Le società di capitali (a r.l.) quasi a-capitalizzate: spunti per una ricostruzione sistematica e della disciplina
Le società di capitali (a r.l.) quasi a-capitalizzate: spunti per una ricostruzione sistematica e della disciplina
di Marco Cian
Ordinario di Diritto commerciale, Università di Padova
Un difficile percorso storico
Sei stadi di sviluppo (più il decreto ministeriale attuativo) non sono bastati all’istituto delle società a responsabilità limitata a capitale marginale per trovare una adeguata collocazione sistematica all’interno della famiglia delle Srl e per dirimere i radicali dubbi interpretativi che alla lettura della loro (sestuplice, appunto) disciplina si sono sempre accompagnati(1).
Eppure l’istituto non è un prodotto originale dell’ingegno legislativo italiano: modelli a cui ispirarsi ve n’erano numerosi (dal tedesco, al francese, al belga, per tacere dei sistemi di common law) e qualche spunto - per aderire a quei modelli, o, piuttosto, per discostarsene là dove ne fossero state segnalate delle criticità - avrebbero potuto fornire anche le copiose riflessioni che sull’argomento in tutta Europa erano già state condotte. Invece l’atto di nascita dell’istituto, nel nostro Paese, appare frutto di una redazione frettolosa e probabilmente poco meditata, le cui deficienze le successive novelle non sono riuscite a correggere fino in fondo(2). È vero che l’attuale disciplina sembra essersi finalmente spogliata di quella coloritura di strumento giuridico posticcio e propagandistico, che connotava le versioni precedenti, quando la Srl semplificata era riservata (del tutto inopinatamente e senza alcuna razionalità) ai minori di trentacinque anni di età - quasi certamente per rispondere alla moda politica del momento, sensibile ai temi della disoccupazione giovanile e della fuga dei cervelli -, e quando aveva fatto la sua comparsa nell’ordinamento (ma fuori codice) l’effimera Srl a capitale ridotto, buona solo per scalare qualche posizione nel ranking internazionale misurante il grado in cui i diversi Paesi risultano entrepreneur-friendly, ranking in cui l’Italia occupava e continuò ad occupare anche dopo la novella posizioni assai poco lusinghiere. È vero che, estesa oggi la Srl semplificata ad ogni persona fisica, a prescindere da qualsiasi discriminazione anagrafica, e riassorbita la Srl a capitale ridotto nel codice civile, nella nuova veste di Srl ordinaria a capitale minimo, l’aspetto esteriore dei due istituti appare meno eterodosso; ma si è ben lontani dall’aver raggiunto una soluzione normativa convincente e risolutiva; si è anche, probabilmente, lontani dall’avere in mano il pacchetto disciplinare definitivo, se sol si pensa che il decreto ministeriale contenente lo statuto standard della Srl semplificata è ancora quello riflettente (e male) una delle vecchie versioni dell’art. 2463-bis, che dunque attende di venire aggiornato al mutato quadro delle norme di rango primario.
La questione di fondo che ancora oggi le Srl “senza” capitale pongono è quella della loro collocazione sistematica rispetto al tipo “società a responsabilità limitata”.
Un tema nel quale si radicano tutti i principali interrogativi concernenti la ricostruzione della relativa disciplina, invero lacunosa e disseminata di, quantomeno apparenti, aporie.
Il minimo di capitale delle Srl ordinarie
Il problema si articola in termini diversi nelle Srl ordinarie e in quelle semplificate.
La pura e semplice possibilità di costituire una Srl assumendo un rischio d’impresa inferiore al minimo ordinario (di 10.000 €) era accordata sino alle ultime novelle dell’estate 2013, com’è noto, per mezzo di un modello organizzativo specifico, quello della società a capitale ridotto prevista dall’art. 44 D.l. 83/2012. Questa rappresentava, nella sostanza, una comune Srl, differenziata eminentemente sul piano finanziario. La collocazione extracodicistica e, più ancora, il ricorso ad una nomenclatura apposita e le diverse soglie di capitale suscitavano la questione della riconducibilità o meno della nuova figura al tipo della Srl “maggiore”, non diversamente, per la verità, dall’interrogativo sollevato dalle figure gemelle, in quegli ordinamenti che hanno optato per una scelta simile alla nostra (come il tedesco, in cui la UG si affianca alla GmbH), e non invece per il semplice abbattimento generalizzato del capitale minimo per il tipo “maggiore” (come accaduto in Francia).
La soluzione allora prospettabile - costituire la Srl a capitale ridotto non già un tipo autonomo, bensì una variante della Srl, con tutte le implicazioni che ciò comportava nelle vicende di upgrade (non qualificabili come trasformative, dunque), in ordine alla disciplina applicabile - non scioglieva in realtà ogni dubbio, restando aperte una serie di questioni non certo marginali: se fosse lecita la conversione dal tipo maggiore (o la trasformazione da SpA) alla variante inferiore, per la via della riduzione reale del capitale; se fosse possibile, ridotto viceversa per perdite il capitale al di sotto dei diecimila euro, mantenere la veste di società di capitali, approdando al nuovo sottotipo, o se toccasse necessariamente in sorte (salva la ricapitalizzazione o la liquidazione) trasformarsi in società di persone; se una società di persone potesse evolvere in una Srl a capitale ridotto, anziché in una Srl “maggiore” o in una SpA, o se questa opportunità fosse preclusa.
Questioni, tutte, collegate, più che all’esegesi di alcuni dati normativi pur significativi, al problema della funzione assolta dalla variante di nuova coniazione, nell’economia dell’istituto societario nel suo complesso: modello di start-up, strumento di promozione per l’accesso al mercato imprenditoriale da parte di soggetti privi di risorse finanziarie (come tale riservato dunque alla fase di avvio dell’attività), oppure, semplicemente, modello organizzativo alternativo a quelli già esistenti (e dunque accessibile anche ad iniziative già in essere)?
