Gli immobili di interesse storico artistico: profili di contenzioso tributario sulle imposte dirette (L. 413/91) e ipocatastali. Profili di strategia nell’eventuale difesa, valutazioni sistematiche e novità in termini di tassazione
Gli immobili di interesse storico artistico: profili di contenzioso tributario sulle imposte dirette (L. 413/91) e ipocatastali. Profili di strategia nell’eventuale difesa, valutazioni sistematiche e novità in termini di tassazione
di Alvise Bullo
Dottore commercialista in Venezia,
Commissione consiliare “Contenzioso e accertamento” presso il Cndcec Roma
Premessa
Il presente lavoro si prefigge di analizzare tre quesiti cercando di dare agli stessi una risposta compiuta utilizzando, per lo più, un approccio sistematico. Infine, si tratterà delle novità, in termini di imposte dirette, posto che nel Supplemento Ordinario n. 85 della Gazzetta Ufficiale n. 99 del 28 aprile, è stata pubblicata la L. 26 aprile 2012, n. 44, di conversione del D.l. 16/2012, in vigore dal 29 aprile 2012. In sede di conversione, sono state introdotte delle disposizioni intese a ridurre la tassazione sugli immobili notificati(1).
Ciò detto, pare utile iniziare l’analisi dei tre quesiti.
1) Preliminarmente è importante chiedersi se il “benefit” rappresentato dall’applicazione dell’art. 11, comma 2 della L. 413/1991(2)(oggi abrogato(3)) possa valere solo per le persone fisiche proprietarie di immobili di interesse storico artistico locati ad uso abitativo? Oppure se possa valere anche verso proprietari persone fisiche che locano l’immobile notificato ad uso diverso da abitazione? Non solo, giova chiedersi se anche le imprese/società che locano l’immobile storico possano ricevere il “benefit fiscale” specificato ancorchè si stia parlando di immobile storico/artistico strumentale? Importante, sarà anche analizzare questo ultimo sotto-quesito con la nuova normativa oggi esistente.
2) L’ulteriore quesito si riferisce ad una querelle storica ed “elementare” nei contenuti e così identificata: le imposte ipocatastali nelle compravendite degli immobili di interesse storico artistico si devono applicare (tralasciando regimi speciali) in misura fissa o percentuale? Giova sin d’ora anticipare che Agenzia entrate con la circolare(4)n. 52 del 14 giugno 2002 ha sempre specificato che le stesse si devono applicare in somma percentuale e non fissa.
3) Con il terzo quesito ci si deve chiedere se il (solo) c.d. vincolo di “facciata o parziale” permette di estendere nella misura del 100% il benefit fiscale previsto (parzialmente) per l’immobile notificato? Pertanto, se, ad esempio, un albergo ha un vincolo di “facciata” che rappresenta il 10% dell’intero immobile in termini di superficie, ebbene l’Ici (oggi abolita) andava calcolata con il beneficio sugli immobili notificati solamente per il 10% e per il 90% andava calcolata come se l’immobile fosse c.d. “normale”? Oppure si poteva calcolare l’Ici con il beneficio pari al 100% ancorchè lo stesso avesse un solo vincolo “parziale”?
Risposta al primo quesito
Giova segnalare che l’interpretazione letterale non è sufficiente(5)e, pertanto, non si può condividere di “ancorare” il benefit fiscale previsto dall’art. 11, comma 2 della citata legge al reddito fondiario delle persone fisiche che locano ad uso abitativo l’immobile notificato solo perché letteralmente la legge recita che «il reddito degli immobili … l’applicazione della minore tra le tariffe d’estimo previste per le abitazioni ...». Infatti, la Corte di Cassazione S.U. n. 5518 del 9 marzo 2011 ha stabilito che si tratta di un regime di tassazione sostitutivo (cioè che prescinde dalle sei categorie reddituali previste dal Tuir - e quindi non c’entra “nulla” con il reddito fondiario) prevedendo che: «In proposito, ormai con orientamento consolidato, questa Corte ha affermato che la norma di cui alla L. n. 413 del 1991, art. 11, comma 2, individua per gli immobili storico-artistici una sorta di regime tributario sostitutivo prevedendo non un’esenzione o una riduzione di imposta (secondo una fissata percentuale), bensì una peculiare modalità di imposizione astrattamente determinata senza alcun rapporto con il valore reale (locativo o fondiario) del bene tassato».
