I conferimenti ed apporti di beni culturali: profili notarili
I conferimenti ed apporti di beni culturali: profili notarili
di Amedeo Venditti
Notaio in Milano
Premessa
La presente relazione riguarda l’esame dei profili di specifico interesse notarile delle operazioni aventi ad oggetto dei beni culturali nel momento in cui il diritto d’uso/godimento o la proprietà dei medesimi beni viene ad essere attribuito per conferimento ad enti giuridici, societari o meno, o fondi comuni immobiliari di investimento collettivo.
In linea di massima nel dar conto di alcune questioni relative al conferimento di beni culturali si avrà presente la situazione paradigmatica in cui destinatario dell’operazione sia una società, riservando agli enti senza scopo di lucro ed ai fondi immobiliari lo spazio necessario a segnalare le principali distinzioni e speciali previsioni.
È utile infatti osservare che l’utilizzo dell’espressione “conferimento” è adoperata principalmente in ambito societario per designare gli investimenti dei soci imputati al capitale sociale (per esempio, v. artt. 2247, 2253 e ss., 2342 e ss. c.c.), sovente in contrapposizione al termine “apporto” impiegato per designare quanto viene corrisposto a vantaggio del patrimonio sociale e non destinato direttamente del capitale (per esempio, v. art. 2346, ult. comma, c.c.). Anche se altre volte il riferimento è propriamente ai “contributi” degli associati per il fondo comune dell’associazione (art. 37 c.c.) o anche alla “dotazione” per la formazione del patrimonio della fondazione. E le parole suddette sono ancora presenti in altre situazioni, quali il contratto di associazione in partecipazione (art. 2549 c.c.) o l’atto di destinazione di beni per la realizzazione di interessi meritevoli di tutela (art. 2645-ter c.c.) o l’ingresso di un bene nel patrimonio di un fondo di investimento immobiliare (art. 37, comma 1, lett. d-bis, Tuf D.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58).
Per quanto riguarda questo lavoro, i diversi termini ricordati verranno utilizzati senza tentare di ricercare una loro distinzione applicativa o un loro minimo comune denominatore operativo, principalmente in quanto in questo momento interessano per l’effetto traslativo (o traslativo- costitutivo) che essi determinano(1). Nella loro qualifica di atti di alienazione capaci di trasferire diritti o situazioni giuridiche attive da un soggetto all’altro o anche da un patrimonio ad altro, essi vengono qui all’attenzione.
Il conferimento del diritto di uso/godimento di beni culturali:
a) profili di diritto societario
Si può iniziare la trattazione del tema dall’ipotesi in cui il contributo in natura per l’attuazione dell’oggetto sociale o associativo o per il perseguimento dello scopo del beneficiario consista nell’attribuzione del diritto di uso o godimento di un determinato bene culturale, mobile o immobile. Ciò in quanto ad esso la disciplina di settore, come vedremo, riserva una particolare previsione ed attenzione.
Il conferimento di beni in natura in godimento, in generale, può riguardare: i) diritti che vengano costituiti per l’occasione su un bene proprio del concedente stesso (cd. attribuzione a titolo originario) che possono essere di natura reale (ad es., il diritto di usufrutto), di natura personale (propriamente il diritto personale di godimento costituito per conferimento) o anche di natura amministrativa (per es., in base di pubblica concessione d’uso), ovvero - ii) il conferimento può avere ad oggetto diritti di cui il soggetto concedente sia titolare su un determinato bene culturale altrui (cd. attribuzione a titolo derivativo) e cioè diritti di godimento di natura reale (ad es. il diritto di usufrutto) o di natura personale (ad es. per il diritto del conduttore in forza di una locazione o dell’affittuario in base ad un affitto o del comodatario a seguito di un comodato, nel presupposto della trasferibilità del diritto sulla base del consenso del contraente ceduto) o anche di natura amministrativa (a seguito di pubblica concessione d’uso che lo consenta).
Il fine è quello di attribuire al destinatario dell’apporto l’utilizzo del bene culturale per un determinato periodo di tempo, con possibilità di farne proprie le utilità derivanti dall’attività di esercizio del diritto, con l’obbligo di restituzione al temine finale stabilito a chi risulterà il legittimo titolare.
Nella letteratura scientifica in tema di conferimenti a favore di società per azioni è ormai acquisito in larga parte che l’ammissibilità del conferimento in godimento (anche di natura obbligatoria), in rapporto al principio di effettività di cui all’art. 2342, deve valutarsi essenzialmente alla luce dell’attitudine di tale diritto a fuoriuscire definitivamente dal patrimonio del conferente, e dal suo potere di disposizione, e ad entrare nel patrimonio sociale(2).
In particolare, il dibattito sulla conferibilità del diritto personale di godimento a cd. carattere originario ha trovato una propria posizione nella condivisione della affermazione che la società beneficiaria sia messa effettivamente nella condizione di esercitare il relativo godimento e di ricavarne le utilità, attraverso la materiale messa a disposizione del bene, senza, tuttavia, la necessità che il conferente abbia adempiuto interamente tutte le obbligazioni accessorie scaturenti dal conferimento (che necessariamente residuano, come quelle per esempio di garanzia). D’altronde, dei specifici rischi capaci di incidere sulla conservazione del diritto di godimento oggetto del conferimento si può e deve tenerne conto nella valutazione del diritto di godimento stesso(3).
La questione non si pone, invece, negli stessi termini per il conferimento di diritti personali di godimento a cd. carattere derivativo, che quando vengono realizzati, determinano di per se stesso il distacco del valore del conferimento dal patrimonio del conferente e dal suo potere di disposizione, rimanendo gli eventuali obblighi accessori non a suo carico ma del terzo concedente contraente ceduto(4).
Ugualmente maggiori libertà si riscontrano in tema di conferimenti in società di persone, anche in relazione alla responsabilità illimitata dei soci, ed a seguito della riforma del diritto societario anche per quelli a favore di società a responsabilità limitata. L’art. 2464, secondo comma, prevedendo in generale che «possono essere conferiti tutti gli elementi dell’attivo suscettibili di valutazione economica», amplia il perimetro delle situazioni che possono essere oggetto di apporto, ricomprendendovi anche quelli di acquisizione rischiosa o incerta, in quanto suscettibili di valutazione economica pur se difficile, ma non impossibile(5).
Va segnalato che non si ritiene possibile oggetto di apporto il diritto di abitazione per essere lo stesso connaturato ad una esigenza riferibile propriamente alla persona fisica (l’art. 1022 c.c. richiama espressamente i bisogni abitativi del titolare e della sua famiglia), mentre, per quanto riguarda il diritto reale d’uso se ne riconosce l’attribuzione anche a favore di una persona giuridica, almeno limitatamente al diritto di utilizzo del bene, essendo limitato ai bisogni del titolare e della famiglia solo il diritto ai frutti (art. 1021 c.c.).
L’esatta determinazione del perimetro di quest’ultima limitazione risulta di una certa rilevanza nello stabilire la qualificazione, reale o personale, del diritto di godimento oggetto dell’apporto, in quanto una interpretazione che non consenta alla persona giuridica di ritenere per sé qualsiasi utilità derivante dalla propria attività di godimento del bene ricevuto in diritto reale d’uso, fa propendere naturalmente per la scelta del diritto di godimento di natura personale, che risulta di maggiore configurabilità nel suo contenuto.
Una particolare limitazione va segnalata sulla possibilità di apportare diritti personali di godimento immobiliari a favore di fondi immobiliari. La disciplina di settore(6)prevede infatti la possibilità di effettuare il conferimento di «beni immobili, diritti reali immobiliari, e partecipazioni in società immobiliari, parti di altri fondi immobiliari, anche esteri» (art. 4, comma 2, lett. d, D.m. 228/1999). L’espressione viene interpretata ricomprendendovi i diritti reali di godimento, rimanendone invece esclusi quelli personali di godimento, per le limitate possibilità del gestore di compiere atti di gestione produttiva di reddito e di disinvestimento che questi comportano(7).
Segue: b) Profili sulla disciplina della circolazione nel codice dei beni culturali
La disciplina della circolazione (in ambito nazionale) dei beni culturali contenuta nel codice dei beni culturali (D.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, di seguito il codice), con riguardo specifico a questi casi accomunati dall’elemento oggettivo dell’attribuzione per conferimento di un diritto di godimento su un bene culturale, va esaminata, in particolare, relativamente ai profili dell’autorizzazione (artt. 55- 58), della denuncia (art. 59) e della prelazione (artt. 60-62).
Per quanto riguarda gli atti costitutivi o traslativi di diritti reali diversi dalla proprietà, deve essere ricordata l’opinione accolta fino ad ora che non ritiene soggetti a prelazione artistica tali atti e che si basa sulla considerazione che essi, per le limitate facoltà trasferite, non consentirebbero allo Stato l’integrale acquisizione della proprietà sul bene, con ciò non assicurando l’effettivo esercizio delle finalità di tutela del bene culturale(8). Ciò vale sia per i diritti reali di godimento che di garanzia; qualche dubbio si può tuttavia prospettare per la proprietà superficiaria. Naturalmente non sono soggetti a prelazione gli apporti del diritto di godimento di natura meramente personale.
Per quanto riguarda poi l’obbligo di denuncia di cui all’art. 59 del codice, a seguito della modifica operata dal D.l. 13 maggio 2011, n. 70, convertito con modificazioni dalla L. 12 luglio 2011, n. 106(9), essa è necessaria per la cessione della mera detenzione, qualificata o meno, solo qualora abbia ad oggetto i beni mobili, mentre non è più prevista per i beni immobili.
Quindi nel caso di conferimento del solo diritto di godimento “personale” di un bene culturale immobile, non è più necessario operare la denuncia in questione. Si può ritenere, almeno in via prudenziale, invece, che il conferimento di un diritto di godimento “reale” di bene culturale immobile, resta soggetto all’obbligo della denuncia, in relazione al non chiaro dettato normativo e pur tenendo conto dell’opinione negativa in tema di operatività della prelazione.
