La disciplina del capitale sociale nelle nuove Srl
La disciplina del capitale sociale nelle nuove Srl
di Niccolò Abriani
Ordinario di Diritto commerciale, Università di Firenze
L’autorevolezza dei relatori convenuti in questo importante simposio consente di interpretare nel senso più riduttivo portata e funzione di una relazione introduttiva, che si intende qui limitare ad alcuni spunti e domande, al contempo consapevolmente interlocutori e provocatori.
Nonostante la collocazione assegnatale dal programma, questa relazione non pretende in alcun modo di assurgere a Ouverture della seconda parte del convegno, nel quale si cimenteranno i cari amici e gli illustri colleghi ai quali sono affidati le vere relazioni. Mentre quei “virtuosi” accordano i loro strumenti si cercherà di operare una sintetica ricognizione dei principali corollari sistematici determinati - e di alcuni dei molti dubbi applicativi sollecitati - dalla nuova disciplina delle società a responsabilità limitata in tema di capitale sociale. Queste riflessioni introduttive vanno dunque piuttosto considerate come una sorta di presentazione dei protagonisti e degli eventi del nuovo atto: una carrellata che, per il suo carattere eminentemente descrittivo, spero non indisponga i numerosi “loggionisti” e i riconosciuti maestri della materia convenuti quest’oggi da tutta Italia (e come fiorentino d’acquisto, non posso che rallegrarmene).
In questa prospettiva verranno esaminate, in rapida sintesi, le linee essenziali dell’ennesimo intervento riformatore operato dall’art. 9 del decreto-legge 28 giugno 2013, n. 76 (come convertito con modificazioni, peraltro particolarmente incisive, nella legge 9 agosto 2013, n. 99). Tre sono i vettori che promanano da tale disposizione, con la quale il legislatore è intervenuto:
(i) sull’art. 2463-bis c.c., in materia di società a responsabilità limitata semplificata;
(ii) sull’art. 44 del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83 (convertito nella legge 7 agosto 2012, n. 134), che prevedeva la figura, ormai abrogata, della società a responsabilità limitata a capitale ridotto, sia, infine;
(iii) sugli artt. 2463 e 2464 c.c., in tema di conferimenti e di capitale di società a responsabilità limitata.
Il denominatore comune di questi interventi può essere ravvisato - con un certo grado di (inevitabile) approssimazione e di (consapevole) ottimismo - in una generale istanza di “semplificazione” del sistema. In primo luogo si è “semplificata” e “generalizzata” la società a responsabilità limitata semplificata, che non è più “una società per giovani”: la precoce “maturazione normativa” dell’istituto ne consente ora l’adozione anche ai soci «non abbiano compiuto i trentacinque anni di età alla data della costituzione», con conseguente abrogazione del divieto di cessione delle quote ad infratrentacinquenni (contemplato dall’originario quarto comma dell’art. 2463-bis c.c., ora abrogato). Eliminato il requisito anagrafico, resta come unico elemento caratteristico dell’istituto la riserva dello stesso alle sole «persone fisiche» (art. 2463-bis, comma 1 c.c.) e la doverosa conformità dell’atto costitutivo al modello standard tipizzato dal decreto del Ministro della giustizia 23 giugno 2012, n. 138, di cui si afferma ora espressamente la generale inderogabilità (con peraltro alcune significative aperture, come il possibile affidamento dell’amministrazione a terzi estranei alla compagine sociale), e che a sua volta è prodromico al riconoscimento del beneficio dell’esonero dal diritto di bollo e di segreteria e dalla corresponsione degli oneri notarili (art. 3, comma 3, D.l. 27 gennaio 2012, n. 1, convertito nella L. 24 marzo 2012, n. 27).
Ben più rilevanti ai fini della relazione affidatami sono le innovazioni in materia di capitale minimo contenute nei nuovi quarto e quinto comma dell’art. 2463 c.c.
Il primo e più importante elemento “semplificatorio” è rappresentato dal generale riconoscimento che l’ammontare del capitale possa determinarsi in una misura inferiore all’originario importo minimo, purché sia «pari almeno a un euro».
La formale conservazione della regola dettata dal n. 4 del secondo comma dell’art. 2463 c.c., ai sensi del quale «l’ammontare del capitale» sociale indicato nell’atto costitutivo non può essere «inferiore a diecimila euro», non deve trarre in inganno.
