Le nuove Srl. Aspetti sistematici e soluzioni operative - Introduzione
Introduzione

La battuta di Voltaire secondo la quale al suo tempo in Francia variavano le regole giuridiche come si cambiavano i cavalli ad ogni posta parrebbe non aver perduto di attualità. Con la riforma operata dal D.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, in vigore dal primo gennaio 2004 (c.d. Riforma Vietti) il legislatore era intervenuto per introdurre una normativa delle nuove Srl caratterizzata del massimo della flessibilità e dal minimo della imperatività, ormai confinata a presidio di interessi esterni incontrovertibili e socialmente condivisi.

Con il dichiarato obbiettivo di consentire la trasmigrazione di numerose Srl verso i tipi azionari e di numerose società di persone verso il tipo Srl, si era quindi proceduto ad una riforma in profondità della disciplina delle Srl dettata dal codice del 1942 e poi modificato dal D.lgs. 3 marzo 1993, n. 88 (Srl unipersonale) e L. 12 agosto 1993, n. 310 (c.d. Legge Mancino, in tema di forma e pubblicità delle vicende di circolazione delle quote di Srl).

A distanza di meno di dieci anni, Governo e Parlamento sono ancora intervenuti per ben sei volte, in un arco temporale ristretto, per introdurre nell’ordinamento italiano modelli di società, le nuovissime Srl, il cui capitale potesse essere inferiore al minimo di 10.000,00 (diecimila/00) euro stabilito dall’art.2463, comma 2, n. 4, c.c.

Le prime tappe del secondo processo di riforma delle Srl , sono segnate dal D.l. 24 gennaio 2012, n. 1 (c.d. Cresci Italia emanato dal governo tecnico Monti insediatosi nel novembre 2011) e dalla relativa legge di conversione (L. 24 marzo 2012, n. 27) che hanno introdotto con l’art. 2463-bis c.c. la c.d. “Srl semplificata” (Srls) con capitale minimo di un euro, riservata ai soci con meno di 35 anni di età, con uno statuto standard approvato con D.m.

A distanza di pochi mesi, nel giugno 2012, con il c.d. “decreto sviluppo” (D.l. 22 giugno 2012, n. 83) e relativa legge di conversione (L. 7 agosto 2012, n. 134) il legislatore interviene al di fuori del codice civile, per introdurre la società a responsabilità limitata a capitale ridotto (cioè pari ad almeno un euro), con una disciplina sorprendente per assenza di rigore e coerenza.

A seguito dell’insediamento del Governo Letta, il c.d. “decreto lavoro” (D.l. 28 giugno 2013, n. 76) e la relativa legge di conversione (L. 9 agosto 2013, n. 99) riscrivono totalmente la disciplina normativa delle Srl, eliminando le società a responsabilità limitata a capitale ridotto e:

Consentendo di costituire una Srl ordinaria con capitale 1 (uno) euro, ma con conferimenti esclusivamente in denaro (art. 2463, comma 4, c.c.) e obbligo di progressiva patrimonializzazione, nel senso che un quinto degli utili (anziché un ventesimo) devono esser destinati a riserva legale (art. 2463, comma 5 c.c.) fino a che il capitale e le riserve non raggiungono l’ammontare di euro 10.000,00 (diecimila/00).

Riformando la disciplina delle società a responsabilità limitata semplificata, non più limitata agli under 35, ma alle sole persone fisiche, ammettendo amministratori non soci, e prevedendo la inderogabilità del “modello standard ” tipizzato con decreto ministeriale (art. 2463-bis ).

All’esito (provvisorio) di questa serie di interventi del legislatore parrebbero conseguiti due risultati.

Da un lato la riduzione dei costi notarili, fiscali e camerali per chi rinunzia all’autonomia statutaria ed adotta lo statuto standard tipizzato dal Ministero. Dall’altro la riduzione da 10.000,00 (diecimila/00) a 1 (uno) euro del minimo del capitale sociale.

Appare tuttavia legittimo domandarsi se quella della decretazione d’urgenza fosse la strada più conveniente per metter mano ad una riforma del codice civile e in particolare del tipo della Srl che costituisce la figura giuridica fondamentale per la nascita di una nuova impresa e quindi un angolo visuale privilegiato per misurare la competitività del nostro diritto societario e, in definitiva, un motore fondamentale per la ripresa del Paese.

Se non fosse viceversa più congrua una preventiva approfondita riflessione, coinvolgendo l’accademia e gli operatori, sul valore aggiunto dell’intervento notarile e sulla funzione del capitale sociale nel nostro ordinamento giuridico, magari attraverso un confronto con le esperienze straniere di altri paesi che avevano già affrontato e risolto il medesimo problema. Un utile riferimento potrebbe essere il modello tedesco introdotto nel 2008 con la legge di semplificazione societaria, c.d. MoMiG (Gesetz zur Modernisierung del GmbH - Rechts und zur Bekaempfung von Missbrauchen del 23 ottobre 2008), peraltro limitato alla fase di costituzione e quindi privo di rilievo al di fuori di questa vicenda.