Viceversa, ai sensi dell’art 57-bis del codice, la concessione in uso o la locazione di beni immobili pubblici è soggetta alla disciplina degli artt. 54, 55 e 56 del codice e quindi alla necessaria autorizzazione ministeriale. La stessa autorizzazione risulta necessaria anche per i negozi che trasferiscono o costituiscono diritti reali diversi dalla proprietà(10)e quindi anche all’apporto dei medesimi in enti collettivi, sia se relativi ad immobili culturali pubblici che di persone giuridiche private senza scopo di lucro.
Segue: c) La costituzione di soggetti giuridici ex art. 112, comma 5, del codice con il conferimento in uso di beni culturali pubblici. Disciplina applicabile e perimetro della for ma di gestione indiretta
L’estensione della disciplina dell’autorizzazione ministeriale sopra richiamata, assume uno specifico rilievo perché, in tema di beni culturali, la previsione proprio del “conferimento in uso” è presente nei principi di valorizzazione dei beni culturali (artt. 111 e ss.) e, in particolare, nella disciplina della funzione delle forme di gestione (dell’attività di valorizzazione) dei beni culturali, oggi sistematizzata negli artt. da 115 a 117 del codice dei beni culturali e del paesaggio.
Nella disciplina del codice sono confluite le disposizioni precedenti contenute in altre previsioni e, per quel che ci riguarda ora, principalmente, nell’art. 10 del D.lgs. 20 ottobre 1998, n. 368 (Istituzione del Ministero per i beni e le attività culturali, a norma dell’articolo 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59) che, come è noto, consentiva al Ministero dei beni culturali la costituzione di (o la partecipazione a) «associazioni, fondazioni o società»(11)e disponeva che «al patrimonio delle associazioni, delle fondazioni e delle società il ministero può partecipare anche con il conferimento in uso di beni culturali che ha in consegna. L’atto costitutivo e lo statuto delle associazioni, delle fondazioni e delle società debbono prevedere che, in caso di estinzione o di scioglimento, i beni culturali ad esse conferiti in uso dal Ministero ritornano nella disponibilità di quest’ultimo»(12).
L’attuale codice disciplina la materia, come detto, nell’ambito dell’attività di valorizzazione dei beni culturali prevedendo all’art. 112, comma 5, che «Lo Stato, per il tramite del Ministero e delle altre amministrazioni statali eventualmente competenti, le regioni e gli altri enti pubblici territoriali possono costituire, nel rispetto delle vigenti disposizioni, appositi soggetti giuridici cui affidare l’elaborazione e lo sviluppo dei piani di cui al comma 4», cioè dei piani strategici di sviluppo culturale. Nei successivi commi 7 e 8 si prevede che «Con decreto del Ministro sono definiti modalità e criteri in base ai quali il Ministero costituisce i soggetti giuridici indicati al comma 5 o vi partecipa» e «Ai soggetti di cui al comma 5 possono partecipare privati proprietari di beni culturali suscettibili di essere oggetto di valorizzazione, nonché persone giuridiche private senza fine di lucro, anche quando non dispongano di beni culturali che siano oggetto della valorizzazione, a condizione che l’intervento in tale settore di attività sia per esse previsto dalla legge o dallo statuto».
Si può osservare che la norma attuale - a differenza del precedente suddetto art. 10 del D.lgs. 20 ottobre 1998, n. 368 (ora abrogato dall’art. 6, del D.lgs. 24 marzo 2006, n. 156) - non menziona le tipologie di organizzazioni private che possono essere titolari di attività di valorizzazione, limitandosi ad un generico riferimento a “soggetti giuridici” senza altra indicazione(13).
Si è quindi sottolineato che gli operatori potranno fare riferimento alle varie tipologie normativamente previste, quali le società di capitali, anche miste, le società consortili, comitati, associazioni, fondazioni, e non, invece, i consorzi che non sono soggetti giuridici(14), né le società di persone in relazione al regime di responsabilità illimitata che ne deriverebbe per il socio pubblico(15).
Per i soggetti giuridici cui parteciperà o che costituirà il Ministero, si dovrà fare riferimento al decreto di cui all’art. 112 comma 7, che sarà quindi chiamato, tra l’altro, anche a individuare le tipologie organizzative che saranno ritenute idonee per le attività di valorizzazione dei beni culturali di propria pertinenza.
L’art. 115 del codice, dedicato alle forme di gestione dell’attività di valorizzazione, nell’ambito delle forme di gestione indiretta, prevede che i soggetti giuridici costituiti ai sensi dell’art. 112, comma 5, possono essere conferitari (in uso) dei beni ai sensi del comma 7, il quale così dispone: «Le amministrazioni possono partecipare al patrimonio dei soggetti di cui all’articolo 112, comma 5, anche con il conferimento in uso dei beni culturali che ad esse pertengono e che siano oggetto della valorizzazione. Al di fuori dell’ipotesi prevista al comma 6, gli effetti del conferimento si esauriscono, senza indennizzo, in tutti i casi di cessazione dalla partecipazione ai soggetti di cui al primo periodo o di estinzione dei medesimi. I beni conferiti in uso non sono assoggettati a garanzia patrimoniale specifica se non in ragione del loro controvalore economico».
Il successivo art. 116 prevede poi espressamente che «I beni culturali che siano stati conferiti o concessi in uso ai sensi dell’articolo 115, commi 7 e 8, restano a tutti gli effetti assoggettati al regime giuridico loro proprio».
Nell’esaminare quindi i profili notarili del conferimento in uso di beni culturali pubblici a favore dei soggetti giuridici costituiti ai sensi dell’art. 112, comma 5, occorre tenere conto, da un lato, della disciplina privatistica del tipo di soggetto giuridico in concreto scelto e, dall’altro lato, della suddetta normativa amministrativistica contenuta nel codice dei beni culturali.
Questo perché il momento della costituzione del soggetto giuridico sopradetto coinvolge necessariamente quello dell’apporto previsto per lo svolgimento dell’attività programmata dal costituendo soggetto di diritto.
Sotto quest’ultimo profilo va dapprima ricordato che, essendo oggetto del previsto conferimento il godimento di beni culturali di appartenenza pubblica, trova applicazione l’art. 53 del codice per il quale «I beni del demanio culturale non possono essere alienati, né formare oggetto di diritti a favore di terzi, se non nei limiti e con le modalità previsti dal presente codice».
Si spiega anche così la scelta del conferimento dell’uso, riaffermata nella normativa sopra vista, che non prevedendo la possibilità dell’apporto del diritto di proprietà, costituisce il punto di equilibrio tra le esigenze pubbliche di conservazione del bene e quelle di valorizzazione dei medesimi beni con il contributo di soggetti anche privati, sempre sotto la riserva dell’attività di controllo pubblico (che la esercita appunto contenendo nei limiti e con le modalità previsti dal codice la possibilità di attribuire diritti a favore di terzi sui beni culturali pubblici).
Si può osservare che i beni culturali che possono essere oggetto di conferimento dell’uso secondo la suddetta disciplina sono quelli che “pertengono” all’amministrazione pubblica. L’espressione è stata introdotta(16)in luogo della precedente “appartengono” proprio per chiarire che possono essere oggetto di valorizzazione con le forme di gestione di cui all’art. 115 del codice e quindi con il conferimento in uso di beni culturali ai soggetti giuridici di cui all’art. 112, comma 5, del codice, non solo i beni che siano di proprietà dell’amministrazione, ma anche quelli che siano nella sua disponibilità a diverso titolo. D’altra parte già il ricordato art. 10 del D.lgs. 20 ottobre 1998, n. 368 disponeva che «al patrimonio delle associazioni, delle fondazioni e delle società il ministero può partecipare anche con il conferimento in uso di beni culturali che ha in consegna».
Dunque il notaio chiamato a costituire uno dei soggetti giuridici di cui all’art. 112, comma 5, del codice al cui patrimonio le amministrazioni possono partecipare anche con il conferimento in uso dei beni culturali che ad esse pertengono e che siano oggetto di valorizzazione ai sensi dell’art. 115, comma 7, del codice, deve tenere conto (a) della disciplina propria del soggetto costituendo e (b) di quella del bene il cui uso viene conferito.
(a) Per il primo profilo si può ricordare, ad esempio, che dovendo costituire una fondazione, il relativo apporto dovrà risultare dall’apposito atto di dotazione, e entrerà nella disponibilità finale della fondazione a seguito del completamento della procedura di riconoscimento con l’iscrizione nel registro delle persone giuridiche e l’acquisizione della personalità giuridica (art. 1 D.P.R. 10 febbraio 2001, n. 361). Dovendo, invece, costituire una società di capitali, il conferimento dovrà soggiacere alla specifica disciplina dei conferimenti societari in natura di cui agli artt. 2342 e ss., 2343-ter ss. o 2465 c.c.
In effetti, occorre tenere presente che, come già anticipato, non è espressamente detto quali forme possano rivestire i soggetti giuridici di cui all’art. 112 comma 5, del codice, anzi rinviandosi ad un successivo decreto ministeriale modalità e criteri in base ai quali il Ministero costituisce o partecipa a tali soggetti (art. 112, comma 7, codice). Si dispone solo che insieme all’amministrazione possono partecipare anche (i) privati proprietari di beni culturali suscettibili di essere oggetto di valorizzazione, nonché (ii) persone giuridiche private senza fini di lucro, anche quando non dispongono di beni culturali (art. 112, comma 8 codice). Sarà, quindi, l’emanando provvedimento secondario che stabilirà se tali soggetti possono essere solo fondazioni (così come previsto dal precedente D.m. 27 novembre 2001, n. 491 emesso in attuazione all’art. 10 del D.lgs. 386/1998) e associazioni, ovvero saranno considerate anche altre forme giuridiche, non escluse le persone giuridiche con scopo di lucro.
La regolamentazione del previsto decreto ministeriale e, comunque, l’attività di predisposizione dei piani di valorizzazione dei beni culturali, che precede la determinazione di costituire i soggetti giuridici di cui all’art. 112, comma 5, del codice, dovrà trovare adeguata rappresentazione nel contenuto degli statuti dei suddetti soggetti giuridici.
Nello statuto degli enti non profit, ad esempio, oltre al contenuto obbligatorio previsto dall’art. 16 del c.c., e nell’ambito delle norme sull’ordinamento e l’amministrazione, sarà possibile rappresentare gli interessi pubblici dell’amministrazione che vi partecipa, attraverso opportune e specifiche clausole (al fine, ad esempio, di attribuire all’amministrazione la possibilità di designare gli o alcuni amministratori o di stabilire quorum rafforzati per l’adozioni di particolari delibere della gestione).