Pertanto, come già scritto(6), non si può e non si poteva condividere quanto stabilito dalla circolare n. 9/E del 14 marzo 2005 con la quale l’Agenzia delle entrate riteneva che l’agevolazione di cui all’art 11, comma 2, della L. 413/91 si dovesse applicare solo(7)ai fabbricati posseduti da persone fisiche e locati ad uso abitativo.
Del resto è la stessa circolare n. 2/E del 17 gennaio 2006 che smentendo la precedente (nella parte specificata) stabilisce che l’agevolazione di cui all’art 11, comma 2, della L. 413/91 si deve applicare ai fabbricati posseduti da persone fisiche e locati anche ad uso diverso da quello abitativo (si pensi, ad esempio, ad una persona fisica che loca un immobile notificato ad uso ristorante).
Lo step di analisi successivo deve identificarsi circa la possibilità o meno di applicazione dell’agevolazione di cui all’art. 11 cit. agli immobili posseduti da imprese e concessi in locazione. Quindi, una Srl che possiede un immobile e che lo loca può applicare la minore delle tariffe d’estimo... anziché tassare il canone locatizio? Sulla questione Agenzia entrate rispose negativamente con una interpretazione del tutto letterale attraverso la risoluzione n. 99/2006. Infatti, secondo la risoluzione(8), dal momento che l’art. 11 cit. si applica al reddito fondiario (qui si annida la non condivisione, posto che, infatti, la S.U. 5518/2011 ha chiarito che trattasi di regime fiscale sostitutivo, che quindi prescinde dalle sei categorie reddituali, tra le quali quella fondiaria) e posto che il reddito d’impresa non è un reddito fondiario, giocoforza che detto beneficio non si può applicare. Sempre a detta della risoluzione il beneficio si potrebbe applicare solo ai cd immobili patrimonio e non strumentali (art. 90 Tuir) dal momento che gli stessi determinano il reddito in maniera fondiaria(9).
Infatti, la risoluzione 99/E/2006 stabilì che: «dal combinato disposto delle citate disposizioni (art. 90 Tuir e le altre disposizioni relative al reddito d’impresa) emerge come il predetto comma 2 dell’articolo 11 - che prevede un criterio catastale di determinazione del reddito limitatamente agli immobili di interesse storico artistico - possa trovare applicazione all’interno delle norme che disciplinano il reddito d’impresa esclusivamente nel caso degli immobili c.d. “patrimoniali” e non anche relativamente agli immobili che rappresentino beni merce o strumentali per l’esercizio dell’impresa». Ciò, a parere di chi scrive, deve dirsi del tutto superato anche dall’intervento della Corte di Cassazione S.U. n. 5518 del 9 marzo 2011 che abbraccia un’interpretazione sistematica e non letterale come, invece, la risoluzione cit. e le due sentenze della Corte di Cassazione n. 26343/2009 e 2332/2009 che hanno condiviso le tesi della risoluzione stabilendo, “in parole povere”, che dal momento che un’impresa può dedursi i costi allora si può giungere allo stesso benefit del privato che non se li può dedurre. Ciò, anche con i numeri non è, però, condivisibile. Infatti, si pensi al seguente banale esempio: si supponga che la tassazione per una società sia pari al 40% e che la stessa abbia un canone attivo di locazione su un immobile di interesse storico artistico per Euro 1.200.000 ed abbia costi di manutenzione sullo stesso per Euro 200.000.
La tassazione sarà pari ad Euro 400.000 (1.000.000 x 40%).
Pertanto, alla proprietà dell’immobile rimangono in tasca Euro 600.000 (1.200.0000 - 200.000 - 400.000).
Se, invece, all’immobile in questione si fossero applicate le imposte sulla minore delle tariffe d’estimo (con una piccola imposta convenzionalmente ipotizzata pari ad Euro 10.000) ebbene alla proprietà (persona fisica) rimanevano Euro 990.000 (1.200.000 - 200.000 - 10.000). È empiricamente dimostrato che la deduzione dei costi non permette di ristorare la situazione di uguaglianza tra privato e impresa/ società posto che se il privato avesse dette caratteristiche avrebbe a disposizione 990.000 Euro che l’impresa/società, nella pressoché totale delle ipotesi - anche considerando la deduzione degli ammortamenti al solo 3% - mai riuscirebbe a “pareggiare(10)”.