Siamo di fronte ad una sottocapitalizzazione minima legalizzata, generalizzata, condizionata e al contempo foriera di conseguenze in punto di disciplina del patrimonio netto: ed è alla portata generale del nuovo minimo legale operante per tutte le Srl - pari appunto ad un solo euro - che si deve il definitivo abbandono della “società a capitale ridotto”, la cui definizione era contenuta nell’ormai abrogata disciplina dettata dall’art. 44 del D.l. n. 83 del 2012 e durata l’éspace d’un matin (come tanti, troppi istituti di questi ultimi lustri … e qui le considerazioni sulla politica del diritto ci porterebbero troppo oltre).
Sebbene sia già invalsa nella prassi l’espressione di “Srl a capitale inferiore al minimo” (“nummo uno”), tale fraseologia potrebbe risultare decettiva. Si tratta infatti di una subfattispecie di carattere generale, condizionata a determinati presupposti e assistita da alcuni presidi alternativi al capitale sociale. Tale fattispecie: i) è ammessa in termini generali, e dunque anche al di là della specifica ipotesi di società a responsabilità limitata semplificata; ii) subordinata, per c.d. a monte, a talune condizioni (di legittimità della fattispecie); ii) implica, per c.d. a valle, alcuni corollari in punto di disciplina del patrimonio netto. Le condizioni necessarie per adottare il nuovo capitale minimo sono indicate nell’attuale quarto comma dell’art. 2463 c.c. il quale a tal fine richiede che:
• i conferimenti siano effettuati in denaro e
• il loro integrale versamento abbia luogo immediatamente «alle persone cui è affidata l’amministrazione» (configurino o meno le stesse, in base all’assetto statutario, un vero e proprio organo amministrativo).
Venendo ai corollari, il quinto comma dell’art. 2463 c.c. configura le società a responsabilità limitata con capitale di valore intermedio tra il nuovo (un euro) e il vecchio (diecimila euro) minimo alla stregua di una società (non già e non più “a capitale ridotto”, bensì) “a dividendo ridotto”, o, se si vuole, “a riserva legale rafforzata”.
La nuova disciplina di quest’ultimo istituto presenta infatti delle rilevanti deviazioni rispetto a quella che tuttora connota le Srl con un capitale pari o superiore a diecimila euro (e le società per azioni, ai sensi del richiamato art. 2430 c.c.), contemperandosi l’esiguità del capitale con una imputazione a riserva legale degli utili netti in misura quattro volte maggiore (il quinto anziché l’ “ordinario” ventesimo) e fino a quando essa «non abbia raggiunto, unitamente al capitale, l’ammontare di diecimila euro» (ferma restando la necessità di reintegrarla qualora essa venga diminuita per qualsiasi ragione).
Si assiste, dunque, all’aumento non soltanto della percentuale degli utili da imputare a riserva legale (utilizzabile, precisa espressamente la legge, solo ai fini dell’imputazione a capitale e della copertura di perdite), ma anche, e prima ancora, all’incremento, almeno potenziale, del suo importo complessivo “minimo”, il cui ammontare è destinato a variare in relazione alle singole fattispecie, corrispondendo tendenzialmente alla differenza tra il “vecchio” capitale minimo e l’effettivo capitale della singola società. L’ammontare “minimo” della riserva legale è pertanto inversamente proporzionale al capitale sociale e destinato a risultare superiore all’ammontare di quest’ultimo ogni qualvolta il capitale sociale sia inferiore a cinquemila euro, sino all’ipotesi limite del rapporto 1 (capitale) / 9.999 (riserva legale), che si registra ove il capitale sia pari al “nuovo” minimo di legge (e il patrimonio netto sia pari al “vecchio” minimo legale).
La corrispondenza della riserva legale al risultato della sottrazione del valore del capitale sociale alla cifra di diecimila euro è peraltro, come si è detto, solo tendenziale: qualora infatti il capitale sociale si avvicini a ridosso del “vecchio” limite legale, la riserva legale dovrà comunque ammontare ad un quinto dello stesso. Dunque, in ipotesi di capitale pari a novemila euro, l’imputazione degli utili netti sarà imposta sino al conseguimento di una riserva legale pari a milleottocento euro: con la scansione acceleratoria del quinto degli stessi, prevista dalla nuova disciplina sino a quando la riserva ammonti a mille euro, nei termini “ordinari” del ventesimo per il suo definitivo completamento.