Nello statuto delle società di capitali, invece, sempre per meglio salvaguardare l’interesse pubblico dell’attività di valorizzazione dei beni conferiti in uso, si può anche pensare di attribuire, a fronte del conferimento, delle azioni di categoria speciale dotate di particolari diritti amministrativi e/o anche patrimoniali (art. 2348 c.c.), ovvero prevedere a carico dei soci diversi dell’amministrazione l’obbligo di eseguire prestazione accessorie non consistenti in denaro (art. 2345 c.c.) che siano di utilità per il conseguimento dell’oggetto sociale, ovvero ancora, per le società a responsabilità limitata, disporre l’attribuzione a singoli soci di particolari diritti riguardanti l’amministrazione della società o la distribuzione degli utili (art. 2468, comma 3, c.c.).
(b) Sul secondo profilo si è già detto che l’art. 57-bis del codice prevede al suo primo comma che «le disposizioni di cui agli articoli 54, 55 e 56 si applicano ad ogni procedura di dismissione o di valorizzazione e utilizzazione, anche a fini economici, di beni immobili pubblici di interesse culturale, prevista dalla normativa vigente e attuata, rispettivamente, mediante l’alienazione ovvero la concessione in uso o la locazione degli immobili medesimi».
Ne deriva che per l’atto costitutivo con il conferimento in uso di beni culturali pubblici si richiede la preventiva autorizzazione ministeriale(17)ed ai sensi del secondo comma dell’art. 57-bis del codice, «le prescrizioni e condizioni contenute nell’autorizzazione sono riportate nell’atto di concessione o nel contratto di locazione e sono trascritte, su richiesta del soprintendente, nei Registri immobiliari. L’inosservanza, da parte del concessionario o del locatario, delle prescrizioni e condizioni medesime, comunicata dal soprintendente alle amministrazioni cui i beni pertengono, da’ luogo, su richiesta delle stesse amministrazioni, alla revoca della concessione o alla risoluzione del contratto, senza indennizzo».
La norma prevede che sia il soprintendente a richiedere la trascrizione nei Registri immobiliari, ma se la concessione in uso è disposta con atto notarile, sarà compito del notaio procedere alla relativa formalità pubblicitaria(18).
Altro aspetto, che si intreccia con la qualificazione del diritto di uso oggetto della previsione di conferimento nell’art. 115, comma 7, del codice, riguarda il perimetro della forma di gestione indiretta dell’attività di valorizzazione. Infatti l’art. 115, comma 3, del codice prevede che la gestione indiretta sia attuata tramite concessione a terzi delle attività di valorizzazione da parte delle amministrazioni o dei soggetti giuridici costituiti ai sensi dell’art. 112, comma 5, conferitari (dell’uso) dei beni culturali da valorizzare.
Il problema è quindi quello di valutare se gli enti costituiti destinatari del diritto di uso, possano scegliere di gestire direttamente le attività di valorizzazione dei beni (in forza del diritto d’uso ricevuto), ovvero siano tenuti ad affidarle in concessione a terzi, così come solo pare prevedere l’art. 115, comma 3, del codice.
Nella letteratura si è ritenuto che la possibilità di gestione diretta non possa ritenersi esclusa, argomentando sia dalla qualificazione del diritto di uso stesso (che altrimenti sarebbe alquanto limitato nella sua configurazione, dovendo ritenersi consentita solo una gestione indiretta appunto a terzi), che dalla altrimenti non giustificata previsione del conferimento (perché sarebbe stato sufficiente assegnare ai soggetti giuridici ex art. 112, comma 5, del codice solo il compito di espletare la gara per la scelta del concessionario) e comunque dall’autonomia dei soggetti giuridici in esame, che non possono incontrare limiti nella propria attività che non siano espressamente previsti dalla legge(19).
Dalla risposta che si offre al suddetto quesito, discende anche una più specifica qualificazione della natura del diritto di uso oggetto di conferimento secondo le suddette norme.
Se la forma di gestione indiretta a terzi venga valutata come necessaria, per rispetto alla lettera della legge, l’uso in questione non può probabilmente essere il diritto reale d’uso, perché appunto delimitato nel suo perimetro operativo dal non possibile utilizzo diretto del bene, se non come esercizio del potere di disponibilità in godimento a terzi. Qualora, viceversa, si possa pervenire ad una risposta maggiormente possibilista sulla gestione diretta dell’attività di valorizzazione dei beni culturali conferiti in uso, ecco che questo diritto può anche configurarsi quale diritto reale di godimento, pur con le precisazioni contenutistiche già ricordate per i diritti reali di uso a favore di persone giuridiche.
Segue: d) Aspetti relativi alla valutazione economica
Anche il tema della indicazione nell’atto costitutivo del valore economico del diritto di uso oggetto del conferimento, si intreccia tra norme proprie degli apporti in soggetti giuridici e disciplina di settore dei beni culturali.
Sotto il primo aspetto, per inquadrare brevemente il tema, si deve ricordare che, mentre nelle società lucrative o cooperative il conferimento del socio presenta un carattere di investimento in previsione di un ritorno economico, i contributi a favore degli enti regolati dal primo libro del codice civile non partecipano del medesimo carattere, essendo esclusa di regola ogni forma di ripetizione o restituzione ai sensi degli artt. 24, ultimo comma, e 37 c.c. Ne deriva, di conseguenza, un differente ruolo dell’esigenza di valorizzare gli apporti nei diversi soggetti giuridici considerati, al momento in cui essi sono convenuti.
Così il valore dei conferimenti in una fondazione rileva principalmente per il riconoscimento della stessa quale persona giuridica e ciò perché il patrimonio deve risultare adeguato alla realizzazione dello scopo della stessa (art. 1, comma 3, D.P.R. 10 febbraio 2001, n. 361). Per questo è previsto che la consistenza del patrimonio deve essere dimostrata da idonea documentazione da allegare alla domanda di riconoscimento (art. 1, comma 4, D.P.R. 10 febbraio 2001, n. 361).
D’altra parte è noto che per conferire beni in natura in società di capitali occorre seguire determinate discipline che comunque prevedono la predisposizione di documentazione attestante il valore dei beni stessi da allegare all’atto costitutivo (relazione giurata di stima di un esperto ex artt. 2343 o 2465 c.c., valutazione di un esperto indipendente ex art. 2343-ter c.c.). A questo riguardo basta ricordare come si ritiene che «l’idoneità ad una attendibile valutazione economica, come richiesto dalla relazione di stima, consente di selezionare l’oggetto stesso dei conferimenti in natura ai sensi dell’art. 2342 c.c.»(20).
Sotto il secondo profilo, anche il codice dei beni culturali prende in considerazione questa esigenza di valorizzazione a propri fini, nel momento in cui, per esempio, all’art. 115, comma 7, ultimo periodo, prescrive che «i beni conferiti in uso non sono assoggettati a garanzia patrimoniale specifica se non in ragione del loro controvalore economico».
Ne deriva la necessità di una determinazione di questi valori, la quale dovrà tenere conto delle particolarità del suddetto diritto di uso oggetto del conferimento.
Per esempio la valorizzazione dei diritto di uso dovrà tener conto delle previsioni dell’art. 115, comma 6, ove si prescrive che «l’inadempimento(21), dal parte del concessionario, degli obblighi derivanti dalla concessione e dal contratto di servizio ... determina anche, a richiesta delle amministrazioni cui i beni pertengono, ... la cessazione, senza indennizzo, degli effetti del conferimento in uso dei beni», e di quella di cui al successivo comma 7 che dispone che «gli effetti del conferimento si esauriscono, senza indennizzo, in tutti i casi di cessazione dalla partecipazione ai soggetti di cui al primo periodo o di estinzione dei medesimi».
Quest’ultima norma tende a garantire che l’utilizzo del bene conferito torni all’amministrazione conferente, non solo nella fase finale dei soggetti giuridici per loro estinzione o scioglimento, ma anche tutte le volte che la stessa amministrazione esca dalla partecipazione all’ente costituito, per esempio, per vendita della quota della società, per recesso, ecc. Anche in queste situazioni gli effetti del conferimento si esauriscono e il bene torna in godimento del pubblico.
Si tratta, a tutta evidenza, di una statuizione in deroga alla normale disciplina dei conferimenti in godimento, per i quali la restituzione del bene è prevista alla scadenza del termine finale convenuto o alla liquidazione finale dell’ente e non già all’uscita del socio dalla compagine attuata anteriormente(22). E in deroga ancora maggiore al principio per cui gli apporti in enti del primo libro del codice civile si considerano a fondo perduto, senza diritto a rimborso in caso di recesso, come sopra accennato.
Così come, in tali particolari conferimenti d’uso, il rischio che la realizzazione del residuo godimento da parte dei soggetti giuridici destinatari dello stesso venga precluso o limitato per cause dipendenti o meno dal conferente stesso, non si risolve, come nel diritto societario(23), nel quadro delle conseguenze scaturenti dalla mancata attuazione del conferimento, ma propriamente con la normativa speciale già ricordata che all’art. 115, comma 7, ultimo periodo, prescrive che «i beni conferiti in uso non sono assoggettati a garanzia patrimoniale specifica se non in ragione del loro controvalore economico». Dove quest’ultimo riferimento evidenzia la rilevanza anche per questi termini della valutazione predisposta per l’operazione di conferimento.
Segue: e) Limitazioni della durata del diritto di godimento
Un altro tema che si pone è quello relativo alla determinazione della durata del diritto di godimento oggetto del conferimento, in quanto occorre ricordare che l’art. 979 c.c. limita a trenta anni la durata massima dell’usufrutto costituito a favore di una persona giuridica(24). L’usufrutto potrà quindi essere conferito con un termine finale non maggiore di quello previsto dalla suddetta norma di legge, e della data di scadenza si terrà conto nella sua valutazione in rapporto alle esigenze del beneficiario dell’apporto.
In modo parallelo a quanto sopra, l’art. 1573 c.c. prevede che la locazione non può stipularsi per un tempo eccedente i trenta anni. Ne deriva che anche il conferimento di un diritto di godimento di natura personale resta assoggettato alla medesima limitazione temporale massima trentennale.
