Il contratto di rete nella prassi
Il contratto di rete nella prassi
di Marco Maltoni
Notaio in Forlì

Impostazione del tema

Molte letture sono state proposte in ordine alla natura e alla struttura del "contratto di rete", da quella che vi ravvisa un nuovo tipo contrattuale funzionale al coordinamento ed alla cooperazione fra imprese (che si affiancherebbe al consorzio e all'Ati) a quella, espressa nello studio del Consiglio nazionale del Notariato, secondo la quale le disposizioni di cui all'art. 3, comma 4-ter del D.l. 5/2009 (come successivamente novellato, da ultimo con la L. 122/2010) sembra (non già offrire cittadinanza nel nostro ordinamento ad un nuovo tipo contrattuale, ma) "soltanto fondare la nozione di "rete di imprese" quale antecedente di agevolazioni e immunità, nozione rintracciabile ed operante al fine predetto, indipendentemente dalla qualificazione tipologica del contratto volta in volta concluso".

Su di un dato, tuttavia, si deve convenire: l'articolato normativo non impone alcuna norma imperativa né propone una disciplina dispositiva (come tale derogabile ma suppletiva all'inerzia dei paciscenti), ma delega all'autonomia privata il compito di (auto)produrre le regole di soluzione dei conflitti di interesse che nell'ambito di un accordo di partneriato possono sorgere fra i partecipanti.

Infatti, val forse la pena sottolineare, una volta di più, che: i) i requisiti formali e di contenuto sono esclusivamente funzionali agli adempimenti pubblicitari ("ai fini degli adempimenti pubblicitari di cui al comma 4-quater, il contratto deve essere redatto per atto pubblico o per scrittura privata autenticata e deve indicare: …"); ii) l'analisi letterale del contenuto delle proposizioni espresse nei punti a, b, c, d, e, ed f del medesimo comma 4-ter "sembra evidenziare l'assenza di regole civilistiche caratterizzanti, eccezion fatta, a tutto concedere, per quelle relative alla responsabilità patrimoniale in caso di costituzione (facoltativa…) di un fondo comune, regole enunciate tramite un difficoltoso rinvio agli artt. 2614 e 2615 c.c., in quanto compatibili" (punto c, inciso finale), e per quelle relative alla rappresentanza nelle procedure di programmazione negoziata e altro, derogabili (punto e) (Studio nel Consiglio nazionale del Notariato, per il quale l'immagine che sembra affiorare dal tessuto normativo è quella, non già di un tipo contrattuale nuovo (cioè di un modello di accordo a contenuto patrimoniale precostituito per legge per integrare, temperare, rifiutare o rimpiazzare regole convenzionali fissate dai paciscenti, nell'esercizio della libertà loro riconosciuta dall'art. 1322 c.c.) bensì di un insieme di requisiti (clausole, vincoli formali) in presenza dei quali contratti, genericamente funzionali alla cooperazione interaziendale, comunque nominati, consentono alle imprese contraenti di beneficiare delle agevolazioni e delle politiche di sostegno nazionali).

Per tali motivi, dunque, sembra quasi esercizio meramente teorico, e quindi inutile, l'esegesi del testo normativo.

è piuttosto doveroso, e coerente all'indicazione legislativa, guardare alle espressioni dell'autonomia privata, e quindi volgere lo sguardo ai contratti stipulati, singolarmente considerati, fonte della legge privata dei paciscenti, al fine di verificare come gli stessi abbiano fatto uso dell'ampio spazio di libertà negoziale che è stato loro consegnato.

Tale analisi, condotta con metodo casistico, potrà condurre all'individuazione di questioni e soprattutto ad evidenziare una serie di norme frutto di autoproduzione privata (clausole) di cui proporre l'esegesi.

Questo a mio avviso risulta essere oggi il metodo più corretto per studiare ed approfondire il tema del "contratto di rete": scoprire e commentare la legge dei privati.

Un metodo certamente non nuovo, ma sperimentato per l'esame di forme contrattuali non tipizzate quali le joint ventures, tanto per restare nell'ambito degli accordi per il coordinamento fra imprese.

In proposito si può ricordare che, secondo i dati diffusi dagli organi di stampa, i contratti di rete conclusi sarebbero stati 118 fino al 28 settembre 2011 (Il Sole 24Ore, Rapporti, 29 settembre 2011) e 162 fino al 12 ottobre 2011 (ItaliaOggi, Diritto & Fisco, 13 ottobre 2011); 200 alla data del presente convegno, secondo fonti riferibili a Confidustria.

