La governance nei contratti di rete
La governance nei contratti di rete
di Fabrizio Guerrera
Ordinario di Diritto Commerciale
Università degli studi di Messina
Premessa: inquadramento e qualificazione del contratto di rete
Dopo la riformulazione dell'art. 3, comma 4-ter, D.l. n. 5/2009, operata da ultimo con il D.l. n. 78/2010 conv. in L. n. 122/2010, il contratto di rete sembra avere guadagnato un profilo tipologico più netto - o, se si preferisce, meno sfocato - all'interno della categoria dei «contratti plurilaterali con comunione di scopo», nella quale esso è ormai pressoché pacificamente inquadrato [nota 1].
Prevale l'idea che si tratti di un modello generico, variegato e flessibile - cioè di un tipo negoziale polimorfico -, idoneo a ricomprendere fenomeni e gradi di collaborazione interaziendale assai differenti fra loro [nota 2]; ma non al punto da confondersi con le figure affini, che regolano nella legge e nella prassi la cooperazione tra imprese. Del resto, anche sul piano propriamente funzionale, il contratto di rete si caratterizza per una causa "debole", epperò sufficientemente autonoma e distinguibile: sia dalla joint-venture o dall'associazione temporanea (per la finalità di accrescimento anche collettivo della capacità innovativa e della competitività delle imprese collegate in rete, nonché per l'orizzonte temporale duraturo e continuativo della collaborazione); sia dal consorzio e dalla società consortile o dalla società cooperativa fra imprenditori (per la marginalità del carattere mutualistico della cooperazione interaziendale e, comunque, per l'assenza di finalità di regolazione della concorrenza); sia dalla società lucrativa (per l'accidentalità del lucro soggettivo derivante dall'esercizio in comune "di una o più attività" con esso eventualmente programmato) [nota 3].
In altri termini, l'assunzione degli obblighi reciproci di collaborazione, di apporto, di informazione e di esercizio in comune di attività d'impresa (e non solo di fasi della stessa) da parte delle imprese aderenti sembra trovare la sua giustificazione causale proprio nel "programma comune di rete" e, se del caso, nello sviluppo del c.d. brand di rete, che ne costituisce la proiezione commerciale esterna. La norma assegna, infatti, rilevanza centrale al programma di rete e agli obiettivi strategici fissati in esso; di contro, la determinazione delle modalità di realizzazione dello scopo comune e la creazione di una organizzazione patrimoniale e personale della rete rientrano nella piena disponibilità delle parti (art. 3, comma 4-ter, lett. c ed e) e non assumono alcun rilievo causale.
Il legislatore non ha affrontato, peraltro, il problema dell'autonomia patrimoniale e tanto meno quello della entificazione della rete, limitandosi a richiamare gli artt. 2614 e 2615 c.c., ma «nei limiti di compatibilità», per l'ipotesi di istituzione di un "fondo comune" da parte delle imprese ad essa aderenti [nota 4]. Su questo punto si tornerà più avanti (paragrafo "La dubbia ammissibilità della c.d. rete-società e la costituzione di una società "di rete" strumentale all'attuazione del contratto") per precisare - ove la lettura della disposizione non risultasse di per sé sufficientemente chiara - che l'imputazione diretta ai partecipanti dei diritti e obblighi derivanti dagli atti compiuti dall'organo comune è incompatibile con la teorizzazione di un regime di autonomia patrimoniale perfetta della "rete", come tale.
Tuttavia, non bisogna sorprendersi di ciò, poiché la tecnica dell'autonomizzazione soggettiva appare oggi, nel complesso, declinante o non più esclusiva, rispetto alla tendenza normativa e della prassi alla segregazione dei patrimoni destinati a determinati scopi o affari, che realizza nuove e diversificate forme di "specializzazione" della responsabilità patrimoniale (si pensi, oltre che alla nuova disciplina dei gruppi e dell'organizzazione patrimoniale della SpA, anche al trust, al project financing, alle cartolarizzazioni ecc.) [nota 5].
La struttura e il funzionamento delle reti contrattuali
Ciò nondimeno, il tema della governance della rete di imprese presenta - com'è intuibile - importanza primaria ai fini dell'attuazione del contratto e del perseguimento pratico dei suoi scopi, giacché anche le forme puramente "contrattuali" di cooperazione interaziendale esigono la creazione di una struttura organizzativa minimale. Così avviene, notoriamente, nell'esperienza delle associazioni temporanee di imprese, che non si risolvono nel conferimento di un mandato con rappresentanza all'impresa capogruppo, ma di norma operano tramite appositi comitati di coordinamento e prevedono anche l'istituzione di un direttore tecnico per la gestione della commessa nei confronti dell'ente appaltante [nota 6].
