione nella sua sostanza.

Almeno due delle sentenze della Corte di Cassazione dell’inizio degli anni 2000 “favorevoli” alla pretesa fiscale [nota 1], a ben vedere, si riferiscono a fattispecie molto diverse da quella in esame, trattandosi di atti (conferimento di immobile e cessione di partecipazione) intervenuti tra gli stessi soggetti, in quanto era stato conferito in una società un immobile gravato da un mutuo di poco inferiore al 100% del valore dell’immobile, con la successiva cessione delle quote derivanti dal conferimento dai cessionari-conferenti alla stessa società conferitaria, e, in ogni caso, si riferiscono alla “riqualificazione” di separati contratti caratterizzati dalla coincidenza delle parti.

Ciò nonostante, la stessa impostazione viene non di rado opposta dalla amministrazione finanziaria in sede di riliquidazione delle imposte dovute su atti non solo distinti, ma anche tra soggetti diversi (conferente e conferitaria l’atto di conferimento, conferente e terzo cessionario della partecipazione l’atto di cessione della partecipazione societaria)

la dottrina ha in larga prevalenza criticato le sentenze “pro fisco” in materia, osservando che:

  • L’art. 20 non consentirebbe la riqualificazione di un atto, dal punto di vista giuridico e non economico, basato su elementi esogeni rispetto all’atto stesso.
  • L’operatività dell’art. 20 è indubbia, ad esempio, nel caso in cui venga attribuita natura di “azienda” a ciò che è un mero complesso immobiliare.
  • La stessa configurabilità di “cessione di azienda” in presenza di una pluralità di cessioni di singoli beni (assoggettate quindi ad Iva e non a registro), da tempo pacificamente ammessa, viene in oggi prevalentemente ritenuta operare nell’ambito della registrazione “d’ufficio” di un contratto verbale di cessione di azienda, ex art. 15, comma 1, lett. d) D.P.R. 131, e non in una “riqualificazione” di un contratto “complesso”.

Conclusivamente, le pronunce giurisprudenziali di Cassazione che hanno in larga misura dato sostegno alla tesi “fiscale”, anche a prescindere dal fatto che siano o meno ritenute condivisibili, si riferiscono a fattispecie in cui il sospetto di “elusività” è molto forte (infatti la base imponibile del registro era ridotta ad un entità quasi trascurabile rispetto all’ammontare del mutuo accollato alla conferitaria) e, soprattutto, la successiva cessione di quote interveniva tra le stesse parti che avevano stipulato l’atto di conferimento.

Appare senz’altro convincente l’osservazione che la natura di “imposta d’atto” dell’imposta di registro - natura che non sembra discutibile - precluda un’interpretazione dell’atto ex art. 20 incentrata sugli effetti economici e non solo giuridici dello stesso, ed ancor più se ciò avviene tramite la “concatenazione” di atti separati ed indipendenti, stipulati tra parti diverse.

L’art. 53-bis della legge di registro

Un'altra norma di cui si è ragionato se possa o meno incidere sulla legittimità della pretesa fiscale prefigurata, è quella dell’art. 53 bis, della Legge di registro, trattandosi della norma che ha esteso all’imposta di registro l’esercizio de «Le attribuzioni e i poteri di cui agli articoli 31 e seguenti» del D.P.R. 600/1973.

In particolare, è stato dibattuto se il concetto di seguenti debba essere esteso anche all’art. 37-bis, con la conseguente sua applicabilità alla fattispecie in esame.

In realtà, la tesi dell’estensione dell’art. 37-bis all’imposta di registro trova pochissimi sostenitori, e sembra molto più condivisibile la tesi, fatta propria anche dall’Agenzia delle entrate, per cui l’art. 53-bis si riferisce esclusivamente ad attribuzioni e poteri di cui agli articoli 31, 32 e 33 del D.P.R. 600, e non anche agli articoli successivi.

Si può comunque rilevare che l’effetto di una eventuale applicabilità dell’art. 37-bis all’imposta di registro sarebbe quello di “salvaguardare” lo schema in esame per l’operativa della clausola “anti-antielusiva” di cui al comma 3 dell’art. 176/917.

Il c.d. “principio generale” del divieto di abuso di diritto

Preliminarmente si possono formulare alcune considerazioni In ordine alla “compatibilità” della previsione dell’art. 37-bis con il “principio immanente” del divieto di abuso di diritto, recentemente enunciato dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione:

L’art. 37-bis individua un elenco - tassativo - di operazioni in presenza delle quali è consentito all’amministrazione finanziaria di disconoscerne i vantaggi tributari fruiti in assenza di valide ragioni economiche.

