La partecipazione al contratto di rete
La partecipazione al contratto di rete
di Maria Nives Iannaccone
Notaio in Seregno
Questo intervento si occuperà del rapporto del singolo partecipante al contratto di rete in ogni suo aspetto; esaminerà pertanto le modifiche soggettive del contratto, il diritto di voice dei partecipanti con particolare riguardo alle modifiche del programma, ed infine i diritti e gli obblighi dei contraenti.
Come illustrato nei precedenti interventi, dalla lettura della scarna disciplina dettata dalla legge, non emerge un profilo definito del contratto di rete, il quale non risulta neanche ben coordinato né sufficientemente differenziato dalle altre forme di aggregazione di imprese.
Per questi motivi i commentatori, nel tentativo di darne una definizione giuridica, lo hanno di volta in volta classificato come vero «contratto tipico» [nota 1] oppure come "disciplina" parziale e imperfetta [nota 2] oppure ancora come «insieme di requisiti in presenza dei quali contratti, genericamente funzionali alla cooperazione interaziendale, comunque nominati, consentono alle imprese di beneficiare delle agevolazioni ...» [nota 3], negando quindi la individuazione di uno specifico tipo contrattuale.
Dal testo di legge emerge una disciplina "ibrida" tra contratto e "organizzazione" [nota 4] che tuttavia non è «soggettivizzata, ma strumentale all'attuazione di un programma di rete ... intermedia tra il mero contratto di collaborazione ... e l'organizzazione societaria» [nota 5] .
La lacunosità dell'intervento legislativo ha acceso un ampio dibattito sulla natura del contratto di rete e sulla sua soggettività che in questa sede non si vuole alimentare; tuttavia, al fine di capire come risolvere i numerosi problemi che troveremo nell'esame degli argomenti qui trattati, bisogna comunque tenere presente che la maggior parte degli studiosi della materia, in considerazione della elasticità della rete, dell'ambiguità della sua disciplina e dell'ampia autonomia contrattuale lasciata ai contraenti, ritengono possibile forme di rete estremamente diverse tra loro, con attività meramente interna o con attività esterna.
Si distingue tra «reti contrattuali e reti organizzative» [nota 6], oppure tra «reti contrattuali leggere» prive di soggettività e di autonomia patrimoniale, e reti dotate di un certo grado di autonomia patrimoniale e dunque «atte a rappresentare un nuovo centro di interessi, di diritti e di responsabilità» [nota 7]; e ancora tra «reti di coordinamento e reti associative» [nota 8], tra reti «leggere» e reti «strutturate» con fondo e organo comuni.
Tutte queste distinzioni non sono di poco conto, perché diverse sono le norme applicabili se la rete nasce come contratto interno di pura collaborazione, ad esempio per sfruttare un brevetto, oppure se i contraenti si prefiggono la condivisione di un programma più complesso che necessita l'assunzione di obblighi, o la conclusione di contratti con i terzi in modo autonomo e nell'interesse di tutti i partecipanti.
Qualora ad esempio si negasse la tipicità del contratto, ritenendo la rete di imprese un insieme di "requisiti" o di "vincoli formali" che possono trovare applicazione sovrapponendosi o convivendo con forme aggregative o associative già regolamentate dal codice, nelle ipotesi che stiamo per esaminare si applicherebbero le norme previste per il contratto aggregativo o associativo "di base", e molti dei problemi di seguito trattati sarebbero completamente superati.
Fatta questa premessa, cercherò di esaminare le diverse casistiche delle modifiche soggettive del contratto.
Modifiche soggettive del contratto
Prima di iniziare, ritengo opportuno fare una considerazione di carattere generale relativa alla forma delle modifiche soggettive.
La norma stabilisce che: «Ai fini degli adempimenti pubblicitari di cui al comma 4-quater, il contratto deve essere redatto per atto pubblico o per scrittura privata autenticata ...
Il contratto di rete è soggetto a iscrizione nella sezione del Registro delle imprese presso cui è iscritto ciascun partecipante e l'efficacia del contratto inizia a decorrere da quando è stata eseguita l'ultima delle iscrizioni prescritte a carico di tutti coloro che ne sono stati sottoscrittori originari». Ai fini della pubblicità, la partecipazione al contratto di rete diviene uno dei dati che possono interessare i terzi che entrano in rapporto con la impresa aderente, un ulteriore informazione che serve a conoscere e valutare l'impresa, come fosse una sua qualità.
L'intervento del notaio è previsto per garantire il controllo di legalità dell'accordo e per fare da "filtro" ai dati che verranno immessi nel pubblico Registro delle imprese e pertanto anche ai dati relativi ai partecipanti. Ma se questa è la ratio che ha indotto il legislatore alla scelta della forma vincolata e della relativa pubblicità, permane anche nel caso di successiva adesione e la dizione «a carico di tutti coloro che ne sono stati sottoscrittori originari» va intesa come una precisazione sul fatto che le successive adesioni non rilevano sull'efficacia del contratto, e non deve essere interpretata come un'esenzione dalla forma dell'atto notarile per le successive modifiche soggettive della rete. Del resto la stessa norma all'art. 4-ter, lett. a, chiede che il contratto contenga: «il nome, la ditta, la ragione o la denominazione sociale di ogni partecipante per originaria sottoscrizione del contratto o per adesione successiva».
Se ne conclude che le modifiche dei partecipanti al contratto devono avvenire per atto pubblico o scrittura privata autenticata, devono essere iscritte nel Registro delle imprese del nuovo aderente; inoltre, siccome tra i dati che risultano di solito dalle visure camerali dei singoli partecipanti figurano anche i nominativi di tutti gli aderenti alla rete, i cambiamenti soggettivi, successivi alla costituzione, dovrebbero essere soggetti alla medesima pubblicità, con la conseguenza che potrebbe essere opportuno modificare anche le iscrizioni degli altri partecipanti. Questa previsione di pubblicità porta ad appesantire l'intero meccanismo degli adempimenti successivi alle modifiche del contratto di rete, non essendo sufficiente una unica comunicazione relativa alle rete, individualmente considerata.
Nuove adesioni
La legge richiede («il contratto ... deve indicare: ... ») che il contratto di rete contenga «le modalità di adesione di altri imprenditori ...».
