Beni culturali e normativa edilizia
Beni culturali e normativa edilizia
di Giovanni Rizzi
Notaio in Vicenza

I rapporti tra disciplina edilizia e disciplina dei beni culturali

Premessa

La vigente disciplina dell’attività edilizia trova la sua fonte nel testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia di cui al D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 (di seguito “T.U. D.P.R. 380/2001”) entrato in vigore il 30 giugno 2003 (e più precisamente nella parte I del suddetto testo unico per l’appunto rubricata “Attività edilizia” comprendente gli articoli da 1 a 51).

Il T.U. D.P.R. 380/2001, successivamente alla sua entrata in vigore, ha subito più di una modifica(1).

Attualmente la disciplina dell’attività edilizia può essere così ricostruita:

- attività edilizia totalmente libera: si tratta degli interventi edilizi per i quali non è richiesto alcun titolo abilitativo né è prevista alcuna specifica comunicazione; la relativa disciplina è dettata dall’art. 6, comma 1, T.U. D.P.R. 380/2001;

- attività edilizia libera previa comunicazione inizio lavori: si tratta degli interventi edilizi eseguibili senza alcun titolo abilitativo ma previa comunicazione al Comune dell’inizio lavori; la relativa disciplina è dettata dall’art. 6, commi 2, 3, 4, T.U. D.P.R. 380/2001;

- attività edilizia soggetta a permesso di costruire: si tratta degli interventi edilizi puntualmente indicati all’art. 10 T.U. D.P.R. 380/2001 (interventi di nuova costruzione, di ristrutturazione urbanistica e di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino aumento di unità immobiliari, modifiche del volume, della sagoma, dei prospetti o delle superfici o, limitatamente alle zone A, mutamento di destinazione d’uso); la relativa disciplina è dettata dagli articoli da 10 a 21 del T.U. D.P.R. 380/2001;

- attività edilizia soggetta a super-Dia: si tratta degli interventi edilizi per i quali, in base alla normativa statale o regionale, si può ricorrere alla Dia in via alternativa o sostitutiva rispetto al permesso di costruire (quali ad esempio gli interventi di cui all’art. 22, comma 3, T.U. D.P.R. 380/2001); la relativa disciplina è dettata dagli artt. 22 e 23 del T.U. D.P.R. 380/2001 nonché dall’art. 5, comma 2, lett. c, D.l.70/2011;

- attività edilizia soggetta a Scia: si tratta di tutti i restanti interventi edilizi non rientranti tra quelli di attività edilizia totalmente libera, di attività edilizia libera previa comunicazione inizio lavori, di attività edilizia soggetta a permesso di costruire, di attività edilizia soggetta a super-Dia; la relativa disciplina è dettata dagli artt. 22 e 23 del T.U. D.P.R. 380/2001 nonché dall’art. 5, comma 2, lett. b e lett. c, D.l. 70/2011.

A sua volta, la vigente disciplina dei beni culturali trova la sua fonte nel “codice dei beni culturali e del paesaggio” di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (di seguito “codice beni culturali”) entrato in vigore il 1 maggio 2004 (decreto che ha abrogato il precedente decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490 che a sua volta aveva abrogato la legge 1 giugno 1939 n. 1089).

Per quanto riguarda i rapporti tra la disciplina dell’attività edilizia e la disciplina dei beni culturali, la norma di riferimento è l’art. 1, comma 2, T.U. D.P.R. 380/2001, il quale stabilisce che «restano ferme le disposizioni in materia di tutela dei beni culturali ... contenute nel D.lgs. 490/1999 (all’epoca in vigore e successivamente sostituito dal D.lgs. 42/2004)».

In pratica, nel caso di interventi materiali e/o strutturali su beni culturali si ha una sovrapposizione di discipline:

- la disciplina dettata dal T.U. D.P.R. 380/2001, volta ad assicurare il rispetto delle prescrizioni di carattere urbanistico (per un ordinato sviluppo edificatorio del territorio) mediante il controllo della conformità dell’attività edilizia, che in concreto si intende svolgere, alle leggi ed agli strumenti urbanistici vigenti;

- la disciplina dettata dal “codice beni culturali”, volta ad assicurare il rispetto delle prescrizioni poste a tutela dei beni culturali ossia dei beni immobili che presentano un interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico (in conformità al disposto dell’art. 9 della Costituzione).

I beni culturali e l’autorizzazione del soprintendente

Il “codice beni culturali” stabilisce che:

- i beni culturali non possono essere distrutti, deteriorati, danneggiati o adibiti ad usi incompatibili al loro carattere storico ed artistico (art. 20, comma 1); la rimozione o la demolizione, anche con successiva ricostituzione dei beni culturali è subordinata ad autorizzazione del Ministero per i beni e le attività culturali (art. 21, comma 1);

- l’esecuzione di opere e lavori di qualunque genere su beni culturali è subordinata ad autorizzazione del soprintendente; il mutamento di destinazione d’uso deve essere comunicata al soprintendente (art. 21 comma 4);

- l’autorizzazione è resa su progetto o descrizione tecnica dell’intervento e può contenere prescrizioni; se i lavori non iniziano entro 5 anni il soprintendente può dettare prescrizioni ovvero integrare o variare quelle già date in relazione al mutare delle tecniche di conservazione (art. 21 comma 5).

Particolare importanza, ai fini dell’armonizzazione della disciplina in materia edilizia con quella in materia di tutela dei beni culturali, assume, pertanto, l’autorizzazione del soprintendente di cui all’art. 21 comma 4, codice beni culturali.

Il procedimento per il rilascio di detta autorizzazione è disciplinato dall’art. 22 del codice beni culturali che prevede quanto segue:

i) l’autorizzazione deve essere rilasciata entro il termine di 120 giorni (art. 22 comma 1);

ii) il termine è sospeso nel caso il cui la soprintendenza:

- richieda chiarimenti o elementi integrativi (art. 22 comma 2);

- ritenga necessari accertamenti di natura tecnica (art. 22, comma 3);

iii) decorso il termine di cui sub i), l’interessato può diffidare la Amministrazione a provvedervi entro i successivi 30 gg. (art. 22 comma 4); in caso di inerzia l’interessato potrà ricorrere al Tar il quale a sua volta potrà eventualmente nominare un commissario ad acta (art. 117, D.lgs. 2 luglio 2010, n. 104);

iv) se si ricorre alla conferenza di servizi, l’assenso espresso dall’organo del Ministero, con dichiarazione acquisita a verbale, contenente le eventuali prescrizioni sul progetto, sostituisce l’autorizzazione (art. 21 comma 5).

Il vincolo indiretto

L’art. 45 del codice beni culturali stabilisce che «il Ministero ha facoltà di prescrivere le distanze, le misure e le altre norme dirette ad evitare che sia messa in pericolo l’integrità dei beni culturali immobili, ne sia danneggiata la prospettiva o la luce o ne siano alterate le condizioni di ambiente e di decoro».

Il bene assoggettato a vincolo indiretto per avvantaggiare un bene culturale che sta nelle vicinanze non è mai per se stesso bene culturale e, pertanto, esso non è assoggettato, ove alienato a terzi, né ad autorizzazione preventiva, né a denuncia ai fini della prelazione artistica. Il vincolo, pertanto, non riguarda mai aspetti negoziali, ma soltanto aspetti di ordine edilizio che siano suscettibili di danneggiare il bene culturale ubicato nelle vicinanze.

Le sanzioni

Sanzioni amministrative: l’art. 160 del “codice beni culturali” prevede, nel caso di violazione delle prescrizioni poste a tutela del beni culturali, l’obbligo di reintegrazione. In particolare detta norma così dispone:

- se per effetto della violazione degli obblighi di protezione e conservazione stabiliti a tutela del bene culturale lo stessa subisca un danno, il Ministero per i beni e le attività culturali ordina al responsabile della violazione l’esecuzione, a sue spese, delle opere necessarie alla reintegrazione e quindi alla rimessa in pristino;

- se le opere di rispristino hanno rilievo urbanistico-edilizio, l’avvio del procedimento e il provvedimento finale sono comunicati anche al comune interessato;

- in caso di inottemperanza all’ordine di reintegro, il Ministero per i beni e le attività culturali provvederà all’esecuzione delle opere necessarie d’ufficio, a spese, peraltro, dell’obbligato. Al recupero delle somme relative si provvede nelle forme previste dalla normativa in materia di riscossione coattiva delle entrate patrimoniali dello Stato;

- quando la reintegrazione non sia possibile, il responsabile della violazione è tenuto a corrispondere allo Stato una somma pari al valore del bene perduto o alla diminuzione di valore subita dal bene suddetto.

Sanzioni penali: è punito con l’arresto da 6 mesi ad 1 anno e con l’ammenda da € 775,00 ad € 38.734,50:

- chiunque senza autorizzazione demolisce, rimuove, modifica, restaura ovvero esegue opere di qualsiasi genere su beni culturali (art. 169 “codice beni culturali”);

- chiunque destina i beni culturali ad uso incompatibile con il loro carattere storico o artistico o pregiudizievole alla loro conservazione (art. 170 “codice beni culturali”);

- chiunque non osservi le prescrizioni poste con il cd. “vincolo indiretto” (art. 172 “codice beni culturali”).

Misure cautelari e preventive: Il soprintendente può ordinare la sospensione di interventi iniziati senza autorizzazione o condotti in difformità dall’autorizzazione (art. 28 “codice beni culturali”).

Gli interventi edilizi e le prescrizioni per i beni culturali (la disciplina del T.U. in presenza di beni culturali)

L’attività edilizia libera

L’art. 5 L. 22 maggio 2010, n. 73 di conversione del D.l. 25 marzo 2010, n. 40 ha riscritto l’art. 6 del T.U. D.P.R. 380/2001, portante la disciplina dell’ “Attività edilizia libera”, ossia degli interventi edilizi eseguibili senza alcun titolo abilitativo, distinguendo peraltro tra attività totalmente libere ed attività soggette a preventiva comunicazione di inizio lavori.

Anche per attività di “edilizia libera”, ai fini della normativa del T.U. D.P.R. 380/2001, rimane, peraltro, l’obbligo di rispettare le specifiche prescrizioni dettate dal “codice beni culturali” a tutela dei beni culturali. Se per tali interventi, il legislatore ha ritenuto di escludere la necessità di preventivi controlli da parte della P.A., per quanto riguarda gli aspetti urbanistico/edilizi, cionondimeno, se gli stessi interventi riguardano beni culturali, ha ritenuto non derogabile la specifica disciplina dettata per la tutela di detti beni.

La norma in questione, infatti, stabilisce che debbano comunque essere rispettate oltre che:

- le eventuali diverse prescrizioni degli strumenti urbanistici comunali (conseguentemente se gli strumenti urbanistici comunali prescrivono eventuali diverse norme più restrittive in ordine ai presupposti ed ai titoli abilitativi per poter eseguire taluno degli interventi in oggetto, dovranno trovare applicazione dette norme, che prevarranno, pertanto, sulla normativa statale);

- le altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell’attività edilizia e, in particolare, le norme antisismiche, di sicurezza, antincendio, igienico-sanitarie, quelle relative all’efficienza energetica (si tratta per lo più di normative poste a tutela di interessi pubblici, che debbono trovare sempre e comunque applicazione, a prescindere dalla circostanza che per un determinato intervento edilizio sia o meno richiesto il titolo abilitativo);

- anche, in caso di interventi su beni culturali o di valore paesaggistico, le disposizioni contenute nel codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al D.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42; pertanto, in questo caso, l’esecuzione dell’intervento edilizio, anche se non necessita del titolo edilizio abilitativo, dovrà essere autorizzato dall’autorità competente alla tutela del vincolo medesimo a sensi degli artt. 21 e ss. (vincolo culturale) e 146 e ss. (vincolo paesaggistico) del D.lgs. n. 42/2004.

Come sopra detto l’art. 6 del T.U. D.P.R. 380/2001, nel suo nuovo testo così come modificato dalla L. 22 maggio 2010, n. 73, distingue tra le attività totalmente libere ed le attività libere previa comunicazione di inizio lavori.