Intervenendo invece, con un profluvio di interventi emergenziali, suggestivi nella denominazione ma limitati negli effetti, si è creato un quadro normativo complesso, caratterizzato da assenza di rigore e coerenza, che anziché tranquillizzare gli operatori ha finito per creare maggiori problemi di quelli che si intendevano risolvere.

Il rischio è, infatti, che l’emergenza, la fretta e il clima culturale portino ad escludere, indebitamente, gli insegnamenti della storia economica e giuridica recente, che mostrano come le politiche neo liberali, non di rado, determinino una destrutturazione dei capisaldi della legalità. Ma come è agevole cogliere in questo grande cantiere aperto che è la costruzione di un unitario e comune diritto societario europeo molto resta da fare e spetta anzitutto alla cultura giuridica il compito di ritrovare il filo che può dare fondamento e unità di senso a questi interventi del legislatore.

A breve distanza dalle ultime modifiche normative dell’agosto 2013 la Fondazione italiana del Notariato ha promosso ed organizzato i due convegni di studio “Le nuove Srl. Aspetti sistematici e soluzioni operative” di Firenze (venerdì 18 ottobre 2013) e di Mestre (giovedì 23 gennaio 2014) ed oggi con sincera soddisfazione si pubblicano gli atti, mettendo a disposizione di studiosi ed operatori un ricco materiale di riflessione con un duplice intento.

In primo luogo si vuole offrire una risposta all’esigenza che vi è sempre all’indomani di una riforma normativa: un’analisi sull’impatto sistematico delle nuove norme ed un esame dei problemi applicativi che da esse scaturiscono.

Vi è poi un secondo motivo di carattere più schiettamente culturale. Riflettere sulla seconda riforma delle Srl, a dieci anni dalla riforma Vietti, costringe, infatti, il giurista ad un tentativo di comprensione dell’itinerario storico che stiamo percorrendo, un itinerario solcato da una dinamica profonda.

La civiltà giuridica moderna, che si è affermata con la rivoluzione francese, è stata caratterizzata da due congegni giuridici strettamente connessi tra loro e assurti a principi dell’ordinamento: la separazione dei poteri e la gerarchia delle fonti. In questo modo si è realizzato l’affidamento al solo potere politico del monopolio della produzione del diritto attraverso la legge, identificata nella volontà generale. È stato questo un principio indiscusso per tutto l’Ottocento ed i primi cinquanta anni del Novecento, noto come dottrina del positivismo giuridico.

Oggi però emerge che il diritto non può esaurirsi nella dimensione meramente potestativa del comando legislativo o della decretazione d’urgenza. La vicenda delle nuove Srl rende evidente che la legge incontra crescente difficoltà a ordinare una società globalizzata e in rapidissima evoluzione. Questa considerazione sconvolge il paesaggio giuridico disegnato dalla modernità giuridica con ferma fissità di tratti e fa riemergere la non smentibile ma dimenticata verità che il diritto non può esaurirsi nella dimensione legislativa ma è piuttosto ordinamento della società nel pieno rispetto della storicità di questa. È agevole osservare che di fronte alle difficoltà della legge come strumento ordinante il diritto contemporaneo appare sempre più frutto di operose supplenze: la prassi giudiziaria in primo luogo, ma anche la prassi interpretativa della scienza giuridica e degli operatori. Il giurista della fase post moderna è chiamato sempre più a dismettere i panni di “spiegatore” dello ius positum ed ad assumere quelli più complessi ma più adeguati dell’interprete. Da questo punto di vista occorre ricordare l’importante ruolo assunto dagli “orientamenti interpretativi” elaborati dal Notariato i quali costituiscono una soft law, un canale parallelo di produzione del diritto, di un diritto non cogente ma munito di un alto grado di effettività.

Le forme dell’impresa collettiva sono invero categorie giuridiche ma non solo e non necessariamente normative, ossia dettate “dall’alto” di un diritto formalmente stabilito, in quanto esse preesistono al diritto positivo che le “trova” nella concreta esperienza storico- reale di vita degli imprenditori, siccome scaturenti dal “basso” nella forma dei rapporti economici. Non pare in conclusione fuori luogo sottolineare il senso profondo del messaggio di Filippo Vassalli, il più autore degli autori del codice civile italiano vigente, che a chiusura di uno dei suoi ultimi scritti metodologici evidenziava «il problema di oggi è riportare per quanto è possibile il giurista alle leggi. In fondo è l’aspirazione di riportare le leggi al diritto». (F. VASSALLI, La missione del giurista nella elaborazione delle leggi, 1950, ora in Studi Giuridici, vol. III, t. II, Milano, 1960, p. 751).

Il messaggio vassalliano di “richiamare il diritto ai giuristi” conserva intatta la propria attualità.

Massimo Palazzo
Presidente della Fondazione Italiana del Notariato
PUBBLICAZIONE
» Indice
» Approfondimenti