capitolo I - Il principio consensualistico e le regole della circolazione patrimoniale
- capitolo I -
Il principio consensualistico e le regole della circolazione patrimoniale
di Federico Azzarri

1. Introduzione. Alle origini del principio consensualistico

La regola del consenso traslativo è sancita nell’ordinamento italiano dall’art. 1376 c.c., secondo cui nei contratti che hanno per oggetto il trasferimento della proprietà di una cosa determinata, la costituzione o il trasferimento di un diritto reale ovvero il trasferimento di un altro diritto, la proprietà o il diritto si trasmettono e si acquistano per effetto del consenso delle parti legittimamente manifestato.
Il principio nasce nel Code Napoléon, ove, malgrado l’identico ambito applicativo, non riceve un riconoscimento così esplicito, ma viene ricavato dalla combinazione degli artt. 1582 e 1583 in materia di vendita e dall’art. 1138, in base al quale «l’obligation de livrer la chose est parfaite par le seul consentement des parties contractantes»(1). Quest’ultima norma segna un’importante differenza concettuale dell’originario impianto francese rispetto al codice italiano del 1942 e a quello del 1865, che già all’art. 1125 faceva discendere la trasmissione e l’acquisto della proprietà o di altro diritto dalla legittima manifestazione del consenso. Essa, infatti, rivela come i compilatori d’Oltralpe, pur recidendo il legame col diritto comune che rimetteva l’efficacia reale della vendita alla traditio o ad altre formalità pubblicitarie, intesero restare fedeli all’impostazione romanistica per quanto riguardava la concezione del contratto quale ad atto ad efficacia esclusivamente obbligatoria(2), e, per quel che qui interessa, fonte di una obligation de donner che il principio consensualistico rende però del tutto impercettibile(3).
Una suggestiva ricostruzione storica della vicenda indurrebbe a risalire il rivolo del diritto naturale fino a quel «famigerato»(4)volontarismo fauttore di una nuova concezione unitaria ed atipica di contratto che si sviluppa a partire da Grozio, sul cui ruolo innovatore non mancano invero alcune riserve(5), e da Pufendorf, per essere poi accolta nelle codificazioni di ispirazione illuministica, e sotto altre forme e per altri itinerari, nella dottrina del negozio giuridico confluita nel BGB(6).
Il movente idealistico non fu estraneo ai compilatori francesi, che probabilmente vollero suffragare la modernità ed il carattere autenticamente nazionale della loro opera(7)anche accogliendovi un’innovazione giusnaturalistica(8)alternativa agli insegnamenti provenienti dal diritto romano e ancora tramandati al tempo di Pothier, il quale, non a caso, confermava che il venditore era principalmente tenuto a mettere la cosa a disposizione del compratore e a difenderlo da qualsiasi molestia fosse arrecata al suo possesso (praestare emptori rem habere licere): se poi egli fosse stato anche proprietario, il diritto si sarebbe trasmesso al compratore, ma non per effetto del contratto di vendita, bensì della traditio(9).
L’intento “progressista” non deve tuttavia essere sopravvalutato, atteso che il Code, con la sua timidezza lessicale, finì in definitiva per accogliere una soluzione già ampiamente diffusa nella pratica degli affari. Per lo meno nei pays de droit écrit ed in molte coutumes ispirate alle regole latine, infatti, malgrado si continuasse a ritenere necessaria la traditio al fine della trasmissione del dominio(10), la regola era di fatto inoperativa, poiché la prassi contrattuale, che già aveva dimestichezza con i vetusti escamotages delle traditiones brevi e longa manu e del costituto possessorio, cominciò a ricorrere con una frequenza tale alle clausole di dessaisine-sesaine, in cui il venditore dichiarava di essersi spogliato del possesso e di averlo trasmesso all’acquirente e quest’ultimo di averlo ricevuto, che esse finirono via via per assegnare al momento consensuale un rilievo pressoché assorbente nella formazione della fattispecie traslativa(11).

2. Riserve dottrinali sul principio consensualistico

Come già era avvenuto nella letteratura francese(12), anche parte della dottrina italiana ha contestato in varia misura l’effettiva portata del consenso traslativo, dando risalto alle dissonanze sistematiche che lo accompagnano, soprattutto in relazione ai rapporti con i terzi estranei al contratto d’alienazione.
Da un punto di vista di politica del diritto, è stata criticata la scarsa garanzia che il principio consensualistico rappresenterebbe per i terzi in confronto ai sistemi di lingua tedesca, in cui la consegna del bene mobile e l’iscrizione pubblicitaria del diritto sul bene immobile hanno funzione costitutiva(13). Invero, il problema della tutela dei terzi, come vedremo più avanti, attiene più al principio di causalità dei trasferimenti che non al consenso traslativo; inoltre, non deve essere troppo enfatizzato, poiché il terzo non è abbandonato in balìa degli arbitri del suo dante causa, ma l’ordinamento gli appresta un (pur non perfetto) regime di tutela articolato nell’istituto della trascrizione, per quanto riguarda gli acquisti relativi a beni immobili e a beni mobili registrati, e nella regola possesso vale titolo per quanto concerne, invece, gli acquisti relativi agli altri beni mobili(14).
Da un punto di vista sistematico, invece, incontriamo una pluralità di posizioni.
In primo luogo, vi è chi, sulla scorta del criterio della priorità di trascrizione, ex art. 2644 c.c., il quale 35 risolve il conflitto fra più acquirenti di uno stesso bene immobile, o di uno stesso bene mobile registrato, ritiene che fino a quando non sia espletata tale formalità pubblicitaria l’effetto traslativo resti essenzialmente confinato alla sfera delle sole parti(15); a tali conclusioni peraltro si dovrebbe giungere anche in ordine ai beni mobili, per i quali l’onere della trascrizione verrebbe sostituito da quello della consegna, ex art. 1155 c.c.(16). Di una simile restrizione non vi è però traccia nel dato positivo, che distingue semmai fra gli effetti sostanziali dell’alienazione, sempre governati erga omnes dall’art. 1376 c.c., e la loro opponibiltà ai terzi, la quale, venendo meno in certe condizioni, talora sacrifica le logiche conseguenze del principio consensualistico ad un’esigenza di certezza del traffico giuridico che si afferma avvalendosi di indici esterni alla fattispecie traslativa idonei a rivelarne il compimento(17).
Altrove si è invece detto che in mancanza della trascrizione o del conseguimento del possesso da parte dell’acquirente, il consenso trasferirebbe solo la titolarità del diritto, mentre la legittimazione a disporne resterebbe in capo all’alienante, col risultato che le alienazioni successive alla prima sarebbero segnate da un’inefficacia soltanto relativa, potendo qualunque dei successivi acquirenti consolidare il proprio acquisto mediante la trascrizione del contratto o il possesso del bene: la riunione di titolarità e legittimazione muterebbe dunque la proprietà da relativa, ossia non opponibile ai terzi che per primi trascrivessero od ottenessero il possesso, ad assoluta, ovvero opponibile verso tutti(18). In tal modo, però, si ha un’indebita ingerenza delle regole di opponibilità degli effetti traslativi, e dunque del contratto da cui originano, sul contenuto della situazione giuridica trasferita, che verrebbe ad essere drasticamente ristretto malgrado l’art. 844 c.c. ne sancisca l’assolutezza(19); inoltre, titolarità e legittimazione sono qui destinate a procedere insieme, giacché solo con riguardo ai diritti di credito od ai diritti personali di godimento è ipotizzabile l’assunzione di una stessa obbligazione verso soggetti diversi o la concessione a più persone di uno stesso diritto, in quanto in simili ipotesi la facoltà di disposizione non si consuma(20).
A conclusioni non troppo dissimili perviene anche quella dottrina per la quale solo l’intervento della trascrizione determina una fattispecie acquisitiva inattaccabile, giacché fino ad allora la proprietà può essere fatta valere, in virtù della combinazione degli artt. 1376 e 2644 c.c., non verso la generalità dei terzi, bensì verso tutti coloro che non abbiano trascritto dopo aver acquistato dal medesimo dante causa(21).
Diremo meglio in seguito il meccanismo sotteso all’acquisto della proprietà da parte del secondo avente causa che abbia per primo effettuato la trascrizione(22): basti qui osservare che nel momento in cui tale acquisto si realizza, il diritto del primo avente causa si estingue, non potendo coesistere su di un medesimo bene distinte proprietà. Ciò spiega come mai non è convincente far riflettere l’opponibilità del titolo sul contenuto della situazione trasferita: poiché nel momento in cui questa situazione si vorrebbe degradare da assoluta a relativa, in realtà essa non esiste già più.
L’opponibilità (degli effetti) del contratto è un concetto che va tenuto distinto da quello della sua rilevanza esterna. Il contratto, infatti, rileva all’esterno come un fatto giuridico(23)da cui discendono diritti che incontrano tutela verso la generalità dei consociati, senza che sia necessario assolvere particolari oneri pubblicitari(24). Al riguardo, si parla anche di opponibilità, ma in un senso generico che rischia di divenire equivoco se non si tiene presente che tale caratteristica non deriva da una deroga al principio di relatività degli effetti contrattuali, ex art. 1372 c.c., bensì dall’intervento di principi che attengono a piani diversi, come quello che vieta di danneggiare ingiustamente altri, qualora il diritto trasferito abbia carattere relativo, ovvero il principio di assolutezza dei diritti reali, là dove oggetto del contratto sia uno di questi(25). Di opponibilità vera e propria, invece, si tratta solo quando agli effetti reali i terzi non possono in alcun modo sottrarsi(26), giacché detti effetti sono accompagnati da ulteriori circostanze, quali la trascrizione del titolo o la consegna della cosa, che li mettono al riparo dal rischio di essere soppiantati dalla concorrente fattispecie acquisitiva a non domino che si realizza, in virtù di «un controprincipio di forza superiore» al principio consensualistico(27), alla stregua dell’art. 1155 c.c. o dell’art. 2644 c.c.
Maggiormente improntata al dato normativo, invece, sembrerebbe quella tesi che rimprovera all’art. 1376 c.c. di celare una sineddoche, poiché esso consentirebbe in realtà di trasferire solo la sopportazione del rischio, il diritto di esigere la cosa dalla controparte e quello di reagire al possesso sine titulo dei terzi: più che di uno jus in re, dunque, si tratterebbe di uno jus ad rem(28). Siffatta svalutazione della posizione dell’acquirente non è però del tutto consonante con le prerogative che invece gli accorda il diritto positivo, come vedremo nel prossimo paragrafo.
Non introduce, poi, nuovi argomenti tesi a contestare il principio consensualistico l’art. 129 cod. cons., in materia di vendita di beni di consumo, secondo cui il venditore ha l’obbligo di consegnare al consumatore beni conformi al contratto di vendita; tant’è che il problema interpretativo delladisposizione e del corrispondente rimedio si è posto anche nella letteratura tedesca con riferimento, dunque, ad un sistema in cui, in luogo del consenso traslativo, vige il Trennungsprinzip(29). La norma, semmai, accompagnata all’articolo seguente dalla previsione in favore del consumatore del diritto al ripristino mediante riparazione o sostituzione del bene in caso di mancata conformità, ha fatto discutere per quanto riguarda la sua collocazione nell’ambito della garanzia o in quello, che sembra preferibile, dell’inadempimento(30). Infatti, considerando che di solito i beni di consumo originano da un processo di produzione seriale, la loro vendita può tendenzialmente farsi rientrare fra quelle di cose generiche, ex art. 1378 c.c., in cui la proprietà si trasmette al momento della individuazione. La disciplina introdotta dal codice del consumo, allora, sembra porre a carico del venditore un duplice vincolo, che gli impone sia di individuare beni rispettosi dei requisiti di conformità al contratto previsti dall’art. 129, secondo comma, lett. a, b, c, e d Cod. cons.(31); sia di rinnovare l’individuazione qualora i beni selezionati si siano rivelati, prima della consegna al consumatore, e dunque prima dell’arrivo nella materiale disponibilità di quest’ultimo, sforniti degli anzidetti requisiti, impedendo così l’attuazione del complessivo risultato programmato dalle parti(32). Diversamente, dovremmo un po’ paradossalmente ritenere il venditore sempre tenuto a consegnare il bene non conforme, salvo poi riconoscere al consumatore il rimedio consistente nel diritto di ripristino(33). Quando poi la vendita concerna beni determinati, è da ritenere che la disciplina speciale abbia più semplicemente derogato al principio res perit domino (art. 1465 c.c.), prolungando la responsabilità del venditore verso il consumatore fino al momento della consegna(34).
Infine, non è destinata ad incidere sul principio consensualistico, almeno in prima battuta, neppure la direttiva sui diritti dei consumatori 2011/83/UE del 25 ottobre 2011, adottata dal Parlamento europeo e dal Consiglio, la quale, pur contenendo all’art. 20 un’importante innovazione destinata a restringere la portata dell’art. 1465 c.c., giacché prevede che nei contratti in cui il professionista spedisce i beni al consumatore il rischio per il danneggiamento o la perdita degli stessi sia a carico di quest’ultimo solo quando ne abbia acquisito il possesso, o lo abbia acquisito un terzo da lui designato diverso dal vettore(35), ha cura di precisare al considerando numero 51 che le norme relative alle condizioni ed al momento del trasferimento della proprietà dei beni restano soggette alle discipline nazionali e non sono quindi pregiudicate dalla direttiva in parola.