Malgrado la lettera della norma, non è stata ritenuta essenziale, ai fini della validità del contratto, la indicazione delle modalità di adesione [nota 9]; pertanto qualora i partecipanti non si esprimano sul punto, si può presumere che abbiano scelto una struttura chiusa, con la conseguenza che un eventuale nuovo ingresso non possa che essere accettato all'unanimità.
In linea con tutti i contratti plurilaterali con scopo comune, il contratto di rete di imprese è teoricamente previsto come "contratto aperto", con la possibilità che anche dopo il suo perfezionamento e la sua efficacia in seguito alla pubblicità, altre imprese entrino a farvi parte. Tuttavia il grado di apertura è rimesso alla scelta delle parti: spetta loro l'individuazione degli obiettivi del contratto, il programma comune, e i ruoli dei singoli partecipanti; pertanto solo loro potranno stabilire il grado di coesione interna necessario al buon fine dello scopo prefisso e i criteri di accettazione di ulteriori imprese che vogliano condividere il programma della rete.
La piena autonomia contrattuale, rende possibile anche la totale chiusura del contratto. Sono pertanto valide le clausole che prevedono:
- la totale chiusura del contratto (che potrà essere superata soltanto con l'unanimità);
- l'accettazione del nuovo partecipante con decisione assunta da una determinata maggioranza;
- l'accettazione del nuovo partecipante con decisione rimessa ad uno o più partecipanti specifici o anche all'organo comune se nominato;
- l'accettazione automatica in presenza di determinati requisiti soggettivi dell'impresa che propone l'adesione, magari rimettendo all'organo comune, il controllo sulla sussistenza delle condizioni previste;
- un diritto di veto in capo ad uno o più partecipanti, nel caso di accettazione per la quale non sia prevista l'unanimità.
Evidentemente la elencazione non è esaustiva perché non è previsto alcun limite di legge.
Un primo requisito soggettivo per partecipare alla rete è stabilito ex lege ed è quello di essere imprenditore e, al fine di poter assolvere gli obblighi di pubblicità, di essere iscritto al Registro delle imprese; ma le parti possono individuarne altri, tutti quelli che ritengono possano garantire il mantenimento di una compagine omogenea, tale da non compromettere il clima di reciproca collaborazione e fiducia essenziale per i contratti di durata con comunione di scopo.
L'accettazione può essere condizionata all'esercizio di attività in campi specifici, o all'interesse per determinati mercati esteri, o ancora all'adempimento di particolari prestazioni, al conferimento di know how o di brevetti, e così via; in tali casi è opportuno che il contratto stabilisca anche il partecipante, il soggetto o l'organo comune, delegato al controllo della sussistenza delle eventuali condizioni che devono esistere al momento dell'ammissione; tuttavia in mancanza di tale indicazione, se si aderisce alla tesi sopra esposta che anche le entrate successive devono risultare da atto notarile, sarà il notaio ad accertare il rispetto delle norme contrattuali.
Resta ferma la possibilità di ammettere un nuovo aderente anche se privo dei requisiti richiesti, qualora l'accettazione fosse unanimemente stabilita, perché tale decisione costituirebbe una modifica contrattuale; in tal caso il veto anche di uno solo dei contraenti, inibirebbe l'ingresso del proponente.
Qualora invece il contratto dovesse rimettere l'accettazione alla maggioranza o all'organo comune, si pone il problema se l'adesione di un nuovo aderente può costituire giusta causa di recesso per il partecipante in disaccordo con il nuovo ingresso. Il contratto di rete non può prescindere dall'esistenza e dalla persistenza di un rapporto di fiducia tra i partecipanti, che si basa anche sulle loro condizioni economiche, organizzative e aziendali, condizioni che devono garantire la corretta esecuzione degli obblighi assunti nel contratto. Riterrei quindi che il partecipante che non avesse espresso la propria volontà favorevole alla nuova adesione, possa recedere, qualora riuscisse a dimostrare che l'ingresso del nuovo elemento potrebbe inficiare o comunque mettere in dubbio il buon esito dello scopo comune.
Di norma il terzo che intenda partecipare alla rete presenterà agli aderenti o all'organo comune se nominato, una sua proposta informale, da considerarsi come mera proposta contrattuale senza alcun vincolo di accoglienza per i partecipanti, non ravvisandosi alcun aspetto di «obbligo a contrarre» [nota 10].
In ogni caso di nuova adesione si applica l'art. 1332 c.c. («se non sono determinate le modalità di adesione ... »), intendendosi per «organo costituito per l'attuazione del contratto» ivi indicato, l'organo comune previsto dalla lett. e, comma 4-ter dell'art. 3, ove nominato.
Un differente caso di modifica soggettiva si ha qualora un partecipante alla rete ceda la propria azienda, in proprietà, in usufrutto o in affitto; verificandosi tale ipotesi, in carenza di previsioni contrattuali, ferma restando la facoltà dei sottoscrittori originari di inserire nel contratto di rete l'esclusione della successione nel contratto in caso di cessione di azienda, l'acquirente subentra nella posizione di partecipante alla rete del suo dante causa.
Infatti se nel contratto di rete considerato prevale l'aspetto "associativo", potrebbe ritenersi applicabile per analogia quanto previsto dall'art. 2610 c.c. in tema di consorzi, dove il legislatore non ha considerato "personale" il rapporto consortile del singolo consorziato, ritenendo che, in mancanza di patto contrario, l'acquirente di azienda subentri nella posizione di consorziato dell'imprenditore cedente; tuttavia in presenza di una giusta causa gli altri consorziati possono escludere l'acquirente dal consorzio, entro un mese dalla notizia dell'avvenuto trasferimento.
Qualora al contrario dovesse prevalere l'aspetto contrattuale, e il contratto di rete rientrasse tra quelli «stipulati per l'esercizio dell'azienda stessa, che non abbiano carattere personale», troverà applicazione il secondo comma dell'art. 2558 c.c., con la conseguenza che, se sussiste una giusta causa, gli altri partecipanti alle rete, potranno recedere dal contratto «entro tre mesi dalla notizia del trasferimento il terzo contrante …». L'art. 2558 c.c., fa salva la responsabilità del cedente; in proposito si ritiene trattarsi della responsabilità contrattuale nei confronti del terzo contraente [nota 11], che nel caso specifico sono gli altri partecipanti alla rete, sul presupposto di una colpa del cedente l'azienda, nella scelta dell'acquirente.