Il quadro normativo attuale ha mutato in parte la prospettiva, ma non del tutto i problemi e i termini in cui essi si pongono.
La Srl a capitale ridotto, com’è noto, ha avuto vita breve ed è stata espunta dall’ordinamento con le ultime novelle dell’estate 2013. In sua vece, è oggi prevista semplicemente la possibilità di costituire una Srl (= una qualsiasi Srl) con un capitale inferiore a 10.000 € (art. 2463 c.c.), ancorché il ricorso a questa opportunità attivi alcune disposizioni speciali, altrimenti non operanti, previste nello stesso art. 2463.
La scelta topografica appare già di per se stessa più soddisfacente: l’apertura all’abbattimento del capitale è riassorbita all’interno del codice, nello stesso articolo che ne regola la soglia minima. Si rinuncia altresì ad ogni specificità di nomenclatura, agendo esclusivamente sul piano disciplinare. Sembra delinearsi già prima facie uno scenario diverso e più coerente: la Srl con capitale inferiore a 10.000 €, contemplata dalla norma in esame, è una Srl ordinaria, sia pur soggetta ad un regime in parte speciale in ragione delle dimensioni finanziarie prescelte (una Srl, dunque, ordinaria a capitale marginale, cercando un’espressione che non rievochi il sottotipo extracodicistico ormai abbandonato, generando confusione).
La questione dell’autonomia tipologica di questa società rispetto al tipo comune sembra davvero non potersi neppure più porre(3); e sterile parrebbe anche configurarla quale “variante”, o “sottotipo” del modello principale.
Molti dei problemi suscitati dalla dismessa Srlcr si profilano però, come si è anticipato, inalterati, specie a causa dell’ondivago andamento delle norme, in cui non sembra potersi leggere alcun preciso disegno sistematico, bensì la testimonianza di un intervento normativo, anche l’ultimo in ordine di tempo, farraginoso e non organico. Problemi, tutti, ruotanti attorno al tema della collocazione della società ordinaria a capitale marginale nel sistema della Srl.
La stessa sequenza precettiva e le formule normative esaltano l’ambiguità del quadro regolamentare: il capitale deve essere fissato, nell’atto costitutivo, in misura «non inferiore a diecimila euro» (art. 2463, comma 2, n. 4); il capitale può essere «determinato in misura inferiore» (comma 4, con l’attivazione allora della disciplina speciale). Qual è dunque il capitale minimo della società a responsabilità limitata? Diecimila euro? Un euro? Le leggi di altri paesi europei hanno adottato espressioni meno involute: in Portogallo, «o montante do capital social é livremente fixado no contrato de sociedade» (art. 201 código das sociedades comerciais); in Francia, «le montant du capital de la société est fixé par les statuts» (art. L 223-2 code comm.). La domanda, apparentemente oziosa, disvela tutte le proprie implicazioni in occasione delle vicende di riduzione del capitale e di trasformazione, riproponendo i quesiti che già la Srlcr suscitava. Aggravati oggi, per quel che concerne le operazioni sul capitale, dal fatto che gli artt. 2482 e 2482-ter continuano a fare riferimento alla soglia fissata nel n. 4 dell’art. 2463, lasciando intendere, almeno stando al dato prettamente testuale, che la “formula” a capitale marginale non si presti ad accogliere Srl già esistenti, ridimensionate nel loro assetto finanziario. E se a questo dato si dovesse prestar fede, è chiaro che neppure una società per azioni potrebbe retrocedere, per la via di una trasformazione accompagnata dalla riduzione del capitale, a Srl a capitale marginale.
La negazione della possibilità per le società a capitale ordinario di permanere sul mercato come Srl dotate di risorse minori potrebbe più in generale implicare una connotazione della nuova disciplina quale strumento di start-up, inteso a consentire il decollo di iniziative produttive nuove, non già la rimodulazione di attività preesistenti. Induttivamente, le disposizioni degli artt. 2482 e ss. potrebbero allora condurre alla formulazione di un principio di generale inidoneità della Srl a capitale marginale ad essere formula societaria di destinazione di vicende trasformative o comunque evolutive, da enti già costituiti (anche in forma di società di persone).
La conservazione, in queste norme, del rinvio alla soglia fissata nel n. 4, dell’art. 2463 parrebbe poter dare tra l’altro ragione dell’impianto precettivo dello stesso art. 2463 e della scelta di non adottare una formula analoga a quelle francese o portoghese: il limite minimo di capitale per la società a responsabilità limitata - si dovrebbe leggere tra le righe - rimane di diecimila euro; in sede di costituzione (e soltanto in tale sede), è possibile peraltro dare vita ad una società con risorse inferiori, destinate ad incrementarsi progressivamente secondo il meccanismo del Thesaurierungspflicht (l’obbligo di accumulo degli utili) sino a quando l’ammontare del patrimonio soggetto al vincolo di indistribuibilità (capitale più riserva legale) non abbia raggiunto i fatidici diecimila euro(4).
Un impianto normativo di questo tenore sembra quello sotteso alla recente modifica, in Spagna, dell’art. 4 e all’introduzione dell’art. 4-bis della ley de sociedades de capital (ad opera della ley 14/2013, del 27 settembre). La decifrazione della disciplina iberica, in questa direzione, appare più agevole: il “capital social mínimo” resta di tremila euro; ciononostante, è possibile dare vita ad una società con capitale inferiore e obbligo di accantonamento degli utili(5), la quale prende il nome di “sociedad limitada de formación sucesiva” (così già l’art. 12 della novella), o, secondo la rubrica del nuovo art. 4-bis, di “sociedad en régimen de formación sucessiva”. Anche nominalmente, l’agevolazione risulta collegata alla fase di start- up. D’altra parte, a conferma che il capitale minimo, e dunque il rischio d’impresa minimo assumibile dai soci, permane fissato sulla soglia dei tremila euro, viene stabilito che «en caso de liquidación, voluntaria o forzosa, si el patrimonio de la sociedad fuera insuficiente para atender al pago de sus obligaciones, los socios y los administradores de la sociedad responderán solidariamente del desembolso de la cifra de capital mínimo establecida en la Ley» (art. 4-bis, comma 2).