L’attività edilizia totalmente libera trova la sua disciplina nell’art. 6, comma 1, del T.U. D.P.R. 380/2001 (nuovo testo) e riguarda i seguenti interventi:

a) gli interventi di manutenzione ordinaria(2);

b) gli interventi volti all’eliminazione di barriere architettoniche che non comportino la realizzazione di rampe o di ascensori esterni, ovvero di manufatti che alterino la sagoma dell’edificio;

c) le opere temporanee per attività di ricerca nel sottosuolo che abbiano carattere geognostico, ad esclusione di attività di ricerca di idrocarburi, e che siano eseguite in aree esterne al centro edificato;

d) i movimenti di terra strettamente pertinenti all’esercizio dell’attività agricola e le pratiche agro- silvo-pastorali, compresi gli interventi su impianti idraulici agrari;

e) le serre mobili stagionali, sprovviste di strutture in muratura, funzionali allo svolgimento dell’attività agricola.

Tali interventi, dunque, non necessitano di alcun titolo edilizio autorizzativo né necessitano di alcuna comunicazione preventiva al Comune, tuttavia se riguardano beni culturali necessitano, comunque ed in ogni caso, della preventiva autorizzazione del soprintendente.

L’attività edilizia libera previa comunicazione inizio lavori trova la sua disciplina nell’art. 6, comma 2, comma 3 e comma 4, del T.U. D.P.R. 380/2001 (nuovo testo) e riguarda i seguenti interventi:

a) gli interventi di manutenzione straordinaria(3) ivi compresa l’apertura di porte interne o lo spostamento di pareti interne, sempre che non riguardino le parti strutturali dell’edificio, non comportino aumento del numero delle unità immobiliari e non implichino incremento dei parametri urbanistici;

b) le opere dirette a soddisfare obiettive esigenze contingenti e temporanee e ad essere immediatamente rimosse al cessare della necessità e, comunque, entro un termine non superiore a novanta giorni;

c) le opere di pavimentazione e di finitura di spazi esterni, anche per aree di sosta, che siano contenute entro l’indice di permeabilità, ove stabilito dallo strumento urbanistico comunale, ivi compresa la realizzazione di intercapedini interamente interrate e non accessibili, vasche di raccolta delle acque, locali tombati;

d) i pannelli solari, fotovoltaici e termici, senza serbatoio di accumulo esterno, a servizio degli edifici, da realizzare al di fuori della zona A) di cui al decreto del Ministro per i lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444;

e) le aree ludiche senza fini di lucro e gli elementi di arredo delle aree pertinenziali degli edifici.

Gli interventi edilizi sopra descritti possono essere eseguiti previa comunicazione dell’inizio dei lavori da parte dell’interessato all’amministrazione comunale. La comunicazione può essere eseguita anche in via telematica.

Alla comunicazione di inizio dei lavori vanno allegate le autorizzazioni eventualmente obbligatorie ai sensi delle normative di settore, e quindi, in caso di interventi su beni culturali, a detta comunicazione dovrà essere allegata la autorizzazione del soprintendente di cui all’art. 21 del “codice beni culturali”.

Limitatamente agli interventi di manutenzione straordinaria (ivi compresa l’apertura di porte interne o lo spostamento di pareti interne, sempre che non riguardino le parti strutturali dell’edificio, non comportino aumento del numero delle unità immobiliari e non implichino incremento dei parametri urbanistici) l’interessato, unitamente alla comunicazione di inizio dei lavori, trasmette all’amministrazione comunale:

- i dati identificativi dell’impresa alla quale intende affidare la realizzazione dei lavori;

- una relazione tecnica provvista di data certa e corredata degli opportuni elaborati progettuali, a firma di un tecnico abilitato, il quale dichiari preliminarmente di non avere rapporti di dipendenza con l’impresa né con il committente e che asseveri, sotto la propria responsabilità, che i lavori sono conformi agli strumenti urbanistici approvati e ai regolamenti edilizi vigenti e che per essi la normativa statale e regionale non prevede il rilascio di un titolo abilitativo.

Profili formali nel caso di trasferimenti immobiliari: non vi è alcun obbligo di citare gli estremi della comunicazione preventiva in eventuali atti traslativi o divisionali aventi per oggetto fabbricati che siano stati oggetto di interventi edilizi ricompresi tra quelli elencati nell’art. 6, comma 2, T.U. D.P.R. 380/2001 (nuovo testo). Infatti le menzioni prescritte a pena di nullità dall’art. 40 della L. 28 febbraio 1985, n. 47 e dall’art. 46 del T.U. D.P.R. 380/2001 riguardano i soli titoli edilizi che hanno autorizzato o la costruzione del fabbricato ovvero la sua eventuale ristrutturazione (cd. “maggiore”)(4). Non è invece obbligatoria la menzione degli estremi dei titoli abilitativi edilizi per tutti gli altri interventi sull’esistente diversi dalla “ristrutturazione maggiore” (come ad esempio gli interventi di manutenzione straordinaria o gli altri interventi riconducibili all’art. 6, comma 2, T.U. D.P.R. 380/2001 nuovo testo).

Benché non obbligatorio, può, comunque, essere opportuno, anche nei casi di cui all’art. 6, comma 2, T.U. D.P.R. 380/2001 (nuovo testo) riportare in atto gli estremi della comunicazione preventiva introdotta dalla L. n. 73/2010. Si tratterà, ovviamente, di dichiarazione facoltativa, non obbligatoria, in quanto la sua mancanza non determinerà la nullità dell’atto; si tratterà peraltro di dichiarazione quanto mai opportuna, per offrire un quadro completo della “storia urbanistico-edilizia” dell’immobile, anche al fine di garantire alla parte acquirente l’acquisizione di un edificio conforme alle disposizioni in materia urbanistica ed edilizia. Vi è, infatti, in materia anche un’esigenza di tutela della parte acquirente, circa le qualità del bene oggetto di vendita.

Appare opportuno, in quest’ottica di informativa completa dell’acquirente, nel caso di beni culturali, citare anche gli estremi dell’autorizzazione del soprintendente.

L’attività edilizia soggetta a per messo di costruire

A sensi dell’art. 10 del T.U. D.P.R. 380/2001 costituiscono interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio e sono subordinati a permesso di costruire:

- gli interventi di nuova costruzione(5);

- gli interventi di ristrutturazione urbanistica(6);

- gli interventi di ristrutturazione edilizia7 che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino aumento di unità immobiliari, modifiche del volume, della sagoma, dei prospetti o delle superfici, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d’uso.

È comunque riconosciuta la facoltà dell’interessato di chiedere il rilascio di permesso di costruire (senza obbligo del pagamento del contributo concessorio) per la realizzazione degli interventi di cui all’art. 22 comma 1 e comma 2, T.U. D.P.R. 380/2001 per i quali é prescritta la presentazione della Scia (che ha sostituita la Dia a decorrere dal 31 luglio 2010). In questo caso la violazione della disciplina urbanistico- edilizia non comporta la applicazione delle sanzioni di cui all’art. 44 del T.U. D.P.R. 380/2001 (ossia delle sanzioni penali) (art. 22, comma 7, T.U. D.P.R. 380/2001).

Il T.U. D.P.R. 380/2001, inoltre, riconosce alle Regioni la facoltà di ampliare l’ambito di applicazione del permesso di costruire; infatti le Regioni possono individuare con legge ulteriori interventi che, in relazione all’incidenza sul territorio e sul carico urbanistico, siano sottoposti al preventivo rilascio del permesso di costruire. La violazione di queste norme regionali non comporta peraltro l’applicazione delle sanzioni di cui all’articolo 44 T.U. D.P.R. 380/2001 (ossia delle sanzioni penali).

L’art. 7 del T.U. D.P.R. 380/2001 stabilisce che non si applicano le disposizioni in tema di permesso di costruire alle opere pubbliche dei comuni deliberate dal consiglio comunale, ovvero dalla giunta comunale, assistite dalla validazione del progetto, ai sensi dell’art. 47 del D.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554.

Da ricordare che, a seguito della modifica introdotta con il decreto legislativo 301/2002, è prevista in alternativa al permesso di costruire la possibilità di avvalersi della cd. super-Dia per i seguenti interventi (art. 22, comma 3, T.U. D.P.R. 380/2001):

a) gli interventi di ristrutturazione cd. “maggiore” (come definiti dall’art. 10, comma 1, lett. c, T.U. D.P.R. 380/2001)(7);

b) gli interventi di nuova costruzione o di ristrutturazione urbanistica qualora siano disciplinati da piani attuativi comunque denominati, ivi compresi gli accordi negoziali aventi valore di piano at-tuativo, che contengano precise disposizioni plano-volumetriche, tipologiche, formali e costruttive, la cui sussistenza sia stata esplicitamente dichiarata dal competente organo comunale in sede di approvazione degli stessi piani o di ricognizione di quelli vigenti;

c) gli interventi di nuova costruzione qualora siano in diretta esecuzione di strumenti urbanistici generali recanti precise disposizioni plano-volumetriche.

Si tratta pertanto di interventi che in presenza di una scelta specifica dell’interessato di ricorrere alla super-Dia possono essere sottratti al regime del permesso di costruire. Nel caso in cui, per l’effettuazione degli interventi di cui sopra, ci si intenda avvalere in luogo del permesso di costruire della super-Dia, troveranno comunque applicazione, in caso di violazioni, le sanzioni penali di cui all’art. 44 del T.U. D.P.R. 380/2001, contrariamente a quanto invece previsto per il caso in cui ci si intenda avvalere del permesso di costruire per interventi invece soggetti a Scia a sensi dell’art. 22, comma 1 e comma 2 del T.U. D.P.R. 380/2001.

Per tali interventi restano pure ferme, nonostante si opti per la super-Dia, le disposizioni in tema di requisiti formali degli atti di trasferimento previsti per gli interventi soggetti a permesso di costruire: pertanto negli atti, a pena di nullità, dovranno essere citati gli estremi della super-Dia (art. 46, comma 5-bis T.U. D.P.R. 380/2001)

Procedimento per il rilascio del permesso di costruire: il D.l. 13 maggio 2011 n. 70, convertito con legge 12 luglio 2011, n. 106, ha inciso profondamente sulla disciplina del procedimento di rilascio del permesso di costruire, introducendo il meccanismo del silenzio assenso. Tuttavia, in presenza di vincoli culturali (ovvero ambientali paesaggistici) l’operare del silenzio assenso presuppone, pur sempre, il rispetto delle prescrizioni poste dal “codice dei beni culturali”, e quindi il rilascio dell’autorizzazione del soprintendente (se, invece, non interviene la prescritta autorizzazione è previsto il formarsi del silenzio-rifiuto anziché del silenzio assenso). L’intero procedimento di rilascio del permesso di costruire può essere così ricostruito:

a) la domanda per il rilascio del permesso di costruire, sottoscritta da uno dei soggetti legittimati, va presentata allo sportello unico corredata da un’attestazione concernente il titolo di legittimazione, dagli elaborati progettuali richiesti dal regolamento edilizio, e quando ne ricorrano i presupposti, dagli altri documenti previsti dalla parte II del T.U. D.P.R. 380/2001 (ad esempio la dichiarazione di professionista abilitato di conformità degli elaborati alle disposizioni in materia di accessibilità e di superamento delle barriere architettoniche di cui all’art. 77, le specifiche relazioni tecniche previste per il caso di costruzione in zone sismiche, ecc. ecc.). La domanda potrà essere presentata anche in modalità telematica.

