INTRODUZIONE
INTRODUZIONE
L’atto pubblico informatico quale “forma” per garantire la certezza e la liceità delle operazioni giuridiche attraverso il ministero del notaio. Un’analisi economica
Antonio Nicita
Associato di Politica economica Università degli Studi di Siena
Corrado Daidone
Dottorando di ricerca in diritto ed economia Università Luiss Guido Carli, Roma

Il vigente testo dell’art 2699 c.c. definisce l’atto pubblico come «il documento redatto, con le richieste formalità, da un notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato ad attribuirgli pubblica fede nel luogo dove l’atto è formato».

Questa definizione fornita dal codice ci indica lo strettissimo rapporto esistente tra l’atto pubblico e il notaio, quale pubblico ufficiale incaricato di redigerlo, come novellata dal legislatore del 1942(1).

Il rapporto tra il notaio è l’atto pubblico è infatti qualcosa di più profondo, logicamente ed essenzialmente, del rapporto tra produttore e prodotto, come sembrerebbero indicare le primissime parole dell’articolo in oggetto: l’atto pubblico è lo strumento principale ed essenziale con cui il notaio esplica la sua funzione come attribuitagli dall’ordinamento.

Il Notariato di tipo latino è istituzione diffusa nei Paesi di legislazione civilistica consolidata, ma nell’ordinamento civile italiano ha un ruolo ancora più incisivo e pregnante. Figura sempre sospesa tra la sua intima funzione di pubblico ufficiale(2) e la sua natura di libero professionista(3), il notaio è posto dall’ordinamento a garanzia della certezza e affidabilità delle principali operazioni giuridico patrimoniali poste in essere dai privati.

Si può dunque con tranquillità definire il notaio in termini di organo di “policy”(4), intendendo con questo termine la sua funzione politica di regolamentazione dei privati interessi: da un lato l’ordinamento riconosce attraverso l’art. 1322 c.c. un ampio potere ai privati di libera determinazione dei propri interessi attraverso l’utilizzo degli istituti giuridici, purchè nei limiti della loro meritevolezza (valutata a contrario dal mancato contrasto coi principi di diritto), dall’altro pone il notaio a garanzia del controllo della liceità e della validità in genere dei negozi posti in essere. La funzione notarile(5), persino quando resa obbligatoria dall’ordinamento (pensiamo agli esempi più lineari della vendita avente ad oggetto beni immobili o alla redazione del verbale di assemblea straordinaria di società di capitali) non si può mai immaginare posta nell’esclusivo interesse dell’ordinamento e dello Stato: sicuramente quest’ultimo ne trae indiscutibili benefici, ma molti di questi sono benefici mediati, derivanti dalla certezza e dalla sicurezza fornita ai privati di concludere negozi perfettamente validi per l’ordinamento e quanto più possibile, nei limiti del diritto, conformi alle loro volontà e agli effetti che intendono produrre(6).

Lo strumento con il quale il notaio adempie alla sua principale è delicata funzione è proprio l’atto pubblico. L’atto pubblico dunque è qualcosa di più di quello che si osa definire nelle normali trattazioni. A livello economico è strumento “politico di regolamentazione”. Lo possiamo agevolmente dimostrare analizzandone brevemente le principali funzioni.

Innanzitutto è fondamentale la sua funzione probatoria. L’atto pubblico è documento “forte” perché abbina alla stabilità delle forma scritta, la certezza delle dichiarazioni in esso riprodotte, grazie alla particolare qualificazione di chi le riceve (o per usare la definizione post 1942 lo “redige”). Poco interessa a chi fa una valutazione di natura propriamente economica se la certezza che l’atto pubblico custodisce sia riferita all’esistenza della dichiarazione o al suo contenuto: quello che interessa principalmente è che essa faccia, come recita l’art. 2700 c.c., «piena prova sino a querela di falso».

Per la certezza dei traffici giuridici, l’esistenza dell’atto pubblico, è strumento di non poca rilevanza(7) ai fini della riduzione dei costi transattivi(8). Non va infatti negato che tra i principali costi di tran sazione che valuta chi affronta una basilare analisi economica di una operazione giuridica, ci sia quello legato alla certa attribuzione di un determinato diritto. Qualora una parte sia convinta di aver acquisito, grazie a un valido negozio, un determinato diritto, e invece la controparte successivamente dimostri la non conclusione del negozio per indeterminatezza della volontà espressa, non c’è dubbio che il riconoscimento del diritto debba necessariamente passare attraverso la valutazione di un giudice.

Il fatto che questo meccanismo comporti maggiori costi da sostenere per chi vuole acquistare un diritto e successivamente vuole rivendicarlo, non è basato sul generale disvalore che si attribuisce alla lentezza del sistema giudiziario del nostro ordinamento: anche ad immaginare una giurisdizione fulminea nel produrre il giudizio, comunque il risultato per chi vi si rivolge potrebbe essere non il riconoscimento del diritto vantato, ma un risarcimento meramente economico (ad esempio a titolo di responsabilità precontrattuale). L’economista più attento riterrà il presunto acquirente il diritto non pienamente soddisfatto a livello economico qualora il suo obiettivo sia non quello di ottenere il valore del diritto voluto, ma proprio quel diritto che risulta dunque infungibile.

Solo chi acquista in maniera veramente certa e definitiva può considerare acquisito al suo patrimonio un determinato diritto e non deve valutare altri costi per rivendicarlo o eventualmente sostituirlo con altro in caso di perdita.

Ulteriore costo di transazione può derivare dalla perdita del diritto acquisito per invalidità del negozio che lo fa acquistare.

Il negozio realizzato attraverso il ministero del notaio è pressoché esente da questo rischio in quanto l’art. 28 della legge notarile impedisce a detto pubblico ufficiale di ricevere atti «espressamente proibiti dalle legge»(9).

Si può obiettare che non è necessario che l’ordinamento crei appositamente una figura solo a questo fine, potendo le parti singolarmente sfruttare la consulenza di singoli operatori del diritto a cui possono rivolgersi a tutela dei propri rispettivi interessi.

Proprio su questo punto si evidenzia la peculiarità della figura del notaio e della sua duplice natura di pubblico ufficiale e di privato professionista. Il notaio infatti è qualcosa di più di un semplice consulente giuridico: dovendo rispondere sia ai clienti che all’ordinamento, cerca di costituire una vera e propria “interfaccia” tra i loro interessi (reciprocamente tra danti e aventi causa) e quelli dell’ordinamento, e traduce le esigenze reciproche in un negozio sicuramente valido in quanto è l’ordinamento stesso che gli impone, per legge, detta funzione.

Siamo soliti pensare che sia questa una necessità dell’ordinamento che impone la obbligatorietà del ministero notarile al fine di “blindare” la validità delle modificazioni giuridiche e i negozi di maggiore importanza economica(10): ad esempio le vendite aventi ad oggetto beni immobili(11).

Ma è vero il contrario: come già detto prima, l’ordinamento pretende il ministero del notaio a tutela di un interesse dei privati, cioè la realizzazione di un negozio valido ed efficace. Ne è conferma il fatto che la forma solenne (cioè il ricorso all’atto pubblico in senso stretto e non alla forma pure essa qualificata della scrittura privata autenticata) è espressamente richiesta a pena di nullità per quelle fattispecie negoziali particolarmente delicate come le donazioni, il testamento pubblico, le convenzioni matrimoniali, tutti negozi dove la serietà dell’operazione giuridica (sono letteralmente atti a causa liberale, cioè dove una parte subisce un depauperamento patrimoniale in favore di un’altra in assenza di corrispettivo) richiede in maniera assolutamente più pregnante un controllo della volontà del risultato.