Grazie alla pubblicità attuata dal Registro delle imprese sono riuscito a recuperare e ad analizzare il testo di 50 "contratti di rete", che rappresentano un campione forse non esaustivo, ma certo significativo della prassi.

Le considerazioni che seguiranno, dunque, sono il frutto dell'esperienza rappresentata da quei 50 contratti.

Un possibile criterio per l'analisi critica dei testi contrattuali

Mi pare che l'analisi critica di un qualsiasi fatto, compreso quello contrattuale, presupponga la scelta di un punto di osservazione, vale a dire di un criterio di valutazione, al fine di non ridursi alla mera enunciazione descrittiva del fenomeno osservato. Quindi impone una scelta di campo aprioristica.

Poiché coltivo la convinzione empirica per la quale ogni norma giuridica, sia essa di fonte legale o contrattuale, abbia il solo scopo di risolvere i conflitti di interesse che possono emergere nel perseguimento di un fine che le parti perseguono (fornendo dunque i criteri per la soluzione di tale conflitto), e che per tale motivo le norme siano e debbano essere adeguate allo scopo, cioè, almeno in diritto commerciale, all'affare che le parti intendono porre essere, e debbano essere lette e interpretate in maniera adeguata al fine e quindi all'affare, ne deriva, sempre e solo a mio avviso, che occorra:

- in primo luogo selezionare i contratti di rete stipulati in ragione della natura dello scopo e quindi dell'attività che le parti intendono porre in essere;

- in secondo luogo vagliare in chiave critica le regole di attuazione, quindi di condotta, e di soluzione dei conflitti che le parti hanno forgiato in relazione all'attività che intendono porre in essere;

- infine, immaginare e proporre dei modelli contrattuali ideali diversamente costruiti sul piano del contenuto, cioè delle regole di condotta e di soluzione dei conflitti di interesse, in ragione della natura dell'attività, quindi del fine, che si pone in apice.

In altri termini, come si fa "rete" - quindi "che cosa" deve fare e "come" deve agire ogni contraente (le prestazioni oggetto di obbligazione), quali siano le sanzioni in caso di inottemperanza (inadempimento), se l'accordo sia aperto o meno all'adesione di altri partecipanti e le regole di ingresso e di uscita, le regole di gestione e di organizzazione - dipende sempre dall' "affare" che le parti intendono realizzare insieme; di qui anche il carattere non decisivo di ogni analisi critica condotta sul solo testo normativo, che consegna la possibilità di perseguire obiettivi imprenditoriali assai diversi tra loro (polifunzionalità del modello aggregativo "rete di imprese" secondo il testo legislativo) per essere oggetto di disciplina omogenea.

I modelli contrattuali proposti nella prassi. Una prima soluzione diffusa

Fin da una prima analisi emerge che i contratti esaminati si rifanno essenzialmente a due unici modelli, segno tangibile della necessità di elaborare formulari-tipo che consentano alle imprese di ridurre i costi di transazione.

Tutti i contratti, qualunque ne sia "l'oggetto", si intitolano "contratto di rete". Il che certamente non è errato, ma induce la curiosità di verificare, soprattutto in chi ritiene che si tratti di definizione di genere e non di specie (alias tipo autonomo), quale sia la fattispecie sottostante.

A tal fine, in ossequio al criterio prescelto nel paragrafo che precede, muoverei innanzitutto dall'analisi generale degli obiettivi strategici negozialmente individuati e dei programmi convenuti per perseguirli.

Giova rammentare, in proposito, che, ai sensi dell'art. 3, comma 4-ter del D.l. 5/2009 come novellato, si ha "rete fra imprese", e quindi il contratto è idoneo a dar vita e regolare una rete di imprese (potendosi così qualificare come "contratto di rete", nella mia accezione definizione di genere e non di specie), qualora i contraenti convengano di regolare l'esercizio di almeno una delle seguenti attività:

- collaborare in forme e in ambiti predeterminati attinenti all'esercizio delle proprie imprese;

- scambiarsi informazioni;

- scambiarsi prestazioni;

- esercitare in comune una o più attività rientranti nel loro oggetto.

Quali fra questi scopi le imprese hanno scelto di perseguire mediante i contratti, intitolati "di rete", fino ad oggi stipulati?