3. La posizione dell’alienante e dell’acquirente

Il passaggio del diritto dall’alienante all’acquirente avviene con la conclusione del contratto traslativo, a meno che le parti non abbiano previsto il differimento degli effetti reali. L’acquirente, dunque, è fin da subito legittimato all’esercizio delle azioni a difesa della proprietà (artt. 948 e ss. c.c.), che non possono invece più essere intraprese dall’alienante. Quest’ultimo, tuttavia, finché continua a trattenere la cosa, e salvo che non sia stato pattuito un costituto possessorio, ne mantiene il (pur illegittimo) possesso, a tutela del quale dispone delle ordinarie azioni di reintegrazione e di manutenzione (artt. 1168 e 1170 c.c.)(36).
L’acquirente può rivendicare la cosa anche verso il suo dante causa che si rifiuti di consegnarla, benché gli sia senz’altro più favorevole dal punto di vista probatorio chiedere l’esecuzione in forma specifica dell’obbligo di consegna (art. 2930 c.c.), essendo all’uopo sufficiente la semplice allegazione del titolo(37).
Non vi sono indicazioni normative per desumere che fino alla trascrizione o alla consegna del bene residui in capo all’alienante la legittimazione a disporre del diritto: essa si trasmette anzi al momento dell’effetto reale, quale componente del diritto trasferito. La circostanza che non sia ancora avvenuta la trascrizione o la consegna rendono tutt’al più precario l’acquisto, ma non perché la legittimazione stazioni altrove, bensì perché il titolo dell’acquirente non potrà essere opposto al terzo che si sia giovato di uno dei meccanismi di acquisto a non domino posti a tutela della sicurezza della circolazione patrimoniale (artt. 1155 e 2644 c.c.)(38).
Sulla scorta di quanto appena detto, la Suprema Corte ha stabilito che l’omessa trascrizione del contratto non solo non impedisce all’acquirente di stipulare un contratto preliminare di vendita dello stesso bene a un terzo, ma neppure ostacola la possibilità che egli sia poi convenuto dal promissario subacquirente per l’esecuzione in forma specifica dell’obbligo a contrarre(39), il che non sarebbe invece prospettabile se ad altri spettasse la legittimazione a disporre del diritto(40).
A partire dal tempo della translatio l’acquirente può esercitare tutte le prerogative discendenti dalla posizione proprietaria come, ad esempio, i diritti di prelazione agraria o il diritto alla percezione dei 39 frutti (arg. ex art. 1477, secondo comma, c.c.) o a richiedere la comunione del muro di confine(41).
Stesso discorso vale anche per gli oneri connessi alla proprietà: l’acquirente del fondo, ancor prima di effettuare la trascrizione, è infatti legittimato passivo dell’azione con cui si pretende la rimozione delle opere costruite in violazione delle distanze legali, fatta salva la sua possibilità di rivalersi in via risarcitoria nei confronti del dante causa responsabile della situazione lesiva(42).
Significativa importanza hanno poi le norme aquiliane che imputano al proprietario la responsabilità per i danni cagionati dalla cosa o dal suo uso. L’art. 2053 c.c. individua il dominus quale responsabile per i danni derivanti dalla rovina di un edificio o di un’altra costruzione, salvo che egli non provi che questa non è dovuta a difetto di manutenzione o a vizio di costruzione. Non è dunque legittimato passivo dell’azione risarcitoria il promissario acquirente in forza di un contratto preliminare, anche là dove sia già stato immesso nel godimento dell’immobile, mentre lo sono l’acquirente con patto di riservato dominio, in virtù del passaggio dei rischi fin dal momento della consegna ex art. 1523 c.c.(43), e il proprietario che pure non abbia ancora trascritto il suo acquisto, a meno che un secondo acquirente non avesse già trascritto un proprio titolo al tempo in cui il fatto illecito si è verificato(44).
L’art. 2054 c.c., inoltre, per il caso di sinistro provocato dal conducente di un veicolo, stabilisce la responsabilità solidale del proprietario del mezzo (o, in sua vece, dell’usufruttuario o dell’acquirente con patto di riservato dominio)(45), salvo che questi non provi che la circolazione del veicolo sia avvenuta contro la sua volontà. Ai fini dell’individuazione del soggetto proprietario, la giurisprudenza di merito ha precisato che i dati forniti dal Pubblico registro automobilistico forniscono elementi meramente presuntivi, suscettibili di essere vinti anche dalla semplice prova testimoniale(46). Il valore presuntivo dell’iscrizione nel Pra è stato riconosciuto anche dalla Suprema Corte(47), che lo ha applicato pure al caso di sanzioni amministrative irrogate contro il proprietario risultante dal pubblico registro, ritenendo opponibili agli organi deputati all’accertamento delle infrazioni gli atti traslativi della proprietà di un’autovettura risultanti da un’attestazione notarile(48)o addirittura da qualunque altro mezzo di prova, non essendo richiesta per simili atti la forma scritta ad substantiam(49).
Quanto alle tutele in favore dell’alienante, era apparsa problematica fin dalla sua comparsa all’art. 1513 del codice civile del 1865 la compatibilità con il principio consensualistico della cd. rivendicazione del venditore(50). La norma del vecchio codice, infatti, prevedeva, sulla scia della codificazione francese, che nella vendita senza dilazione di pagamento, qualora il compratore non avesse corrisposto il prezzo, l’alienante potesse rivendicare le cose mobili vendute fintantoché queste fossero rimaste in possesso dell’acquirente, o comunque impedirne la rivendita, purché la domanda di rivendicazione venisse proposta entro i quindici giorni dal rilascio e le cose si trovassero nel medesimo stato in cui erano al momento della consegna. Fra le varie esegesi della disposizione, la più felice fu quella che vi scorse un’azione di recupero del possesso, volta a ristabilire la situazione di fatto anteriore alla consegna o alla spedizione al fine di assicurare al venditore la possibilità di avvalersi del diritto di ritenzione ex art. 1469 c.c. 1865 ed art. 805 c. comm.(51). L’intuizione venne accolta dal legislatore del 1942, che all’art. 1519 c.c. ha fatto espressa menzione del potere del venditore di riprendere il possesso delle cose vendute, al fine di consentirgli di eccepire l’inadempimento o l’insolvenza dell’acquirente, ex artt. 1460 e 1461 c.c., e di chiedere la condanna di quest’ultimo all’adempimento, salvo che non preferisca domandare la risoluzione secondo le regole ordinarie(52).
Un ulteriore limite al principio consensualistico è parso sussistere nell’art. 2914, nn. 1 e 4, c.c. e nell’art. 45 L.fall. La prima disposizione mette al riparo il creditore pignorante e i creditori che intervengono nell’esecuzione da taluni atti compiuti dal debitore prima del pignoramento, e, in particolare: dalle alienazioni di beni immobili o di beni mobili registrati che siano state trascritte successivamente al pignoramento (n. 1), e dalle alienazioni di beni mobili il cui possesso sia stato trasmesso successivamente al pignoramento, salvo che queste risultino da atto avente data certa (n. 4). In materia fallimentare, poi, la seconda disposizione citata stabilisce che le formalità necessarie per rendere opponibili gli atti ai terzi sono senza effetto riguardo ai creditori se compiute dopo la data della dichiarazione di fallimento. In questi contesti, insomma, il semplice consenso non è sembrato sufficiente, per lo meno rispetto ai creditori dell’alienante, a far uscire il bene dal suo patrimonio(53).
In realtà, una spiegazione più persuasiva del tessuto normativo poggia ancora sull’inopponibilità del contratto. L’acquirente, infatti, è fin da subito proprietario del bene acquistato, tuttavia, se non si cura di compiere le formalità necessarie a rendere opponibile il suo titolo, effettuandone la trascrizione o, in caso di alienazione mobiliare, precostituendoselo preventivamente nella forma ad regularitatem dell’atto scritto munito da certa prevista dalla legge, rischia di perdere il diritto che ne deriva. Insomma, le due norme, che hanno una finalità sostanzialmente analoga, ribadiscono l’attitudine del sistema a guardare il fenomeno del trasferimento di proprietà sotto un duplice profilo: quello relativo all’efficacia reale del contratto, e quello inerente alla pubblicità dello stesso e quindi alla sua opponibilità(54).

