Esiste ancora nell'ordinamento tributario il risparmio d'imposta?
Esiste ancora nell'ordinamento tributario il risparmio d'imposta?
di Carlo Sallustio
Direzione centrale normativa, Agenzia delle entrate

Introduzione all’oggetto del Forum: risparmio indebito ed elusione fiscale

La domanda volutamente provocatoria che connota il tema di questo Forum, descrive bene la forza dirompente che ha avuto, in ambito fiscale, l’affermazione ed il consolidamento del principio generale del divieto dell'abuso del diritto.

Per la verità, se considerassimo la questione sul piano teorico-sistematico, la domanda - più che provocatoria - dovrebbe apparire retorica. Ad essa si dovrebbe rispondere che il risparmio d'imposta è certamente consentito se è legittimo o, detto altrimenti, se non è indebito.

Ma quando il risparmio d'imposta è indebito ?

Il risparmio è indebito non solo quando deriva dall'evasione, ossia da una violazione diretta della norma giuridica, ma anche quando si ottiene - per dirla con il giurista romano Paolo - rispettando la lettera della norma ma tradendone lo spirito (la ratio) [nota 1].

Parliamo ovviamente dell'elusione della legge fiscale e il termine eludere, che deriva dal latino eludere, ossia "prendersi gioco di", chiarisce l'essenza del fenomeno ed evidenzia come il problema dell'aggiramento dello scopo della legge (fiscale e non) sia antico quanto il diritto.

È importante segnalare questo profilo, ossia il dato oggettivo dell'ottenimento del risparmio d'imposta attraverso uno sviamento dal fine cui tende la norma fiscale, perché è uno degli elementi fondanti il principio del divieto di abuso del diritto e tornerà utile nel prosieguo dell'intervento.

Dunque l'elusione fiscale si concreta nel perseguimento di un risparmio d'imposta (indebito) e - secondo un orientamento dottrinale che trova riscontro anche nella recente giurisprudenza di Cassazione - implica l'esistenza di una norma aggirata e l'applicazione di una norma fiscalmente più favorevole al posto della prima.

L'aggiramento di una norma (quella elusa) e l'applicazione di un'altra norma (più favorevole) implica il perseguimento di uno scopo disapprovato dal sistema.

L'individuazione del fatto "riprovevole" sul piano fiscale è legato ai principi che connotano il sistema fiscale in generale o taluni specifici settori.

Costituiscono principi generali di sistemi (o di sotto-sistemi) dell'ordinamento tributario:
- la continuità dei valori fiscalmente riconosciuti;
- il principio di neutralità (in fusioni, scissioni e conferimenti d'azienda ex art. 176 del Tuir);
- il divieto di sfruttamento abusivo di trattati internazionali (c.d. treaty shopping);
- il divieto di doppia imposizione (e quello - correlato - di doppia esenzione);
- la simmetria dei flussi reddituali (ad una componente negativa di reddito di un contribuente deve corrispondere una componente positiva in capo ad un altro), che postula l'eliminazione dei salti d'imposta;
- il commercio delle c.d. bare fiscali (società ricche di perdite utilizzate in fusioni non già per creare sinergie ma solo per abbattere l'imponibile di società in utile).

Manca un ultimo tassello: l'elusione comporta che il fine di conseguire un risparmio d'imposta indebito sia esclusivo o prevalente rispetto a ragioni di natura extra-fiscale. In altre parole, l'elusione implica che le c.d. valide ragioni economiche siano del tutto assenti o marginali.

Elusione fiscale ed abuso del diritto

Si è parlato sinora di elusione. E l'abuso?

Probabilmente, al di là della diversa terminologia adottata elusione ed abuso del diritto descrivono lo stesso fenomeno. O meglio: sono le facce di una stessa medaglia.