In particolare tale colpa risulterà evidente qualora il contratto preveda che l'accettazione dei nuovi partecipanti sia subordinata alla sussistenza di specifici requisiti soggettivi; la cessione di azienda infatti costituisce un'ipotesi di nuova adesione, che rende applicabili le condizioni previste ed il cessionario dovrà possedere tutte le caratteristiche richieste per partecipare alla rete; in caso contrario, come meglio illustrato tra breve, i partecipanti potranno escludere il cessionario dell'azienda.
Recesso del partecipante
La legge chiede che vengano indicate «se pattuite, le cause facoltative di recesso anticipato e le condizioni per l'esercizio del relativo diritto, ferma restando in ogni caso l'applicazione delle regole generali di legge in materia di scioglimento totale o parziale dei contratti plurilaterali con comunione di scopo».
Il contratto di rete è finalizzato a perseguire uno scopo-fine prefissato dal legislatore [nota 12] che può conseguirsi soltanto in un tempo lungo o medio lungo; il contratto di rete pertanto non può non essere, per sua stessa natura, che un contratto di durata, determinata o meno, con la conseguenza che il recesso vi assume rilevante importanza: nessuno può essere obbligato a rimanere vincolato sine die al contratto.
La norma prevede che la regolamentazione del recesso sia facoltativa; se il contratto fosse carente sul punto, suppliscono comunque le norme generali sul recesso, in particolare il secondo comma dell'art. 1373 c.c., nonché, trattandosi di atto unilaterale ricettizio, l'art. 1334 c.c.
Del resto il recesso è una facoltà riconosciuta in tutti i contratti plurilaterali di durata, pertanto si potranno individuare cause di recesso già regolamentate, previste per altre figure contrattuali, che siano compatibili; ad esempio se la rete fosse più complessa e strutturata, con profili associativi, si potrebbe ricorrere alle norme dettate in materia societaria.
è stato ritenuto pertanto applicabile l'art. 2285 c.c., laddove consente il recesso ad nutum se il contratto è a tempo indeterminato, in quanto norma coerente con principi di carattere generale che non ammettono la perpetuità di un rapporto giuridico obbligatorio [nota 13].
Lo stesso può dirsi in caso di giusta causa; in proposito se è vero che spetterà alla giurisprudenza individuare la relativa casistica, si può comunque ritenere pacifico che il recesso spetti ogni volta che il partecipante venga esposto ad un rischio economico in seguito a rilevanti modifiche della situazione iniziale, decise da altri partecipanti o dall'organo preposto, che possano alterare anche la posizione del singolo. Un primo esempio è stato in precedenza esaminato parlando del caso in cui l'adesione di una nuova impresa alla rete incida profondamente sul clima di collaborazione e di fiducia che deve sussistere tra i contraenti. Ma si possono trovare altri esempi: la perdita della qualità di imprenditore e di altri requisiti previsti dal contratto, la cattiva gestione del fondo comune se esistente o anche una modifica del programma che faccia perdere al partecipante ogni interesse al proseguimento del rapporto.
La libertà contrattuale più volte richiamata e che costituisce un profilo caratterizzante del contratto di rete, lascia un'ampia possibilità di scelta sulle cause del recesso; il contratto può stabilire il recesso ad nutum, prevedere una caparra penitenziale, adattare i casi generali di recesso al programma di rete ed allo scopo che si è prefisso, indicare tutti i casi che, nello specifico, possano essere visti come motivi di interesse allo scioglimento del rapporto contrattuale.
Il richiamo alle «condizioni per l'esercizio del diritto» fa pensare alla indicazione del soggetto deputato a ricevere la comunicazione che, in mancanza, dovrà essere spedita a tutti i partecipanti; o anche ai mezzi di comunicazione, nonché ai termini di esercizio, qualora il diritto sia conseguente un fatto determinato.
In proposito particolare importanza riveste il momento in cui il recesso diviene operativo.
Infatti l'uscita improvvisa di un partecipante può comportare un grave squilibrio alla rete: pensiamo al caso in cui il recedente sia tenuto ad una certa prestazione duratura nel tempo o non ancora adempiuta e che, per l'attuazione del programma, tale prestazione rivesta una particolare importanza; in questa ipotesi, fermo restando che il «recesso non ha effetto per le prestazioni già eseguite o in corso di esecuzione» (art. 1373 c.c. comma 2), il contratto dovrebbe preferibilmente prevedere che la cessazione del rapporto di partecipazione al contratto rimanga distinta dall'obbligazione verso la rete, in analogia a quanto previsto in tema di società cooperative (art. 2532 c.c.) dove si distingue tra il momento in cui il recesso ha efficacia sul rapporto sociale e quello in cui ha effetto sui rapporti mutualistici [nota 14] .
Esclusione
L'esclusione non è espressamente prevista dalla legge ma tutti i commentatori la ritengono applicabile, in considerazione che, nei contratti plurilaterali di durata di tipo associativo, costituisce il contrappeso al diritto di recesso e la giusta soluzione all'esigenza di coesione tra i contraenti. Tuttavia anche ove si volesse escludere la possibilità di ricorrere a questo istituto, in considerazione del prevalere dell'aspetto contrattuale e non dell'aspetto associativo della rete, con conseguente ricorso alle norme che il codice civile detta in materia di scioglimento del singolo vincolo contrattuale nei contratti plurilaterali, è possibile comunque prevedere nel contratto lo scioglimento del rapporto contrattuale di singoli partecipanti, al verificarsi di determinate condizioni.
Come per il recesso, i contraenti hanno la facoltà di individuare le cause di esclusione che ritengono più opportune in considerazione dei loro interessi; pertanto sono legittime sia cause specifiche espressamente indicate, legate all'attività prevista nel programma, alla perdita delle caratteristiche soggettive richieste per partecipare alla rete, al cambiamento o alla cessazione dell'attività del partecipante, al venir meno di condizioni speciali, sia il riferimento a generiche previsioni di inadempimento delle obbligazioni assunte (art. 2286 c.c.). Una causa particolare potrebbe essere lo stato di insolvenza o di difficoltà in cui può venire a trovarsi un'impresa partecipante perché lo stato di dissesto economico anche di un solo aderente, può pregiudicare l'attività della rete, stante la logica interconnessione delle attività dei partecipanti. A tal fine si potrebbe ipotizzare un obbligo di informazione reciproco sulla situazione economica patrimoniale di ciascuno, quale strumento di controllo preventivo sulla situazione di stabilità dei contraenti.