La bontà della nostra ricostruzione è dimostrata dal fatto che l’imposizione della forma dell’atto pubblico è considerata principio eccezionale rispetto al principio generale della libertà della forma, sancito dall’art. 1350 c.c.: prevedere l’atto pubblico come necessario solo per alcuni atti non vuol dire che l’ordinamento ricorre ad esso come extrema ratio solo in casi eccezionali e di particolare serietà degli interessi in gioco. Tuttaltro: il legislatore indica il limite minimo oltre il quale non ci si può esimere dall’utilizzo di questo importante mezzo di prova. Per tutti gli altri negozi, il legislatore non vuole che il costo della redazione dell’atto pubblico gravi sulle parti stipulanti, ma neanche vieta che le parti ricorrano al suo utilizzo per dare alla loro convenzione non solo piena efficacia probatoria, ma anche certezza di conformità all’ordinamento e di liceità.

Con questa regolamentazione il legislatore si rivela particolarmente sensibile al piano dell’analisi economica: sa riconoscere infatti quella categoria di operazioni per le quali il costo dell’atto pubblico si rivela comunque minore del costo del rischio che il negozio in esso contenuto, qualora stipulato in forma diversa, sia soggetto a incertezza sull’esistenza o sulla liceità.

Per tutti gli altri casi l’ordinamento lascia alle parti una libera valutazione se è economicamente conveniente adottare l’atto pubblico o no, salvo restando che attraverso la sua scelta espressa nei casi suindicati, fornisce alla parte stessa una strada maestra da seguire nella scelta dello strumento per ottenere la certezza dell’operazione giuridica nel modo economicamente più efficiente.

Numerosi elementi forniscono la dimostrazione della bontà del ragionamento e della valutazione politico economica del legislatore nella scelta dell’atto pubblico quale strumento di certezza dei traffici giuridici economicamente conveniente: due sono i principali.

Il primo è fornito dalla pratica degli affari: è sempre più frequente che le parti, indipendentemente dall’obbligo della legge, si rivolgono al notaio per redigere nella forma dell’atto pubblico le loro convenzioni affinchè queste godano di quei vantaggi di certezza e stabilità già tante volte citati in questo scritto(12).

Il secondo è fornito dalla comparatistica. Il riferimento è agli ordinamenti di Common Law(13)che non conoscono una figura assimilabile a quella del notaio di tipo latino. La libertà concessa alle parti nella stipula dei negozi è piena. Salvo quando vi è, per volontà dei contraenti, il ricorso a consulenti legali di parte per la tutela degli interessi del singolo, si deve ricorrere a strumenti alternativi di tutela per garantire la bontà e la serietà degli interessi della controparte o per prevenire l’eventualità che, venendo a mancare tale serietà e bontà, lo stesso negozio o il suo oggetto vengano meno.

Paradigmatica a tal fine è l’esperienza statunitense. Prendendo a riferimento una ipotesi tipica in cui la legge impone per la stipula del negozio la forma dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata (prevalentemente al fine della pubblicità per i terzi, in subordine per garantire serietà ad un’operazione economica di solito di valore non irrilevante), cioè la compravendita di bene immobile(14), l’ordinamento di oltreoceano opta, in assenza dell’ufficio notarile, per altro rimedio al fine di garantire il buon esito dell’operazione giuridico economica.

Negli Stati Uniti(15)è stato elaborato e sviluppato lo strumento privatistico della Title Insurance(16), che in un certo senso può essere confrontato(17), in relazione alla funzione di tutela assolta, con il notaio di tipo latino, rispetto al quale viene da alcuni autori considerato una possibile alternativa maggiormente efficiente.

La polizza di Title Insurance, come in precedenza esposto, è un contratto in cui viene assicurato un determinato diritto di proprietà ed offre alle parti coinvolte nella singola transazione, o addirittura alla sola banca finanziatrice, una garanzia limitata esclusivamente al valore economico del bene, il cui contenuto e ammontare massimo viene indicato nella polizza, contro il pagamento di un premio di un determinato ammontare.

La società assicurativa è tenuta, poi, qualora si verifichino difetti nel titolo, a risarcire la parte contraente che ha stipulato la polizza, nei soli limiti, però, del valore stabilito in essa e a sostenere, anche qui mediante lo strumento risarcitorio, le spese di un’eventuale controversia davanti al giudice, mentre non è di sua competenza offrire all’acquirente una consulenza di tipo legale o fiscale sul negozio di trasferimento.

La sua principale funzione non è, quindi, assicurativa in senso tecnico, poiché non protegge dal danno causato da un evento futuro e incerto, ma protegge solo nei confronti di eventi verificatisi prima della vendita. Tale sistema, inoltre, non conferisce maggiore certezza alle situazioni proprietarie, poiché nel caso di eventuali difetti del titolo deve solo indicarli come possibili fattori di riduzione del valore del bene, ma non provvede a sanarli, e inoltre non crea alcun beneficio per la collettività, poiché non facilità la ricerca della titolarità del bene, dato che la società inserisce i dati e le informazioni in merito ad una transazione in un proprio registro (Title plant) e non in uno pubblico cui tutti possono accedere.

Si nota già inizialmente quali sono i rilevanti vantaggi del rimedio adottato dal nostro ordinamento allo stesso fine della Title Insurance, cioè la stipula dell’atto pubblico mediante il ministero del notaio.

L’intervento del notaio, nel nostro sistema, assolve innanzitutto non solo una funzione di garanzia di certezza del negozio da un punto di vista privato, nei confronti cioè delle parti che a lui si rivolgono in relazione ad una determinata transazione, ma anche da un punto di vista pubblico, offrendo tutta una serie di garanzie alla collettività in generale (ai terzi attraverso la pubblicità, all’ordinamento attraverso il controllo di legalità, allo Stato-amministrazione attraverso i controlli amministrativi che vengono demandati al notaio). Già per questo la tutela apprestata dal nostro ordinamento si rivela più completa ed efficace. Ma non dimentichiamo che persino la figura professionale del notaio offre garanzia di risarcimento economico(18) se per sua colpa la parte del negozio che si rivelasse invalido del tutto o in parte subisce un danno. E questa previsione, oltre ad avere la funzione (insieme alle sanzioni previste dell’ordinamento notarile) di incentivo ad un assolvimento diligente delle proprie funzioni, è un rafforzamento della garanzia a favore del privato. Una garanzia che, qualora si concreti nella stipulazione di assicurazione per il rischio, viene a ricadere non sul privato, ma sul libero professionista che si protegge tramite la polizza dai costi del suo rischio professionale. Con ricadute economicamente positive per il contraente che non subisce i costi diretti di una assicurazione per il rischio, a volte notevolmente più onerosa del costo dell’onorario del professionista.

Ma entrando in valutazioni di carattere più strettamente economico, il mercato della prestazione notarile si rivela certamente più vantaggioso per il cliente rispetto al mercato assicurativo della Title Insurance.

Il Notariato è caratterizzato sia da un monopolio legale strettamente regolato, la cui ratio si ricollega all’assimilazione dei servizi prestati ad un bene pubblico, stante la produzione di sicurezza dei diritti e della loro circolazione e per l’efficacia probatoria ed esecutiva dell’atto notarile, sia dalla previsione di forti limitazioni in merito all’accesso alla professione e alla condotta, al fine di risolvere i problemi legati alla presenza di asimmetrie informative.

Nel caso della Title Insurance, al contrario, le asimmetrie informative non vengono contrastate da apposite formule regolatorie, ma è il mercato a stabilire le regole che vanno tutte a favore della società assicurativa, che possiede registri propri, i private plans, i cui contenuti non sono accessibili neanche per i propri clienti e quindi, essendo l’unica a conoscenza dei fattori di rischio, stabilisce da sola il prezzo, oltre decidere, - sempre senza sentire la parte che ad essa si rivolge -, cosa assicurare (dato che il contratto assicurativo prevede tutta una serie di esclusioni), nonché l’ammontare massimo del risarcimento.