Infine, ancora sul fronte dei rimedi predisposti a favore dell’alienante in caso di inadempimento da parte dell’acquirente dell’obbligo di pagare il prezzo, vi è da segnalare, accanto all’azione già ricordata di cui all’art. 1519 c.c., la ben più significativa ipoteca legale che sorge sopra gli immobili alienati, ex art. 2817, n. 1, c.c. Nel nostro discorso, tale garanzia viene in considerazione non tanto per la sua pratica importanza - confermata peraltro dalla deroga che l’ultimo comma dell’art. 2650 c.c. apporta al principio di continuità delle trascrizioni descritto ai due commi precedenti, al fine di consentire al creditore ipotecario, il cui diritto sia stato iscritto contemporaneamente al titolo di acquisto, di prevalere sulle trascrizioni o iscrizioni eseguite anteriormente contro l’acquirente - quanto perché, lungi dall’essere una sconveniente ingerenza della legge negli affari dei privati, come pensavano gli scrittori più risalenti, essa rappresenta nei sistemi che adottano il principio consensualistico una cautela necessaria, presente anche in Francia sub specie di privilège spécial (art. 2374 code civ.)(55), all’uopo di bilanciare l’immediata realizzazione dell’effetto traslativo con la tutela dell’acquirente che non abbia ancora ricevuto il pagamento del corrispettivo. Nei sistemi in cui vige il principio di separazione, invece, un analogo problema non si pone, perché il venditore resterà titolare del diritto sino al compimento dell’atto solutorio: così, nel modello tedesco, il consenso alla Auflassung, la cui iscrizione nel libro fondiario determina il passaggio della proprietà, può essere rifiutato fino al momento del saldo(56), mentre nelle vendite mobiliari il § 449 BGB prevede la possibilità per le parti di riservare la proprietà del bene al venditore sino all’integrale pagamento del prezzo(57).

4. La doppia alienazione

Le contestazioni più significative al principio consensualistico traggono forza dalla difficile conciliazione dell’art. 1376 c.c. con la disciplina della doppia alienazione immobiliare che, ai sensi dell’art. 2644 c.c., afferma la prevalenza non del primo acquirente, bensì di quello che per primo ha trascritto il suo titolo.
Vi è anzitutto da dire che un analogo problema di coordinamento fra principi e regole non si pone nel caso della doppia alienazione mobiliare, la quale è risolta dall’art. 1155 c.c. in favore di colui che, pur avendo un titolo posteriore, abbia in buona fede per primo conseguito il possesso della cosa. La ragione del diverso rilievo delle due ipotesi sta nel fatto che la norma in questione, che può essere sostanzialmente considerata, malgrado la diversa derivazione storica, un’applicazione dell’art. 1153 c.c., delinea una fattispecie di acquisto a non domino(58), per cui non è nemmeno prospettabile un raffronto con un meccanismo di acquisto a titolo derivativo. Come è stato impeccabilmente scritto, infatti, «non si può certo additare come indice di un limite di validità del principio consensualistico una vicenda giuridica che si realizzerebbe anche se ad alienare fosse un soggetto che non è mai stato titolare del diritto»(59).
Più prudente, invece, è il discorso da farsi per l’art. 2644 c.c.: il mancato riferimento della disposizione alla buona fede, che è un requisito costitutivo degli acquisti a non domino, ha infatti indotto autorevole dottrina a dubitare della possibilità di ricomprendere fra questi quello del secondo avente causa che abbia trascritto per primo(60).
Il fenomeno ha incontrato più di una spiegazione. Per alcuni il problema va ricondotto al piano processuale: le norme sulla trascrizione, infatti, sarebbero affini alle norme sulle prove legali(61), le quali creano limiti alla libertà d’indagine del giudice, impedendogli di considerare esistenti certi fatti o mutamenti giuridici, e, pur operando nel processo, riverberano la loro efficacia anche al di fuori di esso, condividendo dunque la natura strumentale delle prime. Entrambe le tipologie di norme, insomma, non servirebbero a risolvere un problema di diritto sostanziale, ma ad attuare un certo diritto soggettivo disciplinandone l’accertamento giudiziale e le condizioni per le quali ritenerne esistente il fatto costitutivo(62).
Per altri, invece, la trascrizione del secondo titolo varrebbe come condizione risolutiva degli effetti traslativi del primo atto non trascritto, rendendo così a domino un’alienazione che originariamente non era tale(63). Tuttavia, qualora il secondo acquisto concernesse non un incompatibile diritto di proprietà, bensì un diritto reale, di godimento o di garanzia, o un diritto personale di godimento, la sua prioritaria trascrizione non risolverebbe gli effetti del primo atto, bensì li circoscriverebbe in modo da salvaguardare l’incidenza del diritto particolare(64), ovvero, secondo una diversa angolazione, farebbe venire retroattivamente meno la facoltà del comune dante causa di determinare mutamenti giuridici incompatibili con quello causato dall’atto trascritto(65).
La prima teoria, quella processuale, ha destato perplessità, in quanto postula la coesistenza di due proprietari in relazione ad uno stesso bene: uno secondo il diritto sostanziale, ed un altro secondo il diritto sostanziale applicato dal giudice, i quali potrebbero proseguire all’infinito queste due linee attraverso successivi atti di alienazione. Inoltre, pone il primo acquirente in una sorta di limbo destinato a sciogliersi definitivamente solo col maturare in favore del secondo dei requisiti per l’usucapione abbreviata, ex art. 1159 c.c., giacché quest’ultimo potrebbe scegliere di non intraprendere alcun giudizio per fare accertare l’anteriorità della trascrizione del proprio titolo. Infine, essa appare problematica in ordine ai rapporti coi terzi, soprattutto in presenza di controversie che presupponessero un accertamento incidentale della qualità di proprietario: qualora, ad esempio, il primo proprietario convenisse in giudizio un terzo per il risarcimento dei danni arrecati alla cosa, quest’ultimo potrebbe eccepire che il vero proprietario è in realtà il secondo acquirente che ha trascritto per primo, onde evitare di essere costretto a risarcire nuovamente il danno qualora fosse successivamente convenuto in giudizio dal secondo acquirente(66).
L’altra teoria, quella della condicio iuris, incontra il sostegno della dottrina maggioritaria, benché non sia del tutto esente da obiezioni. Anzitutto, essa deve inevitabilmente ricorrere ad una certa artificiosità per assecondare l’idea che alla condizione risolutiva possano far capo le diverse conseguenze che si verificano in ragione della situazione giuridica acquistata dall’avente causa che abbia per primo trascritto; se, infatti, si tratta di un diritto diverso dalla proprietà, non basta immaginare la risoluzione del primo atto ma se ne deve piuttosto prospettare una restrizione chirurgica degli effetti. Inoltre, ad essa è stato rimproverato di poggiare su una sequenza logica invertita, poiché non dovrebbe essere la trascrizione, quale causa di scioglimento degli acquisti non trascritti, a rendere efficace la prima alienazione attraverso il ripristino del potere dispositivo in capo all’alienante, ma, al contrario, la sequenza corretta dovrebbe contemplare l’efficacia del secondo atto e, quale riflesso della trascrizione, la risoluzione di tutti gli acquisti precedenti; altrimenti, occorre ammettere che la trascrizione operi un intervento alquanto bizzarro, rimuovendo gli effetti di un atto fin dall’origine idoneo alla loro produzione a vantaggio di un atto che, invece, era ab imis inidoneo a tale risultato(67). In tal caso, peraltro, la ricomposizione della dissonanza fra la regola dell’art. 2644 c.c. ed il principio consensualistico sarebbe meramente fittizia, poiché se la trascrizione fosse in grado di rendere operante un atto che sarebbe dovuto restare inefficace, a causa della priorità temporale di un altro atto dispositivo incompatibile posto in essere da un medesimo autore, essa non si limiterebbe alla funzione dichiarativa di riprodurre la realtà esistente, ma, innovando tale realtà, finirebbe con l’assumere un valore pressoché costitutivo(68).
Queste ragioni hanno indotto a dubitare che l’acquisto del secondo dante causa possa avvenire a titolo derivativo(69), suggerendo invece di osservare il problema sotto un’altra luce, quella dell’apparenza. Il sistema della trascrizione, infatti, è caratterizzato dal fatto che se la situazione riprodotta nei registri viene modificata senza essere resa pubblica, essa non avrà alcun valore di fronte al terzo; il quale, per converso, potrà fondare sulla stessa un acquisto che invece l’intervenuta modificazione renderebbe impossibile(70). Solo apparentemente, dunque, è possibile considerare a domino il secondo acquirente, ma il fondamento del suo acquisto non potrà riposare su una fattispecie a titolo derivativo; esso, piuttosto, andrà ricercato in un meccanismo analogo a quello che l’art. 1155 c.c. prevede nel caso di doppia alienazione mobiliare, rispetto al quale, però, l’art. 2644 c.c. sostituisce al possesso la trascrizione, ed alla buona fede una presunzione juris et de jure di buona fede derivante dalla situazione che appare dai pubblici registri(71): pertanto, il diritto del primo acquirente che non abbia trascritto il suo titolo soccomberà là dove sia del tutto incompatibile con quello del primo trascrivente, altrimenti si ristringerà nella misura imposta dal diritto che risulta dall’atto trascritto(72).
Pur minoritaria, questa ricostruzione ha il pregio di preservare più delle altre il valore del principio consensualistico di fronte alla problematica della doppia alienazione attraverso un parallelismo sistematico con la stessa vicenda concernente i beni mobili non registrati.
Per contro, non può tacersi che anch’essa ha dato adito ad alcune obiezioni. Infatti, non riesce convincentemente a spiegare come mai non viene negata al secondo avente causa la possibilità di acquistare in virtù della propria trascrizione là dove il comune dante causa non abbia trascritto a sua volta il suo titolo: all’uopo, si fa appello all’effetto prenotativo che si verifica in virtù del secondo comma dell’art. 2650 c.c.(73), ma a ciò si replica che, essendosi considerata la fattispecie acquisitiva a titolo originario e a non domino, il principio di continuità delle trascrizioni non dovrebbe entrare in gioco(74). Così, si è costretti ad ammettere che quel che nella sostanza è un acquisto a titolo originario, nell’apparenza resta a titolo derivativo, e dunque deve essere trattato come tale «in tutti i casi in cui l’apparenza soppianta la sostanza e rappresenta la sola realtà giuridicamente rilevante»(75). Ma la difesa è un po’ ellittica: se manca la trascrizione da parte del comune dante causa, infatti, non si dovrebbe neppure parlare di apparenza.
In conclusione, un cenno va riservato alla responsabilità dell’alienante infedele e di quella, eventuale, del secondo acquirente. L’ampia questione non può essere trattata in questa sede, ove è sufficiente osservare che il presupposto della responsabilità extracontrattuale di entrambi è stato rinvenuto nella consapevole lesione dell’altrui diritto di proprietà, tant’è che se il secondo acquirente fosse in buona fede(76)(escludendo che possa valere la mera conoscibilità della precedente alienazione a confutarla), la sua attività negoziale sarebbe una sana espressione del principio qui iure suo utitur neminem laedit, e le ricadute negative sulla sfera del terzo verrebbero ad essere esclusivamente imputate al comune dante causa(77).

