Il regime patrimoniale delle reti
Il regime patrimoniale delle reti
di Mirzia Bianca
Ordinario di Diritto Privato
Università di Roma "La Sapienza"

Premessa

Il problema di indubbia rilevanza concreta e sistematica del regime patrimoniale delle reti di impresa ha scontato da un lato la orami consueta ambiguità del linguaggio del legislatore e dall'altro la tortuosità di un testo normativo che nel tempo ha subito vari ritocchi [nota 1]. L'insieme di questi due fattori ha generato una varietà di letture del regime patrimoniale della rete che si sono sovrapposte e che sicuramente hanno reso quasi impossibile individuare delle regole comuni. Tale situazione di assoluta incertezza per l'interprete è addebitabile, oltre all'assenza di precise regole tecniche, anche dal rinvio a norme del codice civile che già per la loro complessità applicativa disorientano e appaiono decisamente fuorvianti per una corretta soluzione del problema. Mi riferisco in particolare al rinvio agli articoli 2614 e 2615 del codice civile, norme che regolano la fattispecie del consorzio con attività esterna e la cui applicazione appare già controversa con riferimento a tale fattispecie.

Tale ambiguità del testo legislativo è confermata dall'eterogenesi delle soluzioni che sono state date dalla dottrina anche con riferimento ai vari passaggi del testo normativo che nel tempo, come si è già accennato, è stato più volte modificato. Nella prima formulazione della disciplina [nota 2], salva una minoranza della dottrina che già allora negava soggettività giuridica alla rete di imprese [nota 3], l'ambiguità del linguaggio del legislatore aveva fatto ipotizzare la distinzione tra reti entificate e non entificate. L'ultima versione della disciplina, se da un lato sembra aver convinto i più in ordine alla assenza di soggettività giuridica della rete [nota 4], ha sollevato ancora più numerosi i dubbi in ordine alla qualificazione delle regole di imputazione e di responsabilità, in assenza dello schermo della soggettività giuridica.

In questa situazione di grande incertezza si è tentato di dare una interpretazione al già citato rinvio operato dal legislatore alla disciplina del consorzio con attività esterna (artt. 2614 e 2615 c.c.) [nota 5]. Tale rinvio, tra gli altri, ha posto il problema sistematico della distinzione della nuova figura del contratto di rete rispetto alla figura codicistica dei consorzi e in generale rispetto agli altri strumenti di aggregazione tra imprese, problema dalla cui soluzione dipende il giudizio di utilità e quindi di attrattività del nuovo strumento.

Di fronte ad una siffatta situazione si impone con forza all'interprete la necessità di identificare il significato del testo normativo alla luce dell'intenzione del legislatore, secondo il precetto contenuto nel comma 1 dell'art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale. Nel realizzare tale obiettivo sembrano essere di sicuro ausilio non solo i lavori parlamentari ma anche il complesso delle disposizioni di contenuto diverso, quali per esempio quelle di fonte comunitaria e fiscale che, complessivamente valutate, delineano l'esigenza che è sottesa all'introduzione di questo nuovo strumento normativo. La realizzazione di tale obiettivo sembra a chi scrive particolarmente importante considerando da un lato la sicura rilevanza pratica del contratto di rete cui anche di recente si è incentrata l'attenzione del mondo professionale [nota 6] e dall'altro il favor per questo modello espressa in sedi diverse dallo stesso legislatore. A tale modello normativo rinvia infatti in più punti il recente statuto delle imprese [nota 7].

Il dibattito alla luce della prima formulazione della disciplina

Come si è accennato, già con riferimento alla prima formulazione della disciplina del contratto di rete, il problema del regime patrimoniale aveva ricevuto soluzioni varie e diverse da parte della dottrina. L'art. 3, comma 4-ter della legge 9 aprile 2009, n. 33, lett. c, nel regolare il contenuto del contratto di rete era così formulato: «Il contratto è redatto per atto pubblico o scrittura privata, e deve indicare l'individuazione di un programma di rete, che contenga l'enunciazione dei diritti e degli obblighi assunti da ciascuna impresa partecipante e le modalità di realizzazione dello scopo comune da perseguirsi attraverso l'istituzione di un fondo patrimoniale comune, in relazione al quale sono stabiliti i criteri di valutazione dei conferimenti che ciascun contraente si obbliga ad eseguire per la sua costituzione e le relative modalità di gestione, ovvero mediante ricorso alla costituzione da parte di ciascun contraente di un patrimonio destinato all'affare, ai sensi dell'art. 2447-bis, comma 1, lett. a, del codice civile. Al fondo patrimoniale di cui alla presente lettera si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui agli articoli 2614 e 2615 del codice civile».