Più volte abbiamo affermato che, come per tutti i contratti plurilaterali con scopo comune, la coesione dei contraenti costituisce un requisito essenziale per il conseguimento degli obiettivi strategici, pertanto il cambiamento della compagine societaria di una impresa partecipante, quale la cessione di una partecipazione rilevante ai sensi dell'art. 2359 c.c., può determinare una alterazione dei rapporti interni tale da incidere sul clima collaborativo dell'attività della rete; anche tale modifica peraltro può essere considerata causa di esclusione.
Non ci sono limiti neanche nell'individuare il soggetto competente in merito alla decisione di escludere un partecipante; pertanto può legittimamente stabilirsi che l'esclusione sia decisa a maggioranza, da tutti i contraenti o dall'organo comune [nota 15]. Qualora non ci siano precisazioni in merito occorre l'unanimità, fatta eccezione, per ovvie ragioni di conflitto di interesse, per l'impresa che si intende escludere.
Dubbia resta invece la previsione di una clausola di esclusione ad nutum che peraltro non sembra tollerata nei contratti associativi dove, quando si tratta di esclusione il legislatore richiede sempre l'esistenza di «gravi motivi» (art. 24 c.c.), di «gravi inadempienze» (art. 2286 c.c., art. 2533 c.c.), «di violazione di divieti» (art. 2320 c.c.), «di morosità» (art. 2466 c.c.), di «giusta causa» (art. 2473-bis c.c.).
Ma anche ove nulla il contratto dicesse in tema di esclusione, questa si può comunque ritenere legittima in tutti i casi in cui vengano meno le condizioni giuridiche per la partecipazione al contratto di rete, oppure sia sopravvenuta l'impossibilità della prestazione o ancora nei casi di inadempimento.
Con riferimento alla prima previsione, oltre ai casi evidenti del fallimento [nota 16] o della perdita di qualità di imprenditore, assumono rilevanza anche altre modifiche del partecipante che non rendano più possibile il suo rapporto con la rete; qualora oggetto dell'attività della rete sia «collaborare in forme e in ambiti predeterminati attinenti all'esercizio delle proprie imprese ... oppure ... esercitare in comune una o più attività rientranti nell'oggetto della propria impresa», un'eventuale modifica dell'oggetto sociale della società aderente farebbe venire meno una condizione di partecipazione alla rete.
Se causa dell'esclusione, per legge o per contratto, fosse l'inadempimento del partecipante, è stato affermato che ciò verrebbe a derogare al rimedio dell'inadempimento previsto dall'art. 1453 c.c. con semplificazione della procedura [nota 17], fermo restando il risarcimento per il danno subito.
Qualora tuttavia la rete fosse composta solo da due imprese ritengo necessario il ricorso all'autorità giudiziaria analogamente a quanto disposto dall'art. 2287 c.c., non potendosi accettare che un solo partecipante possa escludere l'altro, senza un controllo di legittimità del suo agire, in considerazione, anche in tal caso, dell'evidente conflitto di interessi.
L'escluso ha sempre il diritto di poter far valere le sue ragioni davanti all'autorità giudiziaria, ove non ritenesse legittima l'esclusione per mancanza dei presupposti, in analogia a quanto previsto nel secondo comma dello stesso art. 2287 c.c.
Ripetibilità dei contributi nei casi di recesso ed esclusione
La legge non dispone nulla in proposito; pertanto occorre fare riferimento alle norme dettate per altre fattispecie. Per esaminare questo aspetto dello scioglimento del rapporto per recesso o esclusione, ha particolare rilievo il tipo di contratto che le parti hanno posto in essere.
Innanzitutto il problema si pone in presenza di un fondo comune con applicazione "in quanto compatibile" dell'art. 2614 c.c. che, al primo comma dice: «Per la durata del consorzio i consorziati non possono chiedere la divisione del fondo ...». L'applicazione letterale della norma farebbe propendere per una soluzione negativa alla ripetibilità di quanto conferito. Tuttavia non è pacifico che tale previsione, anche per i consorzi, si applichi ai casi di recesso ed esclusione, e ciò in quanto tali fattispecie vengono trattate in modo specifico dall'art. 2609 c.c. dove è previsto che la quota di partecipazione del consorziato receduto o escluso, si accresce a quelle degli altri. Ma anche questa norma si considera che riguardi i soli consorzi di contingentamento, dove per "quota" si intende la misura di quanto il consorziato può vendere o comprare [nota 18]. Quindi potrebbe eventualmente applicarsi qualora nel contratto di rete fossero previste delle "misure" di distribuzione di beni o servizi, sui quali il recedente o l'escluso, allo scioglimento del rapporto con la rete, non avrebbe alcun diritto.
Pur con qualche perplessità, riterrei comunque ripetibile quanto versato a titolo di contributo, iniziale o successivo, nella parte in cui residua al momento dello scioglimento del rapporto, anche avendo riguardo al tipo di rete cui si fa riferimento.
Infatti, se fosse una rete "leggera", di tipo "contrattualistico", senza alcuna forma associativa, alla cessazione di un partecipante, non vedrei ostacoli alla ripetibilità. è anche vero che in presenza di un fondo comune finalizzato ad uno scopo, sia più probabile che la rete abbia assunto una forma più strutturata. Tuttavia anche un eventuale ricorso analogico alle norme dettate in materia societaria, non ci porterebbero ad un risultato diverso: infatti l'art. 2289 c.c., dispone che al socio uscente spetti soltanto il versamento di una somma di denaro che rappresenti il "valore della quota", concetto peraltro difficilmente compatibile con il fondo comune di un contratto di rete, ma che fa comunque ritenere possibile la restituzione di quanto residua dal conferimento originario.
Anche in tema di consorzi, una datata pronuncia, ha ammesso il diritto del consorziato recedente al rimborso delle proprie azioni o quote [nota 19], ed una autorevole dottrina ha ritenuto che il divieto alla divisione del fondo consortile non si applichi ai casi di recesso ed esclusione [nota 20].