A questo elementare modello dovrebbero ispirarsi, per l'appunto, le reti contrattuali, caratterizzate da un numero ridotto di imprese che si presumono interessate a partecipare direttamente alla "attuazione" del programma di rete. Tuttavia, poiché quest'ultima consiste in una attività (anche soltanto interna, ma) piuttosto complessa e articolata, la dimensione intersoggettiva del rapporto non contraddice - ed anzi egualmente esige - l'istituzione di un "organo comune" incaricato di amministrare il "fondo patrimoniale comune" costituito dai conferimenti degli aderenti e di gestire l'esecuzione del contratto o di singole parti o fasi dello stesso entro limiti prestabiliti (art. 3, comma 4-ter, lett. e ed f). Limiti che, beninteso, possono (anzi dovrebbero) essere in questo "sottotipo" molto ristretti e tali da escludere qualsiasi autonomia gestionale del c.d. organo comune.
In questo modo, da un verso, le imprese partecipanti non rinunciano a concorrere direttamente alle decisioni concernenti il "programma di rete" e a coordinarne l'attuazione, se si vuole anche secondo regole unanimistiche; dall'altro, però, si avvalgano dei vantaggi operativi che derivano dal conferimento a una di loro di un mandato collettivo irrevocabile con rappresentanza, secondo le regole degli artt. 1723 e 1726 c.c. L'organo comune - che si configura qui come un mandatario, e non come titolare di un ufficio - agirà allora "in nome e per conto" delle imprese nell'ambito dei poteri attribuitigli, rimanendo soggetto alle loro istruzioni e direttive, in conformità delle decisioni prese sulle materie d'interesse comune (ma nel rispetto dei compiti assegnatigli) [nota 7]; oltre che, ricorrendone i presupposti, al potere di sostituzione da parte delle imprese mandanti e alle ripercussioni delle eventuali successive modifiche del programma di rete.
Si noti peraltro che, anche in presenza di questa struttura organizzativa embrionale, di stampo puramente contrattuale (che ovviamente minimizza i problemi di informazione, controllo e rendicontazione che accompagnano la governance della rete), la legge attribuisce all'organo comune, se istituito, il potere di rappresentare le imprese partecipanti nei rapporti con la P.A., con il sistema bancario, relativamente agli interventi di garanzia, e, in genere, con gli enti e gli organismi preposti a promuovere i processi di innovazione, promozione e internazionalizzazione delle stesse.
La struttura e la governance delle reti associative
Nella prassi, tuttavia, le esigenze di efficienza, efficacia e continuità dell'azione di coordinamento necessaria all'attuazione del programma inducono a prediligere il modello delle reti associative, che presentano una struttura organizzativa alquanto più complessa, sebbene legalmente indeterminata. Là dove con il contratto istitutivo sia stato programmato l'esercizio «in comune di una o più attività rientranti nell'oggetto della propria impresa», queste reti sembrano doversi ricondurre alla categoria dogmatica residuale della «impresa collettiva non societaria» [nota 8].
Dal punto di vista organizzativo, ci troviamo, quindi, in un campo dominato dai principi della autonomia privata e della "atipicità": i contratti di rete, di volta in volta, riprendono elementi propri dei modelli del consorzio, della associazione non riconosciuta, dell'associazione temporanea di imprese e, più raramente, delle società commerciali e delle cooperative [nota 9]. Sovente utilizzano terminologie, soluzioni e modelli di diversa estrazione, combinandoli in forme nuove, ma non perspicuamente regolate, che impongono, all'occorrenza, un ricorso problematico all'analogia juris.
L'adozione di un modulo organizzativo di tipo "corporativo" appare invece, tutto sommato, infrequente e limitato alle reti di più grandi dimensioni e tendenzialmente aperte. Talvolta si riscontra la previsione di una "assemblea" dei partecipanti, dotata del potere di nominare (e revocare) l'organo comune monocratico e di approvare le decisioni d'interesse della rete secondo il metodo collegiale, a maggioranza da calcolarsi per capi ovvero per quote di partecipazione al fondo comune. Tuttavia, in mancanza di uno "statuto della rete" e, più in generale, della previsione delle regole contrattuali di funzionamento della organizzazione di rete, non potrà che farsi ricorso ai principi generali desumibili dalla organizzazione legale delle società di capitali o cooperative per risolvere gli inevitabili problemi interpretativi e conflitti endo-associativi prospettati dall'attuazione del contratto.