Il termine elusione delinea il fenomeno oggettivamente considerato, ossia la condotta che si concreta nell'aggiramento di una norma fiscale onde conseguire un risparmio d'imposta indebito, a prescindere dal fatto che l'ordinamento appresti o meno degli strumenti per contrastarlo. Va infatti osservato che in passato l'esistenza di un divieto generale dell'abuso del diritto non trovava alcun seguito in dottrina e in giurisprudenza, al punto che si era soliti affermare, citando un'autorevole dottrina straniera, che l'elusione inizia dove finisce l'interpretazione [nota 2], ossia quando non è più possibile porre rimedio ad una "falla" dell'ordinamento attraverso gli ordinari strumenti ermeneutici.

L'espressione "abuso del diritto" - invece - stigmatizza il profilo soggettivo del fenomeno (chi abusa è il contribuente quando ricorrono gli elementi individuati in precedenza) ed è invalso nel linguaggio degli ultimi anni per descrivere il fenomeno elusivo quando è sanzionato dall'ordinamento giuridico [nota 3].

Il principio dell'abuso del diritto nella giurisprudenza della Corte di giustizia e della Corte di Cassazione

L'abuso del diritto come principio generale ha avuto uno sviluppo prevalentemente giurisprudenziale, sia in ambito comunitario che nazionale.

La necessità di verificare la sussistenza di un abuso del diritto in sede d'interpretazione della normativa fiscale comunitaria risale alla sentenza del 21 febbraio 2006, relativa alla causa C/255-02, meglio nota come "Halifax".

Nella decisione, che verteva sull'indebita detrazione dell'Iva, tributo di fonte comunitaria, si è stabilito che:

«non è ammesso avvalersi fraudolentemente, con contegno integrante un comportamento abusivo, delle disposizioni del diritto comunitario. Detto comportamento abusivo deve risultare da un insieme di elementi oggettivi che attestino che lo scopo perseguito dalle operazioni economiche è essenzialmente rivolto all'ottenimento di un vantaggio fiscale indebito e contrario alla ratio delle disposizioni della sesta direttiva. Sebbene il sistema delle detrazioni intende, in via generale e senza limitazioni di sorta, sollevare interamente l'imprenditore dall'Iva dovuta o pagata nell'ambito di tutte le sue attività economiche, il principio della neutralità del tributo non può essere applicato in modo distorto tale da consentire indebite detrazioni dell'imposta in presenza di operazioni economiche viziate da circostanze fraudolente od abusive».

Dalla sentenza si evince che devono essere disconosciuti i vantaggi fiscali conseguiti attraverso operazioni che presentano due requisiti:
- sono dirette essenzialmente al conseguimento di un vantaggio fiscale;
- il vantaggio perseguito è «indebito e contrario alla ratio» delle disposizioni comunitarie.

Successivamente, nella causa C425/06, "Part Service Srl", decisione del 21 febbraio 2008, la Corte di giustizia ha chiarito che per integrare l'abuso del diritto non è necessario che il vantaggio fiscale sia l'unico perseguito, bastando che sia principale (ossia prevalente rispetto ad altri di natura extra-fiscale).

La Corte di Cassazione, al termine di un periodo di gestazione relativamente breve, con le sentenze n. 30055, n. 30056 n. 30057 del 23 dicembre 2008 e n. 15029 del 26 giugno 2009, emesse a Sezioni unite, ha individuato l'abuso del diritto in operazioni compiute dal contribuente allo scopo esclusivo o principale di conseguire un risparmio fiscale indebito. Il fondamento del principio non è più ricercato (come è avvenuto inizialmente) nell'ordinamento comunitario [nota 4], ma nell'art. 53 della Costituzione, ossia nel principio di capacità contributiva cui deve essere informato il prelievo fiscale e le norme che lo prevedono [nota 5].

L'utilizzo "contorto" degli strumenti negoziali da parte del contribuente, assume rilievo nel corroborare la tendenziale elusività dell'operazione, mentre ha valore - per così dire - “scriminante” la sussistenza di valide ragioni economiche, il cui onere della prova incombe sul contribuente.