Il mercato della Title Insurance presenta poi tutte le caratteristiche proprie di un oligopolio, che però non viene regolamentato sotto alcun profilo dato che non vengono previste limitazioni in relazione ai prezzi o all’obbligo di fornire la prestazione, ad eccezione di una minoranza di Stati dove, attraverso il cosiddetto Superintendent of Insurance, lo Stato federale interviene attraverso la fissazione di tariffe minime, in quanto ritiene che offrire prezzi troppo bassi comporterebbe un inaccettabile abbassamento della qualità della prestazione.

Un fattore sicuramente negativo è costituito, inoltre, dal fatto che tale prassi americana non conferisce un adeguato livello di sicurezza in relazione alla circolazione immobiliare, poiché l’acquirente, con la polizza assicurativa che stipula, non ottiene una garanzia del fatto che effettivamente acquisterà il bene e potrà goderne in modo pieno ed esclusivo, ma solo la promessa che otterrà una somma di denaro nel caso in cui, per un difetto del titolo, il bene gli venga sottratto, peraltro nei soli limiti assicurati e non per il suo valore di mercato. Inoltre, qualora sorgano eventuali controversie, viene lasciata alla società assicuratrice la scelta in merito alla difesa, o meno, in giudizio del diritto dell’acquirente.

Infine, visto il procedimento in cui si inserisce la Title Insurance, appare ovvio che la produzione del bene pubblico dato dal conferimento di certezza legale dei diritti di proprietà non è contemplata dal sistema americano, né che in esso viene ritenuto importante il fatto che i cittadini possano accedere liberamente a registri, da cui essi possano trarre, sostenendo bassi costi di ricerca, informazioni il cui contenuto è garantito essere esatto ed affidabile.

Al di là dunque delle peculiarità proprie dell’ordinamento oggetto della nostra comparazione e della sicura non esportabilità nel nostro del modello esaminato, appare comunque evidente che neppure esperendo gli opportuni adattamenti, il sistema alternativo analizzato, se applicato, avrebbe efficacia maggiore dello strumento dell’atto pubblico redatto attraverso l’ufficio del notaio.

A conclusione va affermato che l’atto pubblico, quale prodotto redazionale dell’operato del notaio, attraverso il quale si esplica la sua funzione, è “forma”.

Va chiarito che quando il legislatore definisce “formali” i negozi stipulati per atto pubblico commette sicuramente un errore di tipo terminologico e nel contempo logico.

“Forma” è infatti, secondo autorevolissima dottrina(19), qualunque espressione della volontà. Dunque la forma può essere di vario tipo e genere e non è necessariamente quella solenne dell’atto pubblico. Tuttavia il legislatore nel definire “formali” i negozi dotati del “crisma” della fede pubblica, inconsapevolmente riconosce e suggella detta forma vincolata quale forma principe(20) dell’ordinamento, l’unica cioè in grado di garantire tre principali effetti:

1. La sicurezza di documentazione;

2. La certezza è univocità di manifestazione della volontà;

3. Il filtro di legittimità e di liceità del negozio.

Di questa “forma”, forte perché solenne, il “sacerdote” ne è il notaio “redattore” come correttamente novella il legislatore del 1942 e non più mero “ricevente” come superficialmente lo definisce quello del 1865.

Il termine “redige”(21) sottolinea infatti più di ogni altro riferimento il legame stretto e biunivoco tra il notaio e l’atto pubblico. Il notaio non “riceve” una volontà altrui, ma “redige” un documento, adeguando e sostanziando la volontà delle parti.

Per assolvere le suelencate funzioni, infatti, l’atto pubblico si sostanzia di un regime rigoroso di formalità che vengono enucleate nella legge 16 febbraio 1913, n. 89, c.d. legge notarile. In detta legge, un legislatore particolarmente attento, riesce con provvedimento omogeneo come pochi nell’intera produzione legislativa italiana a delineare un apparato assolutamente non contraddittorio di norme per la redazione dell’atto pubblico. Rispettando le formalità lì enucleate si può avere la ragionevole certezza che le funzioni dell’atto pubblico siano assolutamente adempiute.

I presupposti (e se vogliamo i limiti) per l’efficacia di queste disposizioni sono sostanzialmente due: la loro configurazione legata al documento scritto cartaceo (almeno fino al 2010) e la loro applicazione attraverso il ministero del notaio quale pubblico ufficiale.

Detto sistema ha operato per quasi cento anni senza contraddizione alcuna nel sistema, in perfetta coerenza, tanto che lo stesso Stato amministrazione, individuandone le potenzialità lo ha sfruttato, riservando al momento di redazione dell’atto pubblico tutta una serie di formalità e adempimenti di tipo fiscale, burocratico e amministrativo, spesso non strettamente attinenti alle necessità del negozio stipulato. L’atto pubblico insomma diventa per l’amministrazione “pretesto”, “occasione” per sfruttare l’ufficio del notaio deputato alla redazione, per finalità di interesse dell’ordinamento, ma estranee direttamente all’interesse delle parti.

Questo modello, per quanto nel tempo siano stati introdotti strumenti tecnici di documentazione, si è rivelato ancora punto di riferimento, in quanto anche la produzione tecnica del documento mediante nuove tecnologie ha sempre fatto (prima della rivoluzione digitale) comunque riferimento al supporto cartaceo, al quale dunque rimaneva pienamente applicabile la disciplina prevista dalla legge notarile, senza possibilità di incongruenza alcuna.

Con l’avvento dello strumento informatico, e l’introduzione quindi della digitalizzazione, si sono moltiplicate, con sostanziale rivoluzione, gli strumenti e le forme di documentazione. Il primo provvedimento di riconoscimento del supporto digitale quale fonte di informazione e del “documento informatico” viene dalla legge 15 marzo 1997, n. 59, che insieme al successivo D.P.R. 10 novembre 1997, n. 513, introducono una disciplina del documento informatico e soprattutto della sua imputabilità, col riconoscimento agli strumenti tecnici allora vigenti dell’idoneità a individuare la paternità del documento.

Si supera dunque per la prima volta e lo si farà ancora successivamente con il D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445 c.d. Tuda (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa), con il D.P.R. 7 aprile 2003 n. 137 e con il Codice dell’amministrazione digitale (D.lgs. 82/2005) e sua novella (D.lgs. 4 aprile 2006 n. 159), il concetto tradizionale di sottoscrizione per sostituirlo (con continui aggiornamenti secondo lo stato dell’arte della tecnica) con nuovi strumenti idonei a garantire l’imputabilità del documento ai fini della prova.

Il legislatore fino al 2010, consapevole delle potenzialità di questi strumenti, capaci ancora di più della sottoscrizione autografa tradizionale di garantire la paternità di un documento, ne ha man mano riconosciuto il valore giuridico adeguandolo, con una certa frequenza, alle nuove potenzialità degli aggiornamenti tecnici, ed è arrivato sino a garantire la dignità della scrittura privata ex art. 2702 c.c. a documenti informatici dotati di specifici requisiti tecnici. Non è riuscito tuttavia sino a tale data, ad intervenire sul valore della previsione dell’art. 2699 c.c., cioè a prevedere l’atto pubblico nella forma digitale.

In verità, prima di allora, il legislatore si era spinto a prevedere l’autenticazione della firma digitale da parte del notaio, realizzando dunque di fatto la validità della scrittura privata digitale autenticata.

È anche vero che alcuni autori più attenti avevano sottolineato un profilo di ammissibilità dell’atto pubblico informatico persino prima del D.lgs. 110/2010 che lo istituisce, proprio insistendo sullo strettissimo rapporto tra notaio redattore e l’atto da lui prodotto.

L’atto infatti non nasce per la dichiarazione delle parti: questa sostanzia il negozio, ma non l’atto pubblico che nasce perché il notaio riceve la dichiarazione e la riproduce. La dimostrazione di questo assunto è data dal fatto che la presenza della sottoscrizione autografa, ordinariamente indispensabile ai fini della rivendicazione della paternità delle dichiarazioni riprodotta, può essere derogata previa motivazione in alcuni casi previsti dalla legge. Va anche detto però che questi casi sono previsti in circostanze eccezionali (minorazioni o particolari impedimenti), mentre la regola in materia di atto pubblico è che la assenza di sottoscrizione comporta nullità per mancanza della necessaria conferma della volontà negoziale espressa.