La specificità dell’attribuzione del diritto di godimento, reale o personale, per conferimento in società, non pare consentire la previsione di un termine finale del diritto di godimento medesimo allineato a quello, eventualmente maggiore di trent’anni, previsto quale durata della società conferitaria, in ragione dell’interesse collettivo a non prolungare oltremodo le limitazioni alla circolazione giuridica derivanti dalla separazione tra proprietà e godimento del bene.
Queste norme di limitazione temporale sono applicabili non solo al diritto di godimento attribuito alle persone giuridiche, ma anche agli altri enti collettivi privi della personalità giuridica, come le associazioni non riconosciute, i comitati e le società di persone.
Tuttavia, occorre ricordare che partendo dall’assunto secondo cui gli edifici destinati ad un pubblico servizio fanno parte del patrimonio indisponibile dello Stato non soltanto quando l’ente sia proprietario dell’immobile, ma anche quando sia titolare di un diritto reale idoneo ad assicurarne la predetta funzione, la giurisprudenza ha considerato il limite di durata trentennale inapplicabile all’usufrutto costituito a favore di un ente pubblico su di un immobile destinato a sede di un pubblico ufficio(25), ovvero al diritto costituito a favore di enti e istituzioni del servizio sanitario nazionale sui beni destinati ad un pubblico servizio(26).
Da quanto sopra non si può quindi escludere che un eventuale conferimento d’uso di un bene culturale disposto a favore di un ente pubblico per soddisfare esigenze di interesse pubblico o di pubblico servizio possa anche essere convenuto validamente per un termine di durata ultratrentennale. Anzi la natura stessa di bene culturale ben si presta a giustificare la sua destinazione a funzione di interesse collettivo che può richiedere la costituzione di un diritto di godimento di lunga durata a favore di terzi qualificati per la sua migliore tutela e valorizzazione.
Il conferimento di beni culturali in proprietà
Lo svolgimento del tema riguardante il conferimento in natura del diritto di proprietà di beni culturali può essere iniziato richiamando le caratteristiche che l’operazione assume in relazione al soggetto destinatario dell’apporto medesimo, allo scopo di esaminare i rapporti tra la disciplina specifica dei conferimenti in un determinato ente giuridico e la normativa della circolazione dei beni culturali realizzata mediante il conferimento.
Per quanto riguarda i contributi in natura a favore del fondo comune di una associazione o gli atti di dotazione a vantaggio di una fondazione, va rimarcato che in essi è assente il momento dell’investimento di capitale proprio del conferimento societario, con la conseguenza che, pur determinando un effetto traslativo, l’apporto medesimo va ricondotto all’area dei negozi a titolo gratuito. Risulta presente comunque una esigenza di valorizzare l’apporto in natura programmato, specie in relazione alla procedura di riconoscimento quale persona giuridica dell’ente beneficiario, in quanto a tali fini si richiede che il patrimonio debba essere adeguato alla realizzazione dello scopo (art. 1, D.P.R. 10 febbraio 2001, n. 361).
Il conferimento disposto, invece, a favore di una società di capitali (o di cooperative o anche di fondi immobiliari), caratterizzato dal momento dell’investimento di capitale in previsione di un ritorno economico, e dallo scambio tra bene conferito e partecipazione sociale acquisita, richiede un esame più da vicino di alcuni aspetti della disciplina societaria per esso prevista.
Infatti, il trasferimento di un bene per conferimento, da un lato, quale atto di disposizione di diritti, partecipa comunque delle regole generali sulla circolazione dei diritti e quindi principalmente di quelle poste per la circolazione dei diritti reali che non si caratterizzano dal riferimento ad un sinallagma con un corrispettivo pecuniario e, dall’altro lato, rileva non solo come negozio di trasferimento ma anche per gli effetti che determina sull’ente societario beneficiario in relazione all’adesione al contratto sociale in sede di costituzione o di ingresso di un nuovo partecipante.
Sotto il primo aspetto, per esempio, trova applicazione anche al trasferimento per conferimento la regola del principio consensualistico di cui all’art. 1376 c.c. per cui la proprietà o il diritto si trasmettono e si acquistano per effetto del consenso delle parti legittimamente manifestato.
Per il secondo profilo il conferimento, determinando una attribuzione patrimoniale alla società in cambio dell’assegnazione di partecipazioni al capitale sociale a favore del socio conferente, richiede di essere esaminato sotto l’aspetto della formazione del capitale della società. Ciò che comporta, per quel che riguarda questo scritto, una breve indagine sulla tipologia di beni conferibili, sui tempi e modi di esecuzione del conferimento e sulla valutazione dei beni conferiti.
Si tratta cioè di rimarcare che tra le cautele poste dal legislatore a questi fini vi è quella prevista dall’art. 2342, comma 3, c.c. che prevede che le azioni emesse a fronte di conferimenti in natura devono «essere integralmente liberate al momento della sottoscrizione» - limitazione che porta a domandarsi quale sia l’area dei beni conferibili - e quella di cui all’art. 2346, comma 5, c.c. che dispone che «in nessun caso il valore dei conferimenti può essere complessivamente inferiore all’ammontare del capitale sociale» - ragion per cui la legge impone la necessità per i beni in natura da conferire di una valutazione da parte di un esperto.
Rapporti tra la disciplina dei conferimenti e quella della circolazione dei beni culturali: l’autorizzazione
Le predette regole della disciplina dei conferimenti in natura in società, e cioè quella (i) del consenso traslativo, (ii) della integrale liberazione delle azioni al momento della sottoscrizione e (iii) della necessaria valutazione, interferiscono, in modo particolare, con la normativa speciale della circolazione dei beni culturali contenuta nel codice.
Di quest’ultima, il riferimento principale è alla previsione della cd. prelazione artistica di cui agli artt. 60-62 del codice, in quanto poche questioni si possono porre in tema di autorizzazione ministeriale (artt. 55-58 del codice) e denuncia di trasferimento (art. 59 del codice), che certamente trovano applicazione anche in caso di trasferimento per conferimento della proprietà di beni culturali, sia in società che in enti giuridici del primo libro del codice.
Con riferimento alla autorizzazione per un conferimento societario, si può osservare che il punto determinante per il suo rilascio sarà quello di dimostrare che l’utilizzo che la società intende fare del bene culturale nell’ambito della propria attività economica d’impresa è compatibile con le necessarie esigenze di conservazione, di valorizzazione e fruizione pubblica del bene richieste dall’art. 55 del codice già in sede di predisposizione della domanda di autorizzazione.
Un aspetto merita tuttavia attenzione. Una volta valutata positivamente la suddetta compatibilità e quindi rilasciata la relativa autorizzazione al conferimento, l’art. 55-bis del codice prevede che «Le prescrizioni e condizioni contenute nell’autorizzazione di cui all’articolo 55 sono riportate nell’atto di alienazione, del quale costituiscono obbligazione ai sensi dell’articolo 1456 del c.c. ed oggetto di apposita clausola risolutiva espressa. Esse sono anche trascritte, su richiesta del soprintendente, nei Registri immobiliari. Il soprintendente, qualora verifichi l’inadempimento, da parte dell’acquirente, dell’obbligazione di cui al comma 1, fermo restando l’esercizio dei poteri di tutela, dà comunicazione delle accertate inadempienze alle amministrazioni alienanti ai fini della risoluzione di diritto dell’atto di alienazione»(27).
Occorre, quindi, non solo riportare nell’atto societario le suddette prescrizioni e condizioni, e farne oggetto di trascrizione, ma anche dare atto che esse sono oggetto di una specifica clausola risolutiva espressa ai sensi dell’art. 1456 c.c.
Ne deriva che delle suddette prescrizioni e condizioni si deve tener conto, non solo nella attività di valutazione per le limitazioni d’uso e godimento che esse determinano nel bene conferito, ma anche sul piano dell’attuazione del conferimento, per la particolare “precarietà” di cui viene ad essere caratterizzato.
Sotto quest’ultimo aspetto, l’interesse collettivo alla tutela e conservazione dei beni culturali permea quindi le regole societarie e attribuisce all’amministrazione la possibilità di richiedere la risoluzione del trasferimento del bene culturale per inadempimento alle stabilite prescrizioni e condizioni. Se ciò dovesse accadere, la vicenda deve quindi essere gestita nell’ambito dei rimedi applicabili alla mancata attuazione, in tutto o in parte, del conferimento, con il temperamento derivante dal fatto che la “irregolarità” del conferimento non è imputabile al conferente ma direttamente alla società conferitaria. Nel senso che le ordinarie conseguenze derivanti dalla inattuazione dei conferimenti potranno essere azionate, a tutela dell’effettività del capitale, anche per effetto dell’operatività dalla previsione della suddetta obbligatoria clausola risolutiva espressa, ma lasciando libero il conferente di accettare (o meno) la conversione dell’apporto da natura in denaro, e in quest’ultimo caso con possibilità di valutare la facoltà di compensare volontariamente il relativo debito (per conservare la partecipazione) con il credito da risarcimento del danno derivato.
Sotto questo profilo, sarebbe quindi utile che nell’atto di conferimento venga, non solo riportata la suddetta clausola risolutiva espressa obbligatoria, ma altresì disciplinate, con apposita previsione, le conseguenze derivanti sulla società come organizzazione ed a tutela dell’integrità del capitale sociale, in termini di attribuzione al socio della facoltà - e non l’obbligo - di liberare in denaro le azioni rimaste scoperte per il venir meno del conferimento, anche con modalità di estinzione del relativo debito diverse dall’adempimento, salvo lo scioglimento della società in caso di conferimento strettamente indispensabile in relazione allo scopo sociale.
Segue: La denuncia
Per quanto riguarda, invece, l’obbligo di denuncia del trasferimento per conferimento, l’unica particolarità degna di nota attiene alla necessità di osservare il disposto dell’art. 59, comma 4, lett. d, del codice che richiede nella denuncia «l’indicazione della natura e delle condizioni dell’atto di trasferimento».
Si richiede quindi di specificare, ai fini della completezza della denuncia, che il trasferimento è stato disposto per conferimento in società e di indicare il valore attribuito al bene culturale nell’atto medesimo.