La domanda (in funzione proprio del meccanismo del silenzio assenso introdotto dal D.l. 70/2011) dovrà essere accompagnata da una dichiarazione del progettista abilitato che asseveri la conformità del progetto agli strumenti urbanistici approvati ed adottati, ai regolamenti edilizi vigenti, e alle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell’attività edilizia e, in particolare, alle norme antisismiche, di sicurezza, antincendio, igienico-sanitarie nel caso in cui la verifica in ordine a tale conformità non comporti valutazioni tecnico-discrezionali, alle norme relative all’efficienza energetica (in precedenza era prevista solo la possibilità di presentare in sostituzione del parere dell’Asl un’autocertificazione circa la conformità del progetto alle norme igienico-sanitarie nel caso in cui il progetto riguardasse interventi di edilizia residenziale ovvero la verifica in ordine a tale conformità non comportasse valutazioni tecnico-discrezionali).

b) Lo sportello unico comunica entro dieci giorni al richiedente il nominativo del responsabile del procedimento.

c) Entro sessanta giorni dalla presentazione della domanda, il responsabile del procedimento cura l’istruttoria e valutata la conformità del progetto alla normativa vigente, formula una proposta di provvedimento, corredata da una dettagliata relazione, con la qualificazione tecnico-giuridica dell’intervento richiesto. Detto termine può essere interrotto una sola volta dal responsabile del procedimento, entro trenta giorni dalla presentazione della domanda, esclusivamente per la motivata richiesta di documenti che integrino o completino la documentazione presentata e che non siano già nella disponibilità dell’amministrazione; in tal caso, il termine ricomincia a decorrere dalla data di ricezione della documentazione integrativa.

d) Il provvedimento finale è adottato dal dirigente o dal responsabile dell’ufficio, entro il termine di trenta giorni dalla proposta di cui sub c). Dell’avvenuto rilascio del permesso di costruire è data notizia al pubblico mediante affissione all’albo pretorio. Il termine è di quaranta giorni nel caso di comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento della domanda, ai sensi dell’art. 10-bis legge 7 agosto 1990 n. 241 (essendo riconosciuto all’istante il termine di dieci giorni per presentare proprie osservazioni).

e) I termini di cui sopra sono raddoppiati per i Comuni con più di 100.000 abitanti, nonché per i progetti particolarmente complessi secondo la motivata risoluzione del responsabile del procedimento.

f) Decorso inutilmente il termine per l’adozione del provvedimento conclusivo, ove il dirigente o il responsabile dell’ufficio non abbia opposto motivato diniego, sulla domanda di permesso di costruire si intende formato il silenzio-assenso, fatti salvi i casi in cui sussistano vincoli ambientali, paesaggistici o culturali.

Una diversa disciplina è, infatti, prevista per il caso in cui l’intervento edilizio riguardi un bene culturale (o anche un bene soggetto a vincolo paesaggistico):

- qualora l’immobile oggetto dell’intervento sia sottoposto ad un vincolo la cui tutela compete, anche in via di delega, alla stessa amministrazione comunale, il termine di cui sub d) decorre dal rilascio del relativo atto di assenso. Ove tale atto non sia favorevole, decorso il termine per l’adozione del provvedimento conclusivo, sulla domanda di permesso di costruire si intende formato il silenzio-rifiuto;

- qualora l’immobile oggetto dell’intervento sia sottoposto ad un vincolo la cui tutela non compete all’amministrazione comunale, ove il parere favorevole del soggetto preposto alla tutela non sia prodotto dall’interessato, il competente ufficio comunale acquisisce il relativo assenso mediante conferenza di servizi ai sensi della L. 241/1990. Il termine di cui sub d) decorre dall’esito della conferenza. In caso di esito non favorevole, decorso il termine per l’adozione del provvedimento conclusivo, sulla domanda di permesso di costruire si intende formato il silenzio-rifiuto.

g) Il termine per il rilascio del permesso di costruire per gli interventi soggetti a Scia per i quali, peraltro l’interessato, preferisce ricorrere al permesso di costruire, così come consentito dall’art. 22, comma 7, T.U. D.P.R. 380/2001, è di settantacinque giorni dalla data di presentazione della domanda.

h) Sono, comunque, fatte salve le disposizioni contenute nelle leggi regionali che prevedano misure di ulteriore semplificazione e ulteriori riduzioni di termini procedimentali.

La novità introdotta dal D.l. 70/2011 con riguardo al procedimento di rilascio del permesso di costruire ha un indubbio rilievo anche per l’attività notarile, stante l’obbligo, a pena di nullità di gran parte degli atti immobiliari, di indicare in atto gli estremi del permesso di costruire (art. 46 T.U. D.P.R. 380/2001). Nel caso di formazione del permesso di costruire per silenzio-assenso non vi sarà, peraltro, un titolo “formale” del quale citare in atto gli estremi identificativi (data di rilascio, numero di protocollo, ecc.). Sarà gioco forza per il notaio indicare in atto i presupposti e gli elementi costitutivi del silenzio assenso che si è formato. Così si dovrà far constare dall’atto:

- la data di presentazione della domanda di rilascio del permesso di costruire (precisando anche che detta domanda era completa di tutta la documentazione tecnica e progettuale prescritta per lo specifico intervento così come richiesta dalla vigente normativa);

- l’Ufficio Comunale cui la domanda è stata presentata;

- l’avvenuto pagamento del contributo concessorio (si rammenta al riguardo che la quota del contributo proporzionata al costo di costruzione può essere versata in corso d’opera e comunque entro i 60 gg. dalla ultimazione delle opere);

- l’avvenuto decorso dei termini previsti dalla normativa (eventuale di fonte regionale) senza che sia intervenuto il rilascio del provvedimento o il rilascio di un provvedimento espresso di diniego;

- la mancanza di richieste di integrazione della documentazione da allegare alla domanda e quindi la mancanza di cause di sospensione del decorso del termine per la presentazione della documentazione integrativa richiesta;

- in presenza di vincoli culturali (ed anche ambientali o paesaggistici) l’osservanza delle specifiche procedure e dei diversi termini previsti dalla nuova normativa in presenza di tali vincoli (e comunque la mancanza dei presupposti per il formarsi del silenzio rifiuto).

Per quanto concerne le modalità redazionali, è ragionevole pensare che tutti gli elementi sopra descritti, ossia gli elementi costitutivi del silenzio assenso, possano essere fatti risultare dall’atto nella forma della dichiarazione di parte (alienante o condividente), non essendo prescritta, in questa materia, una specifica attestazione da parte del notaio rogante. Infatti tutta la legislazione in materia urbanistica ed edilizia, per quanto attiene i requisiti formali da osservare negli atti negoziali, si fonda sulla dichiarazione di parte (in questo sia l’art. 40, comma 2, L. 47/1985 che l’art. 46, comma 1, T.U. D.P.R. 380/2001).

Il notaio, ovviamente, non sarà tenuto ad effettuare controlli sulla regolarità edlizio-urbanistica del procedimento conclusosi con il silenzio assenso, non avendone neppure la competenza; il notaio non potrà che limitarsi ad una verifica puramente formale circa la sussistenza dei presupposti del silenzio assenso ed a ricevere, per riprodurla in atto, la dichiarazione di parte.

L’attività edilizia soggetta a Scia o a super-Dia

L’art. 49,comma 4-bis, L. 30 luglio 2010, n. 122, di conversione del D.l. 31 maggio 2010, n. 78 ha sostituito il previgente testo dell’art. 19, L. 241/1990 già portante la rubrica “Dichiarazione di inizio attività” con un nuovo testo portante ora la rubrica “Segnalazione certificata di inizio attività - Scia”.

Ricordiamo che la denuncia di inizio attività in campo edilizio non trovava la sua disciplina nella disposizione “generale” dell’art. 19 L. 241/1990 (ora riscritta dall’art. 49, comma 4-bis, L. 122/2010) ma nelle disposizioni specifiche di cui agli artt. 22 e 23 T.U. D.P.R. 380/2001 (disposizioni che invece non sono state modificate dall’art. 49, comma 4-bis, L. 122/2010 sopra citato); tant’è vero che l’art. 19, L. 241/1990, nel testo previgente al suo quarto comma, faceva salve le disposizioni di legge vigenti che prevedevano termini diversi da quelli previsti nei commi precedenti per l’inizio attività e per l’adozione da parte dell’amministrazione competente di provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione dei suoi effetti.

In relazione proprio alla specificità della disciplina dettata con riguardo alle Dia in materia edilizia dal T.U. D.P.R. 380/2001, rispetto alla disciplina generale della L. 241/1990, molti Comuni, all’indomani dell’entrata in vigore della L. 122/2010 avevano sollevato più di un dubbio circa l’applicabilità della Scia in materia edilizia, ritenendo ancora applicabile l’istituto della Dia.

Sul punto si è reso necessario un ulteriore intervento legislativo: il D.l. 13 maggio 2011, n. 70 ha dettato una disposizione di carattere “interpretativo”, riguardante, fra l’altro, anche gli interventi su beni culturali, disposizione con la quale si precisa:

- che la Scia sostituisce la Dia per tutti gli interventi edilizi di cui all’art. 22, comma 1 e 2, del T.U. D.P.R. 380/2001;

- che troverà, al contrario, ancora applicazione la Dia (o meglio, utilizzando l’espressione adottata nella prassi, la super-Dia) laddove la stessa sia, in base alla normativa statale o regionale, alternativa o sostitutiva rispetto al permesso di costruire (ad esempio per gli interventi di cui all’art. 22, comma 3, T.U. D.P.R. 380/2001 o a quelli previsti dalle leggi regionali);

- che, comunque, le Regioni con propria legge possono ampliare l’ambito delle fattispecie per le quali si può ricorrere alla Dia in via alternativa o sostitutiva al permesso di costruire (fattispecie alle quali, pertanto, non si applicherà la nuova disciplina in materia di Scia);

- che nei casi in cui sussistano vincoli culturali, ambientali o paesaggistici, la Scia non sostituisce gli atti di autorizzazione o nulla osta, comunque denominati, delle amministrazioni preposte alla tutela dell’ambiente e del patrimonio culturale (in pratica con tale disposizione di carattere interpretativo si è chiarito che in ogni caso le autorizzazioni, i pareri, i nulla osta, finalizzati alla tutela di beni culturali, non possono mai essere sostituiti da una Scia).

L’ambito applicativo della Scia: gli interventi edilizi ai quali, sulla base della norma di carattere interpretativo contenuta nel D.l. 70/2011 si applica, sin dal 31 luglio 2010, data di entrata in vigore della L. 122/2010, la disciplina dettata in tema di Scia, sono quelli di cui all’art. 22, comma 1 e comma 2, T.U. D.P.R. 380/2001 (nei quali vanno ricompresi anche gli interventi indicati dall’art. 137 medesimo T.U.); in particolare la Scia riguarda i seguenti ambiti di applicazione:

A) ambito ex art. 22, comma 1, T.U. D.P.R. 380/2001.

Il ricorso alla Scia è, innanzitutto, previsto per TUTTI gli interventi che:

- non siano riconducibili all’elenco di cui all’art. 10 T.U. D.P.R. 380/2001 ossia a quegli interventi soggetti al permesso di costruire (interventi di nuova costruzione, di ristrutturazione urbanistica e di ristrutturazione edilizia che comportino aumento di unità immobiliari, modifiche del volume, della sagoma, dei prospetti o delle superfici o, limitatamente alle zone A, mutamento di destinazione d’uso);

- che non siano riconducibili all’elenco di cui all’art. 6 T.U. D.P.R. 380/2001 (nel nuovo testo così come riscritto dalla L. 73/2010 di conversione del D.L. 40/2010) ossia agli interventi ad attività “libera” per i quali non è prescritto nessun titolo abilitativo nonché agli interventi ad attività “libera” per i quali è peraltro richiesta la previa comunicazione inizio lavori;

- che siano conformi alle previsioni degli strumenti urbanistici e dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia vigente.

Pertanto saranno soggetti a Scia, a titolo esemplificativo, i seguenti interventi:

i) gli interventi di restauro e risanamento conservativo(8);

ii) i mutamenti di destinazione d’uso “funzionale”;

iii) gli interventi di manutenzione straordinaria che riguardino parti strutturali dell’edificio (e come tali non rientranti nell’ambito di applicazione dell’art. 6, comma 2, del T.U. D.P.R. 380/2001 (relativo all’attività edilizia libera previa comunicazione inizio lavori);

iv) i singoli interventi “strutturali” non costituenti un “insieme sistematico di opere” e quindi non qualificabili come “ristrutturazione edilizia”, quali ad esempio:

- il frazionamento di quella che in progetto approvato era un’unica unità in due o più distinte unità (con l’esecuzione di opere minime, esclusivamente “interne”, per ottenere la fisica separazione delle unità);

- l’accorpamento di quelle che in progetto approvato erano due o più unità in un’unica unità (con l’esecuzione di opere minime, esclusivamente “interne”, per ottenere la fusione fra le unità);

- l’ampliamento di fabbricati all’interno della sagoma esistente che non determini volumi funzionalmente autonomi;

- semplici modifiche prospettiche (ad esempio apertura o chiusura di una o più finestre, di una o più porte).

B) ambito ex art. 22, comma 2, T.U. D.P.R. 380/2001.