L’ammissibilità della redazione di un atto pubblico nella forma informatica veniva inoltre sostanziata dalla possibilità per il notaio di autentica delle firme digitali e per la possibilità prevista dalla legge 4 gennaio 1968, n. 15 di redigere gli atti anche in forma meccanica (dunque mediante l’ausilio del computer).

Questi argomenti tuttavia sono risultati poco consistenti ai fini dell’ammissibilità di un atto pubblico informatico.

In primo luogo per la natura stessa delle formalità dell’atto notarile che nascono in relazione al documento cartaceo, che per quanto prodotto con mezzi meccanici, è cosa fisicamente e strutturalmente diversa dal supporto digitale. Dette formalità richiedono inoltre la presenza delle parti per essere espletata, caratteristica che di fatto annulla la convenienza dell’adozione dello strumento informatico.

È dato ancora più forte che fino a tale data, il legislatore, nonostante la migliore dottrina a sostegno dell’ammissibilità di detto strumento, non ha espressamente recepito alcuna novella in tema di atto pubblico.

In ultimo, la disciplina prevista in materia di conservazione degli atti pubblici, elemento essenziale per la produzione degli effetti dell’atto pubblico, mal si sarebbe adattata, nel testo previgente, alla raccolta di atti in formato digitale.

Non va negato che questa mancata previsione non ha pesato poco, da un punto di vista propriamente economico, sulla operatività stessa della funzione notarile di ricevimento dell’atto pubblico.

L’atto pubblico tradizionale cartaceo, sebbene garantito dalla prassi di quasi un secolo, rimane si un caposaldo del sistema documentale italiano, ma è anche vero che non consente di sfruttare appieno le prerogative di nuove tecnologie che possono ridurre i costi redazionali e garantire in maniera eguale, se non maggiormente efficiente e sicura, le funzioni dell’atto pubblico.

Con rinnovata sensibilità il legislatore ha dunque operato una vera e propria rivoluzione copernicana nel sistema documentale introducendo l’atto pubblico informatico con decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 110 e novellando significativamente la legge notarile.

L’atto pubblico si slega significativamente dalla assonanza atto pubblico - documento cartaceo perché la forma dell’atto pubblico informatico è assolutamente equivalente in dignità al corrispettivo cartaceo e può essere adottata a semplice scelta delle parti. Nasce semmai una nuova equivalenza tra documento cartaceo e documento digitale, potendo assumere quest’ultimo sia la forma della semplice scrittura privata, sia quella della scrittura privata autenticata, e ormai anche quella dell’atto pubblico.

Le disposizioni della legge notarile vengono novellate in relazione alle peculiarità della nuova forma mentre quelle previgenti rimangono valide in quanto compatibili. Ma il dato più interessante è che, pur di fronte ad un nuovo documento, di natura e struttura diversa che si affianca a quello tradizionale, si ricorre ancora al notaio quale redattore di questo documento.

Quello che ci preme analizzare non è solo il vantaggio che può in astratto comportare l’inserimento nell’ordinamento di una forma documentale più duttile e allo stato della tecnica meno costosa, ma come la sua adozione non abbia fatto venire meno il ruolo del notaio quale suo produttore, confermando in sostanza l’importanza e l’essenzialità della sua funzione.

È opinione diffusa infatti che il ruolo del notaio sia quella di mero certificatore di fatti: non per niente nel linguaggio comune la parola notaio è adottata proprio con questo significato.

La funzione del notaio potrebbe quindi a rigor di logica essere anche eliminata qualora uno strumento tecnico particolarmente evoluto garantisca con certezza la paternità della dichiarazione e non vi è ragionevole dubbio che il documento digitale è idoneo ancora di più del cartaceo a garantire integrità e paternità di un documento. In particolare l’adozione di una firma digitale è tecnologia talmente evoluta da dare certezza inconfutabile della provenienza della dichiarazione da chi la utilizza.

Il vero problema è che a differenza della sottoscrizione autografa che viene prodotta dal soggetto mediante l’utilizzo del proprio corpo, la firma digitale si avvale di uno strumento (ad esempio una smart card) estraneo al soggetto, dunque trasferibile ad altri. Quid del caso in cui detto strumento, anche per incolpevole affidamento del titolare, finisca utilizzato da un estraneo? Può essere tutelata l’apparenza titolata dei terzi, o redarguita la negligenza o la semplice leggerezza dal titolare della chiave elettronica al punto tale da addebitargli gli effetti di un negozio mai voluto?

E ancora. Detti strumenti sono forniti da appositi enti certificatori e per un periodo di tempo determinato. Chi meglio del notaio può controllare la vigenza e la validità di dette certificazioni per sancire la validità della firma? Va considerato peraltro che ai fini della conservazione del documento informatico, il notaio ha ricevuto dalla novella legislativa un ulteriore importante ruolo, quello della estensioni di validità dell’atto informatico. L’atto informatico confermato mediante sottoscrizione con firma digitale (almeno il notaio infatti deve sottoscrivere mediante detto strumento) è un documento digitale criptato che perde detta caratteristica nel momento stesso in cui cessa la validità (sempre temporalmente limitata) della chiave digitale. Per evitare dunque che allo scadere della validità della chiave il documento perda la sua criptazione che lo rende imputabile e immodificabile, dunque dotato delle caratteristiche sue proprie, il notaio può apporre successive marche temporali, che altro non sono che altre firme elettroniche con riferimento temporale, che ricriptano e conservano integro il documento.

Anche questi argomenti però si limitano a sottolineare una funzione del notaio di mero e semplicissimo certificatore, attività che potrebbe essere adempiuta anche da un semplice funzionario pubblico, con costi inferiori. Si rientrerebbe dunque nella figura del cosiddetto “ufficiale rogante” figura prevista dall’art. 16 del R.D. 18 novembre 1923, n. 2440. L’ufficiale rogante è un pubblico funzionario che, nel preminente interesse dello Stato-amministrazione, da cui dipende e da cui è retribuito, riceve e custodisce atti pubblici a tutti gli effetti dell’art. 2699 c.c. L’ufficiale rogante però solo apparentemente svolge una funzione paragonabile a quella notarile. Tale figura infatti si limiterebbe davvero solamente a raccogliere e certificare la provenienza delle dichiarazioni delle parti. Non si occuperebbe direttamente né del controllo della validità dell’atto come espressamente richiesto dall’art. 28 della legge notarile, né garantirebbe alle parti quella funzione di consulenza legale che si attua grazie alla funzione di adeguamento attribuita al notaio dall’art. 47 della medesima legge. Ricordiamo infatti che, come indicato nella prima parte di questo lavoro, il ministero del notaio è previsto ed in alcuni casi imposto, non tanto nell’interesse dell’ordinamento che è soltanto mediato, ma nell’interesse immediato delle parti a concludere un negozio che sia valido, efficace ma soprattutto il più possibile rispondente alle loro reali esigenze.

La scelta dunque di adottare il controllo di un ufficiale rogante è solo apparentemente più economica. Infatti detto ufficiale, quale dipendente della pubblica amministrazione risponde solo all’interesse di questa. Per di più il costo della sua retribuzione, seppur apparentemente solo a carico della amministrazione, e dunque gratuita per chi al momento gode della sua prestazione, comunque viene sostenuto dal cittadino quale costo ricadente nel bilancio pubblico (peraltro suddiviso su tutti i cittadini indistintamente dalla quantità di servizio di cui godono). Dunque il cittadino verrebbe indirettamente a pagare per un servizio posto nell’interesse esclusivo di un terzo, lo Stato amministrazione.