Si rileva in proposito che lo scambio di informazioni e lo scambio coordinato di prestazioni non sembrano assurgere ad oggetto specifico della rete, ma rappresentino attività strumentali ad uno scopo ulteriore, rappresentato ordinariamente dall'esercizio in comune di un'attività o nel coordinamento delle attività dei singoli partners.

Con la larga approssimazione che inevitabilmente sconta un'indagine empirica come quella condotta dal sottoscritto, sembrano emergere due dati.

1) L'obiettivo prevalente in termini numerici sembra l'offerta a terzi di un prodotto o di servizi più complessi o completi di quelli che la singola impresa è capace di collocare sul mercato, facendo leva sulla complementarietà fra imprese; oppure, in alternativa, la fornitura di servizi di varia natura alle imprese partecipanti.

In altri casi si mira a consentire una più efficace penetrazione sul mercato mediante politiche commerciali comuni, organizzazione di marketing comuni, predisposizioni di marchi comuni: l'obiettivo è quello di aumentare il fatturato della singola impresa consentendo l'attuazione di politiche commerciali che a costo ripartito possono essere affrontate, mentre sarebbero inaffrontabili per le singole economie: dunque, una forma di collaborazione che si traduce, in termini generali, in un servizio per le imprese aderenti.

2) Un primo modello contrattuale persegue tali obiettivi prevedendo la "costituzione" di una rete con le seguenti caratteristiche generali:

a. una denominazione o logo ("la rete di imprese è denominata …");

b. una sede ("la sede della rete nei rapporti con i terzi è in …";

c. un'organizzazione ("sono organi dell'esecuzione del contratto di rete …"), imperniata sull'assemblea dei partecipanti o aderenti, e sulla figura del Presidente, con poteri di gestione (anche se sovente limitati) e di rappresentanza generale "di fronte ai terzi ed in giudizio";

d. una durata;

e. un fondo comune;

f. l'applicazione delle regole degli articoli 2614 e 2615, ed in particolare l'invocazione della responsabilità limitata per le obbligazioni assunte dal Presidente in nome della rete;

g. l'obbligo di predisposizione di un rendiconto annuale da sottoporre all'approvazione dell'assemblea;

h. cause di recesso ed esclusione;

i. le regole di adesione di nuove imprese e la trasmissibilità del contratto in caso di cessione dell'azienda o del ramo di azienda interessato, invocandosi espressamente l'art. 2558 c.c.

Prime valutazioni con riferimento ai due dati sopra enucleati.

1) Dal punto di vista funzionale, ovvero degli obiettivi perseguiti in concreto dai "contratti di rete" esaminati, verrebbe da dire: nulla di nuovo, o, meglio, nulla che non si sia già visto anche sotto le espresse spoglie dei consorzi (e sotto le mentite spoglie di contratto di rete, sempre che sia qualcosa di diverso).

In proposito mi pare sufficiente rammentare quanto scritto da Paolo Spada in un saggio intitolato "Funzione e organizzazione consortile tra legge e prassi contrattuale" [nota 1], la cui impostazione è assai prossima, per non dire coincidente, con quella delle presenti riflessioni (cioè di analisi della prassi), saggio nel quale rilevava che: "al vocabolo "fase" appare riducibile qualsiasi attività che l'organizzazione comune svolga nell'interesse delle imprese consorziate, sia poi questa ausiliaria dei rispettivi cicli produttivi o sia invece intesa ad assumere e dare esecuzione ad affari (tipicamente: stipulazione di contratti di appalto ed esecuzione delle opere appaltate) nei quali possano valorizzarsi le rispettive specializzazioni.

Può allora disaggregarsi il paradigma funzionale consortile, isolandone alcune varianti; innanziutto distinguerei tra:

1) "consorzi di mera disciplina", ai quali non pare funzionale la costituzione di un ufficio destinato a svolgere attività con i terzi (art. 2612 c.c.) e che quindi si configurano come consorzi senza attività esterna;

2) "consorzi di integrazione interaziendale", che, quanto meno naturalmente, si presentano come consorzi con attività esterna … Questi ultimi, poi, possono programmare (o avere ad oggetto) l'esercizio di un'attività che, nella prospettiva delle imprese consorziate, costituisca: 2.1) una fase "necessaria" dei rispettivi cicli produttivi, come l'approvvigionamento di materie prime, la trasformazione, la commercializzazione e via dicendo; 2.2.) una fase "ausiliaria" dei rispettivi cicli produttivi (come studi e progettazione, contabilità, promozione pubblicitaria ecc.); 2.3) un "affare di comune interesse imprenditoriale" capace di mobilitare le specializzazioni imprenditoriali dei consorziati. Se ad essere mobilitate fossero solo le risorse finanziarie dei partecipanti alla formazione associativa questa sarebbe, in presenza di clausola lucrativa, qualificabile come società".