5. I titoli di credito

La dottrina maggioritaria concorda sull’applicabilità del principio consensualistico all’alienazione di titoli di credito(78).
Un primo orientamento ritiene che il titolo, in quanto bene mobile, viaggi secondo la regola del consenso traslativo, spettando invece alle formalità che ne caratterizzano la circolazione e ne conferiscono il possesso qualificato il compito di trasferire la legittimazione all’esercizio del diritto che vi è incorporato; tali formalità, a cui l’alienante è obbligato in forza del contratto consensuale, corrispondono alla consegna per i titoli al portatore (art. 2003 c.c.), alla girata per quelli all’ordine (art. 2011 c.c.), ed alla duplice annotazione o alla girata autenticata per quelli nominativi (artt. 2022 e 2023 c.c.)(79). Mutatis mutandis si è egualmente difeso il vigore del principio consensualistico anche riguardo ai titoli dematerializzati, per i quali la registrazione eseguita dagli intermediari sui conti elettronici, ex art. 83-quater D.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 (introdotto dal D.lgs. 27 gennaio 2010, n. 27, che all’art. 5 ha abrogato le disposizioni previste nel precedente D.lgs. 24 giugno 1998, n. 213 agli artt. 28 e ss.) varrebbe a dare atto del trasferimento avvenuto ai sensi dell’art. 1376 c.c. e ad assegnare al titolare la «legittimazione piena ed esclusiva all’esercizio dei diritti relativi agli strumenti finanziari» di cui parla l’art. 83-quinquies, primo comma, D.lgs. 58/1998(80).
Un altro orientamento perviene grosso modo alle stesse conclusioni, rilevando come non esistano sufficienti ragioni normative per sottrarre i titoli di credito all’ambito del consenso traslativo, benché il solo accordo non sia sufficiente a trasmettere un diritto cartolare vero e proprio e quindi infedele, egli si trova in una posizione pressoché analoga a quella del primo acquirente, essendo entrambi rimasti vittima della frode dell’alienante, per cui la sua trascrizione non è qui mirata a giovarsi di un atto che sapeva essere ab origine inefficace, bensì a consolidare un acquisto che credeva già di per sé sussistente; cfr. G. CASELLA, «La doppia alienazione immobiliare: un dibattito sempre aperto», in Riv. dir. civ., 1993, II, p. 533. autonomo dal rapporto di base(81). Tale dottrina, invero, aveva inizialmente sostenuto una concezione realista della circolazione dei titoli di credito, ricavandola da una spiegazione del peculiare regime delle eccezioni opponibili dal debitore cartolare al possessore del titolo che mantiene comunque intatto il suo valore anche nella prospettiva consensualistica(82).
L’art. 1993 c.c. stabilisce, al secondo comma, che il debitore possa opporre al possessore del titolo le eccezioni fondate sui rapporti personali con i precedenti possessori soltanto se, nell’acquistare il titolo, il possessore abbia agito intenzionalmente a danno del debitore medesimo. Talora la disposizione è stata interpretata nel senso di ritenere che qui il legislatore abbia inteso apportare una deroga al principio di causalità dei negozi traslativi, in modo da rendere immune l’attribuzione patrimoniale realizzata con il trasferimento del titolo alle interferenze che deriverebbero dall’inefficacia del rapporto che ne ha giustificato l’emissione(83).
In realtà, non si ha alcuna obliterazione della causa, che nel nostro sistema resta sempre un elemento essenziale del contratto a pena di nullità; la norma in questione, piuttosto, si comprende proprio alla luce delle regole di circolazione del titolo. L’art. 1994 c.c., infatti, riprende e semplifica i requisiti che l’art. 1153 c.c. contempla per l’acquisto della proprietà dei beni mobili alienati a non domino, stabilendo all’uopo la sufficienza del possesso conseguito in buona fede, ovvero ignorando senza colpa grave il difetto di titolarità di un precedente possessore, e nel rispetto delle formalità previste dalla disciplina di settore, le quali corrispondono: per i titoli al portatore, alla consegna (art. 2003 c.c.); per quelli all’ordine, alla girata (art. 2008 c.c.); per quelli nominativi, invece, alla duplice annotazione del nome dell’acquirente sul registro dell’emittente e sul titolo, o al rilascio, annotato sul registro, di un nuovo titolo intestato all’acquirente (art. 2022 c.c.) oppure, ancora, alla girata autenticata da un notaio o da un agente di cambio e accompagnata dall’annotazione nel registro dell’emittente richiesta dal giratario che si dimostri possessore in base ad una serie continua di girate (art. 2023 c.c.).
Se l’acquirente è insensibile alle eccezioni fondate sul rapporto sottostante, allora, è grazie al fatto che egli, in presenza degli anzidetti requisiti, acquista a titolo originario la proprietà del documento, il che gli consente di rimanere indifferente all’originaria o sopravvenuta mancanza dei presupposti che ne avevano giustificato l’emissione e la successiva circolazione. A ben vedere, del resto, anche la possibilità per il debitore cartolare di opporre le eccezioni relative ai rapporti personali con i precedenti possessori a colui che nell’acquistare il titolo abbia agito intenzionalmente a suo danno è una conseguenza della mancata integrazione della fattispecie acquisitiva a non domino causata della mala fede del possessore stesso(84).
In caso di alienazione del medesimo titolo a più acquirenti, il conflitto deve pertanto essere risolto in base al criterio della priorità del conseguimento in buona fede del possesso nel rispetto della legge di circolazione (artt. 1155 e 1994 c.c.)(85).
Si è ritenuto, però, che nel conflitto fra più acquirenti di un medesimo titolo all’ordine prevalga quello che per primo ne ottenga il possesso, indipendentemente dalla sua buona fede. Ora, posto che il trasferimento del titolo con un mezzo diverso dalla girata produce gli effetti della cessione (art. 2015 c.c.), il giratario che ne consegue il possesso prevale in ogni caso quale acquirente a domino, giacché la cessione, non essendo stata accompagnata dalla consegna del titolo - che qui assolve il compito spettante nella cessione di diritto comune alla notificazione o all’accettazione con atto avente data certa, ex art. 1265 c.c. (86)- non potrà essere opposta al giratario, né, conseguentemente, potrà essergli opposto l’acquisto della proprietà del titolo che discende in via accessoria dalla cessione, quale documento probatorio del credito ceduto (art. 1262 c.c.). Se, invece, il titolo è sfornito di girata, l’acquirente che ne conquista per primo il possesso prevale sugli altri, ma, in forza dell’art. 2015 c.c., non in quanto alienatario del titolo, bensì quale cessionario del credito ivi incorporato, e il titolo gli vale semplicemente come documento probatorio di tale diritto(87).
L’art. 2015 c.c., tuttavia, non ha una valenza generale, poiché la sua ratio è strettamente connessa alla natura propria dei titoli all’ordine, rispetto ai quali l’acquirente potrebbe avere la necessità di esercitare il credito pur nel difetto di un possesso ad legitimationem dovuto alla mancanza della girata(88). Nei titoli nominativi, invece, l’acquirente può sempre legittimarsi richiedendo all’emittente il cd. transfert (art. 2022 c.c.)(89), mentre nei titoli al portatore è sufficiente la consegna a conferire la legittimazione.
Quando nessuno degli acquirenti sia in possesso del titolo, il conflitto fra più alienatari è risolto col ricorso in via analogica al principio espresso nel secondo comma dell’art. 1380 c.c., in base al quale sarà preferito il contraente munito del titolo avente data certa anteriore (art. 2704 c.c.), salvo che le parti non abbiano in tal modo inteso dar luogo ad una cessione di diritto comune, nel qual caso il conflitto sarà risolto in virtù della priorità della notifica o dell’accettazione (art. 1265 c.c.)(90); se nessuno può vantare un titolo avente data certa, prevale colui che con qualsiasi mezzo possa provare l’anteriorità del proprio titolo(91).
Quanto al rapporto fra l’acquirente o l’alienante e i rispettivi creditori, infine, è da rammentare che il pignoramento del titolo deve essere attuato sul titolo stesso, attraverso la materiale apprensione da parte dell’ufficiale giudiziario presso il debitore diretto (art. 1997 c.c.; art. 520 c.p.c.): la consegna del documento all’alienatario, impedendo la messa in atto del pignoramento, mette dunque al sicuro il suo acquisto. Si ritiene, poi, anche se l’opinione non è unanime, che pure ai titoli di credito sia applicabile in via generale il disposto dell’art. 2914 c.c., n. 4, secondo cui sono inopponibili al creditore pignorante e ai creditori intervenuti nell’esecuzione, sebbene anteriori al pignoramento, le alienazioni di beni mobili dei quali non sia stato trasmesso il possesso prima del pignoramento, salvo che queste risultino da atto avente data certa(92).