La disciplina italiana rimane, sotto questi profili, assai più ambigua. Il dato ricavabile dagli artt. 2482 e ss. non è certamente trascurabile, ma probabilmente non è decisivo, tanto più che si discute di un istituto la cui regolazione è risultata così tormentata e, talora, superficiale, da non escludere in alcun modo la possibilità che nei rapporti fra l’attuale art. 2463 e gli immodificati artt. 2482 e ss. sia da ravvisare un semplice, involontario disallineamento, da correggere in via interpretativa, agendo sui secondi e non già sul primo(6). Ad impedire di attribuire eccessivo rilievo al dato storico del mancato intervento sugli artt. 2482 ss. sta il complesso dell’operazione riformatrice dell’estate 2013, da cui traspare chiaramente la scarsa propensione del legislatore a tener conto dei problemi di inquadramento sistematico dei nuovi istituti: scarsa propensione che invero ha portato a riqualificare ex lege le Srlcr sino ad allora costituite come società semplificate (art. 9, comma 15, D.l. 76/2013), contro ogni logica apparente, che avrebbe dovuto piuttosto portare alla loro riconduzione, puramente e semplicemente, nel novero delle Srl ordinarie a capitale marginale(7).
Per la verità, con riferimento alla riduzione del capitale mediante rimborso o liberazione, un più stringente vincolo alla realizzabilità dell’operazione anche al di sotto della soglia dei diecimila euro parrebbe posto dallo stesso obbligo di tesaurizzazione degli utili, stabilito a carico della società a capitale marginale. In effetti, se i valori imputati a riserva, una volta acquisiti, non risultano disponibili, secondo quanto è disposto dall’art. 2463, parrebbe potersi inferire l’illegittimità di un rimborso ai soci dei conferimenti già destinati, per la via di una riduzione del capitale, al di sotto della medesima soglia. La consequenzialità dell’argomentazione e la solidità della deduzione non sono peraltro sicure. La questione è complessa e non può essere esaminata adeguatamente in questa sede: dall’un lato, l’obbligo di accantonamento in esame non si differenzia, se non quantitativamente, da quello generale previsto dall’art. 2430, il quale non impedisce la riduzione del capitale (a prescindere dall’entità raggiunta dalla riserva legale, cioè, si può agire sul capitale, cosicché il vincolo di indisponibilità risulta più forte per la prima - invero intangibile -, che per il secondo, modificabile sebbene con le cautele ben note); dall’altro lato, tuttavia, le dimensioni della prima sono determinate, nelle Srl in parola, in valore assoluto, mentre nell’art. 2430 la determinazione avviene in funzione (in percentuale) del capitale, il che potrebbe non rimanere senza significato, qualora se ne dovesse inferire il trasferimento del vincolo di intangibilità assoluta dalla sola riserva al binomio capitale+riserva: deducendone sia l’irriducibilità del capitale di una Srl già in partenza “marginale” (una volta fissatolo in sede di costituzione o per effetto di un aumento mantenuto entro i 9.999 €, questo rimarrebbe non rivedibile al ribasso), sia l’invalicabilità, ancora verso il basso, della soglia dei 10.000 €, per le Srl originariamente a capitale ordinario.
Lo snodo appare decisivo(8): la ricostruzione della disciplina del capitale marginale come strumento operativo esclusivamente nella fase di start-up, come anche, specularmente, l’individuazione nel simbolico euro dell’art. 2463, comma 4, del nuovo, reale e generale minimo di capitale per le Srl ordinarie si tradurrebbero in una petizione di principio, se non poggiassero sul dato normativo; il quale resta, peraltro, a tal punto opaco da rendere non agevole l’approdo ad una soluzione persuasiva, sebbene quella più liberale si faccia forse preferire (pur con la dovuta riserva), dal momento che la disciplina del Thesaurierungspflicht non implica un obbligo di accumulo e un vincolo di indisponibilità di tutto il patrimonio netto progressivamente acquisito, fino al raggiungimento del limite di legge, ma solo un obbligo di accantonamento di una parte (il quinto) degli utili maturandi, sicché la deducibilità, da tale disciplina, di una preclusione tout court al rimborso di valori del netto oltre quel limite non appare immediata.
Ad ogni modo, da una preclusione di questo tenore, a tutto voler concedere, parrebbe potersi inferire al più il divieto di riduzione del capitale, nei termini testé esposti (e perciò anche di trasformazione di una SpA in Srl a capitale marginale per la via della riduzione ex art. 2445), mentre assai più arduo sarebbe dedurne l’intrasformabilità di una società di persone in Srl a capitale marginale(9). In altre parole, il confinamento della disciplina in esame esclusivamente alla fase costitutiva della società sarebbe di ancor meno immediata derivazione.
Se in questi termini si pone il problema della riducibilità del capitale ex art. 2482, la prospettiva muta al cospetto delle operazioni di riduzione per perdite. Anche per questa ipotesi, come si è ricordato, l’art. 2482-ter mantiene il riferimento alla soglia dell’art. 2463, n. 4, ma la sua correggibilità in via ermeneutica non è affatto esclusa(10). Qui non si profila neppure, all’orizzonte, il soccorso, comunque problematico, di una disposizione quale quella statuente il Thesaurierungspflicht, e il dilemma è lasciato all’interprete.