Ciò detto, non può sottacersi dei problemi suscitati dalla mancata disciplina legale dei flussi informativi, dei controlli interni e della rendicontazione, che dovrebbe consigliare una più accurata auto-regolamentazione di questi profili della governance di rete, essenziali all'efficienza del coordinamento della rete e al monitoraggio sull'attuazione del programma (che non si esaurisce, ovviamente, nella «misurazione dell'avanzamento verso gli obiettivi»). I contratti stipulati in questo primo periodo di applicazione dell'art. 3, comma 4-ter, D.l. n. 5/2009 si occupano per lo più dell'approvazione del rendiconto di gestione da parte delle imprese aderenti, ma trascurano gli altri aspetti segnalati che sono altrettanto importanti, malgrado le lacune legislative e l'evidente insufficienza allo scopo della disciplina civilistica del mandato.
Maggiormente diffuso appare, tuttavia, un altro modulo organizzativo più snello e diretto, che si potrebbe definire "personalistico". Esso è basato, infatti, sulla istituzione di un "comitato di gestione" formato da tutte le imprese partecipanti (almeno inizialmente) [nota 10], che ha il potere di decidere a maggioranza (calcolata per capi) sulle materie d'interesse comune e sulla nomina del "presidente" (e, ove previsto, del "vicepresidente"). Non è prevista inderogabilmente l'adozione del metodo collegiale, ed anzi si fa ricorso assai di frequente a schemi procedimentali differenti, riconducibili alla «consultazione scritta» e al «consenso espresso per iscritto», com'è consentito dall'art. 3, comma 4-ter, lett. f, in ciò riscontrandosi una evidente differenza rispetto al disposto, sia pure derogabile, dell'art. 2606 c.c.
Al presidente eletto fra i membri del comitato spettano, oltre ai poteri d'impulso e di informazione funzionali al processo decisionale del comitato quale organo pluripersonale [nota 11], anche quelli di rappresentanza "individuale e collettiva" delle imprese nei rapporti esterni, con la precisazione che la spendita del nome di queste può realizzarsi anche sinteticamente, con l'impiego della denominazione o del logo della rete, senza che per ciò la contemplatio assuma giuridicamente un rilievo metaindividuale. Anche se i contratti di rete generalmente tacciono sul punto, è al comitato di gestione, in quanto organo comune deputato a dare esecuzione al contratto, che compete il potere di revocare o sostituire per giusta causa il legale rappresentante della rete (rectius: delle imprese riunite in rete), di determinarne i compensi e, se del caso, anche di farne valere la responsabilità nell'interesse delle mandanti (ma, naturalmente, senza preclusione alcuna all'esercizio individuale dell'azione di danni).
Sul piano dell'organizzazione patrimoniale, poi, il "fondo comune" gode solo di un regime di autonomia patrimoniale imperfetta, quand'anche il contratto di rete pretendesse, con l'inserimento di clausole da considerarsi con ogni probabilità "inefficaci" verso i terzi, di limitare ad esso ogni responsabilità.
Se è vero infatti che, in applicazione dell'art. 2614 c.c., il fondo non può essere suddiviso fra le imprese partecipanti per tutta la durata del contratto, né aggredito dai loro creditori particolari; e se è vero che su di esso possono certamente pretendere di soddisfarsi i creditori aventi titolo per un'obbligazione comune alle imprese aderenti, poiché sorta in funzione dell'attuazione del contratto di rete; è altrettanto vero che l'istituzione di un tale fondo non potrebbe attenuare, né tanto meno escludere la responsabilità solidale delle imprese aderenti, che deriva pianamente dall'agire esterno dell'organo in nome e per conto delle stesse.
Tale modulo organizzativo appare, infatti, incompatibile col disposto dell'art. 2615, comma 1, c.c., e ciò in relazione sia alle obbligazioni strettamente funzionali all'attuazione del programma di rete, sia a quelle contratte nell'esercizio in comune dell'attività [nota 12]; restando impregiudicata, peraltro, l'applicazione dell'art. 2615, comma 2, c.c., che prevede la responsabilità solidale del fondo consortile con quella dei singoli consorziati "per conto" dei quali le obbligazioni sono state assunte dall'organo comune.
La dubbia ammissibilità della c.d. rete-società e la costituzione di una società "di rete" strumentale all'attuazione del contratto
Non sembra, di conseguenza, che allo stato del diritto vigente possano ammettersi e istituirsi - come pure è stato autorevolmente propugnato, argomentando soprattutto dal dato positivo della programmazione dell'esercizio in comune di una o più attività [nota 13] - le c.d. reti-società.