Ancorché la Corte di Cassazione non espliciti l'ulteriore requisito individuato dalla Corte di giustizia, ossia l'applicazione di una norma tributaria in modo contrastante con la sua ratio, sembra che esso emerga indirettamente dalla lettura delle motivazioni delle sentenze emesse sul tema.

Quando la Suprema Corte afferma che - in presenza di più opzioni sostanzialmente equivalenti - non è sindacabile la scelta del contribuente che percorre la via fiscalmente meno onerosa, implicitamente essa ritiene che l'applicazione della norma tributaria che consente di ridurre il carico fiscale non sia abusiva, ovvero sia comunque coerente con la ratio del sistema (o del sotto - sistema) fiscale in cui essa si colloca.

La posizione dell'amministrazione finanziaria sull'abuso del diritto

Con la circolare 67/E del 13 dicembre 2007, l'Agenzia delle entrate ha preso atto dell'orientamento espresso dalla Corte di giustizia in tema di Iva nei casi "Halifax" e "Part Service", manifestando la volontà di conformarsi ad esso. D'altra parte le sentenze della Corte di giustizia che statuiscono sulla compatibilità di disposizioni nazionali e di diritto comunitario "derivato" con il Trattato dell'Unione europea, hanno una valenza interpretativa vincolante erga omnes (per Stati membri e cittadini dell'Ue) che i pur autorevoli pronunciamenti della Suprema Corte di Cassazione non hanno. Si potrebbe anche rilevare che l'art. 1 della legge n. 241 del 1990 impone alla pubblica amministrazione di espletare le pubbliche funzioni nel rispetto dei principi di diritto comunitario [nota 6], spesso affermati dalla Corte di giustizia e tra i quali potrebbe - in teoria - farsi rientrare l'abuso del diritto (anche se parte della dottrina ritiene non si tratti di un principio ma solo di un canone ermeneutico, posto che di esso non vi è traccia - neppure indiretta - nel Trattato Ue).

Un'analoga presa di posizione ufficiale non è intervenuta in ambito nazionale.

Certamente su ciò ha inciso la magmaticità e la velocità con cui si è evoluta la giurisprudenza di Cassazione nell'arco di pochi anni. Le sentenze della Corte di Cassazione n. 30055, n. 30056 n. 30057 del 23 dicembre 2008 e n. 15029 del 26 giugno 2009, rese a Sezioni unite, che hanno suggellato la fine del percorso evolutivo iniziato dopo la pronuncia della Corte di giustizia sul caso "Halifax" e consolidato la posizione dei giudici di legittimità, risalgono a meno di due anni fa.

Era logico che su un punto così centrale e delicato si attendesse sino alle pronunce delle Sezioni unite, a seguito delle quali - comunque - l'Agenzia delle entrate ha iniziato a muoversi. Lo dimostra - ad esempio - la risoluzione n. 234/E del 24 agosto 2009, sulla trasmissione delazione ereditaria, in cui si è ritenuto che lo strumento giuridico della rinuncia, anche se non in contrasto con alcuna specifica disposizione, «... è stato utilizzato dall'istante al solo scopo di ottenere un indebito vantaggio fiscale e concretizza, pertanto, sulla base dei principi enunciati dalla Corte di Cassazione, un 'abuso del diritto».

D'altra parte, al di là degli scenari che apre il consolidamento del principio dell'abuso del diritto nei rapporti tra Fisco e contribuente, occorre rilevare che

l'Agenzia ha comunque a disposizione strumenti normativi di contrasto all'elusione che - seppure in ambiti settoriali - sono in grado di consentire un equo contemperamento tra l'efficace attuazione della pretesa erariale e l'esigenza di soddisfare le istanze garantiste del contribuente.

Il principio generale del divieto dell'abuso del diritto e le criticità che determina. In particolare: le asimmetrie del sistema in ordine alle garanzie procedimentali offerte al contribuente

Dunque, nell'attuale contesto normativo la condotta in odore di elusione - ancorché non rientrante in una delle fattispecie descritte dall’art. 37-bis del D.P.R. 600 del 1973 - può essere perseguita dall'Agenzia delle entrate invocando il principio generale del divieto dell'abuso del diritto al fine di disconoscere il risparmio di imposta indebito realizzato dal contribuente.