è comunque opportuno prevedere nel contratto che la ripetizione possa aver luogo solo dopo l'esatta o completa esecuzione delle prestazioni dovute.
Potrebbe rimanere un dubbio qualora il contributo riguardasse l'utilizzo di un determinato bene, materiale o non, che fosse necessario per l'attività della rete. In tal caso, nel silenzio del contratto, ci sono due possibilità: se sussisteva un obbligo a mantenere ferma per un determinato tempo a favore della rete la disponibilità del bene, la ripetizione dello stesso costituirebbe un inadempimento contrattuale con conseguente diritto degli altri partecipanti ad un risarcimento del danno; se invece nulla fosse stato previsto nella ripetizione del bene si dovrà ricorrere alle norme generali sui contratti ed avere riguardo all'equo contemperamento tra l'interesse del partecipante uscente a potersi riappropriare di un suo bene per utilizzarlo in piena autonomia e l'interesse degli altri aderenti che avevano contato sullo sfruttamento del contributo venuto a mancare.
Tale previsione resta comunque piuttosto scolastica, perché è probabile in una ipotesi del genere i partecipanti regolamentino contrattualmente in modo specifico il caso di uscita dalla rete di un soggetto portatore di un contributo ritenuto vitale per la stessa.
Inutile dire che sarebbe estremamente utile disciplinare convenzionalmente quanto dovuto al partecipante receduto o escluso, per non avere problemi al momento della cessazione dal contratto.
Cessione della posizione contrattuale
Se il contratto non dispone nulla in proposito, in mancanza di norme specifiche, si applica l'art. 1406 c.c., con la conseguenza che qualora un partecipante volesse cedere il suo rapporto con la rete ad un terzo, perché tale cessione sia valida nei confronti degli altri partecipanti, si rende necessario il consenso di tutti.
Tuttavia, ancora una volta prevale la libertà lasciata dal legislatore per convenire le norme che regolano la vita della rete: il contratto può preventivamente consentire alla cessione della posizione di partecipante, a sensi dell'art. 1407 c.c., può totalmente escluderla, può accettarla senza liberare il cedente degli obblighi già assunti dallo stesso che, in seguito alla cessione, dovranno essere eseguiti dal cessionario, oppure può subordinarla al verificarsi di particolari condizioni, quali ad esempio la richiesta di una garanzia per l'adempimento delle prestazioni promesse.
La cessione della posizione contrattuale del partecipante, realizza la sostituzione di un aderente alla rete; pertanto qualora il contratto, senza regolamentare in modo specifico la fattispecie, avesse stabilito una disciplina per l'ipotesi di nuova adesione, ad esempio condizionando l'accettazione del nuovo aderente alla sussistenza di specifici requisiti personali o al verificarsi di determinate condizioni, riterrei comunque applicabili tali previsioni anche alla cessione di contratto, in analogia a quanto esposto in tema di cessione di azienda.
Secondo le norme generali, la cessione dovrà rivestire la forma prevista per il contratto di rete a sensi dell'art. 1350 c.c. quindi deve avvenire per atto pubblico o scrittura privata autenticata; spetterà al notaio controllare i patti contrattuali che disciplinano la cessione e far presente l'importanza di ottenere il consenso nella forma prevista dal contratto o, in mancanza, il consenso di tutti.
Di norma, ferma restando la disposizione dell'art. 1332 c.c. in presenza dell'organo comune, la sostituzione diviene efficace nei confronti della rete dal momento in cui tutti gli aderenti prestano il loro consenso, ovvero, se consentita dal contratto, qualora venga notificata o accettata da tutti, o ancora dal momento in cui si sono verificate le condizioni alle quali l'adesione è convenzionalmente subordinata; solo allora il partecipante cedente può essere liberato degli obblighi assunti verso gli altri partecipanti (art. 1408 c.c.).
Diritti di voice degli aderenti
Come più volte affermato, il contratto di rete si struttura come un contratto di durata plurilaterale con comunione di scopo che presenta i tratti di un relational contract [nota 21].
Oggetto del contratto è il programma che deve esplicitare i modi e l'attività che si ritiene di svolgere per raggiungere lo scopo prefisso; tuttavia i cambiamenti del contesto socio-economico in cui si muove la rete possono richiedere anche più volte aggiustamenti di strategia, per assicurare il raggiungimento degli obiettivi strategici cui fa riferimento la legge, con conseguente necessità di adattamento del progetto originario; inoltre la rete agisce nella realtà economica imprenditoriale, entra in contatto con terzi, firma contratti, assume obbligazioni, e necessita di continui adeguamenti alle veloci e molteplici esigenze del mercato.
Quindi durante la vita della rete possono rendersi necessarie modifiche del programma in senso stretto, limitato alla sua definizione legislativa contenuta nella lettera c, del comma 4-ter dell'art. 3 del decreto legge n. 5/2009, ma anche cambiamenti di altri elementi o accordi contenuti nel contratto.
Inoltre la stessa gestione dell'attività della rete, comunque si esplichi, in forma di collaborazione, di scambio di informazioni o di prestazioni, ovvero di esercizio in comune di attività, obbliga gli aderenti a continue scelte e decisioni.
L'importanza che riveste l'aspetto della voice dei singoli aderenti è riconosciuta dal legislatore, il quale tra le indicazioni "obbligatorie" del contratto prevede anche: «f) le regole per l'assunzione delle decisioni dei partecipanti su ogni materia o aspetto di interesse comune che non rientri, quando è stato istituito un organo comune, nei poteri di gestione conferiti a tale organo, nonché, se il contratto prevede la modificabilità a maggioranza del programma di rete, le regole relative alle modalità di assunzione delle decisioni di modifica del programma medesimo».
Se nel contratto prevale l'aspetto contrattualistico, come nei contratti di scambio, vige il principio generale della unanimità; se nel contrario dovesse prevalere l'aspetto associativo si potrebbero applicare le norme previste in tema di consorzio dove sono diversamente regolate le deliberazioni consortili relative «all'attuazione dell'oggetto del consorzio» (art. 2606 c.c.) che possono essere prese con il voto favorevole della maggioranza dei consorziati, e le modifiche del contratto (art. 2607 c.c.) che necessitano del consenso unanime di tutti i consorziati [nota 22].