Sembra facile, innanzitutto, rilevare come molti degli obiettivi strategici enunciati nei contratti esaminati e sopra ricordati rispondano essenzialmente alle caratteristiche indicate dalla dottrina nei punti 2.2 e 2.3.

Dunque, quei "contratti di rete" assolvono ad una funzione coincidente a quella ascrivibile ai consorzi ai sensi dell'art. 2602 c.c.

2) Altrettanto interessante, a mio avviso, è una singolare coincidenza fra le caratteristiche di contenuto e generalmente organizzative sopra richiamate e le indicazioni dell'art. 2603, comma 2; l'applicazione contrattuale dell'art. 2609 c.c. ("la quota del fondo spettante all'escluso resterà a vantaggio delle altre imprese aderenti …") e di altre disposizioni contenute nella disciplina del consorzio

Conclusioni: non avrei difficoltà ad asserire che tali contratti diano vita ad un consorzio ex art. 2602 c.c.; il che, nell'impostazione dal sottoscritto accolta (secondo la quale il "contratto di rete" normativo non dà vita un nuovo tipo contrattuale, ma enuncia solo le caratteristiche che un contratto, comunque nominato, tipico o atipico, deve possedere, per essere qualificabile "rete di imprese"), è situazione naturale, oltre che legittima.

Un ulteriore modello contrattuale

Un secondo modello contrattuale, anche numericamente più diffuso, si distingue dal primo forse per il tentativo di dar luogo ad un'organizzazione meno strutturata, più fondata sulle regole di rappresentanza ed azione del IV libro del codice civile.

Sotto questo profilo sembra più marcata la distinzione con il consorzio, anche con attività interna, se si ritiene che (anche) quest'ultimo non possa prescindere dalla creazione di un'organizzazione, concetto che, secondo taluno, "presuppone la creazione di figure stabilmente destinate a produrre precetti subcontrattuali ulteriori rispetto a quelli previsti nel contratto costitutivo" [nota 2].

In realtà, è fortemente dibattuto il problema di quali siano i requisiti minimali perché possa dirsi ricorrente un'organizzazione tale da consentire la qualificazione della fattispecie come consorzio, non mancando chi ritiene sufficiente la nomina di un mandatario comune o di un arbitratore.

Ma la dottrina dominante sembra orientata, anche con riferimento ai consorzi con attività interna, a ritenere necessarie forme di produzione di attività metaindividuali, non ritenendo sufficiente che una pluralità di soggetti pongano in essere un rapporto di cooperazione giuridica perché il fenomeno assuma automaticamente una "dimensione organizzativa" [nota 3].

Il modello contrattuale in esame è articolato con le seguenti pattuizioni:

- previsione di un logo (ma non di una sede);

- previsione di un fondo comune;

- previsione di un comitato di coordinamento o di gestione costituito da un rappresentante di ogni impresa, fino a che non raggiungano un determinato numero;

- qualificazione del comitato di gestione come mandatario senza rappresentanza;

- nomina di un rappresentante che agisce in nome e per conto delle imprese in rete;

- eventualità dell'approvazione di un rendiconto qualora, in ragione del numero delle imprese aderenti, divenga inefficiente una partecipazione complessiva al comitato di gestione o di coordinamento; approvazione che vale forse più nella logica dell'art. 1713, di adempimento dell'obbligo di rendere il conto;

- cause di recesso e di esclusione, queste ultime qualificate con rinvio all'art. 1459 c.c. come cause di risoluzione parziale del contratto, con la precisazione che la prestazione di ogni partecipante non può qualificarsi come essenziale agli effetti della norma da ultimo citata;

- cessazione del rapporto per effetto di consenso qualificato come "mutuo dissenso", o per l'avveramento di talune condizioni qualificate "risolutive", con la precisazione che non operano retroattivamente.