Il ministero del notaio invece comporta sì dei costi immediati, ma a tutela di un interesse diretto e personale, quello della efficacia e validità del negozio stipulato. È dunque economicamente conveniente sia per la comunità che per i singoli, che godono, seppur a fronte di un costo apparentemente maggiore, di vantaggi proporzionalmente superiori.

L’adozione dell’atto pubblico informatico non riduce quindi né dal punto di vista positivo, né dal punto di vista logico, il ruolo del notaio che rimane invariato, non per scelta dell’ordinamento di preservare la categoria, ma per il convincimento del legislatore che la funzione notarile è ontologicamente più pregnante della mera certificazione ed è importante indipendentemente dallo strumento con il quale trova materiale esplicazione.

Né può sfuggire all’osservatore più malizioso che il legislatore in realtà, oltre ad avere valorizzato enormemente la funzione del notaio, non più mero custode delle formalità legate alla formazione del documento cartaceo, ma importante regolatore dei rapporti giuridici tra privati, in generale non nutre nei confronti dello strumento digitale la piena fiducia che invece sembrerebbe apparentemente accordare.

L’equiparazione tra documento cartaceo e documento informatico non è piena e totale come l’ introduzione dell’atto pubblico informatico sembrerebbe sancire.

Difatti, indipendentemente dalla piena equivalenza dell’atto pubblico informatico e di quello cartaceo, e della scrittura privata cartacea e di quella digitale, c’è un caso in cui la forma cartacea è assolutamente non sostituibile con quella digitale: è questo il caso del testamento olografo. Nel testamento olografo le caratteristiche indefettibili di data, sottoscrizione e autografia non ne consentono assolutamente la redazione digitale. Stante la assoluta fungibilità dell’indicazione della data comunque effettuata, l’utilizzo della firma digitale potrebbe integrare non solo il requisito della sottoscrizione, ma anche quello della autografia in quanto strumento idoneo a garantire la paternità dell’atto. Tuttavia il legislatore non ha sostituito questa disciplina in quanto consapevole che i dispositivi di applicazione della firma digitale sono affidabili a terzi. È vero che questo rischio sussiste anche nella formazione di scritture private autenticate contenenti negozi inter vivos, ma è anche vero che per questi è possibile delegare a terzi la legittimazione a disporre: consegnare lo strumento di autenticazione a terzi dunque equivale ne più ne meno che a dare procura all’affidatario. Se il legislatore si assume quindi questo rischio nei negozi inter vivos (quelli per i quali non è prevista la forma solenne dell’atto pubblico e quindi il controllo notarile), però non fa lo stesso per la redazione di negozi mortis causa, quale il testamento: ammettere la sostituzione dell’autografia tramite la sottoscrizione con firma digitale equivarrebbe ad ammettere l’affidamento del testatore alla volontà di un terzo, possibilità vietata dalla natura personalissima del negozio e dall’art. 631 c.c.

È invece possibile redigere un testamento pubblico informatico grazie all’ausilio del notaio che accerta la volontà del testatore.

Ma il dato più importante a favore della tesi della piena conservazione della funzione notarile pur nella innovativa introduzione dell’atto pubblico informatico è data dalle funzioni che al notaio sono affidate dalla legislazione speciale in materia amministrativa e in quella più recente in materia di tutela del contraente debole.

Il legislatore è pienamente consapevole che il notaio, essendo oltre che consulente delle parti e libero professionista anche pubblico ufficiale, è una figura perfettamente idonea a garantire l’espletamento diligente di determinate formalità importanti per il buon funzionamento della pubblica amministrazione.

Non per niente il notaio è responsabile di imposta per in negozi da lui stipulati. Lo Stato, con notevole vantaggio economico, affida al notaio la riscossione delle imposte relative ai negozi stipulati, garantendosi un diligente e pronto adempimento della funzione mediante l’obbligo inderogabile di versamento diretto delle imposte da parte del notaio stesso, persino qualora le parti non abbiano fornito provvista sufficiente.

Con maggiore accortezza, sempre lo Stato-amministrazione, ha delegato alcune funzioni di controllo di regolarità ai fini amministrativi al notaio, facendo coincidere detti controlli con il momento di ricevimento dell’atto pubblico.

Il riferimento diretto è alla vigente disciplina in materia urbanistica ed edilizia per la quale il notaio è tenuto a fornire in atto informazioni relative alla regolarità urbanistica degli edifici oggetto di trasferimento pena la nullità dell’atto stesso e ad allegare i certificati relativi agli strumenti urbanistici vigenti con riferimento ai terreni oggetto dei negozi, sempre a pena di nullità. Questo funzione è stata confermata nel corso delle varie novelle legislative in materia sino alle previsioni piuttosto incisive del decreto 78/2010 che impongono al notaio, relativamente agli immobili, il controllo dell’intestazione catastale, della presenza in catasto delle planimetrie e di ricevere in atto dichiarazioni della parti di conformità di quest’ultime allo stato di fatto dei luoghi.

E ancora il notaio è deputato a garantire l’effettività della tutela del patrimonio storico e artistico del territorio italiano, dovendo prevedere, sempre a pena di nullità, in sede di ricevimento di atti traslativi beni soggetti a vincolo storico-artistico, la denunciatio del trasferimento con relativa sospensione degli effetti relativi, per consentire allo Stato di esercitare prelazione per l’acquisizione del bene del privato nel suo patrimonio a fini di conservazione. Analoghi doveri sono imposti al notaio in materia di locazione urbana e trasferimento di fondi agricoli a tutela degli interessi del conduttore e del coltivatore diretto.

E, ultimo ma non meno importante, il legislatore ha reso il notaio protagonista attivo della politica antiriciclaggio che si esplica attraverso numerosi obblighi imposti da leggi diverse e ripetute nel tempo. Fondamentale è in tal senso la cosiddetta “legge Bersani”(22)che impone al notaio in atto di indicare, attraverso dichiarazione giurata delle parti, le modalità analitiche di pagamento del prezzo nei trasferimenti immobiliari.

E ancora, quando il legislatore comunitario ha richiesto di introdurre nell’ordinamento, nell’ambito di una politica di tutela dell’ambiente, una modalità di classificazione del fabbisogno energetico degli edifici, senza esitazione il legislatore nazionale ha indicato nel momento di trasferimento dell’immobile quello idoneo per la dotazione dell’immobile dell’apposita certificazione al fine specifico di delegarne al notaio il controllo.

È dunque evidente che il legislatore è fin troppo consapevole delle peculiarità della diligenza professionale del notaio, talmente consapevole da arrivare ad attribuirgli funzioni che spesso esulano da quella sua propria, ma che la affiancano spesso snaturandola.

E se in effetti tali adempimenti amministrativi potrebbero essere tranquillamente delegati ad un funzionario senza particolare preparazione specifica, il fatto che il legislatore riconosca proprio al notaio dette funzioni è indice di una sua valutazione prettamente economica dettata dal vantaggio di delegare ad un unico soggetto un complesso di controlli nella piena sicurezza di un loro adempimento qualificato e diligente.

Sicuramente più attinente alla funzione notarile è invece il riconoscimento al notaio delle funzioni di controllo in materia di tutele per i cosiddetti “contraenti deboli”.

Il legislatore, frequentemente su impulso del legislatore comunitario, ha sentito la necessità, in virtù delle profonde modificazioni della realtà economica degli affari, di intervenire positivamente per attuare apposita politica di regolamentazione per equilibrare e tutelare la posizione del contraente consumatore nei confronti del contraente imprenditore.

È interessante notare come, persino laddove l’originaria previsione comunitaria non prevedeva l’intervento di un controllore come il notaio, ritenendo le garanzie imposte sufficienti alla garanzia del contraente debole, il legislatore ha introdotto il controllo notarile a verifica dell’attuazione di detta disciplina.