Del resto, rileggendo quanto statuito dalle S.U. della Suprema Corte n. 5518/2011 non pare possibile giungere a soluzioni differenti rispetto a quelle qui prospettate. Infatti, le S.U. così si espressero: In questa prospettiva appare ineludibile verificare come sia regolata la tassazione degli immobili di interesse storico-artistico.
In proposito, ormai con orientamento consolidato, questa Corte ha affermato che la norma di cui alla L. n. 413 del 1991, art. 11, comma 2, «individua per gli immobili storico-artistici una sorta di regime tributario sostitutivo prevedendo non un’esenzione o una riduzione di imposta (secondo una fissata percentuale), bensì una peculiare modalità di imposizione astrattamente determinata senza alcun rapporto con il valore reale (locativo o fondiario) del bene tassato, dato che il reddito dei predetti immobili è determinato mediante l’applicazione della minore tra le tariffe d’estimo previste per le abitazioni della zona censuaria nella quale è collocato il fabbricato» (Cass. n. 2332 del 2009, in motivazione).
Esaminando la lettera della norma, appare immediatamente evidente che l’oggetto dell’imposizione è individuato tout court negli immobili soggetti a vincolo storico-artistico, senza che sia aggiunta alcuna altra aggettivazione o qualificazione che autorizzi l’interprete a darne una specificazione, ulteriore rispetto alla qualità - carattere storico-artistico - che il legislatore ha ritenuto determinante al fine di sottoporre gli immobili in questione ad uno speciale regime impositivo, tanto più che la norma in questione espressamente dispone che tale regime si applica “in ogni caso”.
Di più, la Corte Suprema identifica anche la ratio della scelta: «La scelta del legislatore di far riferimento ad un criterio astratto - “in ogni caso il reddito ... è determinato mediante l’applicazione della minore tra le tariffe d’estimo previste per le abitazioni della zona censuaria nella quale è collocato il fabbricato” -, non consente all’interprete di introdurre una limitazione all’applicabilità della norma che ridurrebbe il valore dell’espressione “in ogni caso” utilizzata dal legislatore e svaluterebbe anche la qualità, il carattere storico-artistico dell’immobile, che rappresenta, nell’insindacabile scelta legislativa, l’unica ragione giustificatrice dell’applicazione di un regime impositivo speciale».
D’altro canto, come ha chiarito la Corte Costituzionale nella sentenza n. 346 del 2003, la scelta del legislatore appare «tutt’altro che arbitraria o irragionevole, in considerazione del complesso di vincoli ed obblighi gravanti per legge sulla proprietà di siffatti beni quale riflesso della tutela costituzionale loro garantita dall’art. 9 Cost., comma 2». Ed è chiaro che questo «complesso di vincoli ed obblighi gravanti per legge sulla proprietà di siffatti beni quale riflesso della tutela costituzionale loro garantita dall’art. 9 Cost., comma 2», non muta, nè nella sostanza, nè nella gravosità, a seconda della destinazione, ad uso abitativo o ad uso diverso, o anche della categoria catastale di classificazione dell’immobile che ne sia specificamente oggetto, costituendo gli immobili di interesse storico-artistico, sotto l’indicato aspetto, una categoria omogenea.
Nè può ritenersi irragionevole la scelta del legislatore laddove «prevede che il reddito imponibile sia in ogni caso determinato mediante l’applicazione della minore tra le tariffe d’estimo previste per le abitazioni della zona censuaria nella quale è collocato il fabbricato»: ciò perchè «una volta esclusa ... la comparabilità della disciplina fiscale degli immobili di interesse storico o artistico con quella degli altri immobili, la censura di irragionevolezza risulta priva di consistenza, in uno con quella, ad essa connessa, di violazione del principio di eguaglianza, essendo l’una e l’altra basate sull’erroneo presupposto della sostanziale omogeneità delle due categorie di beni». È evidente che la disomogeneità(11)che distingue gli immobili di interesse storico o artistico, da un lato, dagli immobili che non siano tali, dall’altro, e che legittima il diverso trattamento fiscale degli uni e degli altri, prescinde necessariamente dalla destinazione d’uso ed anche dalla classificazione catastale che abbiano gli immobili di interesse storico o artistico, essendo tale destinazione, o classificazione, ininfluente al fine di determinarne l’appartenenza alla categoria “protetta”. A tanto si aggiunge l’estrema difficoltà di una precisa determinazione del reddito degli immobili in questione «per la forte incidenza dei costi di manutenzione e conservazione di tali beni».