è pertanto evidente la dimensione contrattuale, più che quella organizzativa, nell'ambito del quale il modello in esame vuole essere calato.

Ciò che tuttavia lascia perplesso è l'impiego del medesimo per l'esercizio di quelle che, ai sensi dell'art. 2602 c.c., si definirebbero "fasi delle impresa" secondo l'accezione ampia sopra accolta.

Si tratta di capire se, in definitiva, si è inteso coordinare attività diverse mediante la "stabilizzazione" negoziale di rapporti che normalmente trovano espressione nelle Ati o nelle joint venture, quindi di volta in volta ricontrattati, o piuttosto dar luogo ad un "soggetto" capace di interporsi, come se fosse un consorzio, rispetto ai terzi.

Giova in proposito far presente che è previsione ricorrente anche nell'associazione temporanea o comunque negli accordi contrattuali di coordinamento la costituzione di un comitato operativo nell'ambito del quale i partecipanti si confrontano e valutano le questioni che l'attività coordinata genera o prendono le decisioni in ordine alle modalità di attuazione del programma comune. Dunque, in sé la previsione di un "organo" in tal senso non è decisiva.

Il problema giuridico è quello di tracciare la linea di demarcazione fra il consorzio, specie se con attività interna, e fattispecie, che definirei atipiche, di coordinamento stabile fra aziende. Sempre che differenza vi sia, e sempre che, in realtà, non stiamo scontando gli effetti di una lettura, proposta nel tempo dalla dottrina, sempre e solo teorica, per non dire dogmatica, lontana dalla vita reale e incapace di proporre interpretazioni del testo normativo non aprioristicamente condizionate da preconcetti culturali.

Comunque sia, si potrebbe tentare una demarcazione ritenendo di essere al di fuori del consorzio allorchè l'organizzazione, se contrattualmente creata, è strumento di mera organizzazione dei rapporti interni fra partecipanti alla rete, di mero coordinamento, senza che possa assumere alcuna valenza esterna sul piano dei rapporti con i terzi, se non in forza di uno specifico mandato con rappresentanza conferito dai partecipanti alla rete.

In realtà, dall'esame dei contratti sembra emergere che in molti casi al comitato di gestione è affidato non solo un compito di mero coordinamento, ma anche la definizione degli obblighi facenti capo ai partecipanti nell'ambito di generici impegni assunti in forma contrattuale, con il che sembra che l'organo sia fonte di produzione sub contrattuale e divenga ciò che è nel consorzio.

è frequente imbattersi nel seguente elenco di obblighi: uniformarsi ai disciplinari ed ai regolamenti adottati dal comitato di gestione; non servirsi di segni distintivi, marchi, denominazioni o contrassegni diversi da quello comune per la commercializzazione dei prodotti certificati; attenersi alle decisioni del comitato di gestione ai fini dell'utilizzo del marchio; inserire sulle confezioni dei propri prodotti commercializzati con il marchio …, un "codice di tracciabilità", secondo le modalità fissate dal comitato di gestione, allo scopo di fornire al consumatore uno strumento per risalire alle fasi del percorso di filiera a cui i prodotti stessi sono stati sottoposti …; rispettare i termini e gli obblighi derivanti dall'attuazione dei progetti promozionali e di altre iniziative volte a favorire la commercializzazione dei prodotti.

Dunque, vi è da chiedersi ancora una volta se, in realtà, non siamo in presenza di una fattispecie di consorzio, con attività interna.

Il che non è né errato né illegittimo: ma tradisce forse una inesatta lettura delle norme del codice sul consorzio con attività interna, e sulle sue possibilità, e forse anche la necessità di superare una qualificazione che ormai sembra sinonimo di ente deputato ad intrattenere rapporti con i terzi (consorzio con attività esterna) e non anche, e solo, a disciplinare l'attività dei partecipanti.

In altri termini, c'è ancora tanto consorzio in quelli che più modernamente, e quindi con più appeal, vengono oggi definiti "contratti di rete".

La formalizzazione e la istituzionalizzazione, tramite anche la pubblicità nel Registro delle imprese, di fattispecie atipiche di coordinamento fra imprese

Mi pare che un pregio indiscutibile dell'articolato normativo in oggetto sia quello di aver portato in luce (possibili) fattispecie ulteriori di accordi fra imprese che difficilmente possono essere ricondotte al consorzio, perché non hanno per oggetto "fasi di impresa".