Il valore attribuito al bene culturale nell’atto di conferimento è di regola quello attestato e risultante dalla relazione di stima giurata o dalla valutazione dell’esperto indipendente redatta ai fini del conferimento stesso ai sensi della normativa societaria (relazione giurata di stima di un esperto ex artt. 2343 o 2465 c.c., valutazione di un esperto indipendente ex art. 2343-ter c.c.). Tuttavia, se si considera che l’esigenza di avere una valutazione dei beni in natura oggetto di conferimento risponde a quella di rispettare il principio di effettività del capitale sociale(28), ne deriva che tale principio risulta osservato anche qualora la relazione attesti semplicemente che il valore del bene sia non inferiore al prezzo delle azioni da assegnare in cambio del conferimento stesso. Se dunque l’intento è di evitare sopravalutazioni dell’oggetto del conferimento, non può escludersi che esso risulti invece sottovalutato, quando un minor valore risulta comunque sufficiente a garantire la copertura del capitale sociale.
Tale minor valore potrebbe, tuttavia, non essere tutelante per il soggetto conferente qualora venga esercitato dall’amministrazione il diritto di prelazione.
Ne deriva che in queste situazione la posizione specifica dell’apportante trova salvaguardia o in una valutazione adeguata e corretta, in quanto indirizzata anche alla tutela di questo interesse, ovvero nel riconoscimento della possibilità di inserire nell’atto di conferimento una indicazione di valore del bene agli specifici fini dell’art. 60, comma primo, del codice, anche diversa in quanto maggiore del valore attestato nella relazione di stima.
Segue: Il diritto di prelazione. Ammissibilità del conferimento di bene culturale
Dove il confronto tra la disciplina giuspubblicistica in materia di circolazione di bene culturale e le norme codicistiche in materia di conferimenti societari raggiunge le maggiori difficoltà operative è senza dubbio nell’analisi delle modalità di funzionamento della prelazione legale artistica in caso di conferimento di bene culturale.
Si tratta, in particolare, di cercare di conciliare il contrasto che pare proprio derivare dalla norma già citata dell’art. 2342, comma 3, c.c. ove si legge che le azioni emesse a fronte di conferimenti in natura devono «essere integralmente liberate al momento della sottoscrizione»(29)e dall’art. 61, comma 4, del codice per il quale «in pendenza del termine prescritto dal comma 1 l’atto di alienazione rimane condizionato sospensivamente all’esercizio della prelazione e all’alienante è vietato effettuare la consegna della cosa».
Ad un primo esame, infatti, il rispetto del principio dell’integrale liberazione entra in crisi nel momento in cui il conferimento in natura abbia ad oggetto beni caratterizzati da limiti legali alla circolazione come quelli derivanti dalla prelazione artistica. Se, infatti, una norma, di pari rango legislativo, richiede l’osservanza di una particolare procedura per il caso di conferimento di beni culturali che impedisce proprio l’immediata e definitiva acquisizione giuridica e materiale del bene stesso alla società, è evidente che la piena realizzazione del suddetto principio di integrale liberazione del conferimento in natura viene ad essere ostacolata, ponendo un problema di compatibilità.
Ma, d’altro canto, se è il legislatore stesso che interviene(30)per stabilire espressamente l’operatività della prelazione artistica anche nei casi di conferimento societario, si può anche ritenere che ne abbia implicitamente valutata la sua ammissibilità proprio sotto il profilo del diritto societario, perché altrimenti resterebbe nella sostanza privo di contenuto applicativo pratico l’intervento stesso del legislatore.
Non è quindi necessario indagare sull’interpretazione del principio dell’integrale liberazione per valutare della compatibilità suddetta(31). Anzi la scelta del legislatore in questa materia può forse contribuire indirettamente ad una migliore definizione del perimetro applicativo delle utilità conferibili, nell’assecondare una valutazione della regola dell’integrale liberazione compatibile anche con la procedura legale della prelazione artistica.
Se dunque il bene culturale conferito non viene acquisito in via definitiva dalla società al momento della sottoscrizione, perché occorre procedere alla denuncia dell’art. 59 del codice ed attendere il mancato esercizio della prelazione, non pare potersi accogliere una traduzione della “integrale liberazione” che richieda sempre e necessariamente una acquisizione immediata e definitiva del bene conferito uno acto in modo che non residuano al conferente obblighi successivamente alla sottoscrizione (d’altronde, già la legge stessa - art. 2342, comma 3, c.c. - pone gli obblighi di garanzia sul conferente).
Ugualmente, visto che l’art. 61 del codice dispone che l’atto di alienazione rimane condizionato sospensivamente, non sembra potersi giustificare la previsione dell’art. 2342, comma 3, c.c., con la contestualità del trasferimento del diritto richiesta dal principio consensualistico (ed, infatti, quest’ultimo è rispettato anche quando l’effetto traslativo sia differito ma dipenda comunque dal consenso originario delle parti).
Ed ancora, poiché sempre l’art. 61 del codice prevede che in pendenza dell’esercizio della prelazione all’alienante è vietato effettuare la consegna della cosa, non può ritenersi che l’integrale liberazione delle azioni presupponga la immediata messa a disposizione della società del bene al fine di consentirle l’utilizzazione sin dal momento della sottoscrizione.
L’interesse salvaguardato dalla regola dell’integrale liberazione delle azioni pare allora quello di perseguire l’esigenza di effettività del conferimento ai fini della giusta copertura del capitale sociale per garantire la corretta formazione del patrimonio sociale, così limitando i rischi di inadempimenti da conferimenti in natura, che pongono problemi di realizzazione coattiva diversi e maggiori da quelli derivanti dell’insolvenza per i decimi residui.
Se questi sono gli interessi alla base, la regola dell’integrale liberazione delle azioni emesse a fronte di conferimenti in natura già al momento della sottoscrizione può quindi essere semplicemente interpretata nel senso che le azioni corrispondenti non devono incorporare il debito della prestazione principale dovuta dal sottoscrittore alla società. Si vuole quindi che, una volta “perfezionata” la sottoscrizione, l’acquisizione del bene alla società non dipenda dall’intermediazione della prestazione dello stesso conferente, per il rischio di inadempimento che normalmente potrebbe derivarne(32).
Ne deriva che non dovrebbe confliggere con il principio dell’integrale liberazione un conferimento in natura che preveda un termine iniziale di efficacia o una condizione legale sospensiva, in quanto in entrambi i casi l’acquisizione definitiva dell’utilità conferita non dipende da una prestazione del conferente, ma senz’altro si verifica rispettivamente alla scadenza del termine ed all’avveramento della condizione(33). Qualora poi la condizione non dovesse verificarsi e quindi l’attribuzione patrimoniale oggetto del conferimento restare inefficace, ne dovrebbe conseguire un ordinario problema di responsabilità del conferente per inattuazione del conferimento da trattare nell’ambito delle conseguenza previste nel diritto societario a presidio del capitale (obbligo di effettuare un conferimento in denaro equivalente o scioglimento della società per sopravvenuta impossibilità di conseguimento dell’oggetto a causa dell’essenzialità del bene ai sensi dell’art. 2484, comma 1, n. 2, c.c.)(34).
Tecniche operative per assicurare la copertura del capitale in caso di esercizio della prelazione artistica
A questo punto la ricerca non può considerarsi affatto terminata, perché deve propriamente volgere all’esame di quelle tecniche operative che siano idonee a rendere comunque possibile l’acquisizione del valore economico del conferimento, sia nel caso non si ritenga di aderire alla soluzione positiva sul conferimento di un bene soggetto a prelazione artistica per violazione dell’art. 2342 c.c., sia soprattutto qualora, accolta viceversa quest’ultima soluzione, occorra comunque assicurare la corretta copertura del capitale della società conferitaria nel caso di esercizio della prelazione legale da parte dell’amministrazione. Ovvero di tratti di regolamentare un conferimento di bene culturale in società di persone nella cui disciplina non sono presenti particolari regole di effettività e integrità della formazione del capitale come nelle società di capitali.
Nell’esposizione delle tecniche operative suddette occorre procedere distinguendo tra quelle che per il caso di esercizio della prelazione (a) non prevedono l’acquisizione della partecipazione sottoscritta e (b) quelle che, viceversa, permettono comunque la conservazione della qualità di socio.
D’altronde, il programma societario individuato può riguardare l’esercizio di una attività economica di impresa che concordemente presupponga necessariamente l’utilizzo di un determinato bene culturale, senza il quale non risulta possibile il raggiungimento dell’oggetto sociale determinato nello statuto (si pensi allo svolgimento di un’attività alberghiera in forma societaria in un determinato e individuato bene culturale che per proprie caratteristiche si presti a ciò).
Viceversa, il programma societario può anche prescindere dall’acquisizione di quel singolo bene culturale ricompreso nell’oggetto del conferimento, quando esso attiene ad una attività economica di impresa più ampia e comunque svincolata dalla disponibilità di quel bene particolare (ciò che normalmente accade quando il bene culturale è compreso nel conferimento insieme ad altri, per esempio all’interno di un autonomo ramo d’azienda, assumendo un significato marginale o comunque non essenziale nell’operazione).
Segue: Il differimento convenzionale dell’efficacia della sottoscrizione. L’apporto anticipato in conto capitale di bene culturale, ovvero successivo con delibera o sottoscrizione condizionate
Qualora, in caso di esercizio della prelazione, non sia necessario assicurare il proseguimento dell’attività societaria, perché il relativo programma si fondava sulla necessaria acquisizione del bene culturale al patrimonio sociale, le modalità per coniugare il principio di integrale liberazione ed il funzionamento della prelazione legale, consistono nel differire in via convenzionale l’efficacia della stessa sottoscrizione almeno sino al decorso infruttuoso del termine per l’esercizio della prelazione.
In questo modo, se la prelazione viene esercitata nei termini, la sottoscrizione rimane definitivamente inefficace e non può determinare l’acquisto della partecipazione (così realizzandosi l’interesse a non iniziare o partecipare all’attività d’impresa senza il conferimento di quel particolare bene in natura); qualora, invece, la prelazione non venga esercitata, la sottoscrizione assume efficacia ed il conferimento viene contestualmente considerato integralmente eseguito, impedendo lo stesso rischio di inadempimento collegato allo sfasamento temporale tra sottoscrizione e liberazione della partecipazione (così realizzandosi il programma d’impresa immaginato).