E qui nascono i problemi per i contribuenti, posto che il sistema di garanzie che l'ordinamento tributario gli offre presenta delle asimmetrie.

Al mutamento d'indirizzo della Cassazione, realizzatosi in pochi anni, corrisponde una legislazione stratificatasi nell'arco di decenni che - per come è stata storicamente concepita - presupponeva l'inesistenza di un principio antielusivo generale. Anzi, può ipotizzarsi che in passato il legislatore, influenzato da una dottrina assolutamente prevalente, partisse dall'opposta idea che i comportamenti elusivi fossero contrastabili solo tramite norme antielusive (specifiche o di portata generale, anche se in settori impositivi circoscritti, come l'art. 20 del testo unico dell'imposta di registro o l'art. 37-bis del D.P.R. n. 600 del 1973 in tema di imposte sui redditi) o attraverso un'interpretazione "antielusiva" della norma tributaria precipuamente orientata a valorizzare il profilo teleologico delle disposizioni a scapito di quello letterale.

Al di fuori di questi ambiti l'elusione - se c'era - costituiva un dato meta-giuridico, irrilevante per il diritto perché si concretava in un giudizio di valore sfornito di un supporto giuridico. Come si è già detto in precedenza, l'elusione finiva dove iniziava l'interpretazione.

Ora l'applicazione del principio generale del divieto dell'abuso del diritto a tutti i tributi, si rapporta ad un ordinamento tributario in cui non tutti i settori offrono al contribuente lo stesso livello di garanzie procedimentali in occasione della repressione e della prevenzione del fenomeno elusivo.

Ad esempio, nel settore dell'imposizione dei redditi l'art. 37-bis del D.P.R. 600 del 1973 prevede una serie di misure atte a contemperare i penetranti poteri del Fisco diretti a contrastare l'effettuazione di operazioni elusive (o, se si preferisce, abusive) con un efficace sistema di garanzie posto a tutela del contribuente ed articolato nei seguenti punti.

a) Anzitutto, è prevista la contestazione preventiva degli addebiti. L'avviso di accertamento in cui sono contestate fattispecie elusive deve essere «emanato, a pena di nullità, previa richiesta al contribuente anche per lettera raccomandata, di chiarimenti da inviare per iscritto entro 60 giorni dalla data di ricezione della richiesta nella quale devono essere indicati i motivi per cui l’Ufficio ritiene di disconoscere l’operazione posta in essere dal contribuente».

b) In secondo luogo, si prevede la c.d. motivazione "rafforzata" (art. 73-bis, comma 5). L'obbligo di motivazione dell'atto impositivo [nota 7], risulta "rafforzato" in quanto «l'avviso d'accertamento deve essere specificamente motivato, a pena di nullità, in relazione alle giustificazioni fornite dal contribuente e le imposte o le maggiori imposte debbono essere calcolate tenendo conto di quanto previsto al comma 2».

c) Ancora, è previsto il differimento dell'applicazione delle imposte accertate in relazione alla fattispecie elusiva sino all'emanazione della sentenza da parte della Commissione tributaria provinciale. Più precisamente, l'iscrizione a ruolo di imposte e maggiori imposte accertate ai sensi del comma 2 (quelle determinate in base alle disposizioni eluse, al netto delle imposte dovute per effetto del comportamento inopponibile all'amministrazione) avviene solo dopo l'emanazione della sentenza di I grado.

d) Infine, il contribuente può esperire l'interpello c.d. "antielusivo" (ex art. 21 L. n. 413 del 1991) in relazione alle fattispecie individuate dal comma 3 dell'art. 37-bis. Si tratta di un interpello applicabile ai casi concreti rappresentati dal contribuente sulle (cfr. comma 2) «... disposizioni contenute negli articoli 37 comma 3 [interposizione fittizia di persona], 37-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e successive modificazioni [quelli descritti al comma 3] ... [nonché sulla] ... qualificazione di determinate spese, sostenute dal contribuente, tra quelle di pubblicità e propaganda ovvero tra quelle di rappresentanza». Ciò consente di conoscere preventivamente la posizione dell'Agenzia delle entrate in ordine alla elusività dell'operazione programmata, garantendo la certezza dei rapporti giuridici tra Fisco e contribuente.