Il ricorso alla Scia è, inoltre, previsto per le varianti a permessi di costruire che non incidono sui parametri urbanistici e sulle volumetrie, che non modificano la destinazione d’uso e la categoria edilizia, non alterano la sagoma dell’edificio e non violano le eventuali prescrizioni contenute nel permesso di costruire.

C) ambito ex art. 137 T.U. D.P.R. 380/2001.

Sono pure soggetti a Scia (giusta quanto disposto dall’art. 9, comma 1 e comma 2, L. 24 marzo 1989, n. 122 così come modificato dall’art. 137 T.U. D.P.R. 380/2001 i seguenti interventi:

- realizzazione di parcheggi al piano terra o nel sottosuolo di fabbricati anche in deroga ai vigenti strumenti urbanistici;

- realizzazione di parcheggi ad uso esclusivo dei residenti nel sottosuolo di aree pertinenziali esterne al fabbricato purché non in contrasto con i piani urbani del traffico.

È comunque riconosciuta la facoltà dell’interessato di chiedere il rilascio del permesso di costruire (senza obbligo del pagamento del contributo concessorio) per la realizzazione degli interventi di cui all’art. 22 comma 1 e comma 2 o dell’art. 137 T.U. (D.P.R. 380/2001), per i quali è prevista la presentazione della Scia In questo caso la violazione della disciplina urbanistico-edilizia non comporta l’applicazione delle sanzioni di cui all’articolo 44 T.U. D.P.R. 380/2001 (ossia delle sanzioni penali) (in questo senso l’art. 22, comma 7, T.U. D.P.R. 380/2001).

L’ambito applicativo della super-Dia: rimangono soggetti alla disciplina della Dia (e non invece alla disciplina innovativa della Scia) tutti quegli interventi per i quali è ammesso il ricorso alla Dia medesima in alternativa ovvero in sostituzione al permesso di costruire.

Si tratta, ad esempio, degli interventi di cui all’art. 22, comma 3, T.U. D.P.R. 380/2001, ossia:

- degli interventi di ristrutturazione “maggiore” ex art. 10, comma 1, lett. c, T.U. D.P.R. 380/2001 (ossia gli interventi che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino aumento di unità immobiliari, modifiche del volume, della sagoma, dei prospetti o delle superfici, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d’uso);

- degli interventi di nuova costruzione o di ristrutturazione urbanistica qualora siano disciplinati da piani attuativi comunque denominati, ivi compresi gli accordi negoziali aventi valore di piano attuativo, che contengano precise disposizioni plano-volumetriche, tipologiche, formali e costruttive, la cui sussistenza sia stata esplicitamente dichiarata dal competente organo comunale in sede di approvazione degli stessi piani o di ricognizione di quelli vigenti;

- degli interventi di nuova costruzione qualora siano in diretta esecuzione di strumenti urbanistici generali recanti precise disposizioni plano-volumetriche.

A questi interventi, ovviamente, debbono aggiungersi tutti quegli interventi per i quali le varie leggi regionali prevedano la possibilità di ricorrere alla Dia in alternativa o in sostituzione del permesso di costruire.

La disciplina applicabile alla Scia ed alla super-Dia: il D.l. 122/2010 ha introdotto nel nostro ordinamento la Scia in sostituzione della Dia ma, come già sopra ricordato, la Dia in campo edilizio non trovava la sua disciplina nella disposizione “generale” dell’art. 19, L. 241/1990 (ora riscritta dall’art. 49, comma 4-bis, L. 122/2010) bensì nelle disposizioni specifiche di cui agli artt. 22 e 23 del T.U. D.P.R. 380/2001 (disposizioni che invece non sono state modificate dalla L. 122/2010 suddetta).

A sua volta il D.l. 70/2011, oltre alla norma di carattere interpretativo sopra ricordata (con la quale è stata confermata l’applicabilità in materia edilizia della disciplina in tema di Scia quale contenuta nel nuovo testo dell’art. 19, L. 241/1990) ha dettato anche una norma specifica dedicata ai soli casi di Scia in materia edilizia, (norma che viene a costituire il nuovo comma 6-bis del suddetto art. 19 legge 241/1990)(9); in particolare con la disposizione di nuova introduzione si prevede che nei casi di Scia in materia edilizia:

- il termine riconosciuto alla amministrazione competente per vietare la prosecuzione dell’attività segnalata, in caso di accertata carenza dei requisiti, è di trenta (anziché di sessanta) giorni;

- oltre all’applicazione delle sanzioni previste in via generale per tutte le Scia dal comma 6 dell’art. 19 L. 241/1990 di cui trattasi, trovano applicazione anche le disposizioni relative alla vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia, alle responsabilità e alle sanzioni previste dal T.U. delle leggi in materia edilizia (D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380) e dalle leggi regionali.

A questo punto appare lecito chiedersi come debbano ritenersi modificate dalle nuove disposizioni concernenti la Scia le disposizioni degli artt. 22 e 23 del T.U. D.P.R. 380/2001 che hanno per oggetto la Dia; infatti la L. 122/2010 non ha abrogato le succitate norma del T.U. D.P.R. 380/2001 ma ha determinato una “sovrapposizione” della disciplina dettata in via generale per la Scia (nuovo art. 19, L. 241/1990) rispetto alla disciplina specifica dettata con riguardo alla Dia (non solo i suddetti artt. 22 e 23 del T.U. D.P.R. 380/2001 ma anche le eventuali disposizioni dettate dalle varie leggi regionali). Tutto ciò risulta confermato dalla disposizione dell’art. 49, comma 4-ter, L. 122/2010 che così dispone: «... Le espressioni “segnalazione certificata di inizio attività” e “Scia” sostituiscono, rispettivamente, quelle di “dichiarazione di inizio attività” e “Dia” ovunque ricorrano, anche come parte di una espressione più ampia e la disciplina della Scia sostituisce direttamente, dalla data di entrata in vigore, quella della dichiarazione di inizio attività recata da ogni normativa statale e regionale».

Quali, dunque, tra le disposizioni contenute negli artt. 22 e 23 del T.U. D.P.R. 380/2001 debbono ritenersi tuttora in vigore (pur con gli opportuni adeguamenti) in quanto compatibili con la struttura della nuova figura della Scia? Quali invece debbono intendersi applicabili solo alla super-Dia ma non invece alla nuova figura della Scia?

Per alcuni aspetti la disciplina dettata per la vecchia Dia (ed oggi per la super-Dia) potrà certamente ritenersi applicabile anche alla Scia, non essendovi alcuna incompatibilità, per altri aspetti (tra i quali, in particolare, quelli concernenti i beni culturali), va esclusa qualsiasi condivisione di disciplina.

In particolare:

i) completamente differente è la disciplina applicabile alla super-Dia, rispetto a quella applicabile alla Scia, per quanto concerne l’inizio lavori:

- ai sensi del T.U. D.P.R. 380/2001 la super-Dia deve essere presentata allo sportello unico 30 giorni prima dell’effettivo inizio dei lavori. In sostanza non si può dare inizio ai lavori se non dopo il decorso di trenta giorni dalla data di presentazione della super-Dia. Tuttavia il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale, ove entro il suddetto termine di 30 giorni, riscontri l’assenza di una o più delle condizioni stabilite, deve notificare all’interessato l’ordine motivato di non effettuare il previsto intervento. È comunque salva la facoltà di ripresentare la super-Dia, con le modifiche o le integrazioni necessarie per renderla conforme alla normativa urbanistica ed edilizia;

- al contrario, ai sensi dell’art. 19, L. 241/1990, nel testo riformato, l’attività oggetto della Scia, può essere iniziata dalla data stessa della sua presentazione allo sportello unico, senza, pertanto, dover attendere il decorso di alcun termine. Tuttavia il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale, in caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti, nel termine di 30 giorni dal ricevimento della Scia, adotta motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa, salvo che, ove ciò sia possibile, l’interessato provveda a conformare alla normativa vigente detta attività ed i suoi effetti entro un termine fissato dall’amministrazione, in ogni caso non inferiore a 30 giorni. È fatto comunque salvo il potere dell’amministrazione Comunale di assumere determinazioni in via di autotutela. Decorso il termine (30 gg.) per l’adozione dei provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi, all’amministrazione è consentito intervenire solo in presenza del pericolo di un danno per il patrimonio artistico e culturale, per l’ambiente, per la salute, per la sicurezza pubblica o la difesa nazionale e previo motivato accertamento dell’impossibilità di tutelare comunque tali interessi mediante conformazione dell’attività dei privati alla normativa vigente.

ii) una compatibilità e quindi una condivisione di disciplina tra super-Dia e Scia può ravvisarsi in ordine all’efficacia del provvedimento:

- ai sensi del T.U. D.P.R. 380/2001, la super-Dia ha efficacia limitata a tre anni; i lavori non ultimati entro tale termine possono essere completati previa presentazione di una nuova super-Dia; ultimato l’intervento, l’interessato è tenuto a comunicare allo sportello unico la data di ultimazione dei lavori; a sua volta, il progettista o un tecnico abilitato rilascia un certificato di collaudo finale, con il quale deve attestare la conformità dell’opera al progetto presentato con la super-Dia;

- nessuna disposizione risulta, invece, dettata dall’art. 19, L. 241/1990, nel testo riformato, con riguardo all’efficacia della Scia (né risultava dettata dalla norma generale in materia di Dia); la disciplina “specifica” dettata in materia edilizia dal T.U. D.P.R. 380/2001 (con riguardo alla super-Dia) appare pertanto sul punto compatibile con la disciplina dettata in via generale per la Scia, per cui si ritiene che:

- anche la Scia presentata ai fini edilizi abbia efficacia limitata a tre anni dalla data della sua presentazione;

- i lavori non ultimati entro tale termine possano essere completati previa presentazione di una nuova Scia;

- l’interessato sia comunque tenuto a comunicare allo sportello unico la data di ultimazione dei lavori;

- ultimato l’intervento, il progettista o un tecnico abilitato debba rilasciare un certificato di collaudo finale, con il quale attestare la conformità dell’opera al progetto presentato con la Scia.

iii) per quanto concerne gli interventi su beni culturali, come già anticipato, le due discipline divergono in maniera netta.

- la realizzazione degli interventi soggetti a super-Dia riguardanti immobili culturali (o anche soggetti a vincoli paesaggistici), è subordinata al preventivo rilascio del parere o dell’autorizzazione richiesti dalle relative previsioni normative. A tal fine bisogna distinguere a seconda che:

* l’intervento oggetto di super-Dia sia sottoposto ad un vincolo la cui tutela compete, anche in via di delega, alla stessa amministrazione comunale; in questo caso il termine di trenta giorni per dare inizio ai lavori decorre dal rilascio del relativo atto di assenso. Ove tale atto non sia favorevole, la denuncia è priva di effetti;

** l’intervento oggetto di super-Dia sia sottoposto ad un vincolo la cui tutela non compete all’amministrazione comunale; in questo caso ove il parere favorevole del soggetto preposto alla tutela non sia stato allegato alla denuncia, il competente ufficio comunale convoca una conferenza di servizi ai sensi della L. 241/1990. Il termine di trenta giorni per dare inizio ai lavori decorre dall’esito della conferenza. In caso di esito non favorevole, la denuncia è priva di effetti;

- per quanto concerne la Scia innanzitutto c’è da rilevare che l’art. 19, comma 1, L. 241/1990 (nel suo nuovo testo) stabilisce che «ogni atto di autorizzazione, licenza, concessione non costitutiva, permesso o nulla osta comunque denominato, ... il cui rilascio dipenda esclusivamente dall’accertamento di requisiti e presupposti richiesti dalla legge o da atti amministrativi a contenuto generale, ...è sostituito da una segnalazione dell’interessato, con la sola esclusione dei casi in cui sussistano vincoli ambientali, paesaggistici o culturali ...». Pertanto sembrerebbe escluso il ricorso alla Scia per gli immobili soggetti a vincoli di tutela storico-artistica o paesaggistica ambientale (come, peraltro, previsto originariamente per la Dia con la disciplina iniziale introdotta dalla L. 23 dicembre 1996, n. 662, che escludeva in maniera tassativa la possibilità di avvalersi della Dia per interventi su immobili “vincolati”, disciplina successivamente modificata in senso più liberale dapprima dalla L. 21 dicembre 2001, n. 443, e successivamente dal T.U. D.P.R. 380/2001).