Questa soluzione postulerebbe, in certo senso, la configurabilità del contratto di rete come possibile "terza causa" del contratto di società (cioè, non solo lucrativa o consortile, ma anche di implementazione delle imprese in rete). Ma, come si è detto, tanto la disciplina dell'imputazione degli effetti dell'attività prodotta dall'organo comune, quanto l'inesistenza di un nome e di una sede legale della rete e lo stesso regime pubblicitario del contratto la escludono inequivocabilmente. Tanto più - deve aggiungersi - in assenza di una norma equipollente a quella dell'art. 2615-ter c.c., a suo tempo introdotta proprio per legittimare le società consortili [nota 14].
Né varrebbe obiettare che lo stesso esercizio in comune di una o più attività rientranti nell'oggetto delle singole imprese aderenti potrebbe determinare, altrimenti, l'insorgenza di un rapporto societario "di fatto", poiché lo schema della Snc irregolare opera in via del tutto residuale, laddove la legge prevede espressamente che tale specifica modalità attuativa del contratto di rete coesista in ogni caso con un mandato collettivo "con rappresentanza", escludendo per ciò stesso la nascita di un soggettivo collettivo, se pure non personificato.
Se si accetta questa impostazione, bisogna, ovviamente, rinunciare a risolvere il problema della governance della rete attingendo in via diretta alle regole proprie del modulo organizzativo corrispondente al tipo personalistico o capitalistico prescelto per l'ipotetica rete-società. Altro discorso è, ovviamente, ricorrere all'analogia con le discipline societarie per colmare le numerose e inevitabili lacune che l'autoregolamentazione della variegata struttura organizzativa di rete presenta e per dare la soluzione più appropriata ai relativi conflitti interni.
Nulla impedisce, per contro, di costituire fra le imprese aderenti al contratto di rete e "a valle" dello stesso, una società strumentale all'attuazione del programma, vale a dire una joint-venture company, dedicata specificamente all'esercizio in comune di quelle attività. Questa potrebbe rappresentare, del resto, la soluzione alternativa più facilmente percorribile al fine di dare stabilità organizzativa all'impresa "di rete", renderla relativamente autonoma e riconoscibile sul mercato, agevolandone l'approvvigionamento finanziario, e limitare al contempo il rischio patrimoniale dei partecipanti.
La società "di rete" dovrebbe operare, perciò, sotto il "controllo congiunto" delle imprese riunite [nota 15], in virtù di apposite clausole "parasociali" inseribili nello stesso contratto di rete (senza che questo, però, sia inglobato e dissolto in essa). Tale società dovrebbe essere, pertanto, caratterizzata da una conformazione statutaria coerente al suo particolare e specifico scopo [nota 16] e, naturalmente, sarebbe soggetta a direzione e coordinamento "esterni", da parte del c.d. organo comune delle imprese in rete, con tutto quanto ne consegue in punto di applicabilità degli artt. 2497 e ss. c.c.
[nota 1] Cfr. G. MOSCO, «Frammenti ricostruttivi del contratto di rete», in Giur. comm., 2010, I, p. 839 e ss.; G. VILLA, «Reti di imprese e contratto plurilaterale», ivi, p. 944 e ss.; V. CUFFARO, «Contratti di impresa e contratti tra imprese», in Corr. mer., 2010, p. 5 e ss.; G. MARASà, «Contratti rete e consorzi», ivi, p. 9 e ss.; Le reti di imprese e i contratti di rete a cura di P. Iamiceli, Torino, 2009. Nella letteratura successiva alla novella del 2010, M. MALTONI, «Il contratto di rete. Prime considerazioni», in Notariato, 2011, p. 64 e ss.; M. MALTONI - P. SPADA, «Il "contratto di rete"», studio n. 1-2011/I, in Studi e materiali, 2011, 4; R. SANTAGATA, «Il contratto di rete fra (comunione di) impresa e società (consortile)», in Riv. dir. civ., 2011, I, p. 323 e ss.
[nota 2] Cfr. A. TAFURO, «Il contratto di rete: una lettura in chiave economico-aziendale», in Riv. dir. comm., 2011, p. 643 e ss.; F. CAFAGGI, «Il contratto di rete nella prassi. Prime considerazioni», in I Contratti, 2011, p. 504 e ss.; G. PALMIERI, Profili generali del contratto di rete, in Reti di impresa: profili giuridici, finanziamento e rating, Milano, 2011, p. 3 e ss.
[nota 3] Sul problema della tipicità del contratto di rete cfr. G. MOSCO, op. cit.