Alla ricerca della ratio della disciplina, non si mostrerebbe certo aprioristicamente inconferente affermare che, se è funzionale alla promozione delle iniziative produttive consentire l’accesso agli strumenti societari più evoluti (= beneficianti della limitazione del rischio d’impresa) a chi sia sprovvisto di risorse finanziarie, non lo sarebbe altrettanto permettere la permanenza sul mercato, con lo stesso beneficio, di realtà produttive già promosse e rivelatesi non particolarmente fortunate, al punto da avere dissipato una parte importante delle risorse loro originariamente destinate. Ma il rischio di sovrapporre alla voluntas legis il pensiero dell’interprete è forte. In assenza di dati più significativi, non è facile negare la riducibilità anche al di sotto del limite dei diecimila euro del capitale di una Srl o SpA, assottigliatosi per perdite, senza necessità di approdare ai modelli delle società di persone.
È chiaro che i due profili - quello della riduzione reale e quello della riduzione nominale - sono collegati e difficilmente, sebbene non sia da escludere a priori, possono ricevere risposte differenziate. Una meno ambigua formulazione delle norme avrebbe senza dubbio aiutato.
Va detto a onor del vero che anche altri ordinamenti, tradizionalmente più rigorosi, non vanno esenti da simili opacità interpretative; buon testimone ne è il modello tedesco, già ricordato, che, pur avendo optato (anzi, forse, proprio per aver optato) per la soluzione dell’innesto nel tipo “maggiore” della GmbH di una variante autonoma anche nominalmente e pur avendovi dedicato una disciplina senz’altro più dettagliata di quella italiana, ha lasciato aperti interrogativi analoghi a quelli suscitati da quest’ultima, in ordine alla Umwandlungsfähigkeit del sottotipo (specie quale modello di destinazione dell’operazione trasformativa) e alla sua suscettibilità di accogliere GmbH maggiori per mezzo di una riduzione del capitale.
La Srl semplificata: sottotipo di società a responsabilità limitata o società ordinaria a procedimento costitutivo semplificato?
La società semplificata continua a ricevere un trattamento differenziato, anche sul piano topografico, e soprattutto continua ad essere connotata da una nomenclatura che la distingue dal tipo di riferimento. È pur vero che anch’essa è caratterizzata in ragione della marginalità del capitale, ma i termini del problema relativo alla sua collocazione rispetto alla Srl ordinaria si delineano in modo affatto peculiare. Una premessa deve essere anteposta al seguito della riflessione. La società semplificata è soggetta, in punto capitale e disciplina degli utili, alle regole dell’art. 2463, comma 5(11), e, più in generale, alla disciplina del capitale, al pari della Srl ordinaria di cui all’art. 2463, comma 4. La tesi non è di per sé inoppugnabile, ma ha dalla sua, più che il dato normativo rappresentato dal rinvio operato dall’art. 2463-bis, ultimo comma, comunque non trascurabile, la circostanza che non pare rinvenirsi nel sistema e nelle disposizioni dedicate elemento alcuno, che induca a configurare la subvariante come modello differenziato sotto il profilo in esame. Ogni ricostruzione diversa parrebbe destinata a costituire nulla più che una petizione di principio; anche la volontà di dare, per questa via, un senso più pregnante alla presenza del sottotipo nel corpus societario sembrerebbe finire fatalmente per sostituire in modo indebito una personale propensione dell’interprete alla congruenza sistematica al quadro regolamentare oggettivo.
Il punto sta proprio in questo: che se la Srl semplificata altro non è, dal punto di vista della disciplina della struttura finanziaria e organizzativa, se non una Srl ordinaria a capitale marginale, la sua presenza nel sistema delle società a responsabilità limitata non ha giustificazione alcuna. Essa pare, in effetti, il frutto ancora una volta di un intervento riformatore correttivo, ma approssimativo e scarsamente sensibile al contesto normativo di riferimento.
Il quadro comparatistico costituisce una buona cartina di tornasole di quello che si sarebbe potuto volere, che forse si è voluto, ma che ancora non si è fatto o non si è fatto fino in fondo.
Tutti i principali ordinamenti prevedono procedure semplificate ed economicamente facilitate di costituzione della società; procedure il ricorso alle quali è sì solitamente condizionato all’elementarità dell’assetto proprietario e amministrativo dell’ente costituendo, ma che di regola non sono canalizzate all’interno di un sottotipo societario apposito: procedura ordinaria e procedura semplificata rimangono a disposizione di ogni società a responsabilità limitata (e ad esempio in Germania, tra l’altro, tanto della GmbH ordinaria, quanto della UG).
La disciplina italiana, posta a confronto con le esperienze d’oltreconfine, evidenzia due peculiarità.
La prima si rivela opinabile dal punto di vista della politica legislativa, ma di per sé non stridente sotto il profilo sistematico: l’accesso alle facilitazioni è riservato alle società a bassissima capitalizzazione; delle stesse non possono per converso godere le Srl ordinarie, quand’anche i fondatori riproducano senza eccezioni l’atto costitutivo standard di coniazione ministeriale. Non in linea, come si è accennato, con le opzioni accolte in altri Paesi, questa scelta mostra comunque una qualche coerenza con il disegno complessivo sullo sfondo dell’intervento riformatore. In ogni caso non suscita interrogativi particolari dal punto di vista delle ricadute disciplinari.