Come emerge dalla lettura di quell'articolo, la previgente disciplina prevedeva quale elemento essenziale del contratto una duplice alternativa del regime patrimoniale: 1) l'istituzione di un fondo patrimoniale comune che in forza del rinvio alla disciplina del consorzio con attività esterna (artt. 2614 e 2615 c.c.) era reso indivisibile e inespropriabile da parte dei creditori particolari dei partecipanti alla rete; 2) la costituzione da parte di ciascun partecipante alla rete di un patrimonio societario che, attraverso il rinvio all'art. 2447-bis, lett. a, c.c., realizzava un'ipotesi di separazione patrimoniale all'interno del patrimonio di ciascuna società [nota 8] partecipante alla rete. Come è evidente, entrambe le alternative realizzavano, se pure con strumenti diversi, un regime di responsabilità patrimoniale limitata del patrimonio della rete, che era resa opponibile ai terzi mediante l'iscrizione nel Registro delle imprese, così garantendo la realizzazione della destinazione del progetto di rete, posta quale causa della stipulazione del contratto. L'iscrizione nel Registro delle imprese del contratto di rete andava già allora letta quale espressione di un principio generale di necessaria pubblicità che risulta applicabile a tutti i patrimoni destinati e separati, principio generale confermato dalla disciplina dei patrimoni societari destinati ad uno specifico affare [nota 9] e dell'atto negoziale di destinazione di cui all'art. 2645-ter del codice civile [nota 10]. Già allora la dottrina, trovatasi di fronte alla lettura di questa disciplina, si era divisa. Una prima tesi, peraltro allora minoritaria, aveva individuato nella lettura di quella previgente disciplina due diversi modelli di autonomia patrimoniale [nota 11]. Secondo questa impostazione sia il fondo patrimoniale comune sia il patrimonio destinato all'affare della rete e ricalcante il modello societario, conducevano ad un'ipotesi di destinazione patrimoniale con effetto di autonomia patrimoniale, ma senza la necessità di entificare la rete, con risultati applicativi già allora significativi come l'esclusione dell'assoggettamento della rete alla procedura fallimentare [nota 12], in coerenza sistematica con quanto previsto per i patrimoni societari destinati ad uno specifico affare e in ambito familiare, con quanto previsto per i beni oggetto del fondo patrimoniale [nota 13]. Tale tesi si fondava già allora sulla ratio della legge, quale emergente dal complesso dei lavori parlamentari, dove veniva palesata la duplice esigenza di rendere il patrimonio della rete inaggredibile e indivisibile e di escludere la soggettività giuridica e comunque una strutturazione della rete che potesse portare a nascondere l'identità della singola impresa partecipante [nota 14]. Quanto al rinvio alla disciplina del consorzio con attività esterna, si riteneva che, a meno di considerare l'intervento del legislatore completamente inutile, tale rinvio non potesse condurre a ritenere rete e consorzio esterno due istituti identici o sovrapponibili [nota 15]. Una seconda tesi aveva invece individuato nelle due alternative poste dal legislatore, non due diverse modalità di realizzazione del regime di autonomia patrimoniale, ma due distinte strutture della rete. In particolare, con riferimento alla prima alternativa offerta dal legislatore, ovvero la costituzione di un fondo patrimoniale comune, si era ritenuto che il rinvio alla disciplina del consorzio con attività esterna fosse applicabile alle sole reti entificate e quindi alle reti c.d. forti con rischio autonomo di impresa [nota 16]. Al modello della rete forte e soggettivizzata del modello normativo si contrapponeva l'ipotesi eventuale, anche se non prevista dal legislatore, di una rete debole con efficacia meramente interna cui applicare il regime di contitolarità della comunione [nota 17]. Secondo tale impostazione, si rifiutava la tesi del patrimonio autonomo destinato allo scopo sulla base del principio di tipicità dei patrimoni autonomi [nota 18]. La tesi della soggettività della rete portava all'immedesimazione con la figura del consorzio con attività esterna [nota 19]. Alla struttura della rete entificata si contrapponeva la seconda alternativa della costituzione di un patrimonio destinato ad uno specifico affare, avente la struttura del patrimonio destinato dotato di autonomia patrimoniale non soggettivizzata, dato il testuale rinvio alla disciplina dei patrimoni societari destinati ad uno specifico affare del modello operativo.

Il dibattito alla luce dell'attuale disciplina

La revisione della disciplina del contratto di rete, con l'ultimo intervento del 2010, ha offerto all'interprete un testo apparentemente più chiaro, risolvendo una serie di problemi [nota 20] ma sollevandone al contempo altri. Come si è prima accennato, il legislatore, in quest'ultimo ritocco legislativo, privilegiando palesemente il modello contrattuale rispetto al modello organizzativo [nota 21], come emergerà chiaramente dall'analisi delle modifiche al testo normativo, ha decisamente fugato ogni dubbio in ordine all'assenza di soggettività giuridica della rete. Tale risultato, che astrattamente avrebbe dovuto dare più sicurezza all'interprete, ha enfatizzato il problema dell'interpretazione del rinvio alla disciplina del consorzio con attività esterna (artt. 2614 e 2615 del codice civile) che è fattispecie sicuramente dotata di soggettività giuridica.

Prima di affrontare nel dettaglio questi problemi e le varie soluzioni prospettate, occorre dar conto dei nuovi dati normativi che emergono a seguito della riforma del 2010. La fattispecie del contratto di rete si è arricchita, prevedendosi accanto a reti di attività, con le quali più imprenditori si obbligano, sulla base di un programma comune di rete, «ad esercitare in comune una o più attività rientranti nell'oggetto della propria impresa», modello di rete che riproduce quello della previgente disciplina, reti di scambio di informazioni o c.d. reti burocratiche [nota 22] con le quali i partecipanti si obbligano unicamente «a collaborare in forme e in ambiti predeterminati attinenti all'esercizio delle proprie imprese ovvero a scambiarsi informazioni o prestazioni di natura industriale, commerciale, tecnica o tecnologica». è chiaro che solo rispetto alla prima tipologia di rete si pongono i problemi della garanzia patrimoniale e della gestione di attività, essendo le seconde reti di mero scambio di informazioni e quindi a rilevanza meramente interna [nota 23]. Inoltre il modello di rete forte è quello più attrattivo in quanto solo rispetto a tale modello è previsto il regime agevolativo della sospensione di imposta [nota 24]. Ma la previsione di diverse tipologie di reti spiega perché, con specifico riferimento al regime patrimoniale, la prima importante modifica riguarda la costituzione del fondo patrimoniale comune che ora è eventuale, mentre prima era considerato elemento essenziale del contratto. Ciò si spiega con il fatto che nella previgente disciplina la rete era concepita solo come rete di attività mentre oggi si ammettono anche reti di mero scambio di informazioni, per le quali non è necessario alcun fondo patrimoniale comune. Altra e più importante modifica attiene ai poteri dell'organo comune. Mentre nella previgente disciplina non erano chiariti i poteri di rappresentanza [nota 25], l'attuale disciplina prevede che l'organo comune agisca «in nome e per conto dei partecipanti» con un esplicito riferimento ai «poteri del mandatario comune». La precisazione dei poteri di rappresentanza dell'organo comune impone il rinvio alla disciplina del mandato collettivo [nota 26], portando ad abbandonare definitivamente l'ipotesi della rappresentanza organica. Ma la modifica più importante attiene alla strutturazione stessa del regime patrimoniale. Mentre nella previgente disciplina il legislatore poneva l'alternativa tra la costituzione di un fondo patrimoniale comune e la costituzione di uno o più patrimoni destinati ad uno specifico affare, dando adito ad interpretazioni che distinguevano due modelli strutturali di rete (entificata nella prima alternativa e non entificata nella seconda), l'attuale disciplina prevede un'unica alternativa per le reti di attività: la costituzione di un fondo patrimoniale comune, prevedendo due alternative di conferimento [nota 27]. La nuova disciplina prevede infatti che il conferimento dell'eventuale fondo patrimoniale comune possa avvenire: 1) mediante contributi iniziali o successivi dei singoli partecipanti; 2) mediante apporto di un patrimonio destinato ad uno specifico affare ai sensi dell'art. 2447-bis, comma 1, lett. a, del codice civile. Ad entrambe le ipotesi si applicano, in quanto compatibili, gli artt. 2614 e 2615 del codice civile. Quanto alla pubblicità del contratto di rete, la disciplina è rimasta invariata, prevedendosi che «il contratto di rete è soggetto alla iscrizione nella sezione del Registro delle imprese presso cui è iscritto ciascun partecipante», con la previsione aggiuntiva che «l'efficacia del contratto inizia a decorrere da quando è stata eseguita l'ultima delle iscrizioni prescritte a carico di tutti coloro che ne sono stati sottoscrittori originari». Quest'ultima aggiunta enfatizza il profilo della necessaria iscrizione di tutti i partecipanti alla rete, escludendo l'ipotesi di un'iscrizione a nome del (soggetto) rete. Inoltre si chiarisce che la pubblicità non ha come destinataria la rete ma ha l'effetto di rendere opponibile il vincolo che nasce dal contratto di rete [nota 28].