Questa soluzione, ammessa nel caso di aumento di capitale, è più dubbia in sede di costituzione, per le difficoltà segnalate in letteratura ad ammettere la possibilità di apporre una condizione sospensiva all’atto costitutivo di una società di capitale(35).
Nel caso di aumento di capitale il differimento convenzionale suddetto può realizzarsi eseguendo il conferimento prima che sia adottata la delibera di aumento, oppure dopo qualora la delibera o la conseguente sottoscrizione vengano sottoposti alla condizione negativa del mancato esercizio della prelazione artistica.
Il miglior modo per evitare il rischio di inattuazione del conferimento in natura è quello di attribuirlo a favore del patrimonio sociale già prima che venga assunta una delibera di aumento ed in previsione della stessa. L’apporto anticipato del bene permette di espletare prima gli adempimenti previsti dal codice per il trasferimento di beni culturali, con la conseguenza che la successiva sottoscrizione sarà liberata integralmente mediante l’utilizzo del precedente conferimento.
Il tema degli apporti non imputati direttamente a capitale, ma in conto futuro aumento di capitale, richiede di verificare il regime loro applicabile, per quanto rilevante per il presente lavoro, con riferimento sia alle regole societarie, sia a quelle del codice dei beni culturali. Per le prime si tratta di esaminare la necessità o meno della relazione di stima ex art. 2343 c.c., mentre per le seconde si tratta di valutare l’applicabilità della norma che prevede l’esercizio del diritto di prelazione «al medesimo valore attribuito nell’atto di conferimento» (art. 60, comma 1, del codice).
Tra gli interpreti si trova affermato che la relazione di stima occorre al momento dell’assunzione della delibera di aumento e non già a quello dell’anticipato apporto in natura al patrimonio, in quanto l’esigenza della valutazione è strumentale alla regolare formazione del capitale sociale. Sono, invece, le norme sulla redazione del bilancio che sovraintendono alla corretta e veritiera appostazione nello stato patrimoniale del bene in natura ricevuto.
Anche questi apporti in natura al patrimonio sono soggetti alla prelazione artistica prevista dal codice, sia se a fronte dell’attribuzione viene previsto un diritto di credito (naturalmente subordinato) nei confronti della società per la restituzione per il caso di mancata assunzione della delibera di aumento entro un certo termine (in quanto comunque «le clausole del contratto di alienazione non vincolano lo Stato» ai sensi dell’art. 61, comma 5 del codice), sia qualora, in caso in cui l’assemblea non deliberi l’aumento, sin dall’inizio sia disposta un’allocazione del relativo valore ad una posta di patrimonio netto diversa dal capitale (situazione che comporta comunque l’acquisizione del bene alla società), in quanto comunque in essi è generalmente assente un profilo di liberalità.
In entrambi i casi, il contratto di attribuzione in natura alla società prevederà anche che l’eventuale esercizio della prelazione legale dello Stato non comporterà comunque l’obbligo per il trasferente di conferire in società la somma di denaro che riceverà dallo Stato per l’esercizio della prelazione, l’apporto di quel particolare bene culturale essendo stato considerato essenziale nell’operazione programmata.
Qualora l’amministrazione dovesse scegliere di esercitare la prelazione, si è sostenuto che dovrebbe farsi applicazione letterale dell’art. 60, comma 1, del codice il quale prevede che per i beni «conferiti in società» l’acquisto in prelazione avviene «al medesimo valore attribuito nell’atto di conferimento» ritenendo evidentemente che l’espressione conferimento ricomprenda ogni apporto a favore della società, sia al capitale che al patrimonio(36). Da altra parte, invece, non si è ritenuto poter fare applicazione di questa previsione argomentando principalmente dalla non necessità di una relazione di stima per gli apporti al patrimonio e quindi dalla assenza di una valutazione nell’atto di trasferimento cui fare riferimento. La scelta quindi dovrebbe ricadere sulla disciplina valutativa d’ufficio di cui all’art. 60, comma 2, del codice prevista per le alienazioni fatte «senza previsione di un corrispettivo in denaro»(37).
La limitazione del rischio della mancata attuazione del conferimento in natura, che è alla base della regola dell’integrale liberazione delle azioni al momento della loro sottoscrizione, può perseguirsi anche eseguendo il conferimento dopo che sia adottata la delibera di aumento o la conseguente sottoscrizione, se l’una o l’altra vengano sottoposti alla condizione negativa del mancato esercizio della prelazione artistica(38).
È noto infatti che l’inefficacia della delibera non impedisce che nel frattempo vengano raccolte le relative sottoscrizioni e conferimenti, che naturalmente resteranno sottoposti alla medesima condizione. Con la conseguenza che se la prelazione venga esercitata, anche in tal caso il programma di partecipazione societaria rimane definitivamente ineseguito, mentre se la condizione si avvera, per il non esercizio della prelazione, l’aumento risulterà interamente liberato, senza violazione dell’art. 2342 c.c.
Si ricorda qui l’accortezza di individuare nella delibera di aumento il termine (finale) di sottoscrizione ex art. 2439, secondo comma, c.c., in data successiva a quella prevista per l’esercizio del diritto di prelazione dall’art. 61 del codice (60 giorni dalla data di ricezione della denuncia prevista dal’art. 59)(39).
La surrogazione del bene culturale conferito con altra utilità (denaro, credito, garanzia)
Si consideri ora la diversa situazione in cui il programma societario è rivolto allo svolgimento di una attività economica di impresa più ampia e comunque svincolata dalla disponibilità di quel bene particolare culturale ricompreso nell’oggetto del conferimento (ciò che normalmente accade quando il bene culturale è compreso nel conferimento insieme ad altri, per esempio all’interno di un autonomo ramo d’azienda, assumendo un significato marginale o comunque non essenziale nell’operazione).
In questi casi non è sufficiente, per coniugare il principio di integrale liberazione ed il funzionamento della prelazione legale, differire in via convenzionale l’efficacia della stessa sottoscrizione almeno sino al decorso infruttuoso del termine per l’esercizio della prelazione con le modalità sopra esposte.
Occorre, viceversa, adottare degli opportuni accorgimenti per fare in modo che le azioni derivanti dalla sottoscrizione risultino comunque liberate, ai fini della copertura del capitale, anche in caso di esercizio della prelazione legale. E a questi fini la prassi ha utilizzato la figura dei conferimenti alternativi(40).
La più comune applicazione viene configurata prevedendo, in alternativa al conferimento in natura del bene culturale, sottoposto alla condizione sospensiva legale del mancato esercizio della prelazione, un conferimento in denaro, questo sottoposto alla condizione risolutiva avente ad oggetto il medesimo evento (e cioè il mancato esercizio della prelazione)(41).
In questo modo alla società è comunque assicurata l’acquisizione di una utilità economica ritenuta equivalente dalle parti, e quindi rispettato l’art. 2342 c.c.
Poiché il conferimento alternativo del denaro è risolutivamente condizionato, esso è da subito efficace e come tale richiede l’osservanza dell’art. 2439, primo comma, c.c. e cioè il versamento del 25% o del 100% immediato a favore delle società, somma che sarà poi restituita in caso di avveramento della condizione risolutiva per mancato esercizio della prelazione e attivazione del conferimento in natura(42).
Questa soluzione è stata adottata in occasione di un’importante operazione italiana del 2006 relativa al conferimento del patrimonio immobiliare del Fondo pensioni per il personale della Banca commerciale italiana in una società a responsabilità limitata.
In questo atto di conferimento di beni in natura, ricomprendenti anche alcuni sottoposti a vincolo di bene culturali, è stato previsto che, in caso di esercizio della prelazione sui medesimi, la sottoscrizione rimanga comunque ferma e «gli immobili di cui sopra rispetto ai quali l’effetto traslativo a favore della conferitaria non si fosse verificato, verranno surrogati mediante l’acquisizione a titolo definitivo da parte della conferitaria del controvalore in denaro, irrevocabilmente messo a disposizione del Fondo conferente, per un importo pari al valore di conferimento degli immobili rispetto ai quali sarà esercitata la prelazione. Conseguentemente, ancorchè l’effetto traslativo a favore delle conferitaria dei soli predetti immobili sia sottoposto a condizione sospensiva - in ottemperanza a quanto disposto dall’articolo 61 del predetto D.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 - il conferimento, considerato, come deve considerarsi, nella sua unicità, rimarrà comunque integro anche in caso di esercizio della prelazione relativamente ad alcuni o a tutti gli immobili di cui sopra, attraverso l’acquisizione del controvalore in denaro».
Altra soluzione escogitata nella letteratura, particolarmente nei casi di mancata disponibilità ad anticipare le somme in denaro necessarie, è quella di prevedere come conferimento alternativo al bene in natura lo stesso credito spettante ex art. 60 del codice al conferente nei confronti dell’amministrazione per il caso di esercizio della prelazione. Anche in questo caso alla società è comunque assicurata l’acquisizione di una utilità economica ritenuta equivalente dalle parti, e quindi rispettato l’art. 2342 c.c.
Il conferimento alternativo del credito pone almeno due problemi da affrontare. Il primo si interseca con la più generale ammissibilità di conferimenti di crediti futuri, in quanto il suddetto credito verso l’amministrazione è destinato a venire ad esistenza solo con l’esercizio della prelazione, e quindi il relativo trasferimento è disposto con efficacia differita. E su questo si è già osservato come, il rispetto del principio dell’intergale liberazione delle azioni, richiede che il conferimento non dipenda da una intermediazione di una prestazione obbligatoria del conferente e non anche che l’acquisto sia necessariamente immediato(43).
Il secondo attiene alla circostanza che anche per il predetto conferimento di credito sarà necessario predisporre una relazione di stima secondo le ordinarie norme societarie. Si potrà, tuttavia, prevedere di far redigere un’unica relazione che comprenda la stima sia del bene culturale che del relativo credito in esame(44).