Da tali affermazioni si ricava che la ratio legis della disposizione di cui alla L. n. 413 del 1991, art. 11, comma 2, è data dalla necessità di tenere conto del fatto che i proprietari degli immobili appartenenti alla tipologia considerata dalla norma in questione debbono affrontare, nell’interesse pubblico alla conservazione dei beni culturali, costi di manutenzione così rilevanti da rendere non sicuramente determinabile il reddito effettivo: una riprova può essere data dalla disposizione di cui alla L. n. 133 del 1999, art. 18, lett. c, che conferma il principio stabilito dalla L. n. 413 del 1991, art. 11, comma 2, per il reddito degli immobili riconosciuti di interesse storico o artistico, ai sensi della L. n. 1089 del 1939, art. 3, «inteso a tenere conto dei vincoli gravanti su di essi nonchè dell’interesse pubblico alla loro conservazione». Se ciò è vero, come è vero, ha affermato questa Corte, con orientamento che il Collegio condivide e conferma, «non avrebbe senso logico introdurre, all’interno dell’unitaria categoria degli immobili di interesse storico-artistico, una distinzione tra detti immobili secondo la loro destinazione d’uso o la loro classificazione catastale: nè l’interesse pubblico alla conservazione dell’immobile di interesse storico-artistico, nè i costi di manutenzione, finalizzati alla tutela di tale interesse, nè l’incertezza sulla determinazione del reddito effettivo che l’incidenza di tali costi causa, dipende (nè può dipendere) dalla diversa destinazione, abitativa o meno, o dalla diversa classificazione catastale dell’immobile. Sicchè limitare l’applicazione della disposizione di cui alla L. n. 413 del 1991, art. 11, comma 2, ai soli immobili di interesse storico-artistico destinati ad uso abitativo o a quelli classificati in una determinata categoria catastale (ad es. la categoria “A”), significherebbe introdurre nel sistema una distinzione non ragionevole - tenuto conto della ratio legis della norma speciale - e optare, di conseguenza, per un’interpretazione della stessa norma che non sarebbe costituzionalmente orientata» (Cass. n. 14149 del 2009, in motivazione).
Ciò specificato, appare oltremodo chiaro che anche ai fabbricati (anche strumentali) di interesse storico e artistico posseduti da imprese/società e locati potesse applicarsi la previsione di cui all’art. 11, comma 2 della L. 413/1991.
Di più, ciò che residua oggi del beneficio fiscale sugli immobili notificati (con la nuova legge in vigore dal 29 aprile 2012 e a seguito del venir meno dell’art. 11, comma 2 cit.) pare non trovare applicazione per i fabbricati di interesse storico artistico posseduti dalle imprese perché è, appunto, venuto meno il benefit del regime sostitutivo (art. 11, comma 2, L. 413/1991) e l’unico beneficio si trova ora nel reddito fondiario che di certo non è applicabile alle imprese se non in riferimento ai soli immobili patrimonio.
Risposta al secondo quesito
A parere di chi scrive appare oltremodo chiaro che le imposte ipocatastali si debbano applicare in misura fissa nelle compravendite in questione posto che è la sistematicità a prevederlo dal momento che il “benefit fiscale” discende dalla previsione di cui all’art. 9, comma 2 della Costituzione(12)e si identifica come un beneficio in virtù dei gravami(13)che i proprietari degli stessi devono sopportare. È proprio da tali gravami che il legislatore ha imposto un benefit fiscale su detti immobili nell’imposta di registro, nelle imposte dirette e risulterebbe stridente e incomprensibile che contro la disposizione di legge (che prevede che le ipocatastali si applicano in somma fissa) il legislatore sia rimasto insensibile nel concedere il benefit come nel registro(14)e nelle dirette, dal momento, peraltro, che detto trattamento di favore discende da una tutela costituzionale(15).