[nota 4] Sui problemi interpretativi suscitati dal richiamo alle norme sui consorzi con attività esterna v., in diverse prospettive, G. MARASà, op. cit., p. 10 e ss.; D. CORAPI, Dal consorzio al contratto di rete: spunti di riflessione, in Le reti di imprese e i contratti di rete, cit., p. 171; G. MOSCO, op. cit., p. 857 e ss.; M. MALTONI - P. SPADA, op. cit., §§ 1 e 6.
[nota 5] E v. ora in tema l'ampio e approfondito studio monografico di T. DI MARCELLO, Flussi di risorse e finanziamento dell'impresa, Milano, 2010.
[nota 6] Cfr. in argomento, fra gli altri, S. ROSTAGNO, Associazione temporanea di imprese, in I nuovi contratti nella prassi civile e commerciale a cura di P. Cendon, XIV, Torino, 2004, p. 51 e ss., ove ampi riferimenti bibliografici ai quali si rinvia; F.P. CENSONI, «Associazione temporanea di imprese e procedure concorsuali», in Giur. comm., 2002, I, p. 181 e ss.
[nota 7] Cfr. M. MALTONI, op. cit., p. 73 e ss., il quale si sofferma anche sulle regole di modifica del contratto di rete.
[nota 8] Sulla quale v. per tutti A. CETRA, L'impresa collettiva non societaria, Torino, 2003.
[nota 9] In argomento v. F. CARIANNI, «I contratti di rete: aspetti operativi», in Corr. merito, 2010, 29; G. SCOGNAMIGLIO - E.M. TRIPPUTI, Il contratto di rete per l'esercizio di attività comune: profili patrimoniali e organizzativi, in Reti di impresa: profili giuridici, finanziamento e rating, Milano, 2011, p. 57 e ss.
[nota 10] Si prevede spesso, infatti, che, superato un certo numero di aderenti, non ogni impresa abbia diritto di partecipare all'organo comune, ma questo abbia una composizione numerica variabile, ma limitata, e venga eletto a maggioranza.
[nota 11] Talvolta, con espresso richiamo all'art. 2381, comma 1, c.c., che disciplina i poteri del presidente del consiglio di amministrazione della SpA.
[nota 12] Cfr. M. MALTONI - P. SPADA, op. cit., §§ 5 e 6; diversamente G. SCOGNAMIGLIO - E.M. TRIPPUTI, op. cit., p. 53 e ss.; e, prima della novella del 2010, G. MOSCO, op. cit., p. 859 e ss., il quale, pur segnalando la criticità dell'assenza dei contrappesi alla responsabilità limitata dati dall'applicazione della disciplina del bilancio e dalla presenza di una struttura di tipo corporativo, opta per la possibilità di una soluzione affermativa.
[nota 13] In questo senso sono orientati, dopo la novella del 2010, G. PALMIERI, op. cit., p. 11 e ss.; G. SCOGNAMIGLIO - E.M. TRIPPUTI, op. cit., p. 39 e ss.; R. SANTAGATA, op. cit., p. 5 e ss., che argomenta diffusamente la tesi della "società consortile di diritto speciale".
[nota 14] Cfr. per tutti M. SARALE, Consorzi e società consortili, in COTTINO, SARALE e WEIGMANN, Tratt. Cottino, III, Padova, 2004, p. 541 e ss.; E. CUSA, «Le società consortili con personalità giuridica: fattispecie e frammenti di disciplina», in corso di pubblicazione in Riv. dir. civ., 2011. Si consideri, peraltro, che l'Agenzia delle entrate, con circolare n. 4/E del 15 febbraio 2011, ha escluso l'attribuzione di soggettività tributaria alla rete risultante dal contratto.
[nota 15] Sul tema cfr. V. CARIELLO, "Controllo congiunto" e accordi parasociali, Milano, 1997; ID., «Dal controllo congiunto all'attività congiunta di direzione e coordinamento», in Riv. soc., 2007, p. 1 e ss; F. GUERRERA, La responsabilità "deliberativa", Torino, 2004, p. 345 e ss.; E. MACRì, Patti parasociali e attività sociale, Torino, 2007, p. 69 e ss., p. 214 e ss.
[nota 16] In un analogo ordine di idee, per la configurabilità del nuovo modello di società mista per la gestione dei servizi pubblici a rilevanza economica come società strumentale o joint-venture company sia consentito rinivare a F. GUERRERA, Lo statuto della nuova società "a partecipazione mista" pubblico-privata, in Le società a partecipazione pubblica a cura di F. Guerrera, Torino, 2010, p. 97 e ss. e spec. p. 104 e ss.
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