Come si è già accennato, la disciplina minimale del contratto di rete [nota 29] offerta dal legislatore sembra confermare definitivamente la tesi della rete non soggettivizzata mancando riferimenti normativi che, aggiunti al regime di responsabilità patrimoniale limitata del fondo comune, possano confermare la tesi della soggettività della rete. Manca una disciplina della trascrizione dei beni a nome dell'ente rete; manca un regime di rappresentanza organica e, al contrario, i poteri dell'organo comune ricalcano la disciplina del mandato collettivo [nota 30]; manca una struttura organizzativa [nota 31]; manca un riferimento all'iscrizione nel Registro delle imprese a nome del soggetto rete, anche nell'ipotesi di esercizio in comune di attività [nota 32]; infine manca il riferimento alla denominazione della rete. Appare infatti palese l'intenzione del legislatore di rifiutare il modello organizzativo. Ciò pone all'interprete il problema sistematico di giustificare il rinvio ad un regime di indivisibilità e inaggredibilità del fondo reticolare (art. 2614 c.c. in analogia al fondo consortile) senza passare attraverso l'entificazione della rete [nota 33]. A questi problemi si aggiunge poi il rinvio all'art. 2615 c.c., norma di difficile applicazione già con riferimento alla fattispecie del consorzio con attività esterna [nota 34]. Al riguardo deve in prima battuta respingersi quella tesi che, negando la compatibilità stessa del rinvio, riconosce una responsabilità solidale degli aderenti alla rete, se pure sussidiaria rispetto a quella (eventuale del fondo) [nota 35]. Tale tesi, ove applicata, porterebbe ad appiattire la disciplina del regime patrimoniale della rete su quella di altre figure, quale quella delle Ati, con ciò portando ad un'aggravamento di responsabilità delle imprese aderenti, le quali risponderebbero sia con il contributo iniziale che a titolo solidale, rendendo pressoché inutile l'intervento del legislatore, oltre che assolutamente poco attrattivo il modello contrattuale di rete. Proprio alla luce di queste riflessioni può rilevarsi che quel rinvio non può che essere letto come esclusivo rinvio alla disciplina dell'indivisibilità e dell'inaggredibilità del fondo, attraverso il riconoscimento di un'autonomia patrimoniale priva di soggettività giuridica. Tale soluzione, che appare la più conforme all'interpretazione del dato normativo, porta a respingere ogni sovrapposizione tra la figura della rete e del consorzio con attività esterna. D'altra parte l'affermazione dell'autonomia patrimoniale della rete, oltre a trovare conferma nell'analisi della disciplina, appare la soluzione che meglio compone l'equilibrio tra esigenze di efficienza di questo strumento con esigenze di duttilità e snellezza dal punto di vista strutturale. L'individuazione di un preciso regime di responsabilità patrimoniale della rete impedisce inoltre che siano le parti a costruire in sede contrattuale il regime preferibile attraverso l'inserimento di clausole di distribuzione della responsabilità che appaiono sicuramente di dubbia legittimità [nota 36].

La tesi dell'autonomia patrimoniale non soggettivizzata della rete porta pertanto ad affermare che la rete rappresenta un'ipotesi normativa di patrimonio autonomo, da intendersi quale somma dei patrimoni separati appartenenti alle imprese partecipanti e la cui separazione è subordinata alla realizzazione della destinazione all'accrescimento e all'innovatività del programma di rete. è tale destinazione che segna il limite dell'operatività e quindi della meritevolezza [nota 37] dello scopo del programma di rete, meritevolezza che giustifica lo specifico regime di autonomia patrimoniale e che segna i confini di un'operazione che altrimenti sarebbe sicuramente contraria alle regole della libera concorrenza [nota 38].

Nonostante la lettera della legge sembri suffragare la tesi del patrimonio autonomo, quel dibattito non sembra ancora sopito. Se infatti la maggioranza della dottrina nega oggi la tesi della soggettività giuridica della rete [nota 39], molti autori la affermano, ora configurando la rete quale inutile doppione del consorzio con attività esterna, ora, con riflessioni suggestive, configurandola quale società consortile atipica [nota 40] o impresa collettiva non societaria a responsabilità limitata [nota 41]. La duttilità della disciplina consente inoltre interpretazioni sull'adozione di diversi modelli di rete, tra i quali viene ricompreso il modello della rete-società [nota 42]. Né in tal senso appaiono di utilità quelle riflessioni che svalutano la portata del dibattito, relegandolo ad artificio teorico, privo di alcuna utilità pratica [nota 43]. Deve infatti al riguardo osservarsi che il problema non è teorico ma ricco di conseguenze applicative concrete. La soggettività della rete implica il fallimento della stessa, mentre l'autonomia patrimoniale pone in gioco altri strumenti diversi dal fallimento cui far fronte al problema dell'insolvenza. La soggettività implica il riconoscimento della titolarità di diritti e doveri della rete, della imputazione delle azioni processuali.