Le principali sentenze che hanno statuito che le imposte ipotecarie e catastali si applicano in misura fissa sono: Comm. trib. prov. Venezia, sent. 12/9/2002, Comm. trib. prov. Venezia, sent. 01/01/2004, Comm. trib. prov. Venezia, sent. 52/01/2004 , Comm. trib. prov. Venezia, sent. 14/13/04, Comm. trib. reg. Veneto, sent. 74/30/2005, Comm. trib. reg. Veneto, sent. n. 09/30/2005, Comm. trib. prov. Roma n. 353/4/2006, Comm. trib. reg. Veneto, sent. 09/3/2005, Comm. trib. reg. Veneto 62/14/2009, Comm. trib. prov. Padova 103/8 del 24 novembre 2010, Comm. trib. prov. di Padova n. 50/01/11 depositata il 01 aprile 2011, Cassazione n. 10446/2013, Comm. trib. reg. Veneto n. 27/29/2013, Comm. trib. prov. Padova n. 29/1/2013, Comm. trib. prov. Padova n. 82/1/2013. Le principali sentenze contrarie sono: Comm. trib. reg. Veneto, sent. 03/18/2007, Comm. trib. prov. Venezia 109/3/2008, Corte di Cassazione n. 20096 del 18 settembre 2009 e n. 5766 del 10 marzo 2010. Prassi: circolare n. 52 del 14 giugno 2002.
Giova ricordare, infine, che le sentenze della Corte di Cassazione che hanno dato torto al tema in oggetto, in realtà si riferiscono alla questione dello sfasamento di commi ma non anche alla questione sistematica segnalata e, giocoforza che, ai sensi dell’art. 112 c.p.c. il Giudice deve pronunciarsi sulla base di ciò che forma oggetto di richiesta.
Appare interessante leggere un breve stralcio della sentenza della Comm. trib. prov. di Venezia, sez. IX, sentenza del 16 marzo 2002, n. 12 secondo la quale: «la Commissione rileva l’inattendibilità delle conclusioni fatte dall’Ufficio e, per converso, ritiene convincenti le argomentazioni svolte dalla ricorrente tenuto conto che le stesse, relativamente alle imposte ipotecarie e castali nella misura fissa, trovano puntuale riscontro nella vigente legislazione in materia, dettagliatamente richiamata nell’impugnazione».
Peraltro, quanto qui asserito, pare trovare conferma nella sentenza della Corte di Cassazione, sez. trib., sent. n. 20757 del 23 maggio 2006, dep. il 25 settembre 2006, secondo la quale: «La certezza nei rapporti giuridici costituisce un bene costituzionalmente tutelato e perciò nell’applicazione della legge si debbono privilegiare le interpretazioni che salvaguardano tale valore».
Risposta al terzo quesito
La Suprema Corte e la giurisprudenza di merito sembrano molto chiare sul punto posto che il beneficio pare debba accordarsi totale, ancorchè vi sia “parzialità” nel vincolo. Infatti, Corte di Cassazione con ordinanza n. 10981 del 18 maggio 2011 stabilì quanto segue: «Letto il ricorso che concerne l’impugnazione da parte del contribuente con separati ricorsi di distinti avvisi di accertamento per l’Ici 1999, 2000 e 2001 della differenza tra l’imposta dovuta e quella corrisposta in misura minore in ragione della ritenuta applicazione della tariffa d’estimo di minor ammontare, stante il vincolo storico architettonico gravante sull’immobile, che l’Ufficio aveva ritenuto irrilevante in quanto riguardante solo una porzione (sotto la cantina e longitudinalmente sotto gli edifici vi sono resti di interesse archeologico);
Rilevato che, il ricorso (proposto dall’Ufficio Ici, n.d.A.) poggia su un unico motivo con il quale si censura la sentenza impugnata per violazione e di legge e vizio di motivazione per aver ritenuto sufficiente all’applicazione del miglior regime Ici il vincolo concernente solo una porzione dell’edificio;
Ritenuto che, il ricorso è infondato sulla base del principio affermato da questa Corte secondo cui in tema di imposta comunale sugli immobili (Ici), l’agevolazione prevista dal decreto legge 23 gennaio 1993, n. 16, articolo 2, comma 5, convertito in legge 24 marzo 1993, n. 75 per gli immobili dichiarati di interesse storico o artistico, ai sensi della legge n. 1089 del 1939, articolo 3 perseguendo l’obiettivo di venire incontro alle maggiori spese di manutenzione e conservazione che i proprietari sono tenuti ad affrontare per preservare le caratteristiche degli immobili vincolati, si applica anche nel caso in cui l’interesse riguardi solo una porzione dell’immobile, in quanto anche in quest’ultima ipotesi gravano a carico del proprietario gli oneri di conservazione citati. (In applicazione del principio, la S.C. ha confermato la sentenza appellata che aveva riconosciuto l’agevolazione ad un immobile sottoposto a vincolo ex legge n. 1089 del 1939, limitatamente alla facciata esterna ed al cortile con scala) (Cass. n. 11794 del 2010)». (cfr. Commissione tributaria regionale del Veneto - sez. staccata di Verona, sez. 15, n. 11/15/06 del 22 febbraio 2006, depositata il 15 marzo 2006(16)).