Tuttavia dalla lettura del testo di legge appare chiara la sussistenza di un principio generale di unanimità per tutte le decisioni relative al contratto, fatta salva la possibilità di prevedere una maggioranza per le modifiche del programma. Viene pertanto da chiedersi se, negli altri casi, non sia esclusa la previsione di decisioni assunte con la maggioranza. Personalmente ritengo comunque prevalente, anche questa volta, l'ampia autonomia lasciata ai privati nel regolare i loro accordi, che permea l'intera norma e che si manifesta anche dalla dizione «il contratto ... deve indicare ... le regole per l'assunzione delle decisioni ...».
Il generico riferimento alle regole fa supporre che possano essere le più varie, anche con riferimento al quorum di chi deve decidere.
La previsione legislativa crea un principio di esclusività della gestione affidata all'organo comune [nota 23].
Infatti è bene sottolineare come, una volta che questo sia nominato e una volta che siano stati delegati allo stesso i poteri di gestione, i partecipanti siano spogliati di ogni competenza relativa agli atti ed alle operazioni riguardanti la gestione della rete; quindi qualora al mandatario venissero riconosciuti in modo generico tutti i poteri per dare esecuzione al contratto, gli aderenti non potrebbero sostituirsi al nominato nelle singole decisioni "amministrative". La ratio della norma è evidente ove si consideri la esigenza di operare con rapidità e univocità per eseguire il programma comune e come eventuali sovrapposizioni di competenze potrebbero dar luogo a conflitti allargati anche a terzi.
Agli aderenti rimane la possibilità di revocare il mandato, a sensi dell'art. 1726 c.c., oppure di agire nei confronti dell'organo comune, ove ritenessero che stia operando senza la diligenza necessaria, oltre i limiti o in disaccordo con il mandato conferito.
Può essere ritenuta legittima una clausola che preveda il mantenimento, a favore degli aderenti, di poteri di gestione in presenza di un organo comune? Propenderei per una risposta positiva, ma soltanto ove non rimanesse in capo ai partecipanti una facoltà generica, ma relativa a singole fattispecie ben individuate, in modo da costituire un implicito limite ai poteri del mandatario comune.
Ad esempio riterrei possibile prevedere in capo ai partecipanti un diritto di veto relativamente alla sottoscrizione di determinati contratti.
Da quanto sin qui esposto emerge come sia, più che opportuno, necessario concordare dei meccanismi decisionali nel contratto, tesi ad evitare l'unanimità per qualsiasi rinegoziazione o adeguamento del programma, delle clausole contrattuali ma anche per assumere qualunque decisione «su ogni materia o aspetto di interesse comune», persino di ordinaria amministrazione, ove mancasse la figura dell'organo comune.
Nel regolamentare questo aspetto del contratto di rete si possono stabilire le modalità di espressione di volontà del singolo partecipante con la maggiore libertà; si può richiedere la forma scritta, in un unico documento oppure con dichiarazioni separate, da spedire per posta o per e-mail, o ancora preferire il metodo assembleare, dettando le regole per il rilascio di deleghe o per utilizzare la teleconferenza.
La disciplina dovrà essere volta a rendere il più veloce ed agevole possibile il metodo decisionale.
Dal momento che non esiste nessuna norma che richieda il rispetto del principio di democraticità tra i partecipanti, le parti possono anche fissare quorum deliberativi diversi con riferimento alle materie da trattare; possono prevedere che il voto venga esercitato per teste o per "quote" proporzionali o meno agli eventuali contributi di ciascuno, o anche attribuire ad alcuni partecipanti un diritto di veto.
Senza voler in questa sede entrare nel problema dell'obbligo di rinegoziazione del contratto [nota 24], qualora questo non contenesse alcuna previsione al riguardo, con conseguente applicazione della unanimità, è opportuno chiedersi se gli altri partecipanti abbiano o meno il diritto di ottenere le modifiche che si rendessero eventualmente necessarie per il proseguimento dell'accordo.
L'ipotesi non è remota perché la necessità di adeguamento alle mutevoli esigenze del mercato possono rendere obsoleto un programma in poco tempo; è stato correttamente ritenuto che una risposta in merito dipende da «quanto si reputi incisivo a questo fine il dovere di buona fede, che in queste fattispecie assume rilievo certamente penetrante» [nota 25].
Infine bisogna tener presente che, come già anticipato in premessa, ove si concordasse con la tesi [nota 26] che il contratto di rete non costituisca un nuovo tipo contrattuale ma «lo schema di un contratto transtipico» «applicabile a figure già esistenti» in modo da «creare nuove modalità di collaborazione» che vanno oltre gli schemi già predisposti, il problema della disciplina del diritto di voice dei partecipanti, non si porrebbe, perchè alla carenza in materia di rete, supplirebbero le regole della figura contrattuale adottata; con la conseguenza che nel caso di una "rete/società", si applicherebbero le norme dettate dal codice per il tipo societario prescelto.
Va inoltre ricordato che per le modifiche contrattuali relative a dati di norma soggetti a pubblicità nel Registri delle imprese dei partecipanti, come ad esempio per i cambiamenti del programma, si rende necessario il mantenimento della forma prevista per il contratto e quindi l'intervento del notaio.
Diritti ed obblighi dei partecipanti
Il programma di rete deve indicare «l'enunciazione dei diritti e degli obblighi dei partecipanti» che serve a definire l'ambito della posizione contrattuale di ciascuno, individua i termini della collaborazione reciproca e disciplina i rapporti tra gli aderenti. L'indicazione specifica delle prestazioni dovute rende possibile l'ottenimento coattivo delle stesse in caso di inadempimento.
L'unico obbligo previsto dalla legge è quello relativo al contributo iniziale, peraltro solo ove il contratto preveda l'istituzione di un fondo comune.
I contraenti con la più ampia autonomia, in coerenza con il programma della rete e con le sue esigenze, possono stabilire l'entità, l'oggetto e la natura del conferimento iniziale e degli eventuali contributi successivi. Il legislatore usa una terminologia impropria, assunta dal diritto societario, perché il termine "conferimento" qui utilizzato fa pensare ad un trasferimento della proprietà o del diritto, in capo ad un soggetto conferitario, del quale poi in effetti, almeno sotto il profilo fiscale [nota 27], viene negata l'esistenza. Non è l'unico punto in cui emerge una certa imprecisione terminologica del legislatore, ma è sicuramente uno dei più evidenti.