Conclusioni

A monte di queste considerazioni si gioca proprio su questo dibattito il successo o l'insuccesso di questo nuovo strumento. Appare infatti chiaro che la soggettività della rete, con i corollari di disciplina che tale soggettività dovrebbe comportare, porta a negare quella che è stata la ratio di questa nuova normativa, che come appare dai lavori parlamentari e dai documenti di fonte comunitaria [nota 44], con i quali si è dato il via libera alla disciplina fiscale, è volta a dotare il nostro ordinamento di uno strumento agile che possa accrescere la competitività delle piccole e medie imprese, senza soffocarle in un'impalcatura che ne nasconda l'identità. Peraltro l'intenzione di rifiutare la soggettività della rete emerge anche dai documenti di contenuto fiscale [nota 45]. Si tratta di un'organizzazione orizzontale ben diversa dal fenomeno dei gruppi [nota 46], dal contratto di gruppo paritetico [nota 47] e dalla stessa realtà dei consorzi, non prevedendo esclusivamente lo svolgimento di fasi dell'attività [nota 48], ma proiettandosi in progetti che consentano nella collaborazione, di fare quello che la singola impresa non può realizzare da sola [nota 49]. La distinzione con la figura dei consorzi emerge sia rispetto al modello del consorzio con attività interna, in quanto il modello normativo di rete prevede un regime di autonomia patrimoniale che è assente in quel modello consortile, sia rispetto al consorzio con attività esterna [nota 50], in quanto anche se questa disciplina rinvia a quel modello, il rinvio appare limitato alla disciplina della responsabilità patrimoniale. Una interpretazione che si ponga in contrasto con quella che è la ratio ispiratrice della norma porterebbe le piccole e medie imprese a non scegliere questo modello e a rendere inapplicabile questo nuovo istituto.

Questa configurazione del modello normativo di rete sembra la più rispondente a quella che è stata la ratio del legislatore, così come emerge dai lavori preparatori, ove appare costante il rifiuto di ricorrere a strutture istituzionali ed organizzative complesse e la correlata esigenza di rendere il patrimonio della rete indivisibile e inaggredibile da parte dei creditori generali dei partecipanti. Tale configurazione, la quale sembra preferibile anche in un'ottica di semplificazione delle forme e delle strutture organizzative che è propria della moderna tecnica di legislazione definita di soft law [nota 51], non sembra poi la più svantaggiosa se si considera il profilo della garanzia dei creditori e in generale dei terzi. Il patrimonio della rete appare destinato a soddisfare unicamente gli affari e le obbligazioni che derivano dalla destinazione, così come risulta specificata nel contratto di rete. Tale destinazione non è sconosciuta ma è dotata di un sistema di pubblicità che è l'iscrizione nel Registro delle imprese e alla quale è strumentale la forma dell'atto pubblico [nota 52]. Una soluzione che portasse a configurare la rete quale autonomo soggetto di diritto renderebbe del tutto inutile l'intervento del legislatore, essendo già presenti nell'ordinamento forme di aggregazione di imprese che possono realizzare questo obiettivo, come il consorzio con attività esterna. D'altra parte, rispetto ad altre forme più deboli di aggregazione di imprese come per esempio le Ati, la rete appare dotata di un regime di autonomia patrimoniale che sicuramente le conferisce maggiore sicurezza ed affidabilità.

Se si considera il profilo della c.d. bancabilità della rete con la valutazione del rating, può sicuramente affermarsi che la formula della destinazione patrimoniale non soggettivizzata, oltre ad essere prevista quale strumento alternativo alla soggettività giuridica dalla normativa di vigilanza bancaria nota come Basilea II nella logica dello specialized lending [nota 53], potrebbe essere la soluzione più efficiente ed agile ove si accostasse al patrimonio della rete una società veicolo, ricalcante il modello delle operazioni di cartolarizzazione dei crediti. D'altra parte, anche al fine di assicurare maggiore affidabilità per i terzi finanziatori [nota 54], nel contratto di rete andrebbe specificato nel dettaglio il programma di rete e gli obiettivi che si intendono perseguire, anche al fine di valutare la congruità del patrimonio [nota 55] allo scopo, secondo un principio di effettività della destinazione che già da tempo è stato indicato quale elemento caratterizzante i negozi di destinazione [nota 56], che peraltro ha trovato una conferma normativa nella disciplina dei patrimoni societari destinati ad uno specifico affare. Inoltre, anche nel silenzio del legislatore, al fine di rendere questo strumento di destinazione patrimoniale maggiormente appetibile e concreto, dovrebbero prevedersi forme adeguate di contabilità, secondo un'esigenza che è propria di tutti i patrimoni destinati [nota 57], al fine di evitare che la regola di separazione patrimoniale rimanga regola non operativa. Tale esigenza è propria dei patrimoni destinati della nuova generazione, tra i quali va annoverato il patrimonio destinato della rete, in cui la connotazione dinamica e finanziaria richiede l'adozione di specifiche regole di tracciabilità e individuazione del patrimonio. Delle discipline dei patrimoni destinati ad uno specifico affare andrebbe poi applicata la regola della necessaria menzione del vincolo di destinazione, contenuta al comma 3 dell'art. 2447-quinquies, c.c. Tale regola esprime infatti un principio generale che è proprio delle moderne discipline della destinazione del patrimonio che vale a comporre in un coerente equilibrio l'esigenza di specializzazione della responsabilità patrimoniale con l'esigenza della tutela dei terzi, accollando a chi si avvale della limitazione della responsabilità l'obbligo di portare a conoscenza dei terzi l'esistenza del vincolo.