Tali garanzie sono invece assenti in settori dell'imposizione indiretta che tanto da vicino interessano chi esercita l'attività notarile (si pensi all’imposta di registro).

Altra criticità che può derivare dall’applicazione del principio giurisprudenziale del divieto dell’abuso del diritto, è il rischio che una medesima fattispecie risulti “abusiva” ai fini di un dato tributo, mentre sia considerata fiscalmente lecita ai sensi delle disposizioni legislative che disciplinano un altro tributo.

È il caso del conferimento di un'azienda in una società di nuova costituzione e della successiva cessione della partecipazione. Tale operazione, al ricorrere dei presupposti di cui all'art. 176, comma 3, del Tuir, risulta irrilevante in tema d'imposte sui redditi ai fini dell'applicazione della disciplina antielusiva di cui all'art. 37-bis del D.P.R. 600 del 1973, mentre si è ritenuto che integri una fattispecie sanzionabile in base al principio del divieto dell'abuso del diritto ai fini dell'imposta di registro, poiché si concreta nell'aggiramento della più onerosa tassazione della cessione d'azienda [nota 8].

Infine, un'ulteriore criticità discende dai dubbi che sorgono in ordine alla irrogabilità di sanzioni in presenza di una condotta abusiva. In questi casi non esiste una norma che stabilisca ciò che è permesso e ciò che è vietato, per cui non è chiaro se le fattispecie colpite in base al principio del divieto dell'abuso del diritto richiedano non solo la corresponsione del tributo relativo alla norma impositiva "elusa", ma anche l'irrogazione di sanzioni amministrative in ragione della condotta elusiva posta in essere.

In relazione alle condotte elusive espressamente previste dall’art. 37-bis, l’orientamento prevalente in dottrina è quello di ritenere legittima l’applicazione di tali sanzioni [nota 9]. In tema di abuso del diritto, la giurisprudenza comunitaria sembra propendere per la tesi negativa [nota 10], mentre - a quanto ci consta - la Cassazione si è espressa sul punto in una sola occasione, ritenendo operante l’esimente delle obbiettive condizioni d’incertezza sull’applicazione della norma tributaria di cui all’art. 6, comma 2, del D.lgs. n. 472 del 1997 [nota 11].

Il punto è particolarmente delicato perché non sembra esservi concordanza di opinioni in materia e perché esso tocca principi costituzionali cui si informa il diritto c.d. punitivo, come - ad esempio - quello di tassatività della fattispecie sanzionata.

La trasposizione del principio del divieto dell'abuso del diritto in una norma di legge. L’adozione dell'art. 37-bis (opportunamente modificato) quale clausola generale antielusiva

A fronte delle criticità appena evidenziate, si è da più parti suggerita l'opportunità di un intervento sul piano del diritto positivo.

I progetti di legge in materia prevedono la modifica dell'art. 37-bis del D.P.R. 600 del 1973, che assurgerebbe a norma generale antiabuso [nota 12]. Ciò consentirebbe di estendere a tutti i tributi la disciplina garantista che attualmente connota i rapporti tra Fisco e contribuente nel settore delle imposte sui redditi.

Esula dalla presente relazione un’analisi dei disegni di legge in materia.