Senonché su questo punto era già, a suo tempo, intervenuto il Ministero per la semplificazione normativa, il quale con propria nota datata 16 settembre 2010 aveva sostenuto l’applicabilità della Scia in materia edilizia, precisando che l’esclusione cui si riferisce la norma in commento, con riguardo ai vincoli di tutela storico-artistica o paesaggistica ambientale, non concerne tanto il titolo edilizio bensì il parere dell’autorità preposta alla tutela dei vincoli suddetti.

Tale posizione è stata confermata anche dal D.l. 70/2011 ove all’art. 5, comma 2, lett. c, recante la disposizione di carattere interpretativo, si afferma che «nei casi in cui sussistano vincoli ambientali, paesaggistici o culturali, la Scia non sostituisce gli atti di autorizzazione o nulla osta, comunque denominati, delle amministrazioni preposte alla tutela dell’ambiente e del patrimonio culturale».

Pertanto, in virtù dell’interpretazione fornita dal Ministero, come corroborata dalla successiva norma “interpretativa” dettata dal D.l. 70/2011, si deve concludere nel senso che, fermo restando che il parere e/o nulla osta dell’ente preposto alla tutela del vincolo non potrà essere sostituito da una Scia, deve ammettersi la Scia anche per immobili soggetti a vincoli culturali (o paesaggistici), purché alla stessa sia allegato il prescritto nulla osta e/o parere favorevole.

Una volta ritenuto ammissibile il ricorso alla Scia anche per immobili culturali, va rilevato come la disciplina “specifica” dettata con riguardo alla super-Dia e di cui sopra, non possa trovare applicazione, in quanto incompatibile con la specifica disciplina dettata per la Scia, in ordine al momento dal quale si può dare inizio ai lavori.

Pertanto il parere favorevole dell’ente preposto alla tutela del vincolo deve essere già stato rilasciato nel momento in cui viene presentata la Scia e deve essere allegato alla Scia stessa, in quanto è dal momento di presentazione della Scia che l’interessato può dare inizio ai lavori. Tant’è vero che lo stesso Ministero della semplificazione normativa, nella propria nota interpretativa sopra citata, non aveva mancato di sottolineare come nel caso di specie vi fosse a carico dell’interessato «l’onere di acquisizione ed allegazione alla Scia dello specifico atto di assenso dell’ente preposto alla tutela del vincolo».

La Scia e la super-Dia e l’incidenza sulla commerciabilità dei fabbricati: per quanto riguarda l’incidenza della disciplina in materia di Scia e di super-Dia sulla commerciabilità dei fabbricati, solo per gli interventi di cui all’art. 22, comma 3, T.U. D.P.R. 380/2001 (interventi ai quali continuerà ad applicarsi la cd. super-Dia) e per gli interventi a tal fine individuati dalle leggi regionali, vi sarà l’obbligo di menzione degli estremi della Dia, a pena di nullità dell’atto traslativo o di divisione.

Tale conclusione si fonda sul disposto dell’art. 46, comma 5-bis T.U. D.P.R. 380/2001: «sono nulli e non possono essere stipulati gli atti notarili aventi per oggetto il trasferimento o la costituzione o lo scioglimento della comunione di diritti reali relativi ad edifici, sui quali siano stati eseguiti interventi edilizi mediante denuncia di inizio attività ai sensi dell’art. 22 terzo comma T.U. D.P.R. 380/2001, qualora negli stessi non siano indicati gli estremi della denuncia stessa»(10) (agli interventi di cui al terzo comma dell’art. 22 vanno equiparati, ai fini dell’applicazione della norma de quo, anche gli interventi assoggettati a super-Dia da apposita norma regionale, in virtù del disposto dell’art. 22, comma 4, T.U. D.P.R. 380/2001).

Circa gli estremi della super-Dia da dichiarare in atto vi sono posizioni contrastanti in dottrina; si va da chi ritiene sufficiente la semplice menzione degli estremi della denuncia a chi invece ritiene necessaria l’indicazione di tutti gli elementi del procedimento: a) estremi della denuncia b) estremi della relazione dettagliata dell’esperto che assevera la conformità dell’opera agli strumenti urbanistici; c) dichiarazione di parte che il Comune non ha dato risposta nei tempi previsti; riteniamo nel caso di specie sia sufficiente, per la validità dell’atto, indicare i soli gli estremi (data di presentazione e numero di protocollo se attribuito) della denuncia di inizio attività presentata al Comune; sarà, invece, opportuno (ma non necessario, ai fini della validità dell’atto) indicare, nel caso di nuova costruzione ex art. 22, comma 3, T.U. (D.P.R. 380/2001), anche gli estremi del Piano attuativo che consente l’intervento, nonché integrare tali menzioni con la dichiarazione di parte che nel caso di specie ricorrevano le condizioni di legge per avvalersi della Dia e che sono stati osservati i termini e le altre modalità procedimentali previste dalla legge; in particolare nel caso di beni culturali sarà opportuno anche dare atto dell’avvenuto rilascio della prescritta autorizzazione. Nel caso sia già stato presentato anche il certificato di collaudo sarà opportuno citarne gli estremi.

Per gli altri interventi (quelli di cui ai commi primo e secondo del suddetto art. 22 T.U. D.P.R. 380/2001), dal 31 luglio 2010 non più soggetti a Dia ma soggetti a Scia, non è prescritta alcuna menzione a pena di nullità, anche se tale menzione potrà essere quanto mai opportuna al fine di ricostruire in atto tutta la “storia urbanistico-edilizia” del fabbricato .

In relazione al “profilo formale”, si ritiene che nel caso di Scia debbano essere indicati data e numero di protocollo (se attribuito) della segnalazione presentata, con l’aggiunta, più che opportuna, della garanzia resa dall’interessato che nel caso di specie ricorrevano tutte le condizioni di legge per avvalersi della Scia (compreso il riferimento all’atto di assenso dell’ente preposto in caso di vincolo culturale ovvero paesaggistico); nel caso di Scia in sanatoria ex art. 37 T.U. D.P.R. 380/2001 il requisito formale viene rispettato con l’allegazione all’atto ovvero con l’indicazione in atto deli estremi della ricevuta di pagamento della sanzione pecuniaria.

Può essere anche opportuno, nel caso di atti aventi per oggetto immobili sui quali siano in corso interventi per i quali sia stata presentata la Scia, stipulati prima che siano decorsi i trenta giorni dalla presentazione della stessa, dare atto che le parti interessate (l’acquirente nel caso di vendita, i condividenti nel caso di divisione, ecc. ecc.) sono a conoscenza della circostanza che l’amministrazione competente, in caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti di legge, potrà vietare la prosecuzione dell’attività edilizia e ordinare la rimozione degli effetti dannosi della stessa.

Nel caso sia già stato presentato anche il certificato di collaudo sarà opportuno citarne gli estremi.

Si ribadisce che tutte le suddette indicazioni e dichiarazioni relative alla Scia nonché l’allegazione della ricevuta di pagamento nel caso di sanatoria, possono essere opportune al fine di ricostruire in atto la “storia urbanistico-edilizia” del fabbricato(11), ma non sono assolutamente prescritte a pena di nullità dell’atto. La violazione della disciplina in materia di Scia porterà all’applicazione di sanzioni amministrative ma non coinvolgerà mai la validità dell’atto traslativo o divisionale.

Quali sono le conseguenze derivanti dalla mancata acquisizione dell’autorizzazione ex codice beni culturali?

Se ad esempio il Comune rilasciasse un permesso di costruire per intervento edilizio su bene culturale, senza la preventiva acquisizione dell’autorizzazione ex art. 21 “codice dei beni culturali” (in quanto non è stata rilevata l’esistenza del vincolo stesso, costituito prima dell’entrata in vigore della legge 1089/1939, che ne ha previsto la trascrizione), il titolo così rilasciato deve ritenersi invalido o comunque valido (con conseguente applicabilità delle sole sanzioni previste dal “codice dei beni culturali” ed in primis dell’obbligo di reintegrazione di cui all’art. 160 di detto codice)?

Nel vigore della precedente disciplina edilizia prevaleva in giurisprudenza l’opinione della autonomia del procedimento relativo alla concessione edilizia rispetto a quello relativo all’autorizzazione a tutela del vincolo, per cui detta autorizzazione doveva considerarsi mero requisito di efficacia della concessione edilizia ossia condizione per dare esecuzione all’opera assentita. Con l’entrata in vigore del testo unico, invece, il permesso di costruire ha assunto il ruolo di atto finale di un unico complesso procedimento amministrativo, per cui lo stesso deve ritenersi illegittimo se ed in quanto venga rilasciato senza acquisire tutti gli atti del procedimento, necessari per una corretta valutazione di tutti gli interessi coinvolti.

Il permesso di costruire, eventualmente rilasciato senza la previa acquisizione delle prescritte autorizzazioni, dovrebbe, pertanto, essere annullato (per vizio del procedimento) con conseguente applicazione della disciplina di cui all’art. 38 T.U. D.P.R. 380/2001(12).

La sanatoria edilizia relativa a beni culturali con procedura ancora in itinere

Sanatoria in presenza di vincoli: vincoli per i quali necessita il parere

L’art. 2 comma 58 della legge 23 dicembre 1996, n. 662 richiede per la validità degli atti aventi per oggetto fabbricati, totalmente abusivi, assoggettati ai vincoli di cui all’art. 32 terzo comma legge 47/1985:

- in caso di “sanatoria in itinere” (non ancora definita neppure per silenzio assenso): «l’attestazione dell’avvenuta richiesta alle Autorità competenti dell’espressione del parere di cui all’art. 32 legge 47/1985» (art. 2 comma 58 primo periodo legge 662/1996);

- in caso di «sanatoria definita per silenzio assenso» «la dichiarazione dell’autorità preposta alla tutela dei vincoli ...», (art. 2 comma 58 secondo periodo legge 662/1996).

A sua volta il testo del terzo comma dell’art. 32 legge 47/1985 all’epoca di entrata in vigore della legge 662/1996(13) (e rimasto in vigore sino al 1 ottobre 2003) prevedeva che «il rilascio della concessione edilizia o della autorizzazione in sanatoria per opere eseguite su immobili soggetti alle legge 1° giugno 1939, n. 1089, 29 giugno 1939, n. 1497, ed al decreto-legge 27 giugno 1985, n. 312, convertito con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1985, n. 431, nonché in relazione a vincoli imposti da leggi statali e regionali, e dagli strumenti urbanistici, a tutela di interessi idrogeologici e delle falde idriche nonché dei parchi nazionali e regionali qualora istituiti prima dell’abuso, è subordinato al parere favorevole delle amministrazioni preposte alla tutela del vincolo stesso. Qualora tale parere non venga reso entro centottanta giorni dalla domanda il richiedente può impugnare il silenzio-rifiuto dell’amministrazione».

Dal combinato disposto dell’art. 2 comma 58 legge 662/1996 e dell’art. 32 comma terzo legge 47/1985 (nel testo sopra riportato) si ricavava la conclusione che la menzione prescritta dalla prima disposizione per il caso di procedura di sanatoria “in itinere” (l’attestazione dell’avvenuta richiesta alle Autorità competenti dell’espressione del parere) o di procedura definita per silenzio assenso («la dichiarazione dell’autorità preposta alla tutela dei vincoli») era obbligatoria non in presenza di qualsiasi vincolo, ma solo in presenza dei vincoli citati al terzo comma dell’art. 32 legge 47/1985 (essendo il richiamo contenuto nella prima norma limitato al solo terzo comma dell’art. 32 legge 47/1985), e più precisamente in presenza dei seguenti vincoli:

- vincolo culturale ex legge 1° giugno 1939, n. 1089 (legge successivamente abrogata dal decreto legislativo 490/1999 a sua volta abrogato dal decreto legislativo 42/2004 - codice dei beni culturali e del paesaggio, attualmente in vigore);

- vincoli ambientali ex legge 29 giugno 1939, n. 1497 ed ex decreto-legge 27 giugno 1985, n. 312, convertito con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1985, n. 431 (leggi successivamente abrogate dal decreto legislativo 490/1999 a sua volta abrogato dal decreto legislativo 42/2004 - codice dei beni culturali e del paesaggio, attualmente in vigore);

- vincoli imposti da leggi statali e regionali, e dagli strumenti urbanistici, a tutela di interessi idro-geologici e delle falde idriche nonché dei parchi nazionali e regionali qualora istituiti prima dell’abuso.