[nota 1] V. art. 3, comma 4-ter del D.l. n. 5/2009, convertito in L. n. 99/2009, modificato dal D.l. n. 78/2010 (art. 42) convertito in L. n. 122/2010).

[nota 2] V. al riguardo il secondo paragrafo del testo.

[nota 3] L'assenza della soggettività giuridica della rete è stata da me sostenuta per la prima volta nella relazione inedita al Convegno "Le reti di imprese" tenutosi presso la Facoltà di Economia dell'Università degli Studi di Macerata il giorno 21 maggio 2010. In quel contesto accademico si era espresso sull'assenza della soggettività giuridica anche l'organizzatore del Convegno, Maurizio Sciuto, il quale ne aveva desunto già allora l'impossibilità di assoggettamento della rete a fallimento. V. al riguardo M. SCIUTO, Imputazione e responsabilità nel contratto di rete (ovvero dell'incapienza del patrimonio separato), rielaborazione della relazione tenuta dall'A. al citato Convegno "Le reti di imprese" da lui organizzato. Il testo del saggio è rinvenibile sul sito www. associazionepreite.it.

Sulla autonomia patrimoniale della rete v. anche il saggio inedito di M. ONZA, consultabile sul sito dell'Associazione culturale "Orizzonti del diritto commerciale". La nuova versione di questo saggio, che abbiamo potuto consultare grazie alla cortesia dell'A. sta per essere pubblicato nei Quaderni di Giur. comm. a cura di Mosco e Cafaggi, volume specificamente dedicato alle reti di impresa.

[nota 4] V. al riguardo il terzo paragrafo del testo.

[nota 5] V. al riguardo M. MALTONI - P. SPADA, «Il Contratto di rete», studio n. 1-2011/I, in Studi e materiali, 2011, 4.

[nota 6] Una sicura conferma dell'interesse del ceto notarile per la figura del contratto di rete è offerta dalla predisposizione delle Linee guida per i contratti di rete del Comitato interregionale dei Consigli notarili delle tre Venezie, documento pubblicato a marzo 2012. In questo documento si trova una sintesi dei principali problemi applicativi che interessano il contratto di rete. Con specifico riferimento al profilo della responsabilità patrimoniale, le Linee guida hanno accolto quasi testualmente le soluzioni da me prospettate nell'ambito dei Convegni dedicati al tema del contratto di rete ai quali ho partecipato sin dalla prima versione della disciplina (2010) con relazioni dedicate allo specifico profilo della responsabilità patrimoniale della rete (in particolare v. il Convegno tenutosi all'Università di Macerata il 21 maggio 2010 e citato alla nota 3 del testo; il Convegno organizzato dal Comitato regionale fra i Consigli notarili pugliesi a Savelletri di Fasano il 18-19 giugno 2010; il Convegno di Pescara del 10 giugno 2011: "Il contratto di rete. Un nuovo strumento di sviluppo per le imprese", tenutosi presso l'Università G. D'Annunzio di Chieti-Pescara, i cui atti sono in via di pubblicazione; infine, il Convegno organizzato dalla Fondazione italiana del Notariato: "Il contratto di rete. Nuovi strumenti contrattuali per la crescita d'impresa", Convegno tenutosi a Roma, il 25 novembre 2011, il cui presente articolo rappresenta una rielaborazione).

[nota 7] V. art. 2 della L. 11 novembre 2011, n. 180, "Norme per la tutela della libertà d'impresa. Statuto delle imprese".

[nota 8] Il rinvio alla disciplina dei patrimoni societari destinati ad uno specifico affare, che è disciplina testualmente prevista per il tipo societario della SpA, ha posto all'interprete il problema se la nuova disciplina del contratto di rete preveda l'estensione dell'ambito dei soggetti che possono utilizzare questo strumento. Al riguardo parte della dottrina ha ritenuto che tra i soggetti partecipanti alla rete che utilizzano la modalità di conferimento del patrimonio destinato ad uno specifico affare possano ricomprendersi anche imprese individuali o società diverse dalla SpA (S. MEUCCI, «La nuova normativa sui contratti di rete e il rapporto con i patrimoni destinati ad uno specifico affare», in Persona e mercato (www.personaemercato.it), 2010, 1, p. 52; A. GENTILI, «Una prospettiva analitica su reti di imprese e contratti di rete», in Obbl. contr., 2010, p. 90, nota 28). La maggioranza della dottrina ritiene tuttavia che tale estensione non sia ammissibile, dato che l'istituto dei patrimoni destinati ad uno specifico affare è creatura creata per il modello della SpA ed è quindi inapplicabile al di fuori di quel modello (tra gli altri v. G. SCOGNAMIGLIO - E.M. TRIPPUTI, Il contratto di rete per l'esercizio di attività comune: profili patrimoniali e organizzativi, in Reti d'impresa: profili giuridici, finanziamento e rating: il contratto di rete e le sue caratteristiche a cura dell'Associazione italiana Politiche industriali, Milano, 2011, p. 65).

[nota 9] V. IBBA, «La pubblicità del patrimonio destinato», in Giur. comm., 2007, p. 725 e ss.

[nota 10] Sul tema, v. per tutti G. GABRIELLI, «Vincoli di destinazione importanti separazione patrimoniale e pubblicità nei registri immobiliari», in Riv. dir. civ., 2007, I, p. 321 e ss.

[nota 11] In questo senso così mi ero espressa nella mia relazione inedita al Convegno "Le reti di imprese" tenutosi presso la Facoltà di Economia dell'Università degli Studi di Macerata il giorno 21 Maggio 2010. Riflessioni analoghe avevo fatto nella Relazione, anche questa inedita, al Convegno organizzato dal Comitato regionale fra i Consigli notarili pugliesi a Savelletri di Fasano il 18-19 giugno 2010.

[nota 12] V. già in questo senso M. SCIUTO, Relazione al già citato Convegno di Macerata del 21 maggio 2010.