In ogni caso si auspica che l’eliminazione dell’elencazione tassativa delle fattispecie di cui al comma 3 dell’art. 37-bis e l’estensione della disposizione a tutti i tributi, possa eliminare le criticità esposte in precedenza, non ultima quella concernente il trattamento differenziato - a fini antielusivi - della medesima fattispecie in relazione a tributi diversi. È il caso del conferimento di azienda ex art. 176, comma 3, del Tuir, irrilevante a fini elusivi per le imposte sui redditi e ritenuto comportamento abusivo dalla giurisprudenza nell’ambito dell’imposta di registro.


[nota 1]«Contra legem facit qui id facit quod lex prohibet, in fraudem vero qui salvis legis verbis sententiam eius circumvenit» (PAOLO, Digesto).

[nota 2]A. HENSEL, Zur Dogmatik des Begriffs Steuerumgehung, in AA.VV., Festgabe der Bonner Juristenfakultaet fuer E. Zitelmann, Monaco, 1923, p. 244 cui fa riferimento - ad esempio - F. TESAURO, Istituzioni di diritto tributario, Milano, 2003, Vol. 1, Parte generale, p. 250.

[nota 3] Ritiene che, quanto meno nell’ambito della giurisprudenza comunitaria, elusione ed abuso del diritto siano sostanzialmente coincidenti (al di là di imprecisioni terminologiche relative ad elusione, evasione e frode) P. PISTONE, «L’elusione fiscale come abuso del diritto: certezza giuridica oltre le imprecisioni terminologiche della Corte di giustizia europea in tema di Iva», in Riv. dir. trib., 2007, III, p. 20. Nello stesso senso A. CONTRINO, Elusione fiscale, evasione e strumenti di contrasto, Bologna, 1996, p. 307.

[nota 4]Si vedano - ad esempio - le sentenze n. 10257 e n. 25374 emesse dalla Suprema Corte nel 2008.

[nota 5] «I principi di capacità contributiva (art. 53, comma 1, Cost.) e di progressività dell’imposizione (art. 53, comma 2, Cost.) costituiscono il fondamento sia delle norme impositive in senso stretto, sia di quelle che attribuiscono al contribuente vantaggi o benefici di qualsiasi genere, essendo anche tali ultime norme evidentemente finalizzate alla più piena attuazione di quei principi. Con la conseguenza che non può non ritenersi insito nell’ordinamento, come diretta derivazione delle norme costituzionali, il principio secondo cui il contribuente non può trarre indebiti vantaggi fiscali dall’utilizzo distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio fiscale, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di quel risparmio fiscale» (Cass., S.U., 28 dicembre 2008, n. 30057, in Boll. Trib., 2009, p. 481, con nota di T. MARINO, «Considerazioni critiche sulla costante evoluzione giurisprudenziale in tema di elusione tributaria ed abuso del diritto», ibidem, p. 425 e seguenti).

[nota 6] Art. 1 della legge n. 241 del 1990 (Principi generali dell'attività amministrativa). «1. L’attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ed è retta da criteri di economicità, di efficacia, di imparzialità, di pubblicità e di trasparenza secondo le modalità previste dalla presente legge e dalle altre disposizioni che disciplinano singoli procedimenti, nonché dai principi dell’ordinamento comunitario».

[nota 7] Motivazione in ogni caso già disciplinata in modo garantista dall'art. 42 del D.P.R. 600 del 1973 e dall'art. 7 dello Statuto del contribuente (legge n. 212 del 2000) che rinvia all'art. 3 della legge n. 241 del 1990 sul procedimento amministrativo.

[nota 8] In tal senso si veda - ad esempio - sentenza n. 190 del 9 ottobre 2009 della Commissione tributaria provinciale di Reggio nell’Emilia (in banca dati fisconline), concernente il conferimento di terreno in società e la cessione di quote sociali attribuite al conferente, in cui applicando l’art. 20 del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, si è ritenuta pratica abusiva e contraria ai principi dell’ordinamento tributario l’operazione economica posta in essere al fine di costituire una società attraverso il conferimento di un bene e la successiva alienazione della partecipazione attribuita al conferente. Si veda altresì Commissione tributaria provinciale di Firenze, sentenza n. 150/20/2007, depositata il 5 novembre 2008.