La seconda specificità è strettamente connessa con l’impiego di una nomenclatura apposita per identificare ciò a cui la procedura agevolata dà vita: non già una Srl tout court, ma una Srl “semplificata”. È abbastanza agevole comprendere come questo costituisca il sedimento del faticoso lavorio del legislatore su detto tema: l’attuale art. 2463-bis, con le sue opzioni semantiche, lo si comprende, storicamente, se si pensa ai suoi antecedenti. Oggi, avulso dal racconto della sua genesi, esso riesce però assai meno comprensibile e la circostanza è stata subito notata dai primi commentatori: la Srl semplificata, così com’è, non ha ragione di esistere, poiché non assolve ad alcuna funzione(12). Ma il potere delle parole è forte e a volte la forza è oscura: il nome lascia una scia, si deposita sulle cose e le plasma: si irradia, fuor di metafora, sulla disciplina dell’organismo così creato, generando almeno dubbi, se non vere e proprie antinomie.
I rilievi circa la neutralizzazione della funzione assolta dal submodello sono i primi da considerare, e sono strettamente connessi con il tema della collocazione sistematica del medesimo, rispetto al tipo “maggiore”. Sotto quest’ultimo profilo, che non si possa configurare un tipo autonomo, ma semmai una variante dello stesso, appare sufficientemente sicuro(13). Era una conclusione che si poteva trarre già sotto il vigore delle precedenti versioni dell’art. 2463-bis, quando la società semplificata presentava in sé (con la Srlcr) qualche tratto differenziante rispetto alla Srl ordinaria, conclusione suffragata, fra l’altro, dal sostanzialmente concorde approccio al fenomeno (nelle sue diverse versioni nazionali) da parte della scienza giuridica europea; oggi che questi tratti differenzianti sono scomparsi e che, in particolare, non è più tale l’elemento finanziario, invero comune alla Srl ordinaria, non residua spazio alcuno per riproporre la questione tipologica. Non tipo autonomo, dunque, bensì subvariante. Ma subvariante a che scopo? L’interrogativo si declina sul piano della funzione, non (per il momento) sul piano delle regole: sul piano della ratio, non dei profili della specialità.
La reale funzione assolta dalla disciplina speciale condensata nell’art. 2463-bis si colloca e si esplica tutta nella fase costitutiva: a condizione di accettare alcune limitazioni (soggettive e di regolazione statutaria), si può beneficiare dei ben noti risparmi di spesa. Una volta costituita la società, tutto ciò cui quella disciplina poteva servire è stato realizzato. Il punto è nodale: l’art. 2463-bis avrebbe dovuto regolare, più che una “società semplificata”, un procedimento semplificato di costituzione di società.
In effetti, la Srl semplificata, come ente costituito, giova a ciò cui giova la Srl ordinaria a capitale marginale(14): non copre alcuno spazio ulteriore, ossia non assolve ad alcuna funzione distinta (sulla premessa, prima anteposta, che la disciplina sia identica). Questa considerazione potrebbe indurre a mettere allora in dubbio l’assunto della sua stessa configurabilità in termini di subvariante: posta l’identità di ratio, è forse possibile assimilare anche sotto il profilo disciplinare la società semplificata sotto ogni aspetto ad una Srl ordinaria? È qui, però, che il potere delle parole si fa sentire.
La domanda, negli ordinamenti stranieri a cui si è accennato, non avrebbe neppure ragione di porsi: la disciplina speciale che introduce agevolazioni in sede di costituzione è una disciplina che esplica i propri effetti esclusivamente in questa fase e che dà vita ad una società parificata ad ogni altra, costituita senza agevolazioni: è, come si è accennato, disciplina di un procedimento, non di un modello organizzativo. Questa impostazione esclude lo stesso profilarsi dei problemi che, per contro, la configurazione di un sottotipo solleva. In Germania, ad esempio, non si pone in alcun modo una questione di validità o invalidità delle clausole statutarie derogatrici del Musterprotokoll, ancorché questo sia dichiarato immodificabile e non integrabile dal § 2 GmbHG: l’introduzione di varianti, semplicemente, riporta il procedimento di costituzione nell’alveo di quello ordinario e si perde l’accesso ai benefici, fermo restando che a venire costituita è, in un caso come nell’altro, sempre una comune GmbH. Né stride l’idea che la GmbH, pur avendo originariamente adottato il Musterprotokoll, possa poi arricchirlo, modificarlo, integrarlo.
In Italia, la questione invece si pone: si può costituire una società semplificata, con un modello standard retouché? si può modificare quest’ultimo in un momento successivo, mantenendo la veste di società semplificata?
Nella fase fondativa, la legge abbina senza ombra di dubbio un nome a una limitazione dell’autonomia privata. L’art. 2463-bis stabilisce oggi, a valle della ben nota querelle sorta sotto le sue precedenti versioni, che «le clausole del modello standard tipizzato sono inderogabili» (comma 3). La portata della disposizione, come è risaputo, è oggetto di discussione. È preferibile interpretarla come espressiva del principio del “prendere o lasciare”. Ipotizzare infatti che, ferme le quasi scarnificate regole presenti nel modello ministeriale e quindi fermi i profili organizzativi da queste disciplinati, i fondatori rimangano liberi di aggiungervi a piacere ogni ulteriore clausola disciplinando negozialmente qualsivoglia altro profilo (dal recesso, all’esclusione, ai limiti alla circolazione delle quote), non sembra plausibile(15). Implicherebbe la sostanziale neutralizzazione della citata disposizione, o, meglio, una sua chirurgica amputazione, che la priverebbe di ogni razionalità. Essa possiede invece una sua coerenza: il contenimento dei costi notarili e amministrativi (art. 3, comma 3, D.l. 1/2012) è subordinato all’adesione piena al formulario tipizzato. Non si potrebbe neppure dissociare i primi dai secondi (aggravio degli onorari professionali in caso di personalizzazione dello statuto, ma sconto dei diritti di bollo e di segreteria), atteso che l’accesso a questo pur ridotto beneficio non potrebbe mai giustificarsi in ragione di una opzione che finirebbe per avere carattere meramente linguistico (l’aggettivazione della costituenda Srl). In ogni caso, quale che sia la portata della preclusione codificata nell’art. 2463- bis, comma 3, l’ambiguità della combinazione normativa deriva dal fatto che alla speciale limitazione dell’autonomia statutaria non è accostato solo, in una relazione tra presupposto e conseguenza, l’accesso ad un beneficio, bensì anche un apposito nomen iuris societario.