[nota 13] V. l'attuale testo dell'art. 46, n. 3 della legge fallimentare che prevede ora un esplicito riferimento ai beni oggetto del fondo patrimoniale (v. A. ZACCARIA, in Comm. Maffei Alberti, 5° ed., Padova, 2009, p. 238 e ss.; A. MORACE PINELLI, Sub art. 46 L. fall., in La legge fallimentare dopo la riforma a cura di Nigro-Sandulli-Santoro, Tomo I, Torino, 2010. Sul tema v. anche M. BIANCA, Sub art. 170, in Comm. breve al diritto di famiglia, 2° ed., Padova, 2011, p. 544 e ss).

[nota 14] M. BIANCA, Relazione inedita al già citato Convegno di Macerata del 21 maggio 2010. Il vivace dibattito relativo alla qualificazione del regime patrimoniale del contratto di rete evoca interessanti riflessioni sul rapporto tra il concetto di patrimonio autonomo/separato e il concetto di soggettività giuridica. Al riguardo si rinvia a M. BIANCA, Il modello normativo del contratto di rete. Nuovi spunti di riflessione sul rapporto tra soggettivita' giuridica e autonomia patrimoniale, Saggio già da tempo destinato agli Scritti in onore di Giovanni Gabrielli e ora in via di pubblicazione in un volume autonomo dei Quad. Giur. comm. a cura di Mosco e Cafaggi, citato alla nota 3 del testo.

[nota 15] M. BIANCA, Relazione inedita al già citato Convegno di Macerata del 21 maggio 2010.

[nota 16] Cfr. V. F. CAFAGGI - P. IAMICELI, «Contratto di rete. Inizia una nuova stagione di riforme?», in Obbl. contr., 2009, p. 595 e ss.; P. IAMICELI, Introduzione. Dalle reti di imprese ai contratti di rete: un percorso incompiuto, in AA.VV., Le reti di imprese e i contratti di rete a cura di P. Iamiceli, Torino, 2009, p. 4 e ss. Parlava al riguardo addirittura di "persona giuridica", G. VILLA, «Reti di imprese e contratto plurilaterale», in Giur. comm., 2010, p. 951.

[nota 17] V. P. IAMICELI, Introduzione. Dalle reti di imprese ai contratti di rete: un percorso incompiuto, in AA.VV., Le reti di imprese e i contratti di rete a cura di P. Iamiceli, cit., p. 4 e ss.

[nota 18] Così P. IAMICELI, op. ult. cit., p. 4 e ss.; F. CAFAGGI - P. IAMICELI, op. ult. cit., p. 595 e ss.

[nota 19] V. al riguardo D. CORAPI, Dal consorzio al contratto di rete: spunti di riflessione, in AA.VV., Le reti di imprese e i contratti di rete a cura di P. Iamiceli, cit., p. 166 e ss.; G. MARASà, Contratti di rete e consorzi», in Corr. mer., 2010, p. 9 e ss.

[nota 20] V. M. MALTONI, «Il contratto di rete. Prime considerazioni alla luce della novella di cui alla L. n. 122/2010», in Notariato, 2011, p. 64 e ss.

[nota 21] V. il contributo di G. MOSCO, «Il contratto di rete dopo la riforma: che tipo!», in via di pubblicazione nei Quad. Giur. comm., volume dedicato alle reti di imprese, a cura di Mosco e Cafaggi, che abbiamo potuto consultare grazie alla cortesia dell'A., il quale sottolinea che la riforma del 2010 ha sicuramente privilegiato il modello contrattuale «fino ad annullare la possibilità di configurare la rete come autonomo soggetto di diritto».

[nota 22] V. al riguardo G. PALMIERI, Profili generali del contratto di rete, in Reti d'impresa: profili giuridici, finanziamento e rating: il contratto di rete e le sue caratteristiche, cit., p. 8.

[nota 23] V. al riguardo M. SCIUTO, op. ult. cit., il quale opportunamente rileva che la seconda tipologia di rete assume una valenza meramente interna, non portando alla instaurazione di rapporti della rete con il mercato che richiedono l'assunzione di obbligazioni con i terzi e un compendio patrimoniale costituito ad hoc.

[nota 24] V. al riguardo le circolari dell'Agenzia delle entrate del 15 febbraio 2011 n. 4/E e del 14 aprile 2011 n. 15/E.

[nota 25] V. al riguardo la Relazione inedita di P. MASI al Seminario "Il contratto di rete" da me organizzato presso la Facoltà di Scienze Statistiche della Sapienza Università di Roma e tenutosi il giorno 12 novembre 2009, il quale rilevava la difficoltà del coordinamento dell'azione della rete.

[nota 26] Così M. SCIUTO, op. ult. cit. Nella medesima prospettiva, M. ONZA, op. ult. cit.

[nota 27] Parte della dottrina desume dall'utilizzazione del termine tecnico "conferimento" la conferma della tesi della soggettività della rete: G. PALMIERI, Profili generali del contratto di rete, cit., p. 13. Al riguardo va tuttavia obiettato che il termine "conferimento" viene utilizzato dal legislatore sia per l'ipotesi di apporti, sia per l'ipotesi di costituzione di patrimoni destinati ad uno specifico affare ai sensi dell'art. 2447-bis e ss. Deve poi rilevarsi che anche con riferimento alla disciplina dell'atto negoziale di destinazione di cui all'art. 2645-ter del codice civile, il legislatore utilizza il termine "conferente" per indicare la posizione del destinante, ovvero di colui che pone in essere un atto negoziale di destinazione avente ad oggetto beni immobili o beni mobili registrati. Proprio ritenendo che il termine conferimento non sia da intendersi in senso tecnico come rinvio specifico alla disciplina delle società, si è ritenuto di poter allargare il novero delle entità conferibili: G. SCOGNAMIGLIO - E.M. TRIPPUTI, op. cit., p. 48 e ss.