6. I diritti di credito

L’art. 1264 c.c. stabilisce che la cessione di crediti ha effetti nei confronti del debitore quando questi l’abbia accettata o gli sia stata notificata.
La norma non deroga espressamente al principio consensualistico; tuttavia, poiché non può venir meno la logica correlazione tra le posizioni di debito e di credito, per la quale se il ceduto resta debitore dell’alienante, creditore non può essere l’acquirente, occorre spiegare la coesistenza di un immediato trasferimento del diritto in capo all’acquirente già al momento della manifestazione del consenso ed una (apparentemente) non altrettanto immediata efficacia della cessione nei confronti del debitore.
Un primo gruppo di opinioni sostiene che la disposizione in parola comporti l’abbandono della regola consensualistica la quale, secondo alcuni, riguarderebbe solo il trasferimento dei diritti reali e dei diritti potestativi(93); in questa prospettiva, dunque, la notifica o l’accettazione sarebbero atti esecutivi di un negozio consensuale a cui imputare l’effetto reale(94). Altrove, è stata prospettata l’efficacia esclusivamente relativa della cessione, destinata poi ad espandersi in seguito alla notifica o all’accettazione: la cessione sarebbe sì efficace in forza del semplice accordo, ma soltanto dopo la notificazione o l’accettazione si realizzerebbe quella modificazione soggettiva del rapporto obbligatorio che consente al cessionario di esigere il credito dal debitore e a quest’ultimo di non giovarsi del pagamento al cedente(95). Infine, è stata sostenuta la tesi della deroga parziale al principio consensualistico, giacché saremmo in presenza di una fattispecie complessa, che affianca al consenso la notifica o l’accettazione(96).
Invero, il secondo comma dell’art. 1264 c.c. prevede che il debitore che paga al cedente, anche prima della notificazione, non sia liberato se il cessionario prova che egli era a conoscenza dell’avvenuta cessione, il che postula evidentemente che il cedente non sia già più titolare del diritto(97). A ciò potrebbe obiettarsi l’equivalenza teleologica, affermata in dottrina, fra la notificazione, l’accettazione, e la conoscenza della cessione avvenuta per altre vie(98); ma il tenore della norma sembra alludere alla conoscenza più per impedire la liberazione del debitore che per farne un elemento della fattispecie traslativa. La regola in esame, infatti, costituisce specifica applicazione del principio del pagamento liberatorio effettuato al creditore apparente, ex art. 1189 c.c., rispetto al quale però apporta una significativa deviazione: in entrambi i paradigmi, infatti, la consapevolezza della reale titolarità del credito esclude la buona fede del solvens e dunque l’esigenza di tutelarlo attraverso la liberazione, ma solo nel caso del pagamento effettuato al creditore apparente grava sul debitore l’onere di provare che il soggetto in favore del quale ha eseguito la prestazione gli era in buona fede apparso legittimato a riceverla sulla base di circostanze univoche, poiché, nell’ipotesi della cessione, non vi sono ragioni, in mancanza della notificazione o dell’accettazione, per ritenere che egli dovesse dubitare della legittimazione del suo originario creditore. La conoscenza, quindi, non influisce sulla translatio del credito, ma rappresenta il limite oltre il quale non è più possibile accordare la liberazione del debitore che abbia eseguito il pagamento a chi non era più legittimato a riceverlo; questo spiega inoltre perché, ancor prima della notificazione o dell’accettazione, il debitore possa pagare al cessionario, o quest’ultimo esigere l’adempimento(99).
A sostegno dell’immediata efficacia reale del negozio di cessione è stato poi elaborato un ulteriore argomento, basato sull’art. 5 della L. 21 febbraio 1991, n. 52, sulla cessione dei crediti di impresa. In quella sede, infatti, è stato individuato nel pagamento avente data certa del corrispettivo della cessione compiuto dal cessionario un ulteriore mezzo di opponibilità della stessa nei confronti dei terzi aventi causa e dei creditori del cedente; tale formalità si affianca dunque alla notificazione al debitore ed all’accettazione avente data certa da parte di quest’ultimo previste dall’art. 1265 c.c. ai fini dell’opponibilità della cessione ai terzi. Ora, una simile scelta appare più coerente con una concezione che separa il profilo traslativo della cessione da quello della sua opponibilità rispetto ad una concezione che tende invece a sovrapporre i due aspetti. Infatti, il tratto comune sotteso alle tesi che subordinano il passaggio del credito alla notificazione o all’accettazione del debitore è stato rinvenuto nell’esigenza di tutelare la posizione di quest’ultimo; ciò premesso, allora, appare incongruo equiparare, sia pure al solo fine dell’opponibilità della cessione ai terzi, alla notificazione o all’accettazione il ben diverso requisito del pagamento avente data certa eseguito dal cessionario in favore del cedente, giacché un simile atto è del tutto estraneo alla sfera di conoscibilità del debitore ceduto(100).
Qualora la cessione abbia ad oggetto un credito futuro, essa si perfeziona ugualmente con l’accordo del cedente e del cessionario, ma la sua efficacia traslativa è differita al momento in cui il credito viene ad esistenza, senza che sia richiesta un’ulteriore manifestazione di volontà negoziale (arg. ex art. 1472 c.c.)(101). Al pari della vendita di crediti futuri, anche la cessione di crediti futuri comporta per il cedente l’obbligo di porre in essere l’attività necessaria affinché il credito venga ad esistenza: la promessa di un risultato traslativo realizzabile esclusivamente attraverso un comportamento dell’alienante, infatti, corrisponde, secondo il comune apprezzamento, all’assunzione dell’impegno a compiere quanto necessario a tale finalità(102). Il che induce ad escludere un’obbligazione del genere in capo al cedente quando le parti si siano riferite a crediti destinati a nascere indipendentemente da ogni attività di quest’ultimo (si pensi, ad esempio, ai crediti che potrebbero derivare, ex art. 2043 c.c., dai danni patrimoniali accidentalmente subiti dal cedente ad opera di terzi)(103).
Quanto alla natura dell’accettazione e della notificazione, la prima è riconducibile alle dichiarazioni di scienza, avendo la sola funzione di palesare la conoscenza effettiva, da parte del debitore ceduto, dell’avvenuta modificazione soggettiva del rapporto, impedendogli così di liberarsi pagando al cedente(104). La seconda, invece, nasce come surrogato di una solennità pubblicitaria praticata al 51 tempo del codice napoleonico(105), ma oggi ha perduto ogni orpello formalistico dell’epoca. In particolare, la notificazione richiesta dall’art. 1264 non corrisponde a quella prevista per gli atti processuali e non è dunque necessario che sia eseguita secondo le modalità per questi stabilite, potendo anzi consistere in una comunicazione meramente verbale(106). Per entrambi gli atti, insomma, vi è assoluta libertà di forma(107), salvo che essi siano presi in considerazione ai fini dell’art. 1265 c.c., dove, rilevando quale mezzo di tutela dei terzi, se ne esige il compimento attraverso un atto avente data certa(108).