Debbono reputarsi allora nulle le clausole dell’atto costitutivo contrarie al modello standardizzato, in ossequio al principio della prevalenza della nomenclatura, generale alle società di capitali?(16 )La risposta affermativa parrebbe stridere con il buon senso; ma se il nome suscita l’affidamento dei terzi in merito all’assenza di clausole devianti, la riposta può essere negativa (e la società “riqualificata” come ordinaria)? È il potere, o, se si vuole, l’equivoco delle parole.
Il quale si propaga anche oltre la fase costitutiva. Le modifiche statutarie sono lecite? Qui la paradossalità della disciplina giunge al culmine: è sufficiente che l’assemblea proceda ad una variazione semantica, rimuovendo l’aggettivo dalla denominazione, per convertire la società semplificata in una Srl ordinaria (operazione della cui legittimità non si può ragionevolmente dubitare), per recuperare tutta la libertà negoziale propria del tipo “maggiore”. Perché non ammettere allora che le modifiche siano possibili direttamente, senza passare attraverso l’espunzione lessicale? Soltanto perché altrimenti la società semplificata finirebbe per sfumare inevitabilmente in una Srl ordinaria?
Anche a livello proprietario si avverte la stessa ambigua influenza delle parole. La società semplificata deve essere costituita da persone fisiche. Non è chiaro se il requisito soggettivo operi esclusivamente in sede di costituzione. L’abrogazione del divieto di cessione, a suo tempo sancito dall’art. 2463-bis, non aiuta: essa è collegata alla cancellazione del requisito anagrafico, espunto anche dal primo comma con le ultime novelle, sicché non se ne può inferire un revirement del legislatore storico a proposito dello spazio temporale di vigenza del presupposto viceversa rimasto in vita. Operativamente, il problema è presto superabile: passando attraverso la preventiva modifica della denominazione sociale, rimossovi l’aggettivo qualificativo, la società riacquista intera la propria libertà di assetto della compagine sociale. Magia delle parole. La cessione a persone giuridiche diventa non problematica. Ma con aggravio di tempi e costi.
In tutto questo quadro, l’aggettivazione della società assume contorni vagamente satirici.
Probabilmente già oggi si può raggiungere in via interpretativa quello stadio (il settimo, l’ottavo...), che il legislatore aveva forse di mira, ma per il quale le forze non gli sono bastate. Nei termini seguenti. L’art. 2463-bis è disciplina di un procedimento, non di un modello organizzativo. Nel rispetto dei presupposti ivi dettati (adozione integrale e senza aggiunte dello statuto standard, natura dei soci ecc.), si può accedere ai benefici economici. La società così costituita prende il nome di società semplificata. Il nome è irrilevante. Se viene utilizzato senza che ne ricorrano i presupposti, si perde l’accesso ai benefici, senza ulteriori conseguenze. Se viene utilizzato correttamente, la società non è, dal punto di vista del trattamento giuridico, nulla di diverso da una Srl ordinaria (a capitale marginale)(17). D’altra parte, la neutralizzazione del nome è stata avviata dallo stesso legislatore, mediante la riqualificazione delle già costituite società a capitale ridotto (art. 9, comma 15, D.l. 76/2013, già ricordato), la quale non potrebbe avere certo determinato una restrizione ex lege e successiva dell’autonomia negoziale originariamente immanente a queste società: le “Srls già a capitale ridotto” non hanno beneficiato di agevolazioni nella fase fondativa e non presentano, o possono non presentare un assetto statutario elementare né tipizzato. La promiscuità nell’uso del nomen è sancita ex lege.
Vicende trasformative ed evolutive da e verso le società a capitale marginale
La collocazione delle società ordinarie a c.m. e delle cd. società semplificate, nel contesto delle società a responsabilità limitata, giova a sciogliere il nodo della loro idoneità a prestarsi a fungere da modello di partenza o di destinazione di vicende evolutive o trasformative in senso stretto. O, meglio, giova a porre il tema in termini adeguati, se non a darvi una riposta, posto che l’opacità del quadro legislativo rende ogni certezza velleitaria. La conversione (trasformativa o no) verso l’alto, ossia verso la Srl maggiore o verso altri tipi societari, non incontra ostacoli, tanto per la società ordinaria, quanto per la semplificata(18).
Più delicata l’ipotesi inversa. Per la società ordinaria (a c.m.) si è detto: molto ruota attorno all’individuazione del reale limite minimo di capitale oggi vigente per la società a responsabilità limitata in generale. Il che non dovrebbe comunque impedire di postulare con maggiore sicurezza la trasformabilità da società di persone, sebbene non si possa non tener conto dei vincoli, in punto di formazione del capitale, posti dall’art. 2463, comma 4 (la questione concerne in particolare il rispetto del divieto dei conferimenti in natura)(19). Per la c.d. società semplificata il problema va impostato diversamente. Se è lecito inferire che, già oggi, essa non esiste come submodello, a dispetto del nome (e per questo “cosiddetta”), e che l’art. 2463-bis disciplina la semplificazione di un procedimento costitutivo, essa non può essere neppure concepita come forma giuridica di approdo di una vicenda evolutiva o trasformativa(20), a meno che la questione non si riconverta in ciò, se nel contesto di una vicenda di questo tipo, ricorrendone i presupposti e adottando l’atto standard, sia possibile invocare una riduzione dei costi, per il segmento dell’operazione “costitutivo” della Srl; del che ci sarebbe molto da dubitare.