La nuova tassazione
Come già anticipato, nel supplemento ordinario n. 85 della Gazzetta Ufficiale n. 99 del 28 aprile, è stata pubblicata la L. 26 aprile 2012 n. 44, di conversione del D.l. 16/2012, in vigore dal 29 aprile 2012. In sede di conversione, sono state introdotte delle disposizioni volte a ridurre la tassazione sugli immobili notificati. Inoltre, come già anticipato, l’art. 11, comma 2 della L. 413/1991 è stato abrogato dall’articolo 4, comma 5-quater, del D.l. 16/2012, (conv. con modif. dall’articolo 1 della L. n. 44/2012, pubblicata sul Supplemento ordinario n. 85 della G.U. n. 99 del 28 aprile).
Ai sensi dell’art. 37 del Tuir: il reddito medio ordinario delle unità immobiliari è determinato mediante l’applicazione delle tariffe d’estimo, stabilite secondo le norme della legge catastale per ciascuna categoria e classe, ovvero, per i fabbricati a destinazione speciale o particolare, mediante stima diretta.
Ai sensi dell’art. 4-bis dello stesso art 37: qualora il canone risultante dal contratto di locazione, ridotto forfetariamente del 5 per cento, sia superiore al reddito medio ordinario di cui al comma 1, il reddito è determinato in misura pari a quella del canone di locazione al netto di tale riduzione. Per i fabbricati siti nella città di Venezia centro e nelle isole della Giudecca, di Murano e di Burano, la riduzione è elevata al 25 per cento.
Giova segnalare che l’art. 4, comma 5-sexies, lett. a, del D.l. 16/2012 convertito interviene, inserendo al comma 4-bis dell’art. 37 del Tuir una misura di riduzione forfettaria della base imponibile pari al 35% del canone di locazione, specifica per tali immobili di interesse storico o artistico (detta novità trova applicazione dal perido d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2011).
Inoltre, l’art. 4, comma 5-sexies, lett. c, (apportando una modifica all’art. 144, comma 1 del Tuir - enti non commerciali -) stabilisce che il reddito medio ordinario derivante dagli immobili storici o artistici posseduti da tali enti è ridotto del 50% (analoga riduzione al 50% - rendita catastale - si ha per gli immobili patrimonio posseduti dalle imprese - l’art. 4, comma 5-sexies, lett. b, del D.l. convertito).
(1) A. BORGOGLIO, in Eutekne Info del 30 aprile 2012.
(2) Art. 11, comma 2, L. 413/91: «in ogni caso, il reddito degli immobili riconosciuti di interesse storico o artistico ai sensi dell’articolo 3 della legge 1° giugno 1939, n. 1089, e successive modificazioni e integrazioni, è determinato mediante l’applicazione della minore tra le tariffe d’estimo previste per le abitazioni della zona censuaria nella quale è collocato il fabbricato».
(3) L’articolo 4, comma 5-quater, del D.l. 16/2012, (conv. con modif. dall’articolo 1 della L. n. 44/2012, pubblicata sul supplemento ordinario n. 85 della G.U. n. 99 del 28 aprile), ha abrogato l’ articolo 11, comma 2, della L. 413/1991 (per un approfondimento si rinvia a A. BORGOGLIO, in Eutekne Info del 01 maggio 2012).
(4) Pare importante sottolineare che le circolari, per quanto utili, non possono essere considerate fonte di legge (cfr. Cass. 05 gennaio 2010, n. 35; Cass. 10 gennaio 1973, n. 54; Cass. 27 dicembre 1975, n. 4231; Cass., S.U., n. 23031/07).