Paradigmatico l’esempio della ormai abrogata disciplina in materia di multiproprietà laddove, definendo tale diritto come reale, il legislatore sottoponeva il suo trasferimento alla necessaria stipula di scrittura privata autenticata o di atto pubblico cioè al controllo notarile.

Questo è ancora un esempio di come il notaio è soggetto predisposto dall’ordinamento a tutela di interessi dei privati e una conferma di come la figura del notaio sia assolutamente indefettibile.

L’introduzione della disciplina dell’atto pubblico informatico non ha fatto cessare assolutamente quello stretto legame tra atto pubblico e notaio.

Anche l’atto pubblico informatico è atto del notaio ed è difficile per le ragioni sovraesposte che sia altrimenti. Anzi diremo di più: l’atto pubblico informatico è, esattamente al pari del suo omologo cartaceo “forma”, intesa nel senso prima indicato di forma privilegiata, perché esplica perfettamente la tre funzioni prima indicate di documentazione certa, manifestazione di volontà univoca, filtro di legittimità e liceità, proprio grazie alla conservazione del ministero notarile.

Ma l’atto pubblico informatico non solo assolve le funzioni dell’atto pubblico con uguale dignità del cartaceo, ma si spinge oltre.

Non è difficile dimostrare una sua convenienza in termini di valutazione economica. E con questo non ci si riferisce alla mera attività di documentazione. È sicuro che la documentazione informatica e soprattutto la custodia degli atti per via digitale, comporta non solo una maggiore integrità e possibilità di conservazione del documento, ma una riduzione dei costi di produzione: è anche vero però che in sostituzione questo comporta maggiori costi in termini di predisposizione di tecnologie atte alla ricezione di detti atti informatici.

A questo fine preme sottolineare come lo Stato stia giovando ai fini dell’ottenimento del significativo e veloce ammodernamento del proprio sistema di documentazione, della disponibilità e dei mezzi del notaio quale libero professionista e della efficienza del suo organismo di categoria: questo con riferimento non solo alla predisposizione e della gestione da parte del Consiglio Nazionale del Notariato dell’archivio informatico, ma ad una ulteriore disposizione.

Il legislatore è stato pienamente consapevole che la effettività di un nuovo sistema basato su una nuova tecnologia dipende dalla diffusione di questa. Se avesse atteso dunque che i privati avessero potuto disporre ognuno della propria chiave digitale, probabilmente avrebbe corso il rischio di non vedere nella prassi la stipula di un atto pubblico informatico ancora per molti anni o comunque di comprometterne significativamente la diffusione. La scelta invece è stata quella di imporre al solo notaio l’utilizzo della firma digitale, mentre le parti possono utilizzare semplici firme elettroniche o firme autografe digitalmente acquisite. Si fa ricadere dunque sul notaio (e sul Consiglio Nazionale che diventa organo certificatore) l’obbligo dell’aggiornamento e della predisposizione delle tecnologie necessarie alla ricezione dell’atto pubblico informatico, sollevando sostanzialmente le parti dalla necessità di dotarsi di appositi strumenti.

Tornando all’argomento principale, ciò che interessa questa analisi non è la eventuale riduzione dei costi che deriva dalla ricezione del documento in via telematica, ma la valorizzazione della funzione notarile che consegue alla introduzione e eventuale adozione dell’atto pubblico informatico.

L’atto pubblico informatico infatti diventa importante strumento di negoziazione inter absentes. La possibilità di redigere un atto pubblico tra soggetti in luoghi diversi era nei fatti esclusa non dalla legge, ma dalla natura stessa della complessa funzione notarile esplicata in sede di ricevimento dell’atto pubblico.

In concreto: la legge espressamente scinde il contratto quale convenzione, accordo tra le parti in due atti prenegoziali, negozi essi stessi, cioè la proposta e l’accettazione. L’incontro di questi due negozi, seppure formatisi in luoghi e tempi diversi, dovuto alla conoscenza da parte del proponente dell’accettazione conforme alla proposta, rende il contratto concluso ed idoneo ad esplicare i suoi effetti.

Tuttavia l’assolvimento delle funzioni notarili richiede la contestuale presenza delle parti per verificare non solo la provenienza della dichiarazione, ma anche la congruenza della proposte e dell’accettazione, data la funzione di adeguamento di cui all’art. 47 L.N. e per la necessità di controllo dell’intero assetto contrattuale per il controllo di liceità di cui all’art. 28 L.N.

L’adozione della forma informatica consente di ricevere proposta e accettazione in separata sede, di avere la loro ricezioni in forma pubblica tramite il ministero di due differenti Notai, di trasmetterla ai fini della ricezione e della conclusione del contratto con immediatezza, mediante la posta elettronica certificata.

Nel paradosso che solo uno strumento tecnologicamente molto avanzato possa dare piena attuazione ad una disciplina prevista quasi ottanta anni prima, lo strumento informatico consente alle parti la completa utilizzazione delle modalità indicate dal codice civile proprio grazie alla funzione notarile.

Sicuramente la pratica degli affari trae giovamento dalla possibilità che i negozi possano essere stipulati tra assenti con tempestività, ma godendo contemporaneamente delle prerogative e delle garanzie della forma pubblica.

In tutto questo il ruolo del notaio si esalta anziché ridursi: solo un professionista con una notevole preparazione giuridica può sottendere al controllo di tale complessa operazione.

Ed è anche importante che sia proprio il notaio quale pubblico ufficiale ammesso all’esercizio professionale mediante una selezione basata su standard elevati ed uniformi a ricevere il negozio così concluso tra assenti.

È evidente che per compiere le valutazioni di liceità ex art. 28 sia il notaio che riceve la proposta che quello che riceve l’accettazione, devono basare il proprio convincimento e la propria valutazione dell’operazione complessiva sulla base di un comune livello di conoscenze e di preparazione giuridica. Il rischio che nell’analisi economica si chiama di “asimmetria informativa”, si tradurrebbe nelle fattispecie in oggetto, in un mancato assolvimento della funzione di “interfaccia” del notaio tra le parti in termini di diritto, in quanto i due Notai, se avessero differenti formazioni si troverebbero a non convenire sulle soluzioni da adottare con negative ripercussioni ai fini della conclusione del contratto, dove per definizione, proposta ed accettazione devono conformarsi nel contenuto.

Peraltro un dislivello formativo fra i due Notai che vengono a consultare le due parti comporterebbe il rischio delle situazioni problematiche che tipicamente derivano dalle asimmetrie informative, cioè la selezione avversa(23)e l’azzardo morale(24).

La certezza che anche nel negozio posto in essere dalla controparte ci sia l’assistenza di un professionista la cui formazione è basata su comune standard minimizza il verificarsi di queste due ipotesi e dà maggiore effettività alle garanzie dell’atto pubblico, seppure concluso da due professionisti differenti.

Questo caso inoltre valorizza il ruolo della selezione all’accesso alla professione notarile quale necessità per il verificare gli standard necessari ad un corretto esercizio della stessa.

Anzi una preparazione elevata e standard diventa nella realtà dei fatti ancora più necessaria per il notaio di quando il contratto viene concluso integralmente sotto il suo totale e completo controllo.

Per ultimo la introduzione dell’atto pubblico informatico fa emergere un ulteriore aspetto della funzione notarile.

La solennità dell’atto pubblico consta di formalità di non immediata attuabilità. La lettura, le sottoscrizioni, la lettura degli allegati, la presenza di testimoni quando necessaria sono elementi che, tra gli altri, asseverano l’importanza delle dichiarazioni rese in atto che portano alla conclusione del negozio. Ne consegue che non si può ragionevolmente sostenere che chi compare innanzi al notaio esprime una volontà non pienamente e validamente formata, perché proprio la solennità della formazione danno al comparente una meditata serietà nel compimento delle operazioni giuridiche oggetto dell’atto.