Astrattismo e soggettiva dell’osservatore
L’istituto della società “quasi a-capitalizzata” ha suscitato perplessità nei principali paesi europei, dal punto di vista della sua fragilità funzionale, sia in quanto strumento scarsamente incentivante le attività produttive, sia come modulo giuridico facilmente impiegabile, viceversa, per iniziative poco commendevoli. Nel nostro Paese, vi si è aggiunta l’improvvida sequela di tentativi e rimaneggiamenti legislativi, che hanno sollevato una cortina di fumo su un tema già di per sé delicato.
Aporie, opacità e lacune offrono l’impressione di un quadro fondamentalmente avulso dal contesto, ossia dal sistema di riferimento: un quadro astratto. Pittoricamente, uno stile che invita l’osservatore a proporre la propria chiave di lettura di linee e colori. Gli elementi per ricostruire l’istituto in una prospettiva più fedele alle parole della legge, e antitetica rispetto a quella adombrata nelle pagine precedenti, non mancano. Assumendo che il capitale minimo della Srl rimanga ancora quello di un tempo e che l’accesso al tipo con risorse inferiori rappresenti solo una deroga in vista della formazione successiva del patrimonio sociale (sul modello spagnolo), persino la geometria del testo normativo finirebbe per trovare coronamento: la menzione, prima di tutto, del minimo di diecimila euro, cui rinvierebbero ancora effettivamente e giustamente gli artt. 2482 e ss., e solo a valle di essa l’autorizzazione a scendere sotto la sua soglia. Assumendo che la società semplificata sia un submodello organizzativo dotato di specificità regolamentari, non soggetto all’obbligo di accumulo accelerato della riserva, stabilmente formato da persone fisiche e a statuto variabile, persino la riqualificazione delle vecchie società a capitale ridotto (per le quali non era previsto il Thesaurierungspflicht, mentre vigeva il requisito soggettivo dei soci e l’autonomia negoziale non soffriva limitazioni) riacquisterebbe la propria razionalità. Ma l’inoppugnabilità di una ricostruzione di questo tipo è illusoria e, in più, essa cede, per quel po’ di apparente coerenza interna che recupera, ogni plausibilità sul piano della funzione e della ragionevolezza degli istituti, specie al riguardo della società semplificata. Il rischio concreto è che, di fronte al quadro che destruttura la logica delle regole, la soggettiva dell’osservatore si sovrapponga e si sostituisca ad esse. Un settimo intervento legislativo (cui dovrebbe aggiungersi la rimodulazione del modello standard, già oggi obsoleto e foriero di dilemmi notarili)(21 )potrebbe completare il percorso a tappe ancora faticosamente in itinere, separando concettualmente e disciplinarmente l’istituto della ridefinizione del capitale da quello della facilitazione nel procedimento costitutivo. Ma, di questi tempi, non è detto che il risultato sarebbe quello auspicabile.
(1) I riferimenti presenti nelle note che seguono saranno limitati alla bibliografia essenziale, successiva all’ultimo intervento legislativo rappresentato dalla legge di conversione del D.l. 76/2013; per un maggiore approfondimento dei singoli temi che verranno trattati, per l’analisi dei problemi suscitati dalla disciplina nelle sue versioni anteriori, per ogni relativo richiamo alla letteratura di riferimento, mi limito a rinviare al mio«Srl, Srl semplificata, Srl a capitale ridotto: una nuova geometria del sistema o un sistema disarticolato?», in Riv.soc., 2012, p. 1101 e ss. A questo scritto rinvio anche per i riferimenti alle discipline straniere gemelle (e relativa bibliografia), alle quali si farà cenno nelle pagine che seguono; poiché quel lavoro non poteva tenere conto, per ragioni cronologiche, della più recente novella spagnola, di questa si riporteranno gli estremi e i contenuti con maggiori ragguagli.
(2) Per una critica severa alla disciplina v. M.S. SPOLIDORO, «Una società a responsabilità limitata da tre soldi (o da un euro?)», in Riv. soc., 2013, p. 1085 e ss.
(3) Cfr. G. FERRI JR, «Recenti novità legislative in materia di società a responsabilità limitata», in Riv. dir. comm., 2013, II, p. 418.
(4) Nel senso dell’irriducibilità del capitale al di sotto dei 10.000 €, M.S. SPOLIDORO, op. cit., p. 1111 e ss.;neppure sarebbe lecita la riduzione con rimborso ad una società già a capitale marginale (cui resterebbe possibile per converso la riduzione in caso di perdita del capitale: v. infra); N. DE LUCA, «Manutenzione del capitale nelle Srl semplificate e in quelle in crisi», in Società, 2013, p. 1186 e ss.
(5) La disciplina relativa a tale obbligo risulta assai più stringente rispetto a quella italiana: «Mientras no se alcance la cifra de capital social mínimo fijada en el apartado Uno del artículo4, la sociedad de responsabilidad limitada estará sujeta al régimen de formación sucesiva, de acuerdo con las siguientes reglas: a) Deberá destinarse a la reserva legal una cifra al menos igual al 20 por ciento del beneficio del ejercicio sin límite de cuantía. b) Una vez cubiertas las atenciones legales o estatutarias, sólo podrán repartirse dividendos a los socios si el valor del patrimonio neto no es o, a consecuencia del reparto, no resultare inferior al 60 por ciento del capital legal mínimo. c) La suma anual de las retribuciones satisfechas a los socios y administradores por el desempeño de tales cargos durante esos ejercicios no podrá exceder del 20 por ciento del patrimonio neto del correspondiente ejercicio, sin perjuicio de la retribución que les pueda corresponder como trabajador por cuenta ajena de la sociedado a través de la prestación de servicios profesionales que la propia sociedad concierte con dichos socios y administradores»
(6) In senso favorevole alla riduzione lo studio del CNN, Le nuove Srl, Studio d’impresa n. 892/2013/I, nonché A. BUSANI, «La nuova società a responsabilità semplificata e la nuova Srl con capitale inferiore a 10mila euro», in Società, 2013, p. 1082 e ss.