La disciplina della cessione non si occupa quasi per nulla delle eccezioni opponibili al cessionario da parte del debitore ceduto, in quanto la sostituzione del primo al cedente dovrebbe lasciare sostanzialmente impregiudicata la posizione delle parti(109). Ciò significa che il ceduto può far valere nei confronti del cessionario tutte le eccezioni che avrebbe potuto rivolgere al cedente, ossia quelle relative alla validità del titolo costitutivo o a fatti estintivi o modificativi del rapporto anteriori al trasferimento del credito. Tuttavia, in un’ottica garantista del debitore, si ritiene che questi possa opporre pure i fatti estintivi o modificativi intervenuti dopo il trasferimento del diritto ma prima del momento in cui abbia accettato la cessione, ovvero gli sia stata notificata, o, ancora, ne abbia avuto conoscenza(110).
Il diritto positivo disciplina invece espressamente l’eccezione di compensazione: l’art. 1248 c.c. stabilisce, al primo comma, che se il debitore ha accettato puramente e semplicemente la cessione non potrà eccepire al cessionario la compensazione che avrebbe potuto opporre al cedente; il secondo comma, poi, precisa che la cessione non accettata dal debitore, ma a questi notificata, impedisce la compensazione dei crediti sorti posteriormente alla notificazione. Chi nega l’operatività del consenso traslativo rinviene nella norma una conferma della sua tesi; chi, al contrario, ne afferma il vigore spiega la norma in modo analogo alla disciplina della liberazione conseguente al pagamento compiuto in buona fede al cedente, ex art. 1264, secondo comma, c.c.(111).
In caso di conflitto fra più cessionari, l’art. 1265 c.c. ritiene prevalente la cessione per prima notificata o per prima accettata con atto avente data certa, ancorché posteriore ad altra cessione. Il criterio adottato dalla norma non mette fuori gioco il principio consensualistico, ma rappresenta «una scelta legislativa diretta a dare prevalenza a uno schema complesso che resta all’esterno del meccanismo traslativo in quanto tale»: può essere tracciato un parallelismo rispetto al caso della doppia alienazione immobiliare, ove pure, a differenza dell’art. 1155 c.c., non assumono alcun rilievo la buona o la mala fede dell’acquirente successivo(112). Rispetto all’art. 2644 c.c., tuttavia, l’acquisto del diritto a non creditore ex art. 1265 c.c. presenta un autonomo fondamento legale, parimenti ispirato ad un’esigenza certezza del traffico giuridico, ma estraneo all’ambito dei classici acquisti a non domino(113). La notifica e l’accettazione, infatti, non solo sono le uniche condizioni alternativamente richieste al fine di rendere opponibile la cessione agli altri cessionari(114), ma neppure si prestano a dar adito ad una presunzione assoluta di buona fede sulla falsariga di quella individuata nella trascrizione al fine di considerare a non domino l’acquisto del primo trascrivente. Tanto la notifica quanto l’accettazione, infatti, sono funzionali all’interesse del debitore alla liberazione, individuando con certezza il destinatario della prestazione(115): esse, pertanto, non sono ascrivibili all’ambito della pubblicità, non costituendo un mezzo permanente di conoscibilità della vicenda da parte di potenziali ulteriori acquirenti, né si prestano, del resto, ad essere agevolmente conosciute(116).
Dall’ininfluenza dell’art. 1265 c.c. sugli effetti traslativi della cessione si deduce anche che, in mancanza di notifica od accettazione, l’adempimento eseguito in favore del primo cessionario sarà liberatorio ed estinguerà il credito acquistato in forza del principio consensualistico, a nulla rilevando una successiva notifica da parte del secondo cessionario. Qualora, invece, il pagamento sia avvenuto verso il secondo cessionario che non abbia notificato la cessione, o che la abbia notificata successivamente al primo, il debitore in buona fede è liberato, ma il diritto non è estinto, ed anzi permane il conflitto fra cessionari poiché l’adempimento non è sostitutivo né dell’accettazione né della notifica. A risolverlo, tuttavia, non potrà valere alcuna di queste formalità, giacché, essendo alternativamente contemplate in vista di una medesima finalità, è da ritenere che quando una non sia più esperibile divenga inutilizzabile pure l’altra; e, nel caso di specie, non vi è dubbio che il debitore, una volta liberato, non sia legittimato ad un’accettazione tardiva. Il conflitto andrà dunque risolto ricorrendo ai canoni generali del sistema, e, in particolare, al principio consensualistico, che comporta la prevalenza del primo cessionario, al quale il secondo dovrà quindi restituire il pagamento ricevuto(117).

7. La derogabilità del principio consensualistico

7.1. Premessa

Non avendo natura di ordine pubblico, il principio consensualistico può essere derogato dalle parti(118).
Una deroga legale viene talora ravvisata in presenza di un semplice differimento dell’effetto reale, come nel caso del patto di riservato dominio o delle cd. vendite obbligatorie(119). Di deroga vera e propria, tuttavia, pare preferibile parlare, anche col conforto dell’argomentazione storico-comparatistica, non tanto di fronte alla mera dissociazione temporale fra la conclusione del contratto e l’attuazione dell’effetto traslativo, quanto ogni volta che tale effetto dipende da un ulteriore atto solutorio che integra l’adempimento di un’obbligazione di dare (il cd. pagamento traslativo)(120).
Diversamente, infatti, la fonte dell’effetto reale, pur differito, risiede sempre in un solo atto, il che non si discosta poi così clamorosamente dall’idea, realizzata dal principio consensualistico, di riunire in un’unica manifestazione di volontà titulus e modus adquirendi, tanto più che l’art. 1376 c.c. non richiede che la translatio sia necessariamente contestuale al perfezionamento del negozio.
Una risalente opinione escludeva che l’autonomia privata potesse rinnovare l’anzidetta scissione fra titolo e modo, ritenendo che a ciò ostasse la regola della causalità del contratto, ex art. 1325, n. 2, c.c.(121): poiché, infatti, l’approdo più significativo del principio consensualistico era stato quello di realizzare la compenetrazione fra il contratto obbligatorio consensuale e l’atto traslativo, col risultato di rendere il secondo partecipe dei vizi del primo(122), la possibilità di separare nuovamente i due atti sembrava condurre ad un’inevitabile rottura del legame causale fra gli stessi.
Inoltre, la circostanza che il paventato atto solutorio-dispositivo sarebbe risultato irriducibile ad un determinato contratto tipico andava a rafforzare il convincimento della sua ineluttabile astrattezza(123), giacché nel pensiero giuridico che si interrogava sul punto dominavano le tesi che, per un verso, identificavano la causa con il tipo contrattuale, a cominciare da quella che vi scorgeva la funzione economico-sociale del negozio(124)e, per un altro verso, ritenevano capaci di dar luogo ad effetti reali solo i tipi contemplati dalla legge(125).
Questo secondo postulato (del primo si dirà più avanti) era fondato su argomenti poco persuasivi. Per un verso, infatti, ci si richiamava al dogma della tipicità e del numero chiuso dei diritti reali, il quale, però, attiene ad altra problematica, comportando per i privati l’impossibilità di modificare il novero e il contenuto di tali situazioni oltre i ranghi definiti dalla legge, e non di incidere sulle modalità del loro trasferimento(126); per un altro verso, poi, si sosteneva che il «casualismo contrattuale» avrebbe imposto di interpretare il richiamo dell’art. 922 c.c. ai contratti quale modo di acquisto della proprietà come un rinvio ai soli contratti tipici previsti dal codice(127). Il che, invero, oltre a comprimere ingiustificatamente il principio di autonomia contrattuale di cui all’art. 1322 c.c., non è neppure imposto dal dato normativo, considerando che l’art. 922 c.c. si limita a richiamare i “contratti” senz’altra indicazione e che la causa non è appannaggio esclusivo delle fattispecie negoziali tipiche(128).