Dal nuovo quadro normativo si evince dunque il riassorbimento nell’alveo della Srl di diritto comune del caduco “esperimento” della Srl a capitale ridotto, all’esito del quale può dunque ribadirsi che è il tipo società a responsabilità limitata che vede ora il suo capitale minimo ridotto ad un euro, salva l’introduzione dei ricordati correttivi per la fascia intermedia delle società con un capitale da 1 a 9.999 euro.
Si potrebbe dire che, ferma restando la ridefinizione del minimo legale ad un solo euro, la Srl è oggi “a disciplina variabile”, con riferimento al capitale sociale, giacché il corpus normativo “ordinario” viene ad arricchirsi, quanto alla disciplina della riserva legale, ove il capitale sia inferiore al “vecchio” capitale minimo della Srl, così come da sempre si arricchisce, quanto alla disciplina dei controlli, ove il capitale sia pari o superiore centoventimila euro, ovvero il minimo legale tuttora previsto per la società per azioni (art. 2477 c.c.). E come da sempre si ritiene con riferimento a quest’ultima ipotesi, anche nella nuova subfattispecie introdotta dalla più recente novella deve naturalmente escludersi la configurabilità di un autonomo tipo societario.
Quest’ultimo accostamento induce a ritornare su un tema a me caro: alla luce del ridimensionamento della funzione del capitale sociale, sembra ormai maturo il tempo per procedere alla (da me più volte sollecitata) abrogazione di questo requisito di obbligatorietà dell’organo di controllo, che risulta ormai palesemente anacronistico, configurando un irragionevole disincentivo alla capitalizzazione.
La definitiva espunzione dal secondo comma dell’art. 2477 c.c. della norma che rende obbligatoria la nomina del collegio sindacale tutte le volte che il capitale della società a responsabilità limitata presenta un importo «non inferiore a quello minimo stabilito per la società per azioni» potrà rappresentare l’occasione per un ripensamento generale del sistema dei controlli, sganciando i presupposti dell’obbligatorietà dell’organo di controllo anche dal rinvio, parimenti infelice e decettivo, all’art. 2435-bis c.c., ovvero ai parametri relativi al bilancio in forma abbreviata, che rispondono ad una loro logica autonoma e non traslabile automaticamente ai controlli interni.
Si potranno così introdurre delle nuove soglie, individuate in termini autonomi nella norma sull’organo di controllo, imponendo alle Srl che superino uno dei due parametri indicati nei n. 1 e 2 del primo comma dell’art. 2435-bis c.c. la nomina del collegio sindacale come organo pluripersonale (o dei corrispondenti organi collegiali di controllo dei sistemi alternativi di amministrazione e controllo, la cui introduzione andrebbe consentita anche nella Srl, con appositi interventi di adeguamento della disciplina vigente), e prevedere una soglia inferiore (pari, ad esempio, ad un terzo dei due parametri sopra ricordati) per l’obbligatorietà del sindaco unico (ferma restando la possibilità per l’autonomia statutaria di introdurre anche in questo caso il collegio sindacale e ferma restando la possibile attribuzione all’organo di controllo anche della funzione di revisione legale dei conti).
Al di sotto di tale soglia, andrebbe comunque imposta per tutte le società dotate di personalità giuridica la presenza della funzione di revisione legale dei conti, esterna ed affidabile tanto a società di revisione quanto a singoli revisori persone fisiche.
Al contempo andrebbe riconosciuta la disponibilità in via statutaria dei diritti di controllo dei soci “offerti” in via dispositiva dall’art. 2476, comma 2, c.c.: con una derogabilità convenzionale i cui limiti varieranno a seconda che sussista o meno un organo di controllo dotato dei poteri e delle caratteristiche proprie dei corrispondenti organi delle SpA. Nel primo caso il limite minimo, insuscettibile di compressione statutaria, corrisponderà ai diritti di controllo degli azionisti (art. 2422 c.c.); nel secondo, al diritto di controllo riconosciuto ai soci accomandanti dall’art. 2320, comma 3, c.c.