Mi riferisco soprattutto al coordinamento della filiera, sia in senso verticale, sia in senso orizzontale.

Gli esempi contrattuali più interessanti, e meglio definiti, riguardano infatti quelle fattispecie negoziali, laddove l'interesse essenziale è quello di organizzare e coordinare al meglio le attività complementari, sia a beneficio della capofila, sia nell'interesse di tutti i partecipanti.

La filiera può essere anche orizzontale, come evidenziato dalla dottrina più esperta in materia: si è infatti notato che "spesso, in questo caso, il contratto di rete è stato impiegato per ampliare l'offerta di beni e servizi a committenti esterni alla rete, ovvero per operazioni di commercializzazione e marketing congiunta. Sul piano del progetto industriale sottostante vi sono ipotesi in cui le imprese, continuando a svolgere la propria attività senza alcuna forma di integrazione industriale, si aggregano per la commercializzazione anche attraverso la costituzione di un marchio comune" [nota 4].

La definizione degli obblighi delle parti

Infine, un'ultima considerazione, che, anche in chiave autocritica, vuol rappresentare un "cavere".

Ciò che forse delude, ad una lettura sommaria dei contratti, è la scarsa attenzione (o quella che sembra scarsa attenzione) alla definizione degli obblighi e dei diritti reciproci, cioè alla precisazione di quello che un contraente deve fare affinchè la sinergia sia efficiente.

In una logica istintiva sembrerebbe quasi scontato che all'attuazione di "affari" diversi si accompagnino obblighi diversi delle parti contrattuali, garanzie diverse, sanzioni diverse. Ovvero, che il programma di rete di cui alla lett. c, dell'articolato normativo del comma 4-ter sia diversamente concordato e caratterizzato in ragione dell'oggetto dell'attività che i paciscenti intendono porre in essere.

Alcuni esempi dovrebbero servire a meglio chiarire la riflessione.

Se l'obiettivo è quello di offrire servizi congiunti od un prodotto finale complesso a terzi da parte delle singole imprese, sembrerebbe naturale preoccuparsi di stabilire i) l'obbligo delle parti di adempiere puntualmente agli impegni verso i terzi, poiché ogni inadempimento singolo getta discredito sull'intera "rete"; ii) obblighi di supplenza qualora una delle imprese in rete non sia adempiente verso i terzi; iii) la responsabilità per inadempimento del singolo; sembra inoltre coerente fissare regole precise per coinvolgere le singole imprese nella prestazione verso i terzi, in ordine alle modalità, alla tempistica, al settore di attività, alle regole di selezione di quelle che saranno chiamate nello specifico a porre in essere l'attività.

Se invece il rapporto è di filiera, gli obblighi di dare o fare atterranno esclusivamente ai rapporti fra imprese in rete, e si concentreranno su termini, modalità e corrispettivi per l'adempimento nonché sul rispetto di standard qualitativi.

Qualora la rete svolga un'attività di promozione commerciale, gli obblighi delle imprese verteranno sul rispetto di regole di produzione del prodotto commercializzato in rete o sull'obbligo di partecipare ai costi di realizzazione delle campagne pubblicitarie e di certificazione del prodotto. Quali sono le risposte della prassi è quello che sembra un paradigma scontato di definizione degli assetti contrattuali?

Sotto questo profilo si rileva una tendenza alla genericità, al rinvio alle determinazione dell'organo comune, come già evidenziato e come è prassi nei consorzi, talora una almeno apparente incoerenza fra programma divisato ed obblighi assunti.

In realtà, come già scritto anche nello studio del Consiglio nazionale del Notariato, tale parte del contratto è quella fondamentale, poiché le prime esperienze pratiche hanno già dimostrato che essa rappresenta il nucleo essenziale della trattativa e che alle clausole inerenti è necessario prestare particolare attenzione, poiché le stesse, in definitiva, stabiliscono "come si fa rete" nel caso specifico.


[nota 1] In Rivi. dir. impr., p. 247 e ss.

[nota 2] M. SARALE, Consorzi e società consortili, in Tratt. dir. comm. diretto da G. Cottino, Padova, 2004, p. 503.

[nota 3] A. BORGIOLI, Consorzi e società consortili, in Tratt. Cicu-Messineo, Milano, 1985, p.343.

[nota 4] F. CAFAGGI, "Il contratto di rete nella prassi. Prime riflessioni", in I Contratti, 2011, p. 511.

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