Per emettere il relativo avviso di accertamento è prescritta, a pena di nullità:

  • La previa richiesta al contribuente di chiarimenti in ordine ai motivi per cui l’amministrazione finanziaria ritiene applicabile la disposizione antielusiva.
  • La motivazione dell’avviso con specifico riferimento alle giustificazioni fornite in esito alla richiesta di chiarimenti.

La funzione dell’art. 37-bis è stata sempre ritenuta essere quella di una norma che “individua” operazioni societarie le cui caratteristiche sono tali da poter essere più o meno agevolmente utilizzate a fini elusivi, e che pertanto devono essere oggetto di particolare attenzione, pur nel rispetto di una procedura particolare - a tutela del contribuente - introdotta a pena di nullità dell’accertamento.

Se collochiamo la norma in un “ambiente” normativo presieduto dal “principio immanente” del generalizzato divieto di abuso di diritto teorizzato dalle pronunce della Cassazione, riscontriamo che per tutte le operazioni diverse da quelle elencate dall’art. 37-bis l’addebito di “elusività” - o, più precisamente, di abuso di diritto - può essere validamente contestato senza il rispetto della particolare procedura prevista dal 37-bis, con la conseguenza che la funzione dell’art. 37-bis si trova “stravolta” rispetto alla comune interpretazione, assumendo quella di “tutela” - straordinaria rispetto ai casi in cui non siano utilizzate le operazioni societarie elencate nell’articolo - delle scelte del contribuente, imponendo una procedura “garantista” non prevista nella generalità dei casi.

Ciò osservato, ammessa e non concessa l’esistenza del principio “generale” antiabuso e della sua applicabilità alle “imposte d’atto” secondo la tesi dell’atto a formazione progressiva, la domanda che deve porsi il contribuente è quali siano le alternative per raggiungere l’obiettivo - senz’altro lecito - di acquisire e successivamente gestire un complesso aziendale per il tramite di un “veicolo societario” dedicato, per poi discernere tra quelle potenzialmente viziate dall’ “abuso di diritto” e quali no.

La prima alternativa è quella in esame, e cioè:

  • costituzione di una “NewCo” conferitaria dell’azienda;
  • successiva cessione della relativa partecipazione al terzo destinatario dell’azienda.

Alternativamente, si può individuare quella della:

  • costituzione, da parte del terzo destinatario dell’azienda, di una “NewCo” con adeguata dotazione finanziaria;
  • cessione dell’azienda alla NewCo tramite un contratto di compravendita.

I due schemi conducono ad un risultato economico sostanzialmente analogo, pur in presenza di un risultato giuridico non equivalente.

Si pensi in particolare al diverso oggetto delle garanzie di legge che caratterizzano uno share deal - primo caso - rispetto ad un asset deal - secondo caso.

Diverso è il trattamento fiscale dei due schemi, più “conveniente” il primo e più costoso il secondo.

Ma quali sono i motivi per cui il secondo schema deve essere considerato il percorso “elettivo” rispetto ad un altro, di pari dignità giuridica, che dovrebbe assumere la connotazione di “stratagemma o artificio” finalizzato ad ottenere un risparmio di imposta indebito?

Sembra possibile ritenere che la valutazione dell’onerosità fiscale nell’esprimere una scelta tra due leciti percorsi alternativi e paragonabili, che conducono ad un analogo risultato economico, non possa essere considerato una attività indebita, anche perché non comporta alcun “stravolgimento” dei principi del sistema tributario od abuso di norme correttamente applicate ma per il perseguimento di una finalità non voluta dal legislatore. E ciò sembra tanto più vero quando si pensi che, come ripetutamente rilevato, l’utilizzo dello schema in commento è espressamente previsto e consentito dalla normativa riguardante le imposte dirette, e che, quindi, l’addebito di abuso di diritto venga mosso solo ai fini delle imposte indirette, in assenza di una qualsivoglia norma specifica in tal senso, con la conseguenza - che pare paradossale - che il comportamento espressamente ammesso da una norma venga considerato indebito, in quanto in violazione dello spirito della normativa, ai fini di un'altra imposta.


[nota 1] Cfr. Cass. 23 novembre 2001, n. 14900; Cass. 25 febbraio 2002, n. 2713; Cass. 7 luglio 2003, n. 10660.

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