7.2. Il pagamento traslativo

L’identificazione della causa nel tipo fu progressivamente superata grazie a quelle teorie che seppero emanciparla dai gangli di un’impostazione dirigistica e paternalistica in favore di una ricostruzione in chiave sì funzionale ma rivolta ad una nuova prospettiva economico-individuale incentrata sul programma stabilito dalle parti per la regolamentazione dei loro interessi, non essendo concepibile che l’atto di autonomia privata, fermo restando il limite della liceità e del rispetto delle norma imperative, fosse chiamato ad attuare finalità ulteriori e di evanescente socialità rispetto a quelle perseguite dalle parti(129).
Ciò permise di superare l’idea che aveva sospinto nelle maglie di una fraintesa astrattezza il pagamento traslativo e, più in generale, le prestazioni isolate, ovvero la categoria in cui convogliano tutti quegli atti che danno vita ad un’attribuzione giuridica unilaterale, o che comportano l’assunzione unilaterale di un’obbligazione, fondati su una fattispecie identificabile nella nuda e neutrale prestazione; la loro struttura non è idonea a rivelarne la causa, giacché essi si limitano solo ad indicare lo scopo perseguito dall’autore, lasciando invece “all’esterno” la giustificazione della prestazione stessa (si pensi all’adempimento del terzo, all’esecuzione dell’obbligazione naturale, alla datio in solutum …)(130).
La dottrina delle prestazioni isolate attinge le coordinate teoriche dall’esperienza tedesca, dove il principio di separazione e il principio di astrazione hanno condotto alla distinzione fra i Grundgeschäfte, che esauriscono in loro stessi gli effetti voluti dalle parti, e corrispondono sostanzialmente ai contratti obbligatori, ed i Leistungsgeschäfte, ovvero gli atti solutori astratti compiuti in esecuzione dei primi.
La dicotomia si ripropone attraverso il binomio Verpflichtungsgeschäfte e Verfügungsgeschäfte: i primi fanno sorgere obbligazioni e costituiscono il fondamento delle prestazioni che ne conseguono, i secondi attuano invece un’immediata disposizione del diritto, ad esempio trasferendolo ad un altro soggetto oppure costituendovi sopra una garanzia reale. I Verpflichtungsgeschäfte sono per lo più causali (ma esistono significative eccezioni, come la promessa di pagamento o il riconoscimento di debito di cui ai §§ 780 e 781 BGB(131)), poiché esprimono lo scopo (Zweck) a cui sono rivolti: la compravendita, per dire, viene definita dal § 433 BGB come il contratto che obbliga il venditore a consegnare la cosa al compratore e a procurargliene la proprietà ed il compratore a pagarne il prezzo e a prendela in consegna. I Verfügungsgeschäfte, invece, sono per lo più astratti, poiché non rivelano alcuno Zweck: l’atto con cui si realizza il trasferimento di un diritto reale o la cessione di un diritto di credito di per sé è neutro, è lo scopo contenuto nel precedente negozio causale che ne rivela la funzione(132).
La scissione della fattispecie traslativa in due negozi giuridici, riassunta nel Trennungsprinzip, deriva dalla tradizione romanistica recepita dal diritto comune e viene giustificata con la maggior conoscibilità della vicenda patrimoniale che permette di realizzare, giacché l’atto dispositivo si avvale di indici percepibili all’esterno, quali la consegna della cosa dall’alienante all’acquirente, se si tratta di un bene mobile, e l’accordo delle parti in ordine all’iscrizione della modificazione giuridica nel libro fondiario, se invece si tratta di un bene immobile (§§ 873 e 929 BGB). Da un punto di vista teorico, ciò determina il ricorso a ben tre contratti, ovvero la compravendita obbligatoria e i due atti esecutivi che, rispettivamente, trasferiscono la proprietà della cosa e il denaro(133). L’astrazione che connota questi ultimi, invece, è, per citare il titolo di un saggio che efficacemente riassume i termini storici della questione, il frutto di «une invention de la romanistique allemande»(134), poiché nasce nella stagione della Pandettistica, quando Savigny, allontanandosi dagli insegnamenti dei giuristi medioevali sulla iusa causa, elabora una concezione della traditio quale dinglicher Vertrag capace di assolvere ad una pluralità di funzioni sottostanti: scrive il grande giurista che si può consegnare una cosa per darla in locazione o in deposito, così come a seguito di una vendita o di una donazione, ma solo in questi due ultimi casi si avrà un trasferimento di proprietà, poiché così hanno voluto le parti(135).
L’argomento principiale a sostegno dell’astrazione deriva dal convincimento che essa giovi ai traffici commerciali, evitando all’acquirente di doversi imbarcare nelle ricerche necessarie ad appurare che il suo dante causa sia legittimato a disporre del diritto in virtù di un valido titolo; a questa tesi aderirono i compilatori del BGB, giacché «die Vorschriften über Verfügung … das Bestehen einer Verpflichtung nicht als Wirksamkeitsvoraussetzung»(136). Vi sono, tuttavia, dei temperamenti al meccanismo dell’astrazione, come quello rappresentato dalla Fehleridentität, che rende invalidi entrambi gli atti quando sia il contratto obbligatorio sia l’atto dispositivo presentano gli stessi difetti (vizi del consenso, vizi relativi alla mancanza di capacità, alla mancanza di forma, alla violazione di norme imperative e del buon costume)(137).
L’astrazione fa sì che, qualora la vendita sia inefficace, il venditore, a differenza di quanto avviene nel sistema italiano, ma anche in quello austriaco, dove vige sì il principio di separazione fra Titel ed Erwerbungsart (§§ 380, 424, 425, 431 ABGB), ma quest’ultima è causale(138), non possa più rivendicare il bene, poiché il negozio di disposizione non risente, in linea di massima, dei vizi del negozio obbligatorio; al venditore, quindi, non resterà che avvalersi del rimedio dell’arricchimento ingiustificato (§§ 812 e ss. BGB), ma per questa via non è affatto sicuro che egli riesca a recuperare materialmente il bene, poiché se questo è stato nuovamente ritrasferito, l’acquisto del terzo non sarà intaccato e l’alienante dovrà restituirgli il valore corrispondente (§ 818 II BGB), che, nel silenzio della norma, viene riferito al tempo in cui è nata la pretesa restitutoria, ovvero quello in cui è stato eseguito il trasferimento non giustificato, indipendentemente dalle eventuali fluttuazioni successive del mercato(139).
La tutela dei terzi realizzata dall’Abstraktionsprinzip è assoluta: poiché, infatti, gli acquirenti a non domino sono già protetti dai §§ 932 e ss. BGB là dove abbiano ottenuto il possesso in buona fede del bene mobile e dai §§ 892 e 893 BGB qualora abbiano iscritto in buona fede il loro titolo nel libro fondiario(140), all’astrazione non resta che mettere al sicuro gli acquirenti in mala fede, il che non la esime certo da critiche(141); inoltre, essa giova anche ai creditori dell’acquirente in occasione di un’esecuzione forzata o di una procedura fallimentare, lasciando all’alienante un semplice diritto di credito concorrente con quello degli altri creditori (§ 47 dell’Insolvenzordnung)(142).
Nel nostro ordinamento, dove all’opposto vigono il principio consensualistico ed il principio di causalità dei trasferimenti, sia i contratti obbligatori sia i contratti ad efficacia reale sono invece 57 forniti di una intrinseca giustificazione, ovvero di una causa. In passato, tuttavia, sembrava che nel modello tedesco potesse in parte rispecchiarsi la dinamica delle prestazioni isolate, nelle quali la causa pare rilevare sotto un duplice aspetto, soggettivo ed oggettivo: il primo verrebbe soddisfatto dall’indicazione dello scopo (Zweck) al quale l’atto è preordinato, e che costituisce la funzione interna di tale atto, mentre il secondo atterrebbe al suo fondamento (Grund), ovvero all’effettiva esistenza del rapporto che giustifica la prestazione, e se ne pone dunque all’esterno(143).
Uno dei corollari più importanti di questa ricostruzione si presenta subito sul piano rimediale, dove il principio della nullità per mancanza di causa della prestazione isolata viene percepito con diffidenza. La presenza dello Zweck è infatti considerata sufficiente a garantire la validità dell’atto sotto il profilo funzionale, spettando invece all’effettiva esistenza del Grund la preservazione degli effetti del medesimo. Il rimedio opportuno in caso di inesistenza del rapporto sottostante, pertanto, non dovrebbe risiedere nella nullità bensì nella condictio indebiti: dalle norme sulla ripetizione dell’indebito, infatti, «si ricava con evidenza che la obbiettiva inesistenza dell’obbligo che il solvens intende adempiere non produce la “nullità”, ma semplicemente la “ripetibilità” della prestazione», la quale, a differenza della nullità, che comporta la possibilità di rivendicare il bene, non espone i terzi subacquirenti al rischio dell’inefficacia del loro acquisto, assicurandogli così una tutela nel più ampio raggio tracciato dall’art. 2038 c.c., giustificata dalla circostanza che, non recando il titolo di acquisto una causa propria, questi non sono in grado di riscontrarne gli eventuali vizi(144).
Il movente principale delle prestazioni isolate risiede, quindi, nella predisposizione di un regime meno rigido verso i terzi subacquirenti rispetto a quello a cui dovrebbero sottostare in virtù del principio di causalità; è tuttavia opinabile che ciò - pur denunciando l’effettiva problematicità di un elevato rischio di sacrificio dei terzi - valga a giustificare l’individuazione di una specifica area della circolazione giuridica al cui interno modulare le conseguenze del suddetto principio. La causalità della translatio, infatti, caratterizza per intero il sistema italiano di circolazione giuridica(145), per cui sembra possibile attenuarne le conseguenze solo attraverso un intervento legislativo ad hoc, magari auspicabilmente teso a sancire in via generale una tutela del terzo acquirente a non domino di beni immobili o mobili registrati fondata sulla buona fede e sull’avvenuta trascrizione del titolo(146).
A ben vedere, peraltro, la ragione che indurrebbe a procedere in tal senso non appare ristretta al solo campo delle prestazioni isolate: le difficoltà che la verifica causale comporta per l’acquirente da un dante causa che sia stato investito del diritto in virtù di un atto solutorio isolato, infatti, non risultano poi così più complesse di quelle che incontra qualsiasi altro acquirente di fronte a talune ipotesi di nullità che potrebbero affliggere il contratto sinallagmatico con cui ha acquistato il suo dante causa, come quelle comportate dall’illiceità del motivo comune, ex art. 1345 c.c., o dalla nullità di singole clausole, ex art. 1419, primo comma, c.c., o, ancora, dal difetto in concreto della causa stessa.
Inoltre, anche il favor riservato ai terzi dalla teoria delle prestazioni isolate sembra un po’ sopravvalutato: infatti, poiché il meccanismo causale fa dipendere la validità dell’ultimo acquisto non solo dalla validità di quello del precedente dante causa, bensì dalla validità di tutta la catena degli acquisti antecedenti, il terzo che volesse mettersi al riparo da ogni eventuale azione rivendicatoria di un precedente dante causa avrebbe ugualmente l’onere di ripercorrere a ritroso gli anelli della catena per lo meno fino all’integrazione di una fattispecie acquisitiva a titolo originario, indipendentemente dalla presenza o meno di una prestazione isolata. La difficoltà di accertamento della titolarità del diritto legata ad un atto solutorio potrebbe, semmai, condizionare la valutazione dello stato soggettivo del terzo possessore del bene in vista della configurazione a suo vantaggio di un acquisto a non domino(147).
Infine, vi è poi da considerare che l’esclusivo rimedio della ripetizione dell’indebito rischierebbe di pregiudicare ingiustamente l’alienante: poiché, infatti, la domanda di ripetizione non è trascrivibile, questi potrebbe non riuscire a recuperare il bene neppure qualora avesse esperito l’azione restitutoria prima che il terzo abbia maturato il suo acquisto(148).