Ulteriore soluzione avanzata sempre in letteratura è quella del conferimento del bene culturale garantito da polizza assicurativa o fideiussione bancaria. Con la «funzione di garantire alla società un valore sostitutivo ed equivalente al bene conferito» si costruisce l’operazione non con «lo schema del doppio conferimento sospensivamente ed alternativamente condizionato, ma si sarà in presenza di un unico conferimento in natura, con effetti sospesi, la cui esecuzione sarà garantita dalla polizza o dalla fideiussione»(45).
Prendendo spunto dall’art. 2464 c.c., la prestazione della garanzia avvicina tale conferimento a quelli suscettibili di essere acquisiti immediatamente dalle società a responsabilità limitata, soddisfando così il principio di effettività del capitale(46).
Nei confronti di quest’ultima soluzione non possono che condividersi le osservazioni che ricostruiscono la prestazione della polizza/fideiussione o come semplice garanzia accessoria non prevista dalla legge all’unico conferimento del bene culturale condizionato, ovvero come conferimento alternativo del credito verso la compagnia assicurativa o banca, quindi anch’esso da assoggettare a stima(47).
Apporto di bene culturale in fondo comune di investimento. Aggiornamento della relazione di stima
Per quanto riguarda i rapporti tra normativa dei conferimenti e quella della circolazione dei beni culturali, vanno infine segnalate alcune particolarità che si possono presentare in tema di ingresso di un bene culturale in fondo comune di investimento immobiliare in cambio dell’emissione di quote del fondo a favore dell’apportante.
Dapprima si richiama la circostanza che, in ragione dell’appartenenza, non ogni bene (culturale) può essere apportato ad un fondo immobiliare, sia perché occorre rispettare le limitazioni eventualmente contenute nel regolamento del fondo circa i soggetti che possono partecipare al fondo in relazione alle proprie caratteristiche di fondo riservato, sia in quanto la normativa di settore pone altre limitazioni per la partecipazioni di soggetti che possono trovarsi in situazione di conflitto di interessi(48).
Un aspetto particolare poi attiene alla previsione che il conferimento di beni al fondo sia accompagnato da specifica documentazione al fine di evitare il rischio di sopravalutazione dell’oggetto dell’apporto ovvero quello di acquisizione di beni non funzionali al programma stabilito nel regolamento.
L’art. 12-bis, comma 3, D.m. 228/1999 prevede, infatti, che «il fondo immobiliare nel caso di conferimenti deve:
a) acquisire, ove non si tratti di beni negoziati in mercati regolamentati, un’apposita relazione di stima elaborata, in data non anteriore a trenta giorni dalla stipula dell’atto, da esperti indipendenti di cui all’articolo 17, comma 10, del presente regolamento. Il valore attestato dalla relazione di stima non deve essere inferiore al valore delle quote emesse a fronte del conferimento;
b) acquisire la valutazione di un intermediario finanziario incaricato di accertare la compatibilità e la redditività dei conferimenti rispetto alla politica di gestione in relazione all’attività di sollecitazione all’investimento svolta dal fondo medesimo. Detta valutazione può essere predisposta dal soggetto incaricato della stima di cui alla lettera a, del presente comma nel caso in cui questi possegga i necessari requisiti professionali».
La suddetta documentazione non è previsto debba essere allegata all’atto notarile di apporto, essendo invece oggetto di una pubblicità informativa secondo le modalità stabilite nel regolamento(49).
La norma rileva ai fini in esame per il termine di trenta giorni previsto quale riferimento temporale della relazione di stima rispetto all’atto di apporto dei beni al fondo.
A questo proposito occorre considerare che qualora vengano ricompresi nell’apporto immobili vincolati quali beni culturali, il relativo trasferimento è soggetto alla condizione sospensiva del mancato esercizio della prelazione legale da parte dell’amministrazione.
Con la conseguenza, per un verso, che ad identica condizione sarà soggetta l’emissione delle quote di partecipazione al fondo a favore dell’apportante. Salvo naturalmente non venga convenuto che, ove la condizione non si verificasse (e cioè la prelazione fosse esercitata), gli immobili vincolati di cui sopra siano surrogati, nel rispetto dei limiti di investimento in denaro previsti per i fondi, con somma di denaro irrevocabilmente messa a disposizione dell’apportante per importo sufficiente a mantenere integro il valore complessivo dell’apporto.
E, per altro verso, che il termine di 60 giorni concesso all’amministrazione per l’esercizio della prelazione dovrebbe richiedere un necessario aggiornamento di conferma della relazione di stima prevista dalla normativa, salvo che venga prevista l’efficacia retroattiva della condizione in modo da far decorrere, con la data dell’apporto stesso, l’acquisizione al fondo del bene e dei relativi frutti e oneri(50).
Inoltre, può pure verificarsi che l’efficacia traslativa dell’apporto stesso venga subordinata ad un collocamento delle quote che saranno emesse nell’ambito di un’offerta globale al pubblico o riservata. In questo caso l’adozione della condizione sospensiva (necessariamente) non retroattiva richiederà un aggiornamento di conferma della relazione di stima al momento della verificazione della condizione stessa per rispettare il disposto dell’art. 12 predetto, ovvero una proporzionale riduzione delle quote di partecipazione in assenza di un impegno a coprire la differenza in denaro.
(1) M. AVAGLIANO, Conferimenti, in Società a responsabilità limitata a cura di L.A. Bianchi, nel Commentario alla riforma delle società diretto da P. Marchetti, L.A. Bianchi, F. Ghezzi M. Notari, Milano, 2008, p. 75.
(2) In argomento, v. M. MIOLA, I conferimenti in natura, in Trattato delle società per azioni diretto da G.E. Colombo e G.B. Portale, vol. 1***, Torino, 2004, p. 112 e ss. e spec. p. 118.
(3) Così M. MIOLA, op. cit., p. 124. Peraltro tali rischi possono risultare contenuti se il diritto di godimento abbia ad oggetto beni immobili e sia di durata ultranovennale, per effetto della possibilità di accedere alla pubblicità immobiliare della trascrizione ai sensi dell’art. 2643, n. 10, c.c.
(4) Così M. MIOLA, op. cit., p. 130-131.
(5) M. AVAGLIANO, op. cit., p. 81-2.
(6) La normativa primaria è inclusa nell’art. 36 ss. Tuf e quella secondaria è principalmente rappresentata dal D.m. (Ministero del Tesoro), 24 maggio 1999, n. 228, e dal regolamento di Banca d’Italia, 14 aprile 2005, nei testi vigenti a seguito delle successive modifiche e integrazioni. Tra quest’ultime rivestono particolare importanza quelle apportate con il D.m. (Ministero dell’economia e delle finanze), 5 ottobre 2010, n. 197.
(7) G.A. RESCIO, «L’apporto a fondo immobiliare», relazione al convegno “L’evoluzione dei fondi comuni immobiliari”, promosso dalla Fondazione per il Notariato, Milano, Università Bocconi, 3 febbraio 2012, in corso di pubblicazione con i relativi Atti nei Quaderni della Fondazione ed anche in Riv. banca e merc. fin. (consultata per gentile concessione dell’autore).
(8) A. CACCIA, «La tutela dei beni culturali ed ambientali con particolare riguardo ai beni immobili», relazione al XXVIII Congresso nazionale del Notariato, Roma, 1985, p. 104; M.R. COZZUTO QUADRI, La circolazione delle «cose d’arte», Napoli, 1997, p. 83 e di recente A. PISCHETOLA, «Circolazione dei beni culturali e attività notarile», Quad. not., 15, 2006, p. 96. Secondo G. CELESTE, «Beni culturali: prelazione e circolazione», Riv. not., 2000, p. 1106 e ss., qualora sia il pieno proprietario a costituire un diritto reale minore, l’amministrazione conserverebbe la possibilità di esercitare la prelazione, non sul diritto parziario trasferito, ma sull’intero diritto di proprietà.
(9) Che all’art. 4, comma 16, lettera d, ha modificato l’art. 59, comma 1, con l’aggiunta delle parole «limitatamente ai beni mobili», subito prima delle parole «la detenzione».
(10) A. PISCHETOLA, op. cit., p. 96.
(11) Lettera così modificata dall’art. 4, legge 29 dicembre 2000, n. 400. Tale norma rinviava a modalità e criteri definiti con regolamento da emanare ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400. In attuazione di quanto disposto dalla presente lettera è risultata disciplinata la sola costituzione di (o partecipazione a) fondazioni: vedi il D.m. 27 novembre 2001, n. 491.
(12) Su tale norma, in generale, v. N. ROCCO DI TORREPADULA, «Le società per la valorizzazione dei beni culturali», in Aedon, 2001, 3.
(13) G. DI CECCO, «Il “terzo settore” per i beni culturali alla (tenue) luce della disciplina dell’impresa sociale», in Aedon, 2006, 2.
(14) E. BELLEZZA, Intervento notarile nella valorizzazione: costituzione di enti e conferimento d’uso di beni culturali. Note e proposte legislative, in La circolazione dei beni culturali: attualità e criticità, Milano, 2010, p. 72.
(15) Salvo forse per la partecipazione quale socio accomandate alla società in accomandita semplice (N. ROCCO DI TORREPADULA, op. cit.).
(16) Dal D.lgs. 26 marzo 2008, n. 62, che con l’art. 2, comma 1, lettera w, ha modificato l’art. 115, commi 3 e 6.
(17) Osserva E. BELLEZZA, op. cit., p. 74, come tale architettura abbia di fatto rallentato la costituzione di enti con conferimento d’uso di beni culturali, così dilatando i tempi della valorizzazione e dell’attuazione dei piani strategici di cui all’art. 112 codice.
(18) E. BELLEZZA, op. cit., p. 73.
(19) G. SCIULLO, «Valorizzazione, gestione e fondazioni nel settore dei beni culturali: una svolta dopo il D.lgs. 156/2006?», in Aedon, 2006, 2, ove si esamina, sia sul piano del diritto interno, che nel quadro comunitario, il tema se l’ente conferitario dell’uso di un bene culturale sia abilitato a gestire direttamente l’attività di valorizzazione. Si tratta di valutare, in particolare, se la scelta previa gara del partner privato effettuata per la costituzione dell’ente conferitario, dispensi poi dal ricorrere alla procedura di evidenza pubblica per la concessione dell’attività di valorizzazione.
(20) M. MIOLA, op. cit., p. 37.