[nota 28] Così P. ZANELLI, «La Rete è, dunque, della stessa natura del gruppo di società?», in Contr. impr., 2011, p. 541: «Non si ha più un'iscrizione del contratto in quanto tale, e quindi un'iscrizione della rete, ma si ha una sorta di annotazione presso le singole iscrizioni e solo con l'ultima di esse il contratto sarà efficace (così testualmente). Quel che emerge ora è il 'vincolo' assunto da ciascun partecipante piuttosto che la creazione di una rete».

[nota 29] Rilevava già questi aspetti nella formulazione originaria della disciplina del contratto di rete, E. BRIGANTI, «La nuova legge sui "contratti di rete" tra le imprese: osservazioni e spunti», in Notariato, 2010, p. 191 e ss.

[nota 30] Cfr. al riguardo D. GALLO, «Il contratto di rete e l'organo comune: governance e profili di responsabilità», in Resp. civ., 2012, p. 6 e ss.

[nota 31] Sull'elemento organizzativo quale presupposto del riconoscimento della soggettività giuridica, v. nella dottrina italiana, in accoglimento della prospettiva della dottrina tedesca, A. FUSARO, «Il trust nell'esperienza giuridica italiana: il punto di vista della giurisprudenza e degli operatori», in Fam. pers. suce., 2012, p. 813 e ss. In giurisprudenza, sull'elemento organizzativo quale requisito per affermare la soggettività giuridica, v. Cass. 15 luglio 2010, n. 16605 con nota di F.R. FANTETTI, «Separazione e titolarità del patri-monio nei fondi comuni di investimento», in Resp. civ., 2011, p. 124 e ss. V. anche il commento di P. CALICETI, «Vecchie e nuove questioni in tema di fondi comuni di investimento» in Riv. dir. civ., 2012, II, p. 219 e ss.

[nota 32] Significative in tal senso sono le osservazioni di M. SCIUTO, op. ult. cit.: «In primo luogo appare assai significativo (benché teoricamente non decisivo) la circostanza per cui nella stessa prefigurazione legislativa del contratto di rete, dunque proprio quello che dovrebbe iscriversi nel Registro delle imprese, non sia prevista in alcun caso l'indicazione di un 'nome' della rete, e quindi neppure quando il programma di rete prevedesse l'esercizio in comune di un'attività produttiva di beni e servizi. Il che costituirebbe, se non erro, l'unico caso previsto nel nostro ordinamento di soggetto ad autonomia patrimoniale perfetta per il quale la legge non imponga la necessità di alcuna denominazione; e ciò, si badi, neppure nella sua versione 'regolare' (cioè formalizzata per atto solenne e regolarmente iscritta nel Registro delle imprese)».

[nota 33] V. G. MOSCO, op. ult. cit., il quale rileva queste difficoltà; v. anche lo studio n. 1/2011 sul contratto di rete del Consiglio nazionale del Notariato, cit., dove proprio l'assenza della soggettività della rete porta alla conclusione che non abbia esito postivo il rinvio agli artt. 2614 e 2615 c.c.: «… è altamente opinabile che il giudizio di compatibilità delle norme in tema di consorzio con attività esterna, alle quali la legge in discorso rinvia, possa concludersi con un esito positivo. In altri termini, in assenza di un soggetto di diritto, non sembrerebbero ravvisabili 'obbligazioni della rete' garantite dal fondo (se costituito) e da questo soltanto (c.d. localizzazione della garanzia patrimoniale nel patrimonio separato); dovrebbero prospettarsi solo 'obbligazioni dei partecipanti alla rete', il nome dei quali viene speso secondo le regole del diritto comune della rappresentanza».

[nota 34] V. al riguardo il già citato studio n. 1-2011/I sul contratto di rete del Consiglio nazionale del Notariato. Su questa disciplina v. in particolare G. PERONE, L'interesse consortile, Milano, 2008.

[nota 35] V. al riguardo il già citato studio n. 1-2011/I sul contratto di rete del Consiglio nazionale del Notariato: «Dunque, alla luce dell'attuale testo risulterebbe possibile spingersi ad affermare la responsabilità solidale dei partecipanti per le obbligazioni assunte nello svolgimento dell'attività di rete; solidale, sì, ma che non può escludersi essere sussidiaria rispetto a quella eventualmente esistente a servizio della 'rete'».

[nota 36] Sul punto v. F. CAFAGGI, «Il contratto di rete nella prassi. Prime riflessioni», in I Contratti, 2011, p. 504 e ss., il quale riferisce della prassi volta ad inserire nei contratti di rete clausole di dubbia legittimità in ordine alla distribuzione della responsabilità patrimoniale.

[nota 37] In generale sul tema della meritevolezza, sia consentito un rinvio a M. BIANCA, «Alcune riflessioni sul concetto di meritevolezza degli interessi», in Riv. dir. civ., 2011, I, p. 789 e ss.

[nota 38] V. Comunicazione dell'Antitrust relativa all'istituto delle reti di imprese, così come disciplinate dall'art. 3, comma 4-ter del decreto legge n. 5/2009, così come convertito in legge n. 33/2009, pubblicata in Bollettino del 17 maggio 2011. In questo senso si era già espressa la dottrina: M.R. MAUGERI, «Reti di imprese, contratto di rete e reti contrattuali - Non minor virtus est tueri et perficere rem inventam … quam reperire», in Obbl. contr., 2009, p. 951 e ss.

[nota 39] M. SCIUTO, op. ult. cit.; M. ONZA, op. ult. cit.; M. BIANCA, Relazione inedita al Convegno di Pescara del 10 Giugno 2011: "Il contratto di rete. Un nuovo strumento di sviluppo per le imprese", tenutosi presso l'Università G. D'Annunzio di Chieti-Pescara, i cui atti sono in via di pubblicazione; SCARPA, «La responsabilità patrimoniale delle imprese contraenti per le obbligazioni assunte a favore di una rete tra loro costituita», in Resp. civ., 2010, p. 406 e ss; M. MALTONI, op. cit., p. 64 e ss.; P. ZANELLI, «Reti di impresa: dall'economia al diritto, dall'istituzione al contratto», in Contr. impr., 2010, p. 951 e ss.; ID., «La Rete è, dunque, della stessa natura del gruppo di società?», cit., p. 535 e ss.