In ogni modo sia il problema della soggettività della rete sia il problema della valutazione giuridica del fondo verranno esaminati in altra sede, ora rileva solo l'obbligo assunto dal partecipante di "apportare" alla rete un contributo.
Questo può essere, nell'ipotesi più frequente, una somma di denaro, ma ritengo possa trattarsi di qualsiasi «elemento suscettibile di valutazione economica» giudicato dai partecipanti utile per l'esercizio dell'attività della rete. Pertanto il conferente può assumersi un obbligo specifico ad un facere, limitato ad un'unica soluzione o continuativo nel tempo, (come ad esempio, l'utilizzo di mezzi di trasporto comuni per le merci, l'utilizzo di impianti o di un marchio comuni, la ricerca su nuove modalità di produzione, la creazione di mezzi pubblicitari utilizzabili dai partecipanti) o non facere (non avvalersi di un proprio marchio o di altro segno identificativo per determinati prodotti o in determinati mercati) secondo le esigenze che gli aderenti intendono soddisfare nella singola fattispecie.
Tali contributi possono essere periodici, oppure senza una scadenza fissa, dietro richiesta dei partecipanti o dell'organo comune quando lo ritengano opportuno; se si tratta di versamenti in denaro, l'importo può essere già previsto e quantificato in somme periodiche, oppure quantificabile in forza di determinati criteri di valutazione prestabiliti; quest'ultimo caso sarà il più frequente perchè la rete si trova ad operare per periodi non brevi, in un contesto sociale produttivo che risente dei cambiamenti dei prezzi e dei mutamenti dei mercati, quindi è facile pensare che abbia bisogno di aggiornare e rivedere i tempi e le entità dei versamenti in base alle mutate esigenze del contesto in cui svolge la sua attività.
è prevedibile che tra gli obblighi successivi al primo conferimento, ci sia quello di partecipare alle spese comuni. La rete può anche prestare dei servizi individuali, diversificati a favore di uno o più partecipanti; in tal caso ciascuno sarà tenuto a risarcire il costo del servizio prestato a suo vantaggio.
Infatti il contratto di rete è utilizzato per dare ai partecipanti un supporto; serve a sollevarli dall'onere di gestione di un servizio di cui hanno bisogno; questo aspetto è presente sia nei Geie che nei consorzi, ed entrambe queste figure, che regolano rapporti di collaborazione e cooperazione tra imprese, prevedono espressamente per i partecipanti, l'obbligo di partecipare alle spese comuni necessarie per l'ottenimento del servizio [nota 28].
Il o i contributi possono anche essere rimessi alla determinazione di un terzo ex art. 1349 c.c.
In mancanza della nomina di un organo comune, pur se non espressamente previsto, i partecipanti sono tenuti anche a gestire la rete; ad occuparsi della esecuzione del programma ed a misurarne gli sviluppi ed i progressi. Tra i doveri inoltre, può includersi quello di mantenere viva la propria collaborazione alla rete, mediante la partecipazione alle decisioni da assumere su «ogni materia o aspetto di interesse comune». La continua assenza, potrebbe mettere in pericolo il funzionamento della rete ove ne bloccasse la capacità decisionale, e potrebbe essere giusta causa di esclusione del partecipante assente.
Passando ai diritti che spettano ai partecipanti non può mancare quello di fruire dei vantaggi offerti dalla rete, che costituisce poi il motivo personale per cui ogni contraente ne fa parte. Tale diritto, finché l'aderente adempie le obbligazioni che si è assunte con il contratto, non può essergli tolto.
Il partecipante ha anche un diritto di informazione; la legge prevede che i partecipanti concordino le modalità per misurare l'avanzamento verso gli obiettivi strategici che si sono posti (lett. b, del comma 4-ter del medesimo art. 3).
In proposito sarà opportuno individuare nel contratto il soggetto o i soggetti che hanno l'obbligo di informare periodicamente gli altri aderenti; in presenza di un organo comune preposto alla esecuzione del programma, tale incombenza spetterà sicuramente a questo.
Per quanti ritengono possibile che mediante il contratto di rete possa essere esercitata in comune un'attività economica, si può prevedere in contratto una distribuzione degli utili da ripartirsi secondo quote che potranno essere liberamente determinate, oppure fissate in ragione dei conferimenti iniziali, dei contributi successivi o della rilevanza dell'attività prestata a favore della rete.
Tuttavia va rilevato che, prescindendo da un'attività specificamente lucrativa, potrebbero comunque crearsi dei residui attivi di gestione o dei vantaggi che devono essere comunque distribuiti per i quali vale la medesima opportunità di definirne la ripartizione.
Nella rete "associativa", in analogia ai contratti associativi, il criterio da utilizzare può essere quello di commisurare la ripartizione al contributo dei partecipanti, considerato in senso lato, avendo cioè riguardo a quanto ciascuno ha "apportato" in beni materiali ed immateriali all'attività della rete, in forza della valutazione fatta secondo la norma di legge. Nella rete "contrattuale" invece non esistono dei parametri distributivi ed è necessario definirli contrattualmente.
Sinora abbiamo parlato dei vantaggi che risultano durante il contratto; ma analogo, sebbene differente, problema si ha al momento della chiusura del rapporto, durante la fase dello scioglimento del contratto di rete, che resta un aspetto poco analizzato. Questa fase costituisce in ogni contratto di durata, plurilaterale e eventualmente con aspetti associativi, un momento molto delicato perché è quello in cui si esasperano i conflitti di interesse tra i contraenti, conflitti che sono permanenti durante l'attività della rete ma attenuati dall'interesse perseguito insieme: il raggiungimento dei comuni obiettivi strategici. Quando lo scopo viene meno, per qualsiasi motivo, il conflitto emerge con maggiore chiarezza.
Anche in questo settore la autonomia privata dovrà sopperire alla carenza legislativa; i problemi conflittuali derivanti da una regolamentazione contrattuale carente potrebbero essere seri, ed investire la posizione dei partecipanti tra loro e nei confronti della rete.