(5) Giurisprudenza favorevole all’applicazione della minore delle tariffe d’estimo nel caso in questione: Cass. 18 marzo 1999, n. 2442; Cass. 11 giugno 1999, n. 5740; Cass. del 13 luglio 1999, n. 7408; Cass. 8 giugno 2000, n. 7769, 7774, 7778; Cass. 09 giugno 2000, n. 7876; Cass. 13 giugno 2000, n. 8038; Cass. 28 luglio 2000, n. 9945; Cass. 19 ottobre 2001, n. 12790; Cass. 13 gennaio 2003, n. 286; Cass. 29 settembre 2003, n. 14480; Cass. 14 gennaio 2004, n. 368; Cass. 27 agosto 2004, n. 17152; ed inoltre Comm. trib. prov. Treviso, I, 23 marzo 1998, n. 83; Comm. trib. I grado Firenze, 21 giugno 1995, n. 117; Comm. trib. prov. Milano, XXXVIII, 18 novembre 1997, n. 290; Comm. trib. I grado Pisa, IV, 30 giugno 1994, n. 259; Cass. 23 maggio 2005, n. 10860; Comm. trib. I grado di Perugia, 12 febbraio 1996, dep. 11 marzo 1996, Comm. trib. I grado, 6 febbraio 1995, n. 298, sez. 3, sede di Venezia, Comm. trib. I grado di Reggio Emilia, 29 febbraio 1996; si segnala in questo senso anche la Corte Cost. 28 novembre 2003, n. 346.
(6) A. BULLO, «Immobili di interesse storico o artistico chiarimenti da parte del Fisco; commento alle circolari n. 2/E del 17 gennaio 2006 e 9/E del 14 marzo 2005», in Il Fisco, 20, 2006, p. 3092 - 3099.
(7) La Commissione tributaria I grado di Venezia, 6 febbraio 1995, n. 298 ha stabilito che: «Il legislatore ha voluto fare salvo, appunto, in ogni caso, il principio che per gli immobili vincolati ex lege n. 1089/1939 la base imponibile è costituita esclusivamente da quanto viene disposto in tale comma, che impone di determinarlo mediante l’applicazione delle minori delle tariffe d’estimo; e ciò sia che l’immobile sia locato, sia che non lo sia … Tali agevolazioni costituiscono esplicazione della tutela garantita dall’art. 9 della Costituzione ai beni di interesse artistico e storico (secondo cui la Repubblica tutela il paesaggio ed il patrimonio storico artistico della nazione) e sono state introdotte allo specifico scopo di indurre i proprietari, attraverso appunto agevolazioni fiscali, a provvedere alla conservazione e tutela manutentoria del patrimonio artistico nazionale. Ne consegue che il legislatore nella sua ampia discrezionalità, ha voluto introdurre un regime agevolativo ai fini tributari ai proprietari di beni tutelati ex lege n. 1089/1939, per facilitare la manutenzione e la conservazione del patrimonio artistico nazionale, ritenendo che chi a tal fine contribuisce con i propri esborsi abbia titolo a godere di agevolazioni fiscali».
(8) Giova ricordare che mentre le circolari hanno una valenza generale, le risoluzioni hanno invece efficacia inter partes. Peraltro, l’oggetto di risposta all’interpello genetico della risoluzione 99/E/2006 riguardava gli immobili merce e non gli immobili strumentali.
(9) Per un approfondimento si rinvia a: G. CRISTOFORI - D. PINI, «Immobili storico-artistici in regime d’impresa», in Focus fiscali, 2007, 7/8, p. 19 e ss.
(10) Per un approfondimento sia consentito rinviare a: A. BULLO, «Edifici di interesse storico od artistico posseduti da imprese. Sull’applicabilità del regime “speciale” dell’art. 11, comma 2, L. n. 413/91 agli immobili non patrimoniali», in Finanza & Fisco, 2011, 36, p. 3089 e ss.
(11) Giova, peraltro, non dimenticare che la Corte di Cassazione n. 14419/2009[1] - in riferimento alle imposte dirette sugli immobili di interesse storico artistico - stabilì che: «La scelta del legislatore non è irragionevole né contraria al principio di eguaglianza in quanto la categoria dei fabbricati non vincolati e quella dei fabbricati storico artistici non sono obiettivamente omogenee. E, trattandosi di situazioni differenti, le quali legittimano l’applicazione di un diverso regime tributario, la norma agevolativa va ritenuta sempre applicabile alla categoria considerata meritevole di una minor pressione fiscale». Un risultato interpretativo differente implicherebbe la violazione dell’art. 9, comma 2 della Costituzione, del principio espresso dall’ordinanza n. 227/2005 ([3]) e dalla sent. della Corte Costituzionale n. 120/1972 [4]. [1] A. BUSANI, in Il Sole 24Ore del 25 giugno 2009, n. 173, p. 31. [3] Secondo la stessa ordinanza n. 227/2005 è necessario che le categorie poste a confronto rivestano il carattere di omogeneità necessario ai fini di una comparazione da effettuarsi con riferimento al principio di eguaglianza. [4] Corte Costituzionale n. 120/1972: «Il precetto enunciato nell’art. 53, primo comma, della Costituzione, per cui tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche, in ragione della loro capacità contributiva, va interpretato quale specificazione del generale principio di uguaglianza (art. 3 Cost., n.d.A.), nel senso che a situazioni uguali devono corrispondere uguali regimi impositivi e, correlativamente, a situazioni diverse un trattamento tributario diseguale».