[nota 9] In relazione all'art. 37-bis, la dottrina prevalente ritiene che oltre all'imposta e agli interessi, trovino applicazione anche le sanzioni amministrative, stante la sussistenza di una norma che individua le caratteristiche della condotta abusiva e specifica le operazioni in relazioni alle quali essa può verificarsi. Per la tesi che ritiene applicabili le sanzioni amministrative si vedano - tra i tanti - G. CHINELLATO, Codificazione tributaria e abuso del diritto, Padova, 2007, p. 447-448; L. DEL FEDERICO, «Elusione e illecito tributario», in Corr. trib., 2006, p. 3110 e ss.; L. SALVINI, «Elusione e illecito tributario», in Corr. trib., 2006, p. 3097; F. GALLO, «Rilevanza penale dell’elusione fiscale», in Rass. trib., 2001, 2, p. 321; R. LUPI, Elusione e sanzioni penali, in AA.VV., Fiscalità d’impresa e reati tributari a cura di R. Lupi, Milano, 2000, p. 154; ID., «L’elusione come strumentalizzazione delle regole fiscali», in Rass. trib., 1994, 2, p. 225; G. ZIZZO, Prime considerazioni sulla nuova disciplina antielusione, in AA.VV., Commento agli interventi di riforma tributaria a cura di M. Miccinesi, Padova, 1999, p. 462. La dottrina minoritaria che nega l’applicabilità delle sanzioni si basa sulla natura procedimentale dell’art. 37-bis e sugli effetti para-sanzionatori del disconoscimento dei vantaggi fiscali. In tal senso cfr. A. SPOTO, «Revisione della clausola antielusione (art. 10 della L. n. 408/1990). Si devono applicare le sanzioni?», in Il fisco, 1997, 27, p. 1965; R. LUNELLI, «Normativa antielusione», in Il fisco, 1997, 30, p. 8490; S. CIPOLLINA, «I comportamenti elusivi che sfuggono alla rete», in Il Sole 24Ore del 29 maggio 1998, p. 21.

[nota 10] Per la Corte di giustizia, quando va disconosciuta un'operazione elusiva attraverso il canone interpretativo del divieto dell'abuso del diritto, l'amministrazione finanziaria deve limitarsi a recuperare l'imposta. L'accertamento della condotta elusiva del contribuente «non deve condurre a una sanzione, per la quale sarebbe necessario un fondamento normativo chiaro ed univoco, bensì e semplicemente ad un obbligo di rimborso di parte o di tutte le indebite detrazioni dell’Iva assolta a monte» (cfr. 21 febbraio 2006, causa C-255/02, punti 93 e 94).

[nota 11] Ci riferiamo alla sentenza della Sez. trib. (Pres. Altieri, rel. Magno), del 25 maggio 2009, n. 12042, secondo cui la violazione di un principio di ordine generale qual è il divieto dell'abuso, costituisce illecito amministrativo ma non è sanzionabile perché troverebbe applicazione l'esimente delle obbiettive condizioni di incertezza di cui all'art. 6, comma 2, del D.lgs. n. 472 del 1997, e nel medesimo senso l'art. 8 del D.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546.

[nota 12] Cfr. tra i tanti, M. LEO, «Abuso del diritto e interventi legislativi possibili», in Il fisco, 2009, 18 p. 1-2839: «In proposito, da parte di alcuni, si è auspicato un intervento normativo in grado di garantire il legittimo affidamento di tutti quei contribuenti che avevano confidato nell’assenza di una clausola generale anti-elusiva. Si è, in particolare, ipotizzato di dar corso a una sostanziale modifica dell’art. 37-bis del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, norma che sarebbe dovuta divenire una sorta di clausola generale antielusiva del tipo dell’art. 42 della legge generale fiscale tedesca». Nello stesso senso sostanzialmente A. BEFERA, «Riflessioni sull’abuso del diritto nella recente giurisprudenza della Cassazione», ibidem, p. 2835 e ss.

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