Verso tale approdo, al quale proprio il Consiglio Nazionale del Notariato ebbe a dare un importante avallo con uno Studio di cui ebbi l’onore di essere estensore, sembra convergere anche la disciplina delle start-up innovative costituita in forma di società a responsabilità limitata, il cui statuto - come sottolineato in un Orientamento in corso di elaborazione dall’Osservatorio di diritto societario del notariato fiorentino - può prevedere categorie di quote per le quali è escluso il diritto di avere notizie dall’organo amministrativo sullo svolgimento degli affari sociali e di consultare anche tramite professionisti di fiducia i libri sociali e i documenti relativi all’amministrazione, salvo il diritto dei soci titolari di dette partecipazioni di ispezionare il libro delle decisioni dei soci. Resta da vedere se tale previsione, consentita entro i limiti temporali di cui all’art. 31 comma 4 D.l. 179 /2012 (quattro anni dalla data di costituzione della società), sia espressione del particolare statuto che caratterizza la disciplina della start-up innovativa, ovvero riflesso di un principio generale di autodeterminazione della struttura organizzativa e dei diritti delle minoranze che informa il tipo Srl, come personalmente riterrei (e come sarebbe opportuno prevedere espressamente nell’auspicata prospettiva di ulteriore intervento normativo).
Ritornando al tema del nostro convegno, e giungendo rapidamente alle conclusioni, resta da osservare come alla ridefinizione del capitale minimo si accompagni la conservazione del tradizionale meccanismo del “ricapitalizza o liquida” di cui agli artt. 2482-bis e ter c.c. Qui alla modesta semplificazione conseguente alla possibilità di evitare le alternative della trasformazione (o dello scioglimento) anche mediante la riduzione del capitale ad una cifra pari ad un euro (o ancora di trasformare in Srl società azionarie il cui patrimonio netto sia sceso anche al di sotto di diecimila euro, ma sia comunque positivo), si accompagna la considerazione che per le Srl che partono con il “nuovo” capitale minimo, e non abbiano ancora formato la “maxi riserva legale”, la novella potrebbe determinare una maggiore erraticità ed un più frequente scostamento al di sotto delle soglie di rilevanza indicate dagli artt. 2482- bis e ter c.c., moltiplicando “a valle”, e dunque negli esercizi successivi, l’attivazione dei meccanismi di allerta e le fattispecie di riduzione obbligatoria, e dunque le occasioni di intervento notarile per le relative modificazioni statutarie.
In altra occasione mi ero chiesto se non si trattasse di un risultato conseguito dal nostro legislatore senza adeguata consapevolezza, se non addirittura di una sorta di aberratio ictus rispetto alle finalità sottese all’intervento riformatore.
In questo quadro, va peraltro rilevato che a livello comunitario, anche in tema di SpA, non si ravvisano significative novità all’orizzonte. Del resto, è ormai passato un lustro dalla pubblicazione dello studio di fattibilità sulle alternative al sistema del capitale sociale che la Commissione europea aveva incaricato la Kpmg di redigere («Feasibility study on the alternative to the capital maintenance regime established by the second company law directive 77/91/Eec of 13th december 1976 and the impact on profit distribution of the new Eu-accounting regime»). In tale studio, pur proponendosi alcune modificazioni delle regole attualmente vigenti, con l’introduzione, in particolare, delle vere azioni senza valore nominale (c.d. true no-par value shares), si afferma espressamente che, alla luce di una valutazione comparativa di carattere generale, i costi derivanti dall’ipotizzato abbandono dell’attuale sistema imperniato sul capitale sociale nominale potrebbero superare i benefici attesi.
Una conclusione che, unitamente alla repentina marcia indietro compiuta dai regolatori mondiali sul criterio del fair value a seguito della crisi finanziaria, sembra imporre (ed anzi già avrebbe imposto) al legislatore nazionale un supplemento di riflessione rispetto alla deriva della supina americanizzazione. Viene allora da ripensare al rilievo, sovente (e talora sprezzantemente) rivolto al di là dell’Atlantico - ma anche della Manica - all’istituto del capitale sociale nominale, definito «come la cravatta, un orpello inutile ma necessario per partecipare ai salotti buoni del Vecchio Continente», per chiedersi se non sia piuttosto come la vecchiaia: «una brutta cosa, ma l’alternativa è peggio».
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