(12) Art. 9 della Costituzione: La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.
(13) La Corte di Cassazione, con sentenza n. 11444 del 19 novembre 1993, specificò che i vincoli ed oneri gravosi insiti negli immobili di interesse storico sono così numerosi da potersi elencare nel seguente modo: impossibilità di demolire, modificare o restaurare l’immobile senza l’autorizzazione del Ministero per i beni culturali; impossibilità di poterlo adibire ad usi non compatibili con il suo carattere storico o artistico, oppure tale da recare pregiudizio alla sua conservazione o integrità; obbligo di dover sostenere le spese necessarie per la sua conservazione estensibile oltrechè alla manutenzione anche alla protezione e al restauro; obbligo di dover sottoporre alla competente sopraintendenza i progetti di opere di qualunque genere che il proprietario (o chi per lui) intenda eseguire ai fini di ottenere la preventiva approvazione ... impossibilità di poter compiere qualsiasi atto, a titolo oneroso o gratuito, che ne trasmetta in tutto o in parte la proprietà o la detenzione senza denunziarlo al Ministero menzionato; obbligo di soggiacere, oltrechè alla possibilità di espropriazione per pubblica utilità connessa all’esigenza di conservazione dell’immobile, al diritto di prelazione da parte della pubblica Amministrazione in caso di alienazione; obbligo di soggiacere eventualmente anche all’obbligo di ammettere il pubblico a visitare per scopi culturali l’immobile secondo determinate modalità (obbligo senza corrispettivo).
(14) In questo senso la Comm. trib. prov. di Padova n. 50/01/2011 stabilì: «... appare logico, a giudizio della Commissione, che stante la spettanza delle agevolazioni per l’imposta di registro, appare contrario alla ratio legis che non lo fosse anche per quelle ipocatastali, stante la naturale e stretta correlazione con quelle di registro».
(15) In questo senso sia consentito: A. BULLO, «Immobili di interesse storico artistico: la risoluzione n. 47/E del 15 febbraio 2008 e altre considerazioni in tema di imposte d’atto», in Contabilità finanza & controllo, maggio 2008; A BULLO, «Imposte ipo-catastali. Trasferimento di immobili di interesse storico artistico evoluzione della giurisprudenza», in La settimana fiscale, 2011, 30, p. 43 e ss.; A. BULLO, «Le imposte ipotecarie e catastali nelle compravendite di immobili notificati», in Il Fisco, 2006, 16, p. 2417. G. CIRIOTTO - A. BULLO, «Le imposte ipotecaria e catastale nei trasferimenti a titolo oneroso di immobili di interesse storico artistico si debbono applicare in misura fissa o proporzionale?», in Il Fisco, 2007, n. 7, p. 971 e ss.
(16) Comm. trib. prov. Caltanissetta, 27 giugno 2006, n. 75 in massima: «La tassazione agevolata ai sensi dell’art. 11, comma 2, della legge 30 dicembre 1991 n. 413 è applicabile “in ogni caso” agli immobili di interesse sia storico che artistico comunque iscritti in catasto ed a prescindere dal fatto che siano stati destinati ad uso abitativo o locati e sfruttati ad uso commerciale. Tale agevolazione va riconosciuta sia che il vincolo gravi sull’intero immobile che su parte di esso, in considerazione ed a compensazione dei vincoli ed obblighi gravanti su detti beni quale riflesso della tutela costituzionale garantita ad essi in forza dell’art. 9, secondo comma, della Costituzione. (Vedi: sentenza Corte Cost., 28 novembre 2003, n. 346 e sentenze Corte Cass., sez. trib., 23 maggio 2005, n. 10860; 23 dicembre 2005, n. 28759)».
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