Il D.l. 269/2003 (che disciplina il terzo condono edilizio) all’art. 32 comma 43 ha “riscritto” la disposizione dell’art. 32 legge 47/1985 sopprimendo la disposizione del terzo comma. Ci si è chiesti, al riguardo, quale incidenza abbia la riscrittura dell’art. 32 legge 47/1985 sull’art. 2 comma 58 legge 662/1996.

Per quanto riguarda le domande presentate a sensi delle precedenti leggi 47/1985 e 724/1994 e che alla data del 2 ottobre 2003 non fossero ancora state definite, non vi è dubbio che alle stesse si applica la disciplina previgente (menzioni obbligatorie solo in presenza dei vincoli “maggiori” indicati dal previgente terzo comma art. 32 legge 47/1985) in quanto l’art. 32 comma 43-bis dello stesso D.l. 269/2003 stabilisce che le modifiche apportate dai commi precedenti (tra i quali pertanto anche il comma 43) alla legge 47/1985 non si applicano alle domande già presentate a sensi delle leggi 47/1985 e 724/1994.

I dubbi invece riguardano la soluzione da dare nel caso di domanda presentata a sensi del terzo condono.

Al riguardo sono state manifestate due differenti opinioni:

- c’è chi ritiene che gli unici vincoli incidenti sulla commerciabilità dei beni continuino ad essere, anche per il terzo condono, solo i vincoli di cui al terzo comma art. 32 legge 47/1985 (nel testo vigente anteriormente al 2 ottobre 2003) e ciò in quanto «il richiamo contenuto nell’art. 2 comma 58 della legge 662 non è al terzo comma dell’art. 32 vecchia versione, bensì ai vincoli ivi contenuti»(14);

- c’è invece chi ritiene che, per il terzo condono, le menzioni prescritte dall’art. 2 comma 58 legge 662/1996 siano obbligatorie in presenza di qualsiasi vincolo, in quanto con la modifica apportata all’art. 32 legge 47/1985 dal D.l. 269/2003 il legislatore ha voluto sottoporre tutti i vincoli (non preclusivi della possibilità stessa di chiedere il condono) ad una identica disciplina senza distinzioni di sorta. Pertanto, se in precedenza, le menzioni erano richieste solo per i vincoli per i quali era previsto il silenzio-rifiuto (richiamo al solo terzo e non anche al primo comma dell’art. 32 legge 47/1985), dal 2 ottobre 2003, con l’entrata in vigore del D.l. 269/2003, per tutti i vincoli non preclusivi del condono stesso è previsto il silenzio-rifiuto e pertanto sembra ragionevole ritenere equiparabili detti vincoli a quelli che in precedenza erano disciplinati dal terzo anziché dal primo comma dell’art. 32 legge 47/1985, anche ai fini del richiamo contenuto nell’art. 2 comma 58 legge 662/1996(15).

Trovare la soluzione giusta per rimediare a questo “pasticcio” legislativo, frutto del mancato coordinamento tra diverse disposizioni legislative succedutesi nel tempo, non è certo agevole: tuttavia, in mancanza di una qualsiasi circolare, nota o risoluzione ministeriale che contenga un chiarimento a livello interpretativo, riteniamo preferibile attenersi ad una “condotta” prudenziale, tenuto conto della rilevanza che la questione riveste per la validità stessa degli atti, e quindi far risultare sempre dall’atto, in presenza di vincoli non preclusivi della possibilità stessa di chiedere la sanatoria, l’attestazione dell’avvenuta richiesta all’Autorità competente dell’espressione del parere (nel caso di sanatoria in “itinere”) ovvero «la dichiarazione dell’autorità preposta alla tutela dei vincoli ...» (nel caso di sanatoria definita per silenzio-assenso).

Sanatoria “in itinere” in presenza di vincoli: l’attestazione richiesta dall’art. 2 comma 58 legge 662/1996 (primo periodo)

Con riguardo all’attestazione richiesta dall’art. 2 comma 58 primo periodo legge 662/1996 ai fini della validità degli atti aventi per oggetto fabbricati abusivi soggetti a vincoli si pongono vari problemi.

a) Innanzitutto ci si chiede a chi spetti l’onere di richiedere l’espressione del parere.

Le disposizioni relative ai primi due condoni non precisavano a chi spettasse il compito di presentare alla Autorità preposta alla tutela del vincolo la istanza per ottenere il rilascio del parere prescritto dall’art. 32 comma primo legge 47/1985.

Si è sostenuto che a tale compito fosse tenuto in primis, il Comune, data la rilevante incidenza del parere sull’intero procedimento di sanatoria; ma non si è neppure esclusa la legittimazione, nell’inerzia del Comune, dell’interessato (ossia di colui che aveva presentato l’istanza di sanatoria), e ciò soprattutto a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 2 comma 58 legge 662/1996 che subordinava la commerciabilità dei beni abusivi «all’attestazione in atto dell’avvenuta richiesta alle autorità competenti dell’espressione del parere...»(16).

Per quanto riguarda, invece, il terzo condono edilizio, l’art. 32 legge 47/1985 nel nuovo testo così come riscritto dall’art. 32 comma 43 D.l. 269/2003, prevede espressamente che a tale acquisizione debba provvedere il Comune (tramite lo sportello unico per l’edilizia introdotto dall’art. 5 T.U. in materia edilizia di cui al D.P.R. 380/2001) che a tal fine dovrà convocare apposita conferenza di servizi a sensi della legge 241/1990 (legge fondamentale in materia di procedimento amministrativo). In questo caso, il motivato dissenso espresso da una amministrazione preposta alla tutela ambientale, paesaggistico- territoriale preclude il rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria.

Non si può peraltro escludere la facoltà per l’interessato di richiedere direttamente all’Autorità preposta alla tutela del vincolo il rilascio del parere, da presentare poi al Comune ad integrazione della documentazione già prodotta, soprattutto, in caso di inerzia del Comune, se l’interessato debba procedere alla stipula di un atto di trasferimento o di divisione (come in appresso verrà precisato).

b) In secondo luogo ci si chiede in cosa consista la attestazione richiesta.

Già con riferimento ai precedenti condoni si è avuto modo di escludere che la norma richieda

«un’attestazione pubblica» ossia una dichiarazione proveniente dal notaio, con conseguente obbligo per quest’ultimo di acquisire tutta la documentazione della richiesta del parere, allo scopo «di darne pubblica attestazione nell’atto»(17).

Si ritiene pertanto sufficiente la semplice dichiarazione di parte (alienante o condividente) da cui risulti:

- l’Autorità preposta alla tutela del vincolo destinataria della richiesta;

- la data di presentazione della richiesta di espressione del parere ed il numero di protocollo (se attribuito) (in caso di presentazione diretta);

- ovvero la data di invio della lettera raccomandata con avviso di ricevimento (in caso di richiesta presentata per il tramite del servizio postale).

Non è invece necessaria, ai fini della validità dell’atto, la allegazione della richiesta del parere: ciò non esclude che si possa comunque, se lo si ritenga opportuno, allegare all’atto copia della richiesta del parere datata e protocollata dall’autorità destinataria ovvero con la ricevuta della raccomandata utilizzata per l’invio, e ciò al fine di comprovare, anche sotto il profilo documentale, l’avvenuta richiesta dell’espressione del parere(18).

c) Infine ci si chiede se alla luce della nuova disciplina introdotta dal D.l. 269/2003 sia comunque necessaria la presentazione di una autonoma richiesta di espressione del parere all’Autorità preposta o se invece, essendo ora prescritto che spetta al Comune convocare la conferenza di servizi per l’acquisizione del parere, la richiesta di parere sia implicita nella stessa domanda di sanatoria.

Riteniamo preferibile la prima soluzione. La norma in questione nel richiedere che venga attestata la presentazione di una richiesta di espressione del parere intende, nel momento stesso in cui si procede alla negoziazione del bene abusivo, che sia comunque “garantito” l’avvenuto avvio del sub-procedimento inerente l’acquisizione del parere dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo, al rilascio del quale è subordinata la definizione dell’intera procedura di sanatoria.

La norma in questione per conseguire il fine proposto pone quindi un requisito di carattere puramente formale che deve necessariamente estrinsecarsi in una apposita ed autonoma richiesta di parere. Tant’è vero che anche in occasione dei due precedenti condoni non vi era dubbio che fosse necessaria una specifica autonoma richiesta di parere anche nel caso di vincoli alla cui tutela fosse preposto lo stesso Comune, competente ad istruire la pratica di condono(19).

Pertanto, nell’inerzia del Comune che non abbia ancora acquisito il parere, convocando la conferenza di servizi o con atto proprio interno, nel caso di competenza delegata al Comune medesimo, spetterà all’interessato (avvalendosi di quella facoltà che gli deve comunque essere riconosciuta anche in occasione del terzo condono) richiedere l’espressione del parere con apposita autonoma istanza, i cui estremi dovranno essere oggetto di “attestazione” con le modalità e nei termini sopra illustrati.

Sanatoria “in itinere” in presenza di vincoli: il caso del rilascio del parere.

La disposizione dell’art. 2 comma 58 primo periodo della legge 662/1996 qui in commento, si riferisce, innanzitutto, al caso in cui sia stata presentata (da meno di 180 giorni) l’istanza di richiesta del parere, ma il parere stesso non sia ancora stato emesso dall’Autorità competente.

Ma la stessa disciplina deve ritenersi applicabile anche nel caso in cui, al momento della stipula dell’atto notarile, il parere sia già stato emesso?

E cosa succede, invece, nel caso in cui sia stato emesso un provvedimento di diniego del parere?

Ovvero siano decorsi i 180 giorni dalla richiesta, senza che sia stato emesso alcun provvedimento né positivo né negativo, con conseguente formarsi del silenzio-rifiuto a sensi dell’art. 32 primo comma legge 47/1985 (nuova versione)?

Nel caso in cui, al momento della stipula dell’atto notarile, il parere sia già stato emesso dall’Autorità a ciò preposta (ma non si sia ancora formato il silenzio-assenso disciplinato dalla disposizione del secondo periodo del comma 58 art. 2 legge 662/1996)(20) è ragionevole ritenere che in atto debbano essere menzionati (sempre su dichiarazione di parte) gli estremi del parere stesso (Autorità competente, data del provvedimento e numero di protocollo se attribuito). Infatti sarebbe ben strano che in questo caso, ci si debba limitare a indicare gli estremi dell’atto di avvio del sub-procedimento di rilascio del parere quanto si dispone dell’atto conclusivo di tale sub-procedimento. Inoltre, se non si potesse fare riferimento al parere emesso, in taluni casi il requisito formale posto dalla legge non potrebbe essere assolto: si pensi ad esempio al parere emesso, con proprio atto interno, dallo stesso Comune cui è stata presentata la istanza di sanatoria, in quanto Autorità preposta alla tutela del vincolo; in questo caso non vi è neppure stata una richiesta di parere che possa eventualmente essere citata, né potrebbe la parte interessata presentare un’autonoma istanza visto che il parere è già stato emesso.

Tuttavia è pur vero che l’obbligo, a pena di nullità dell’atto, di menzionare il parere è previsto solo dal secondo periodo e non dal primo periodo dell’art. 2 comma 58 legge 662/1996, e quindi solo nel caso in cui si sia formato il silenzio-assenso (possibile peraltro solo a partire dal 31 ottobre 2007 salva diversa disposizione della legge regionale)(21). Ne discende che, anche se il parere è stato emesso, e purché non si sia ancora formato il silenzio-assenso, se nell’atto notarile vengono menzionati i soli estremi della richiesta (in quanto presentata) l’atto deve considerarsi pur sempre valido, in quanto comunque rispettoso del requisito formale imposto dall’art. 2 comma 58 primo periodo legge 66271996 per la fattispecie della sanatoria “in itinere”.

Sanatoria “in itinere” in presenza di vincoli: il caso del diniego del parere

Cosa succede, invece, nel caso in cui sia stato emesso un provvedimento di diniego del parere?

Il diniego del parere da parte dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo, impedisce il rilascio del titolo abilitativo in sanatoria, con conseguente applicazione delle sanzioni di carattere amministrativo, penale e civile (ovvero incommerciabilità del bene) previste dalla legge, in relazione alla tipologia di abuso commesso.