Se immaginassimo un atto pubblico informatico privo del ministero del notaio, sull’assunto che la semplice adozione di strumenti digitali e informatici che garantiscono la paternità della dichiarazione sono sufficienti a sostituire il ministero notarile, si otterrebbe in qualche modo una deresponsabilizzazione del contraente nei confronti dell’operazione giuridica compiuta, dovuta alla immediata e veloce fruibilità proprio degli strumenti informatici.

Una problematica simile, ma con certamente minori conseguenze pratiche, si è avuta nel caso delle vendite concluse per via telematica. Per quanto lo strumento informatico possa garantire, attraverso modalità specifiche, la attribuzione ad un soggetto della volontà di acquisto, la velocità propria dello strumento informatico rende le transazioni così effettuate più simili ai negozi di attuazione, privi della ponderazione che invece spesso richiederebbe la loro effettiva complessità. È dovuto pertanto intervenire il legislatore a stabilire un espresso diritto di recesso, da qualificare quale apposito recesso di pentimento, per tutelare l’acquirente da eventuali incauti e incolpevoli acquisti.

Ecco nell’atto pubblico informatico, al di là del fatto che è proprio il notaio a garantire col suo ministero la paternità delle dichiarazioni verificando l’apposizione delle firme in forma elettronica o digitale, il suo intervento serve anche a dare “peso”, serietà a dichiarazioni che, data la velocità dello strumento informatico, potrebbero essere prestate con relativa leggerezza o con riserva mentale, col vantaggio per l’ordinamento giuridico e per la pratica degli affari della certezza che, così facendo, non possano esistere con ragionevole sicurezza negozi conclusi nella forma telematica senza che ci sia dietro una effettiva volontà alla produzione degli effetti.

In conclusione della nostra analisi, non possiamo non concludere che la rivoluzione copernicana della introduzione dell’atto pubblico informatico, affiancando l’atto pubblico ordinario, non è una vera e propria rivoluzione.

Si è partiti dall’idea che l’atto pubblico e il notaio erano legati da un rapporto di stretta e biunivoca interdipendenza, l’uno prodotto e l’altro produttore, legati indissolubilmente dalla funzione di garantire certezza e attendibilità ai traffici giuridici. Il notaio in questo cosmo è il “sole” intorno al quale l’atto pubblico “pianeta” gira intorno quale modalità attuativa della sua funzione.

L’introduzione dell’atto pubblico informatico non ha alterato questo rapporto, e non ha spostato l’asse verso l’atto pubblico, facendo si che sia il notaio a far dipendere le sue funzioni dalla natura dell’atto, quasi che nel caso di quello informatico si potesse far a meno del suo ufficio o comunque ridimensionarlo.

L’atto pubblico informatico è un ulteriore “pianeta” che gira intorno alla figura del notaio e dall’adempimento del suo ufficio trae quelle caratteristiche che gli consentono di avere pari dignità rispetto al suo omologo.

Tutto questo nel pieno rispetto delle ragioni di natura economico giuridica che rendono ancora l’istituzione notarile indefettibile dal punto di vista funzionale e conveniente come strumento di garanzia della certezza dei negozi giuridici pur nella naturale evoluzione della società dettata dall’importante avvento di nuovi strumenti di informazione.


(1) L’art. 1315 del codice civile del 1865 recitava invece: «L’atto pubblico è quello che è stato ricevuto colle richieste formalità da un notaio o da un altro pubblico ufficiale autorizzato, nel luogo ove l’atto è seguito, ad attribuirgli la pubblica fede».

(2) L’art. 1 della legge 16 febbraio 1913, n. 89 definisce i notai «ufficiali pubblici istituiti per ricevere gli atti tra vivi e di ultima volontà, attribuire loro pubblica fede, conservarne il deposito, rilasciarne le copie, i certificati, gli estratti».

(3) A sottolineatura dellla complessità della figura del notaio, G. MARICONDA, voce Atto Pubblico”, in Enc. giur. Treccani, 1988: «Sulla figura del notaio, caratterizzata dalla duplice veste di pubblico ufficiale e di libero professionista, esiste una ampia e spesso pregevole letteratura. Lo spunto forse più stmolante per una così ricca ed appassionata attenzione da parte di numerosi autorevoli giuristi è da rinvenirsi proprio in questa non facile riduzione ad unità dei diversi aspetti della funzione notarile».

(4) Lasswell riteneva che: «il termine policy è impiegato per designare il bisogno di chiarificare i fini sociali che si debbono favorire con una determinata allocazione (compresa l’autoallocazione delle risorse scientifiche) (scientific energy)».

(5) «La sua competenza, territorialmente delimitata, è invece funzionalmente molto estesa. Essa va, e l’elencazione vuole essere semplicemente indicativa della ampiezza del suo ambito, dal ricevimento di ogni legittima dichiarazione negoziale inter vivos e mortis causa alla facoltà di redigere verbali di assemblea straordinaria di società di capitali, di ricevere con giuramento atti di notorietà e di redigere verbali di contestazione, secondo una non sempre convincente giurisprudenza solo nelle ipotesi espressamente previste dalla legge, …, di procedere ad offerte reali, ad incanti, all’apposizione e rimozione di sigilli, alla formazione di inventari, a levata di protesti. Esistono altri pubblici ufficiali ai quali la legge attribuisce alcune delle facoltà sopra elencate, ma il notaio è il solo al quale tutte assieme sono attribuite». G. MARICONDA, op. cit.

(6) Art. 47 L. 16 febbraio 1913, n. 89 Ordinamento del Notariato e degli Archivi notarili come novellata dalla L. 28 novembre 2005, n. 246: «Il notaio indaga la volontà delle parti e sotto la propria direzione e responsabilità cura la compilazione integrale dell’atto».

(7) Secondo L. GENGHINI, La forma degli atti notarili, Padova, 2009, p. 1, l’introduzione della figura del notaio sarebbe «… una delle più riuscite privatizzazioni da parte dello Stato: sono state delegate a liberi professionisti qualificati, alcune fondamentali funzioni pubbliche (attribuire certezza di contenuto, di validità, di efficacia, di firma, di data dell’accordo) a determinati negozi giuridici e riscuotere le imposte indirette relative a tali atti. Ciò con un eccezionale risultato di efficienza ...».

(8) Secondo Oliver Williamson, ogni organizzazione economica nasce dal tentativo di minimizzare i costi di transazione, data la natura dei contesti caratterizzati da contratti incompleti, investimenti specifici, razionalità limitata e opportunismo. Ciò implica che ogni organizzazione soffra di un problema di contrattazione incompleta. Sono incompleti i contratti i cui termini siano osservabili dalle parti contrattuali ma non verificabili ed eseguibili con certezza e in via forzosa da terze parti, nel caso in cui sorgano controversie tra i contraenti (tipicamente l’autorità giudiziaria).Più precisante si può affermare che le cause di incompletezza risiedono: nell’impossibilità da parte dei contraenti di prevedere ogni possibile contingenza futura che dovesse verificarsi nel corso della relazione; negli elevati costi di contrattazione sostenuti dalle parti per accordarsi su ogni singola circostanza e descriverla in modo esaustivo nel contratto; nel costo di ricorrere al sistema legale per ottenere l’adempimento del contratto; nella difficoltà di ottenere l’enforcement del contratto a causa delle limitate informazioni esistenti tra le parti riguardo ad azioni, caratteristiche o stati del mondo, oppure alla difficoltà di trasmettere queste informazioni all’autorità esterna. O.E. WILLIAMSON (1987). Le istituzioni economiche del capitalismo. Imprese, mercati, rapporti contrattuali, Franco Angeli, Milano. Williamson O.E. (1985).