[nota 40] R. SANTAGATA, «Il 'contratto di rete' fra (comunione di) impresa e società (consortile)», in Riv. dir. civ., 2011, I, p. 323 e ss.

[nota 41] Così G. PALMIERI, Profili generali del contratto di rete, cit., p. 14. L'A. al riguardo afferma che si tratta di strutture "polivalenti sul piano funzionale e caratterizzate da un'estrema elasticità organizzativa" cui si ammette la possibilità che siano applicate alle stesse in via analogica parti di disciplina delle società di capitali.

[nota 42] V. al riguardo G. SCOGNAMIGLIO - E.D. TRIPPUTI, op. cit., p. 39 e ss.

[nota 43] Così A. GENTILI, op. cit., p. 94 e ss.

[nota 44] V. documento della Commissione europea del 26 gennaio 2011 n. 343: "Sostegno a favore della costituzione di reti di imprese". In questo documento la Commissione europea, nell'affrontare il problema del sostegno delle reti di imprese, ha sottolineato in più punti l'esigenza che la rete non sia strutturata quale autonomo soggetto di diritto rispetto alle imprese partecipanti alla rete. V. in particolare l'art. 2, punti 29 e 30: «Sebbene il contratto disciplini esclusivamente la relazione tra imprese partecipanti e l'amministrazione delle risorse comuni, la Commissione ha considerato anche se l'esistenza di un tale contratto tra queste società dia vita ad un'impresa distinta ai sensi dell'art. 107, paragrafo 1, del trattato. è questo il caso che potrebbe verificarsi in particolare se le imprese interessate istituissero un fondo, con responsabilità separata, all'atto della costituzione della rete di imprese. A tale riguardo, le autorità italiane hanno chiarito che la rete di imprese non avrà personalità giuridica autonoma».

[nota 45] In particolare al riguardo v. circolare n. 4/E 15 febbraio 2011 dell'Agenzia delle entrate già citata alla nota 24 del testo. V. anche nello stesso senso la risoluzione dell'Agenzia delle entrate del 30 giugno 2011, n. 70/E che, pur consentendo l'attribuzione del codice fiscale alle reti, precisa che «rimane ferma l'esclusione della soggettività tributaria».

[nota 46] V. al riguardo P. ZANELLI, «Reti di impresa: dall'economia al diritto, dall'istituzione al contratto», cit., p. 954-955: «E … ancora è altro dai gruppi. Ovviamente in una nozione ampia, economica, della rete sta anche il gruppo di imprese. Ma è vero anche il contrario. Il gruppo è l'esatto opposto della rete così come configurata dalla legge: è una rete piramidale (gerarchica), tanto per usare un termine preso in prestito dal linguaggio economico, in cui una o più imprese assumono una posizione di prevalenza rispetto alle altre, e si caratterizza per la presenza di relazioni tra tutti i nodi della rete in cui vi è una impresa leader che, in virtù di competenze, risorse e capacità di coordinamento, svolge il ruolo di pianificatore della rete». In un saggio successivo l'A. sembra sviluppare questo pensiero della rete piramidale: P. ZANELLI, «La Rete è, dunque, della stessa natura del gruppo di società?», cit., p. 538.

[nota 47] Sottolinea questa distinzione R. SANTAGATA, op. ult. cit.

[nota 48] Rilevano questa distinzione G. SCOGNAMIGLIO - E.D. TRIPPUTI, op. cit., p. 41.

[nota 49] La distinzione e la singolarità della rete normativa rispetto ad altri modelli di organizzazione imprenditoriale è sottolineata con forza da D. PALMIERI, Introduzione, in Reti d'impresa: profiili giuridici, finanziamento e rating, cit., XV.

[nota 50] Sulla distinzione della rete rispetto alla figura del consorzio con attività esterna, v. M. MALTONI, op. cit., p. 64 e ss.; P. ZANELLI, «Reti di impresa: dall'economia al diritto, dall'istituzione al contratto», cit., p. 954.

[nota 51] V. al riguardo P. ZANELLI, «La Rete è, dunque, della stessa natura del gruppo di società?», cit., p. 543. Sul tema, in termini generali, F. BORGIA, «La soft law come strumento di regolazione delle attività delle imprese multinazionali», in Dir. comm. intern., 2010, p. 309 e ss.

[nota 52] Così M.N. IANNACCONE, Il contratto di rete e il ruolo del notaio, in Reti d'impresa: profili giuridici, finanziamento e rating: il contratto di rete e le sue caratteristiche a cura dell'Associazione Italiana Politiche industriali, cit., p. 122 e ss.

[nota 53] V. al riguardo G. DE LAURENTIS, Il finanziamento delle reti di imprese, in Reti d'impresa: profili giuridici, finanziamento e rating: il contratto di rete e le sue caratteristiche a cura dell'Associazione Italiana Politiche industriali, cit., p. 17 e ss., il quale sottolinea che quest'ultima ipotesi va classificata come finanziamento della rete 'oggetto'.

[nota 54] V. G. SCOGNAMIGLIO - E.D. TRIPPUTI, op. cit., p. 48.

[nota 55] V., al riguardo F. CIRIANNI, «Il contratto di rete», in Notariato, 2010, p. 442 e ss. Inoltre rileva questo aspetto G. DE LAURENTIS, op. ult. cit., p. 31 al fine di assicurare una garanzia per i terzi finanziatori. L'A. utilizza l'espressione «entificazione contrattuale della rete».

[nota 56] La dottrina notarile aveva già parlato di "effettività della destinazione" in occasione della Giornata di studio organizzata dal Consiglio Nazionale del Notariato, Roma - Palazzo Santacroce, 19 giugno 2003, i cui atti sono stati pubblicati in Quaderni romani di diritto commerciale a cura di B. Libonati e P. Ferro-Luzzi, Milano, 2003; C. CACCAVALE, Strumenti attuali di diritto positivo, ivi, p. 41 e ss.

[nota 57] Si rinvia al riguardo all'opera monografica di L. SALAMONE, Gestione e separazione patrimoniale, Padova, 2001.

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