Tuttavia la presenza di un abuso edilizio (in questo caso non sanabile) non determina di per sé stessa l’incommerciabilità del bene; bisogna accertare di volta in volta il tipo e la gravità dell’abuso e solo in presenza di un abuso “maggiore” (assenza di titolo edilizio abilitativo o totale difformità) si avrà l’incommerciabilità del bene, come sopra già precisato; se si tratta di un abuso “minore” (variazioni essenziali, parziale difformità ecc.) si potrà comunque stipulare un valido atto dispositivo o di divisione(22). Ovviamente in questo caso il notaio, in ossequio ai propri doveri professionali, dovrà informare le parti sulle gravi conseguenze che derivano dal fatto che l’intervento abusivo non è sanabile (conseguenze che a seconda della gravità dell’abuso possono arrivare sino all’ingiunzione della rimozione o della demolizione dell’opera abusiva ovvero limitarsi nei casi meno gravi ad una sanzione pecuniaria).

Sanatoria “in itinere” in presenza di vincoli: il caso del silenzio-rifiuto

Infine qual è la disciplina applicabile nel caso siano decorsi i 180 giorni dalla richiesta, senza che sia stato emesso alcun provvedimento né positivo né negativo, con conseguente formarsi del silenzio-rifiuto a sensi dell’art. 32 primo comma legge 47/1985 (nuova versione)?

Se il diniego espresso del parere impedisce il rilascio del titolo abilitativo in sanatoria, condannando il bene ad essere qualificato come “bene abusivo” con tutte le conseguenze, anche ai fini della commerciabilità, che ne derivano, non è chiarito dalla legge quali siano le conseguenze ai fini della commerciabilità del bene nel caso del silenzio-rifiuto, ossia della inerzia dell’Autorità competente protratta per i 180 giorni successivi alla presentazione dell’istanza.

Tale inerzia equivale ad un vero e proprio provvedimento negativo?

Preclude in via definitiva il rilascio del titolo abilitativo in sanatoria?

La questione riveste una particolare importanza con riguardo al terzo condono edilizio posto che l’art. 32 primo comma legge 47/1985, nel testo in vigore dal 2 ottobre 2003, non prevede più, come regola generale, quella del silenzio-assenso, ma prevede esclusivamente che se il parere non viene emesso dall’Autorità preposta entro 180 giorni dalla richiesta, l’interessato può impugnare il silenzio-rifiuto.

In realtà, si è avuto modo di osservare come il legislatore abbia ricollegato la preclusione del rilascio del titolo abilitativo in sanatoria alla mancanza di un provvedimento esplicito di parere favorevole ovvero in presenza di provvedimento espresso di diniego rilasciato dall’Autorità preposta alla tutela del vincolo.

Non ricollega invece la medesima conseguenza alla mancata formulazione del parere nei 180 giorni dalla richiesta: l’unica conseguenza prevista per tale fattispecie è la possibilità per l’interessato di proporre ricorso al Tar.

Si è ritenuta quindi la fattispecie in oggetto riconducibile alla categoria del cd. “silenzio inadempimento”(23) con la conseguenza che deve escludersi che il legislatore abbia attribuito all’inerzia della Autorità preposta alla tutela del vincolo, lo stesso valore di un provvedimento espresso di diniego, essendosi invece limitato a prevedere in questo caso esclusivamente la possibilità per l’interessato di agire giudizialmente, al fine di “costringere” l’autorità preposta a pronunciarsi sull’istanza di parere(24).

Ai fini della commerciabilità del bene, si può quindi fondatamente ritenere che l’inerzia dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo, che non si è pronunciata entro i 180 giorni dalla avvenuta presentazione della domanda, non abbia alcuna incidenza sulla attività negoziale, in quanto tale inerzia non preclude affatto il rilascio del titolo abilitativo in sanatoria; infatti detto parere:

- potrebbe essere rilasciato dalla stessa Autorità competente dopo il termine suddetto;

- ovvero potrebbe essere rilasciato a seguito dell’esito positivo del giudizio instaurato dall’interessato.

Tuttavia, poiché il mancato rilascio del parere, se da un lato non preclude il rilascio del titolo abilitativo in sanatoria dall’altro, peraltro, non consente di “chiudere” il procedimento, ne consegue che per l’attività negoziale dovranno osservarsi le formalità prescritte dall’art. 2 comma 58 primo periodo legge 662/1996 per tutte le ipotesi di procedura di sanatoria “in itinere”, con conseguente necessità di far risultare dagli atti dispositivi o di divisione l’attestazione dell’avvenuta richiesta all’Autorità competente dell’espressione del parere (richiesta che nel caso qui considerato risulterà essere stata presentata da oltre 180 giorni).

Sanatoria definita mediante silenzio-assenso in presenza di vincoli

L’art. 2 comma 58 secondo periodo legge 662/1996 richiede, nel caso di sanatoria definita per silenzio assenso, l’indicazione in atto della «dichiarazione dell’autorità preposta alla tutela del vincolo». La formulazione utilizzata dal legislatore non è certo felice. Cosa significa “dichiarazione dell’autorità preposta” nel contesto della norma in commento?

Innanzitutto bisogna escludere che dall’atto debba risultare una specifica dichiarazione dell’autorità preposta, che pertanto dovrebbe costituirsi in atto per rendere la dichiarazione medesima. La norma, infatti, stabilisce che essere “indicata” la dichiarazione dell’autorità preposta e non che l’autorità preposta deve rendere dichiarazione circa il vincolo esistente (come invece subito dopo viene richiesto circa l’obbligo della parte di dichiarare «che il Comune non ha provveduto ad emettere provvedimento di sanatoria nei termini …»). Con l’espressione «dichiarazione dell’Autorità preposta» il legislatore ha voluto evidentemente fare riferimento al «parere favorevole dichiarato, a seguito di esplicita richiesta o di conferenza di servizi, dall’Autorità preposta» parere che costituisce presupposto imprescindibile per il formarsi del silenzio assenzio. Come già ricordato, infatti, nel caso di opere soggette a vincoli (che comunque non rendano l’opera insuscettibile di sanatoria ai sensi dell’art. 32 comma 27 D.l. 269/2003) per la formazione del silenzio assenso è richiesto il previo rilascio del parere favorevole da parte dell’amministrazione preposta alla tutela del vincolo; fintantochè tale parere non sia stato rilasciato il silenzio assenso non può formarsi. La circolare del Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti n. 2699 del 7 dicembre 2005 al riguardo ha precisato che «... per la formazione del silenzio-assenso, nel caso di immobili soggetti a tutela, occorre il decorso del termine di ventiquattro mesi dalla data di emanazione del parere favorevole da parte dell’autorità preposta alla tutela del vincolo». Pertanto, nel frattempo, fintantochè non siano decorsi i 24 mesi (o il diverso termine previsto dalla regione) dal rilascio del parere, in caso di trasferimento dell’immobile, deve osservarsi la procedura della “sanatoria in itinere” di cui all’art. 2 comma 58 primo periodo del D.l. 269/2003.

Tra gli elementi costitutivi del silenzio assenso, pertanto, ci deve necessariamente essere anche il parere favorevole dell’autorità preposta alla tutela del vincolo. Non ci si può più accontentare della semplice “richiesta” di rilascio del parere e della relativa attestazione in atto, come previsto, nel primo periodo della norma in commento, per la sanatoria “in itinere”.

In sostanza, nel caso di silenzio assenso, in atto vanno indicati gli estremi del provvedimento (definito nella norma “dichiarazione”) rilasciato dall’Autorità competente per l’espressione del parere favorevole alla sanatoria (in mancanza del quale il titolo abilitativo in sanatoria non può essere rilasciato).

Anche in questo caso, come anche per gli altri elementi costitutivi del silenzio assenso da “indicare” in atto, si ritiene sufficiente la semplice dichiarazione di parte (alienante o condividente) da cui risulti:

- l’Autorità preposta alla tutela del vincolo che ha rilasciato il parere favorevole;

- la data di rilascio e (se attribuito) il numero di protocollo del provvedimento con il quale è stato espresso il parere favorevole alla sanatoria.

Non è invece necessaria, ai fini della validità dell’atto, la allegazione all’atto medesimo di tale provvedimento: ciò non esclude che si possa comunque, se lo si ritenga opportuno, allegare all’atto copia di tale provvedimento e ciò al fine di comprovare, anche sotto il profilo documentale, l’avvenuto rilascio del parere favorevole(25). Non è mancato, peraltro, chi ha ritenuto, invece, necessaria tale allegazione, in quanto il provvedimento di per sé, costituirebbe “la dichiarazione dell’Autorità preposta” che la norma impone debba risultare dall’atto. Riteniamo che se tale allegazione può essere quanto mai opportuna e consigliabile, per le finalità sopra evidenziate, tuttavia la mancanza della stessa non possa determinare la “nullità dell’atto” in quanto detta allegazione non è richiesta espressamente dalla norma “a pena di nullità”. E quando il legislatore richiede l’allegazione di determinati documenti a pena di nullità dell’atto lo dice espressamente (si pensi alla normativa in tema di certificato di destinazione urbanistica dall’art. 30 T.U. in materia edilizia D.P.R. 380/2001).

Sanatoria in presenza di vincoli: l’accertamento della presenza/assenza di vincoli

L’accertamento da parte del notaio, della presenza o dell’assenza, nel caso specifico, di vincoli ex art. 32 legge 47/1985, non può che fondarsi sulla dichiarazione di parte. Infatti, tutta la legislazione in materia urbanistica ed edilizia, per quanto attiene i requisiti formali da osservare negli atti negoziali, si fonda sulla dichiarazione di parte.

Ovviamente nel caso venga accertata, attraverso la dichiarazione di parte, l’esistenza di vincoli, nell’atto, a pena di nullità, dovranno essere rispettati i requisiti formali prescritti dall’art. 2 comma 58 legge 662/1996, nei termini e con le modalità sopra precisate. In caso contrario il notaio non potrà ricevere l’atto.

Nel caso invece venga accertata la assenza di vincoli, sarà quanto mai opportuno (anche se non obbligatorio a pena di nullità) riportare in atto la relativa dichiarazione di parte(26), di modo che tale circostanza venga documentata e recepita nel corpo dell’atto, stante anche la particolare rilevanza che, altrimenti, la presenza di vincoli, con l’imporre specifici adempimenti di carattere formale, comporta ai fini della validità stessa dell’atto.

Ma il notaio ha l’obbligo comunque di controllare se effettivamente nel caso di specie vi sono e meno dei vincoli ex art. 32 legge 47/1985?

A questo quesito si può, fondatamente, rispondere nel senso che il notaio non sia in alcun modo tenuto a verificare la sussistenza o meno di vincoli, e ciò per il semplice motivo che la legge non richiede un simile controllo e che comunque il notaio non sarebbe in grado di effettuarlo, non possedendo le necessarie competenze tecniche.

Il controllo cui è chiamato il notaio sarà quindi un controllo di carattere esclusivamente formale. Il notaio dovrà cioè verificare, sotto un profilo formale/documentale, che la dichiarazione di insussistenza di vincoli resa dalla parte non sia in contraddizione con altri elementi risultanti dai documenti acquisiti per la redazione dell’atto; così, ad esempio, il notaio non potrà ricevere l’atto, nonostante la dichiarazione di insussistenza resa dall’interessato qualora:

- nell’apposito riquadro della domanda di condono sia stata evidenziata l’esistenza di vincoli ex art. 32 legge 47/1985;

- se dal certificato di destinazione urbanistica, eventualmente acquisito per la stipula dell’atto, ri-sulti che la zona ove si trova anche il fabbricato oggetto di sanatoria è soggetta ad uno dei vincoli ex art. 32 legge 47/1985;

- se dalla visura effettuata presso i RR.II. l’edificio risulta assoggettato a vincolo culturale(27).

Ma oltre a questo controllo nulla di più può essere richiesto al notaio. Anche in questo caso, al notaio, pertanto, nulla potrà essere imputato qualora riporti in atto la dichiarazione di parte attestante l’assenza di vincoli (e questo è un altro valido motivo per il quale appare opportuno riportare in atto tale dichiarazione), ed una volta effettuato il controllo di carattere puramente formale di cui sopra, e ciò anche nel caso in cui la dichiarazione di parte risulti poi non corrispondente al vero.