(7) La tesi suppone che si identifichi nella Srl semplificata soltanto una società a procedimento costitutivo semplificato (secondo quanto si dirà), con la quale nulla avrebbe invero in comune la vecchia società a capitale ridotto; che se, invece, dovesse ravvisarsi nella prima un sottotipo, soggetto ad una disciplina parzialmente difforme, la scelta qualificatoria compiuta in via normativa assumerebbe un altro significato.
(8) Nel senso della rilevanza, per il tema in esame, della regola sull’obbligo di accumulo, [A.L. SANTINI - L. SALVATORE] - L. BENATTI - [M.G. PAOLUCCI], Società a responsabilità limitata, in Comm. del cod. civ. Scialoja- Branca-Galgano a cura di G. De Nova, Bologna, 2014, sub art. 2463, p. 179 e ss., la cui soluzione (lecita la riduzione del capitale, se l’ammontare di partenza cumulativo di questo e della riserva è complessivamente superiore a 10.000 €, e per un importo massimo tale da non far scendere sotto detta soglia tali poste) non appare peraltro persuasiva.
(9) In senso favorevole alla trasformazione G. FERRI JR,op. cit., p. 420.
(10) E v. infatti, nel senso della riducibilità al di sotto della soglia ordinaria, il citato studio del CNN n. 892-2013/I; in dottrina G. MARASÀ, «Considerazioni sulle nuove Srl: Srl semplificate, Srl ordinarie e start-up innovative prima e dopo la L. n. 99/2013 di conversione del D.l. n. 76/2013», in Società, 2013, p. 1093; G. FERRI JR, op. cit., p. 419; in senso opposto M.S. SPOLIDORO, op. cit., p. 1111 e ss. (mentre una società già a capitale marginale potrebbe ridurre il capitale per perdite, sino alla soglia dell’euro; cfr. anche, a quest’ultimo proposito e per una prospettiva ancora diversa, N. DE LUCA, op. cit., p. 1187).
(11) G. FERRI JR, op. cit., p. 421; G. MARASÀ,«Considerazioni sulle nuove Srl …», cit., p. 1090 e ss.; ID.,«Le Srl nel quadro della legislazione di agevolazione», in corso di pubblicazione in Nuove leggi civ., 2014, p. 9 del dattiloscritto; M.S. SPOLIDORO, op. cit., p. 1113; C. MONTAGNANI, «Prime (e ultime) osservazioni su Srl ordinaria e semplificata quasi senza (ma con) capitale»,in Riv. dir. comm., 2013, II, p. 407 e ss.; [A.L. SANTINI - L. SALVATORE] - L. BENATTI - [M.G. PAOLUCCI], op. cit., Sub art. 2463-bis, p. 215. In senso contrario, però E. GINEVRA, Intervento (inedito) al seminario “Capitale sociale e vincoli alla distribuzione dell’attivo”, svoltosi presso l’ Università europea di Roma il 6 giugno 2014.
(12) G. FERRI JR, op. cit., p. 422 e ss.; G. MARASÀ, «Le Srl nel quadro della legislazione …», cit., p. 9 e 11 del dattiloscritto.
(13) Cfr. M.S. SPOLIDORO, op. cit., p. 1107 e ss.
(14) Il punto è stato messo bene in evidenza da G. FERRI JR, op. cit., p. 422 e ss.
(15) Così però G. MARASÀ, «Le Srl nel quadro della legislazione …», cit., p. 10 e ss. del dattiloscritto. Nel senso dell’immodificabilità assoluta del modello standard (con qualche eccezione “innocua”), A. BUSANI, op. cit., p.1070 e ss.
(16) Così A. BUSANI, op. cit., p. 1073 e ss., sebbene con soluzione in definitiva non chiara.
(17) Operativi nei riguardi della società semplificata rimangono i doveri informativi previsti dall’art. 2463, comma 4, norma superflua, dalla quale non pare neppure possibile evincere l’obbligo di attivazione di un sito web societario [così però C. MONTAGNANI, op. cit., p. 407], che costituirebbe una vera stranezza.
(18) Vanno sciolti alcuni nodi relativi ai conferimenti necessari per l’aumento di capitale (qualora il modello di destinazione sia una Srl a capitale ordinario o una società per azioni), per la cui sintetica trattazione rinvio allo scritto cit. in nt. 1.
(19) Per qualche spunto rinvio anche a M. CIAN, Die neuen Varianten der “Srl semplificata” (vereinfachte GmbH) und der “Srl a capitale ridotto” (GmbH mit reduziertem Kapital) im italienischen System der Kapitalgesellschaften, in corso di pubblicazione; lo scritto, pur redatto prima delle novelle dell’estate 2013, offre, sul punto in esame, considerazioni che non mi paiono superate dalle ultime riforme.
(20) Cfr. M. S. SPOLIDORO, op. cit., p. 1107 e 1112; peralcune considerazioni di tenore non del tutto coincidentev. altresì G. MARASÀ, «Considerazioni sulle nuove Srl…», cit., p. 1092 e ss.
(21) Così è, ad esempio, per l’accesso all’organo amministrativo da parte di persone diverse dai soci, sulla carta non più esplicitamente precluso dall’art. 2463-bis, comma 2, ma richiedente una apposita clausola statutaria (art. 2475), di dubbia ammissibilità alla luce del divieto sancito dal terzo comma.D’altra parte, già sotto il vigore del precedente art. 2463-bis il modello standard non era immune da imperfezioni.
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