(21) E non più solo il “grave” inadempimento a seguito della modifica disposta dal D.lgs. 26 marzo 2008, n. 62, che con l’art. 2, comma 1, lettera w, ha modificato l’art. 115, commi 3 e 6.
(22) V. M. MIOLA, op. cit., p. 126 e nt. 301 il quale distingue nettamente tra il diritto al rimborso del valore del conferimento del diritto di godimento, conseguente alla sua capitalizzazione e su cui è commisurata la partecipazione del conferente, ed il diritto alla riconsegna del bene conferito in godimento, che in presenza di vicende circolatorie del bene possono non spettare al medesimo soggetto.
(23) G.B. PORTALE, La mancata attuazione del conferimento in natura, in Trattato delle società per azioni diretto da G.E. Colombo e G.B. Portale, vol. 1***, Torino, 2004, p. 572 e ss. e spec. p. 594 e ss. e 633 e ss.
(24) Norma applicabile all’uso costituito a favore di una persona giuridica, ai sensi dell’art. 1026 c.c.
(25) Cass. civ., 11 luglio 1981 n. 4509, in Giust. civ., 1981, I, p. 2506: il principio secondo cui i diritti reali di godimento non possono avere una durata superiore a 30 anni, ove costituiti in favore di una persona giuridica (art. 979, 1026 c. c.), è inapplicabile nell’ipotesi in cui questa sia un ente pubblico e l’immobile faccia parte del suo patrimonio indisponibile, per essere destinato a sede di pubblico ufficio, atteso che gli edifici aventi tale destinazione fanno parte del patrimonio indisponibile dello stato (o, rispettivamente, delle province e dei comuni) non soltanto quando l’ente abbia sull’immobile un vero e proprio diritto di proprietà, ma anche altro diritto reale che, per il suo contenuto, debba considerarsi equipollente al primo ai fini dell’art. 826 c.c.
(26) Cass. S.U. 19 ottobre 1990, n. 10179, in Mass. Giur. it., 1990: l’uso perpetuo di edifici e manufatti siti nell’area dell’ospedale di Sant’Orsola in Bologna, che l’art. 8 della convenzione stipulata il 19 ottobre 1929, approvata e resa esecutiva con L. 11 aprile 1930 n. 488, accorda agli istituti clinici universitari «per l’assistenza agli infermi, l’insegnamento e la ricerca scientifica» e che integra un diritto soggettivo, come tale tutelabile davanti al giudice ordinario pure nel rapporto con l’ospedale (e poi con la Usl ad esso subentrata) in difetto di potere di affievolimento, deve essere riconosciuto anche dopo l’entrata in vigore del c.c. del 1942, posto che la limitazione a trenta anni della durata dell’usufrutto o dell’uso in favore delle persone giuridiche, fissata dall’art. 979 di detto codice, non riguarda gli enti pubblici in relazione a beni destinati a pubblico servizio, ed altresì pure dopo l’istituzione del servizio sanitario nazionale, nella cui disciplina mancano norme esplicitamente od implicitamente abrogative della citata legge.
(27) Il potere di determinare la risoluzione di diritto dell’atto di alienazione non è, invece, previsto dall’art. 56 per le altre alienazioni soggette ad autorizzazione (per esempio, quelle dei beni culturali appartenenti a soggetti pubblici non territoriali o a persone giuridiche private senza fine di lucro), limitandosi la norma, al comma 4-ter, a stabilire che «Le prescrizioni e condizioni contenute nell’autorizzazione sono riportate nell’atto di alienazione e sono trascritte, su richiesta del soprintendente, nei Registri immobiliari».
(28) V. M. MIOLA, op. cit., p. 314.
(29) Prescrizione ripetuta per le Srl all’art. 2464, comma 5, codice civile, che nel secondo periodo prevede che «Le quote corrispondenti a tali conferimenti devono essere integralmente liberate al momento della sottoscrizione».
(30) L’art. 2, comma 1, lett. aa, del D.lgs. 24 marzo 2006, n. 156 ha modificato l’art. 60 comma 1 del codice disponendo che le parole: «al medesimo prezzo stabilito nell’atto di alienazione» sono sostituite dalle seguenti: «o conferiti in società, rispettivamente, al medesimo prezzo stabilito nell’atto di alienazione o al medesimo valore attribuito nell’atto di conferimento».
(31) Secondo P. DIVIZIA, Patrimonio immobiliare “vincolato” e modifiche della struttura societaria, Milano, 2010, p. 67, sarebbe stato lo stesso legislatore ad aver introdotto una deroga al principio di integrale liberazione dei conferimenti in natura, qualora l’oggetto del conferimento sia proprio un bene culturale suscettibile di prelazione, ammettendosi così una sottoscrizione condizionata ex lege.
(32) F. MAGLIULO, «Conferimento di beni culturali in società», in Riv. not., 2010, p. 371 e ss., spec. p. 380.
(33) F. MAGLIULO, op. cit., p. 380-2. Ma già M.S. SPOLIDORO, Conferimenti in natura nelle società di capitali: appunti, in Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum Gian Franco Campobasso diretto da P. Abbadessa e G.B. Portale, 1, Torino, 2006, p. 506 scrive come «la regola dell’integrale liberazione delle azioni non ostacoli il fatto che tutta l’utilità racchiusa nell’oggetto del conferimento sia conseguita dalla società nel corso del tempo o sia fruibile solo ad una certa scadenza (si pensi al conferimento dei crediti non ancora scaduti), perfino a certe condizioni, purchè il sottoscrittore, non più tardi del momento della sottoscrizione, trasferisca alla società tutto il valore attribuito al suo conferimento».
(34) G.B. PORTALE, op. cit., p. 637.
(35) F. MAGLIULO, op. cit., p. 397-8 ove il richiamo alla tesi della inderogabilità delle fasi del procedimento di costituzione e iscrizione della società ed alla proposta di ritenere possibile la sospensione di tale iter procedimentale nel caso di condizione prevista dalla legge, per estensione del disposto dell’art. 223-quater, comma 1, disp. att. codice civile.
(36) F. MAGLIULO, op. cit., p. 400, nt. 43.
(37) M. CACCAVALE, «Conferimento in società di beni culturali e diritto di prelazione artistica», in Notariato, 2007, p. 685 e ss., spec. p. 689-690, ove fa salvo il caso in cui l’apporto sia comunque accompagnato in via volontaria da una perizia giurata.
(38) Sul tema dell’ammissibilità delle delibere condizionate, collegato a quello della loro pubblicità, v. in rapporto all’argomento in esame, F. MAGLIULO, op. cit., p. 401- 2 e nt. 48, con particolare riferimento alle modalità e tempistiche di assolvimento della pubblicità al Registro delle imprese. Critico sul punto, invece, P. DIVIZIA, Patrimonio immobiliare “vincolato” e modifiche della struttura societaria, Milano, 2010, p. 59-60.
(39) Tra gli altri, v. F. MAGLIULO, op. cit., p. 403 e P. DIVIZIA, op. cit., p. 57.
(40) In argomento v. M. MIOLA, op. cit., p. 7 e 205 e ss. e nt. 499 che non ammette l’alternativa tra due conferimenti in natura in sede di atto costitutivo perché la scelta non potrebbe essere effettuata dopo la stipula dell’atto costitutivo stesso in omaggio al principio dell’integrale liberazione; mentre riconosce che la preclusione non opera in caso di conferimento di una somma di denaro alternativo al conferimento in natura, in specie quando al primo si ricorre a seguito della mancata attuazione del secondo; infatti la società non è mai stata e comunque non è più proprietaria dell’entità conferita e quindi è ammissibile che la scelta avvenga successivamente alla stipulazione dell’atto costitutivo.
(41) Secondo P. DIVIZIA, op. cit., p. 62, si sarebbe in presenza di un’ipotesi di esclusione del diritto di opzione ai sensi del quinto comma dell’art. 2441 codice civile e non del quarto comma.
(42) F. MAGLIULO, op. cit., p. 393, che sostiene come tale versamento non costituisce condizione di validità o perfezionamento della sottoscrizione.
(43) F. MAGLIULO, op. cit., p. 394. Ritiene, invece, da scartare tale soluzione operativa P. DIVIZIA, op. cit., p. 65 in relazione ai dubbi sulla conferibilità dei crediti futuri ed eventuali.
(44) Suggerimento di F. MAGLIULO, op. cit., p. 395, il quale cerca però di argomentare per la non necessità della stima in questo caso trattandosi di un credito previsto dalla legge e nei confronti dell’amministrazione.
(45) G. MARGIOTTA, «Conferimento in società e prelazione artistica», in Le società, 2007, p. 1089 e ss., spec. p. 1093.
(46) P. DIVIZIA, op. cit., p. 63. Ma in argomento v. M. AVAGLIANO, op. cit., p. 162 ove la constatazione che nelle Srl l’attenuazione degli obblighi di integrale liberazione (realizzata con la concessione delle garanzie e salva la valutazione di stima) non attiene comunque alle ipotesi specificamente previste dalla legge tra cui quella del conferimento di beni in natura.
(47) F. MAGLIULO, op. cit., p. 397.
(48) G.A. RESCIO, op. cit., par. 3, che segnala come «per i soci delle Sgr interessate al fondo o di società facenti parte del relativo gruppo di appartenenza il divieto di partecipare al fondo, stabilito in generale dall’art. 12, comma 3, D.m. 228/1999, è sostituito nei fondi immobiliari da un permesso condizionato al rispetto di alcune cautele» (v. art. 37, comma 2, lett. b, Tuf, e art. 12- bis, comma 4, D.m. 228/1999). Viceversa permane anche nei fondi immobiliari il divieto assoluto di partecipazione per amministratori, direttori generali e sindaci delle Sgr interessate al fondo o di società facenti parte del relativo gruppo di appartenenza (l’art. 12, comma 3, D.m. 228/1999 sul punto non risulta derogato dal successivo art. 12- bis, comma 4, come invece accade per i soci delle Sgr). Nessuna menzione normativa si riscontra circa la possibilità o il divieto che apportante sia la stessa Sgr che istituisce o gestisce il fondo.
(49) G.A. RESCIO, op. cit., par. 7.
(50) Così G.A. RESCIO, op. cit., par. 8.
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