Saranno facilitate le reti nelle quali i conferimenti siano stati fatti in denaro, in parti uguali, ed anche i successivi contributi, qualunque sia la loro consistenza, abbiano comunque mantenuto un rapporto paritetico tra i partecipanti. Vale comunque la riflessione già fatta in tema di ripartizione dei vantaggi, con la distinzione tra reti "associative" e reti "contrattualistiche".
Per comprendere quali problemi possano emergere allo scioglimento del contratto, pensiamo ad esempio ad una rete che abbia come scopo la creazione di un brevetto oppure la ricerca finalizzata a innovazione tecnologica che abbia portato allo sviluppo di un know how in un determinato settore: qualora il contratto non abbia previsto nulla, non sarà semplice stabilire a chi spettano i diritti di proprietà intellettuale già prodotti e che matureranno in seguito, perchè ciascuno dei partecipanti ha diritto a partecipare ai vantaggi conseguiti dall'attività della rete. La soluzione, in mancanza di previsioni nel contratto, potrebbe essere la creazione di un nuovo soggetto finalizzato allo sfruttamento economico della proprietà intellettuale che potrebbe configurarsi come società od anche come un trust.
[nota 1] G. MOSCO, «Frammenti ricostruttivi sul contratto di rete», in Giur. comm., 2010, 37 e G. VILLA, «Reti di impresa e contratto plurilaterale», in Giur. comm., 2010, I.
[nota 2] E. BRIGANTI, «La nuova legge sui "contratti di rete" tra le imprese: osservazioni e spunti», in Notariato, 2010, 2.
[nota 3] P. SPADA - M. MALTONI, «Il contratto di rete», studio n. 1-2011/I , in Studi e materiali, 2011,4.
[nota 4] F. CAFAGGI - P. IAMICELI, «Contratto di rete. Inizia una nuova stagione di riforme?», in Obbl. contr., 2009; C. CAMARDI, «Dalle reti di impresa al contratto di rete nella recente prospettiva legislativa», in I Contratti, 2010, 10.
[nota 5] C. CAMARDI, op. cit.
[nota 6] G. MOSCO, op. cit.
[nota 7] P. IAMICELI, «Il Contratto di rete tra percorsi di crescita e prospettive di finanziamento», in I Contratti, 2010, 10.
[nota 8] G. PALMIERI, La rete d'impresa nel nuovo art. 3 comma 4-ter legge 33/2009, in Reti d'impresa: profili giuridici, finanziamenti e rating a cura dell'Associazione italiana Politiche industriali, Gruppo Sole 24 Ore, 2011
[nota 9] C. PATRIARCA, La costituzione delle reti di impresa, in Reti d'impresa:profili giuridici, finanziamenti e rating, cit.
[nota 10] Si veda in materia di associazioni, la sentenza Cass. civ., sez. I, 7 maggio 1997, n. 3980.
[nota 11] G.E. COLOMBO, L'azienda e il mercato, in Tratt. dir. comm. e dir. pubbl. ec. diretto da F. Galgano, Cedam.
[nota 12] Il comma 4-ter dell' articolo 3 del decreto-legge 10 febbraio 2009, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 aprile 2009, n. 33, come modificato dall'art. 42 D.l. 78/2010 convertito con modificazioni nella legge 122/2011 ... dice: «lo scopo di accrescere, individualmente e collettivamente, la propria capacità innovativa e la propria competitività sul mercato».
[nota 13] C. PATRIARCA, op. cit.
[nota 14] P. SPADA - M. MALTONI, op. cit., «In tutti i casi nei quali il recesso dipende da decisione dell'aderente, si può prevedere che permanga in capo al recedente l'obbligo di portare a termine l'esecuzione delle prestazioni poste a suo carico dal contratto ed esigibili, salvo diversa previsione contrattuale o diversa scelta dell'organo gestionale».
[nota 15] Che opererà in tal caso come arbitratore ai sensi dell'art. 1349 c.c.: C. PATRIARCA, op. cit., p. 107.
[nota 16] In proposito tuttavia va ricordato che il fallimento non può essere assunto quale condizione risolutiva del contratto, ex art. 72 regio decreto 267/1942.
[nota 17] C. PATRIARCA, op. cit., p. 109: «Tale conclusione riposa, in effetti, sul rilievo che, come in materia di società, le parti possono conseguire, mediante istituti utili identici a quelli che gli deriverebbero all'esito dell'esperimento delle pertinenti azioni giudiziarie e che, in questo modo, possono pervenire ... a impiegare strumenti giuridici con modalità self-enforcing che, in caso di rete, si rivelano particolarmente utili».
[nota 18] T. ASCARELLI, Teoria della concorrenza e dei beni immateriali, Milano, 1960 p. 127 e FRANCESCHELLI, in Commentario al codice civile Scialoja Branca a cura di Francesco Galgano.
[nota 19] Cass. n. 72/1967.
[nota 20] G. F. CAMPOBASSO, Diritto commerciale, 1, Diritto dell'Impresa, terza edizione,Torino, p. 262.
[nota 21] G. VILLA, Il coordinamento interimprenditoriale nella prospettiva del contratto plurilaterale, in Le reti di imprese e i contratti di rete, Torino, 2009.
[nota 22] Vedi, in proposito: G. VILLA, op. cit.
[nota 23] G. SCOGNAMIGLIO - E.M. TRIPPUTI, Il contratto di rete per l'esercizio di attività comune: profili patrimoniali e organizzativi, in Reti d'impresa:profili giuridici, finanziamenti e rating, cit.
[nota 24] In proposito: G. MARASCO, La rinegoziazione del contratto, Padova, 2006.
[nota 25] G. VILLA, op. cit..
[nota 26] F. CAFAGGI, «Reti di impresa e contratto di rete: spunti per un dibattito», in I Contratti, 2010, 10.
[nota 27] La risoluzione n. 70/E del 30 giugno 2011 dell'Agenzia delle entrate, esprimendosi per la possibilità di attribuzione alla rete di un codice fiscale, dice «Ferma restando l'esclusione di soggettività tributaria in capo alla rete di imprese ...».
[nota 28] Art. 21, comma 2, reg. Cee 25 luglio 1985, n. 2137/85, dove si dice che «I membri del gruppo contribuiscono al saldo dell'eccedenza delle uscite rispetto alle entrate nella proporzione prevista nel contratto di gruppo o, in mancanza di questa, in parti uguali». In proposito anche art. 2615, comma 2 c.c.
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