(1) Particolarmente rilevanti sono state le modifiche apportate, da ultimo, con i seguenti provvedimenti legislativi: i) con la L. 22 maggio 2010, n. 73, di conversione del D.l. 25 marzo 2010, n. 40, che ha ampliato le fattispecie di “attività edilizia libera” già previste dall’art. 6 del T.U. D.P.R. 380/2001 distinguendo peraltro tra attività «totalmente libere» ed attività soggette a preventiva «comunicazione di inizio lavori»; ii) con la L. 30 luglio 2010, n. 122, di conversione del D.l. 31 maggio 2010, n. 78, che ha modificato la disposizione dell’art. 19 della L. 7 agosto 1990, n. 241, portante la disciplina in via generale della Dia, prevedendo in luogo della Dia suddetta un nuovo istituto: la “Segnalazione certificata di inizio attività” (meglio conosciuta con l’acronimo “Scia”); iii) con il D.l. 13 maggio 2011, n. 70, convertito con legge 12 luglio 2011, n. 106 (cd. decreto per lo sviluppo per il 2011, entrato in vigore il 14 maggio 2011 e nel testo emendato in sede di conversione in data 13 luglio 2011) che ha dettato: - una disposizione di carattere “interpretativo” (art. 5, comma 2, lett. c) con la quale si è confermato che la Scia sostituisce la Dia per tutti gli interventi edilizi di cui all’art. 22, comma 1 e comma 2, T.U. D.P.R. 380/2001, mentre troverà, al contrario, ancora applicazione la Dia (o meglio quella figura di Dia conosciuta nella prassi come “super-Dia”) ove la stessa, in base alla normativa statale o regionale, sia alternativa o sostitutiva al permesso di costruire (ad esempio per gli interventi di cui all’art. 22, comma 3, T.U. D.P.R. 380/2001); - una disposizione (art. 5, comma 2, lett. b) con la quale è stato ridotto il termine riconosciuto alla amministrazione comunale per vietare la prosecuzione dell’attività edilizia oggetto di Scia, da 60 a 30 giorni e con la quale sono state estese alla Scia in materia edilizia tutte le disposizioni relative alla vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia, alle responsabilità e alle sanzioni previste dal T.U. D.P.R. 380/2001 (artt. da 27 a 48) e dalle leggi regionali; - una disposizione (art. 5, comma 2, lett. a, punto 3) con la quale è stato introdotto il “silenzio assenso” per il rilascio del permesso di costruire, ad eccezione dei casi in cui sussistano vincoli ambientali, paesaggistici e culturali; - una disposizione (art. 5, comma 2, lett. a, punto 5) con la quale è stata introdotta una sorta di “sanatoria edilizia” ex lege per le difformità contenute entro il limite del 2% delle misure progettuali.

(2) Così definisce gli interventi di ordinaria manutenzione l’art. 3, comma 1, lett. a, T.U. D.P.R. 380/2001: «... gli interventi edilizi riguardanti le opere volte alla riparazione, rinnovamento e sostituzione delle finiture degli edifici e quelle necessarie ad integrare o mantenere in efficienza gli impianti tecnologici esistenti».

(3) Così definisce gli interventi di straordinaria manutenzione l’art. 3, comma 1, lett. b, del T.U. D.P.R. 380/2001: «... le opere e le modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché per realizzare ed integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici, sempre che non alterino i volumi e le superfici delle singole unità immobiliari e non comportino modifiche delle destinazioni di uso».

(4) Sul punto si rinvia a G. RIZZI, «Menzioni urbanistiche e validità degli atti notarili», studio n. 5389/C, in Studi e materiali, 2005, p. 46 e ss.

(5) Così definisce gli interventi di “nuova costruzione” l’art. 3, comma 1, lett. e, del T.U. D.P.R. 380/2001: «... quelli di trasformazione edilizia e urbanistica del territorio non rientranti nelle categorie definite alle lettere precedenti. Sono comunque da considerarsi tali: e.1) la costruzione di manufatti edilizi fuori terra o interrati, ovvero l’ampliamento di quelli esistenti all’esterno della sagoma esistente, fermo restando, per gli interventi pertinenziali, quanto previsto alla lettera e.6); e.2) gli interventi di urbanizzazione primaria e secondaria realizzati da soggetti diversi dal comune; e.3) la realizzazione di infrastrutture e di impianti, anche per pubblici servizi, che comporti la trasformazione in via permanente di suolo inedificato; e.4) l’installazione di torri e tralicci per impianti radio-ricetrasmittenti e di ripetitori per i servizi di telecomunicazione; e.5) l’installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, e che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee; e.6) gli interventi pertinenziali che le norme tecniche degli strumenti urbanistici, in relazione alla zonizzazione e al pregio ambientale e paesaggistico delle aree, qualifichino come interventi di nuova costruzione, ovvero che comportino la realizzazione di un volume superiore al 20% del volume dell’edificio principale; e.7) la realizzazione di depositi di merci o di materiali, la realizzazione di impianti per attività produttive all’aperto ove comportino l’esecuzione di lavori cui consegua la trasformazione permanente del suolo inedificato».

(6) Così definisce gli interventi di “ristrutturazione urbanistica” l’art. 3, comma 1, lett. f, del T.U. D.P.R. 380/2001: «... quelli rivolti a sostituire l’esistente tessuto urbanistico-edilizio con altro diverso, mediante un insieme sistematico di interventi edilizi, anche con la modificazione del disegno dei lotti, degli isolati e della rete stradale».

(7) Così dispone l’art. 10, comma 1, lett. c, del T.U. D.P.R. 380/2001, così dispone: «c) gli interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino aumento di unità immobiliari, modifiche del volume, della sagoma, dei prospetti o delle superfici, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d’uso».

(8) Così definisce gli interventi di “restauro e di risanamento conservativo” l’art. 3, comma 1, lett. c, del T.U. D.P.R. 380/2001: «gli interventi edilizi rivolti a conservare l’organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalità mediante un insieme sistematico di opere che, nel rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell’organismo stesso, ne consentano destinazioni d’uso con essi compatibili. Tali interventi comprendono il consolidamento, il ripristino e il rinnovo degli elementi costitutivi dell’edificio, l’inserimento degli elementi accessori e degli impianti richiesti dalle esigenze dell’uso, l’eliminazione degli elementi estranei all’organismo edilizio».

(9) Art. 5, comma 2, lett. b, D.l. 13 maggio 2011, n. 70: «b) Alla legge 7 agosto 1990, n. 241, sono apportate le seguenti modifiche: 1) … 2) all’articolo 19 … e dopo il comma 6 è aggiunto, in fine, il seguente comma: “6-bis. Nei casi di Scia in materia edilizia, il termine di sessanta giorni di cui al primo periodo del comma 3 è ridotto a trenta giorni. Fatta salva l’applicazione delle disposizioni di cui al comma 6, restano altresì ferme le disposizioni relative alla vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia, alle responsabilità e alle sanzioni previste dal decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, e dalle leggi regionali”».

(10) In questo G. RIZZI, op. cit., p. 46 e ss.

(11) In questo senso G. RIZZI, op. cit., p. 46 e ss.

(12) Art. 38 T.U. DPR. 380/2001: «1. In caso di annullamento del permesso di costruire, qualora non sia possibile, in base a motivata valutazione, la ri-mozione dei vizi delle procedure amministrative o la restituzione in pristino, il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale applica una sanzione pecuniaria pari al valore venale delle opere o loro parti abusivamente eseguite, valutato dall’Agenzia del territorio, anche sulla base di accordi stipulati tra quest’ultima e l’amministrazione comunale. La valutazione dell’agenzia è notificata all’interessato dal dirigente o dal responsabile dell’ufficio e diviene definitiva decorsi i termini di impugnativa. 2. L’integrale corresponsione della sanzione pecuniaria irrogata produce i medesimi effetti del permesso di costruire in sanatoria di cui all’articolo 36. 2-bis. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche agli interventi edilizi di cui all’articolo 22, comma 3, in caso di accertamento dell’inesistenza dei presupposti per la formazione del titolo».

(13) Testo introdotto dalla stessa legge 662/1996 all’art. 2 comma 44.

(14) in questo senso G. CASU, «Il terzo condono edilizio: problemi applicativi», in Notariato, 1, 2004, p. 91.

(15) in questo senso G. RIZZI, «Testo unico, nuovo condono edilizio e attività negoziale», in Quad. not., p. 137 e ss.

(16) in questo senso vedasi G. CASU - N. RAITI, «Condono edilizio e attività negoziale», in Quad. not., p. 78 e la circolare sul condono edilizio del Ministero dei lavori pubblici in data 30 luglio 1985 (n. 3357/25) (paragrafo 4.2) ove peraltro è prescritto, nel caso di richiesta da parte dell’interessato, che lo stesso alleghi il parere ottenuto o copia della istanza di parere alla domanda di sanatoria, affinchè il comune possa conoscere l’esito dell’istanza in parola. Sempre in detta cir-colare, per il caso sia il Comune a richiedere il parere, si prescrive che lo stesso sia tenuto a comunicare il parere negativo espresso o tacito all’interessato affinchè lo stesso possa esperire i rimedi giurisdizionali.

(17) in questo senso si è espressa la circolare del Consiglio Nazionale del Notariato n. 228 di prot. del 3 febbraio 1997, «Condono edilizio e commerciabilità dell’edificio abusivo dopo la legge collegata alla finanziaria 1997», in Condono edilizio - circolari, studi e riflessioni del Notariato, p. 10.

(18) Non è mancato chi ha proposto, a fini tuzioristici ed al fine di superare ogni dubbio al riguardo, di allegare all’atto copia della richiesta di parere, in quanto tale documento oltre ad essere di facile reperimento, meglio di qualsiasi altro, è idoneo ad attestare l’avvenuta richiesta del parere in oggetto. In questo senso si è espresso F. MAGLIULO, «Condono edilizio dopo la legge n. 662/1996 - Clausole notarili», in Notariato, 1997, 5, p. 448.

(19) Si ricorda che più di una legge regionale delega ai Comuni il compito di tutela dei vincoli ambientali, paesaggistici, ed idrogeologici. Ad esempio in questo senso, per la Regione Veneto, dispongono le leggi 14 settembre 1994, n. 58 e 31 ottobre 1994, n. 63.

(20) La circolare del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti n. 2699 del 7 dicembre 2005 al riguardo ha precisato che «… per la formazione del silenzio-assenso, nel caso di immobili soggetti a tutela, occorre il decorso del termine di ventiquattro mesi dalla data di emanazione del parere favorevole da parte dell’autorità preposta alla tutela del vincolo». Pertanto, nel frattempo, fintanto che non siano decorsi i 24 mesi (o il diverso termine previsto dalla regione) dal rilascio del parere, in caso di trasferimento dell’immobile, deve osservarsi la procedura della “sanatoria in itinere” di cui all’art. 2 comma 58 primo periodo del D.l. 269/2003.

(21) Vedi nota precedente.

(22) Al riguardo, per quanto riguarda la classificazione degli abusi ai fini della commerciabilità dei fabbricati, si rinvia allo G. RIZZI, «Menzioni urbanistiche...», cit.

(23) Nella categoria del silenzio inadempimento Autorevole dottrina (Sandulli) riconduce tutti quei casi nei quali la legge «si limiti a consentire agli interessati di ricorrere contro il silenzio serbato al di là del termine» senza attribuire un preciso significato all’inerzia dell’Amministrazione. In questo senso G. CASU - M. VELLETTI, «Condono edilizio e vincoli artistico-ambientali», in Condono edilizio - circolari, studi e riflessioni del Notariato, 1999, p. 307.

(24) In questo senso G. CASU - M. VELLETTI, op. cit., p. 307.

(25) Per F. MAGLIULO, op. cit., p. 445 e ss. «Stante l’imprecisa formulazione legislativa, non è chiaro se detta “dichiarazione dell’autorità preposta alla tutela dei vincoli”, che deve senza dubbio ritenersi consistere nel rilascio del parere favorevole sui vincoli di cui trattasi, vada solo menzionata, come forse appare preferibile, ovvero allegata all’atto; nel dubbio si è seguita l’interpretazione più rigorosa».

(26) In questo senso F. MAGLIULO, op. cit., p. 449.

(27) Si rammenta che, salvo diversa disposizione della legge regionale, la presenza di un vincolo culturale ex D.lgs. 42/1004, preclude la possibilità stessa di chiedere la sanatoria edilizia (ex art. 32 comma 27 D.l. 269/2003).

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