(9) «Appare sempre più nitida, e sempre più largamente condivisa, una linea di tendenza volta a non ritenere più sufficiente da parte del notaio una generica “lealtà al sistema” in omaggio alla quale venga rifiutata la stipulazione di atti che egli conosca essere simulati, lesivi dei diritti del creditore, del fisco, ecc., oltre agli atti espressamente proibiti dalla legge o manifestamente contrari al buon costume e all’ordine pubblico. Si rivendica alla sua funzione il ruolo più attivo di chi, interprete non solo attento ed esperto della legge ma anche sensibile alle sue finalità, rifiuta l’etichetta del semplice documentatore e propone di svolgere la sua competenza in armonia con tali finalità», G. MARICONDA, op. cit.

(10) In questo tipo di intervento, il notaio agisce come un gatekeeper, un guardiano del diritto estraneo alla vicenda e alle parti che, nell’esercizio della sua attività, si trova in una posizione strategica e deve impedire una condotta delle parti non conforme alla legge. Questa figura del gatekeeper come una sorta di guardiano del diritto è stata sviluppata da R.H. KRAAKMAN, Gatekeepers: The Anatomy of a Third-Party Enforcement Strategy, Journal of Law, Economics and Organization, vol. 2, 1986.

(11) Vedi A. FORTE, Il notaio garante nei trasferimenti immobiliari: riflessioni per non notai, www.notariato.it.

(12) In questo senso G. MARICONDA, ibidem: «Vogliamo anzi premettere che non è infondata l’opinione secondo la quale l’utilizzazione (della forma) dell’atto pubblico è fatta prevalentemente non in funzione della sua attitudine probatoria. Riteniamo cioè che quando essa è liberamente scelta, al di fuori dei casi in cui l’ossequio ad una norma cogente la impone, questo avviene perché il soggetto sa che, attraverso l’atto pubblico, l’assetto di interessi che egli ha disposto trova non solo sicurezza di documentazione ma certezza e univocità di manifestazione ed anche possibile filtro di legittimità e liceità che ne rende più sicura la tutela».

(13) G. AJANI, La professione notarile in civil law e common law rapporto di diritto comparato, quarto congresso 19/11/99.

(14) V. Cass. civ., 13 gennaio 2003, n. 309 la quale ha testualmente stabilito che: «la funzione del notaio non si esaurisce nella mera registrazione delle dichiarazioni delle parti, ma si estende alla attività di consulenza, anche fiscale, nei limiti delle conoscenze che devono far parte del normale bagaglio di un professionista che svolge la sua attività principale nel campo della contrattazione immobiliare».

(15) E. MORANDI, Trasferimenti immobiliari: procedimento, prassi e costi negli Usa, Studio 04.10.08.32/UE, www.notariato.it.

(16) Esistono due tipi di Title Insurance: la owner’s insurance che garantisce l’acquirente e la lender’s insurance, che è invece rilasciata a garanzia della banca che concede il mutuo. La lender’s insurance è indispensabile, perchè nessuna banca presta i soldi se non c’è l’assicurazione, insomma: no insurance-no loan. La owner’s insurance non è invece obbligatoria e quindi si tratta di un costo opzionale, che viene però comunemente assunto per garantire l’investimento ed a seconda degli stati viene pagata dal venditore, dall’acquirente o divisa tra le parti.

(17) E. MORANDI, Il notaio: alternativa civilistica alla Title Insurance?, XLI Congresso nazionale del notariato “Civil law - common law. Sviluppo Economico e certezza giuridica nel confronto tra sistemi diversi”, Pesaro, 18/21 Settembre 2005.

(18) Per quanto il notaio, quale professionista, sia obbligato ad una prestazione di mezzi e comportamenti e non già di risultato, l’opera di cui è richiesto non si riduce al mero comportamento di accertamento della volontà delle parti e di direzione della compilazione dell’atto, ma si estende, come la giurisprudenza ha avuto modo più volte di sottolineare, a tutte quelle attività preparatorie e successive, necessarie perché sia assicurata la serietà e certezza dell’atto giuridico da rogarsi, avuto particolare riguardo alla sua attitudine ad assicurare il conseguimento dello scopo tipico di esso e del risultato pratico voluto dalle parti. Si è precisato, da parte della giurisprudenza di legittimità, come il notaio «non è certamente tenuto a garantire il buon esito del negozio, giacché anche la prestazione notarile - come, di norma, ogni altra prestazione d’opera professionale - è prestazione di mezzi o di comportamento, non di risultato; deve, però, predisporre e impiegare i mezzi di cui dispone in vista del conseguimento di quel risultato, con la diligenza media di un professionista sufficientemente preparato e avveduto, rapportata alla natura della prestazione. Tutto ciò fa sì che l’opera del notaio non possa ridursi a quella di un passivo registratore delle dichiarazioni altrui, ma deve estendersi a quelle attività, preparatorie e successive, necessarie in quanto tese a assicurare la serietà e certezza dell’atto giuridico posto in essere e della cui sufficienza deve giudicarsi normalmente sulla base dello stesso criterio della media diligenza (cfr. Cass. n. 8470/2002, 1185/1975, 3255/1972). Ne consegue che per il notaio richiesto della preparazione e stesura di un atto pubblico di trasferimento immobiliare la preventiva verifica della regolarità della procura speciale esibita da uno dei comparenti costituisce un obbligo derivante dall’incarico conferitogli dai clienti e quindi ricompreso nel rapporto di prestazione di opera professionale (artt. 1176 e 2230 ss. c.c.)», Cass. civ., sez. II, 28 gennaio 2003, n. 1228. «L’inosservanza di detti obblighi da parte del notaio, come detto, è fonte di responsabilità da qualificarsi, a tutti gli effetti, quale contrattuale per inadempimento del contratto d’opera professionale», Cass. civ., 15 giugno 1999, n. 5946.

(19) F. SANTORO PASSARELLI, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1974.

(20) Come sostiene E. BETTI, nella voce Negozio giuridico, in Noviss. Dig. it., XI, Torino, 1965, p. 215 la distinzione tra negozi formali e non formali non significa che i primi siano dotati di forma e i secondi ne siano privi ma semplicemente che i primi sono negozi giuridici manifestabili attraverso la forma vincolata, a pena del disconoscimento della loro dignità da parte dell’ordinamento, i secondi invece sono a forma libera.

(21) La nuova definizione di atto pubblico data dal codice del 1942 sottolinea proprio il ruolo del pubblico ufficiale rispetto a quella del 1865. «È il nuovo termine “redatto” che sostituisce l’altro “ricevuto” e sembra sottolineare una maggiore rilevanza accordata dal nuovo legislatore alla funzione del pubblico ufficiale mentre sono rimasti, quasi con le stesse parole i riferimenti: soggettivo, al pubblico ufficiale autore del documento; territoriale, al luogo nel quale egli è autorizzato ad apprestarlo; funzionale, alla pubblica fede che è in grado di attribuirgli» G. MARICONDA, voce Atto pubblico, in Enc. giur. Treccani, 1988.

(22) Art. 35, comma 22 del D.l. 4 luglio 2006 n. 223 conv., con modif., in legge 4 agosto 2006, n. 248 cosiddetta legge Bersani.

(23) Per selezione avversa si intende ogni situazione in cui una variazione delle condizioni di un contratto provoca una selezione dei contraenti sfavorevole per la parte che ha modificato, a suo vantaggio, le condizioni. Il concetto di selezione avversa, nato in campo assicurativo, viene impiegato in diversi altri settori, nei quali modifiche nei rapporti tra due parti spingono una delle due a rinunciare al rapporto con l’altra, lasciando il posto a soggetti che presentano in misura minore la caratteristica preferita dall’altra parte.

(24) Il moral hazard, o opportunismo ex post, è un comportamento sorretto messo in atto da un soggetto nell’esecuzione delle sue obbligazioni contrattuali in presenza di asimmetria informativa, contratto incompleto e difficoltà di stabilire, anche a causa della non osservabilità delle azioni, se le parti hanno rispettato i termini dell’accordo. Il rischio di moral hazard implica che c’è discrepanza tra i fini di colui che fornisce il servizio (l’agente) e gli obiettivi del cliente (il principale).

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