7.3. La causa del pagamento traslativo e i rimedi per la mancanza originaria o sopravvenuta dell’obbligo di dare

Se la categoria delle prestazioni isolate è stata sottoposta a rigorosa critica, anche la concezione strutturale e soggettiva della causa che la sottende appare superata, non riuscendo a cogliere appieno la dimensione dinamica del fenomeno negoziale, in particolare là dove la funzione perseguita dalle parti non risulti in concreto possibile, come avviene nei tre celebri esempi della causa simbolica, non trasparente o putativa(149): non basta, dunque, procedere alla ricostruzione dell’assetto di interessi programmato dalle parti, ma occorre riscontrare che tale piano non sia a priori irrealizzabile. Nella sua evoluzione recente, la causa indica la capacità concreta di funzionamento dell’atto, accertata attraverso il riscontro ab initio di tutti i presupposti idonei a sorreggere tale funzionamento, il che rende superfluo, per le prestazioni isolate, la prospettazione di una “causa esterna”: la causa, invero, è sempre interna, anche nel pagamento traslativo(150), mentre ad essere collocato all’esterno, semmai, è il presupposto necessario all’operatività dell’atto solutorio, ovvero l’obbligo da adempiere, la cui mancanza, quindi, determina la sua nullità per difetto di causa, e non la semplice condictio indebiti(151).
È allora possibile ricondurre all’alveo del pagamento traslativo, senza gli imbarazzi del passato, tre ipotesi codicistiche in cui l’attribuzione patrimoniale avviene attraverso la mediazione di un’obbligazione di dare ed il conseguente adempimento di un atto unilaterale traslativo: si tratta dell’atto di trasferimento di diritti immobiliari o su beni mobili registrati posto in essere dal mandatario senza rappresentanza in favore del mandante (art. 1706, secondo comma, c.c.), del conferimento sociale di beni in proprietà (artt. 2247, 2253 c.c.), e del legato di cosa altrui (art. 651 c.c.), in passato variamente spiegati attraverso itinerari più o meno bizantini, che ricorrevano, nel primo caso, alla dissociazione fra proprietà sostanziale e legittimazione(152), nel secondo all’equiparazione fra l’attività del socio e quella del venditore di cosa altrui, previa individuazione della causa e del titolo del trasferimento nel contratto sociale(153)e, infine, nel terzo caso, di nuovo allo schema della vendita di cosa altrui(154). In tutte queste situazioni, dunque, si ha quella scissione fra momento obbligatorio e momento traslativo solitamente riuniti dal principio consensualistico, mentre resta fermo, ex art. 1325, n. 2, c.c. il principio di causalità, per cui la validità dell’atto ad efficacia reale dipende dall’esistenza originaria dell’obbligazione di trasferire. Sul punto, è stato anche efficacemente dimostrato come non sia necessario che il solvens indichi l’expressio causae; la causa dell’atto unilaterale deve certamente sussistere, ma un onere di esplicitazione ricavato in via ermeneutica contrasterebbe con i principi di libera manifestazione del consenso, di libera interpretazione dell’atto e di libera esperibilità di ogni mezzo di prova nel rispetto dei limiti previsti dalla legge(155).
Il rimedio della nullità per mancanza di causa si presta bene al caso in cui il presupposto causale obbligatorio sia insussistente fin dall’inizio; meno adatto, invece, appare quando detto presupposto venga meno dopo l’esecuzione della prestazione traslativa o quando l’altra parte non abbia adempiuto alla prestazione che costituiva il corrispettivo della prestazione isolata, giacché la nullità postula un vizio originario e non sopravvenuto. Né risulta anche qui appagante scorgere un rimedio diretto nella condictio indebiti, poiché l’art. 2038 c.c. esporrebbe comunque il terzo, sia pure nel solo caso di acquisto a titolo gratuito, ad un’azione di arricchimento a fronte di una disfunzione successiva del titolo del suo dante causa; per un altro verso, poi, l’impossibilità di trascrivere l’azione di ripetizione finirebbe per avvantaggiare quei terzi che avessero acquistato un bene immobile o un bene mobile registrato anche dopo l’esperimento della domanda restitutoria, i quali continuerebbero a rispondere, nei limiti della loro locupletazione, solo là dove avessero acquistato a titolo gratuito.
Si è così suggerito l’intervento della disciplina della risoluzione - che, ex art. 1458, secondo comma, c.c. non pregiudica i diritti acquistati da terzi salvi gli effetti della trascrizione della relativa domanda - senza tuttavia prospettare il ricorso ad una specifica ipotesi risolutoria, bensì, secondo un percorso argomentativo già intrapreso in dottrina a proposito della presupposizione, in virtù di un principio comune alle tre fattispecie che consente di addivenire allo scioglimento dell’atto quando una disfunzione sopravvenuta ne impedisce il funzionamento in coerenza con l’impegno originario delle parti e con un’interpretazione del negozio secondo buona fede(156).

7.4 L’atto solutorio ad efficacia reale. Il rapporto fra contratto preliminare e contratto definitivo

L’atto solutorio con cui viene data esecuzione ad un’obbligazione di dare non deve necessariamente essere un contratto, potendo consistere anche in un negozio unilaterale. Invero, la giurisprudenza, manifestando una certa titubanza di fronte al riconoscimento di un’attribuzione reale unilaterale, ha talora preferito parlare di contratto con obbligazioni a carico del solo proponente: in particolare, si trattava dell’atto con cui un padre adempiva all’obbligo legale di mantenimento verso la figlia (novato in sede di separazione mediante un accordo con l’altro coniuge) trasferendo a quest’ultima un appezzamento di terreno(157).
In un’altra decisione, invece, la Suprema Corte aveva qualificato come contratto gratuito a favore di terzi l’atto con cui un coniuge, al fine di agevolare la vendita di una villetta da parte della moglie a due coacquirenti, trasferiva gratuitamente a questi ultimi un proprio terreno in esecuzione di un impegno assunto nei loro confronti contestualmente al preliminare di vendita concluso dalla moglie (la quale risultava così essere il terzo avvantaggiato)(158).
Questa seconda decisione - a prescindere dalla opinabile ricostruzione in cui si imbarca, ove gli 61 estremi di una donazione indiretta (dal marito alla moglie) vengono confusi con quelli di un improbabile contratto favore di terzi in cui il beneficio attribuito consiste in una mera condizione di fatto quale l’agevolazione delle trattative(159)) - contiene un’affermazione importante, giacché chiarisce che il principio di autonomia contrattuale posto dal secondo comma dell’art. 1322 c.c. consente la configurabilità di negozi traslativi atipici purché sorretti da causa lecita.
La prima pronuncia, anche alla luce di siffatto precedente, offre poi un ulteriore spunto per qualche riflessione.
Essa, infatti, ritiene idoneo a trasferire la proprietà sui beni immobili il contratto con obbligazioni a carico del solo proponente che, come noto, si conclude se il destinatario della proposta non la rifiuta nel termine richiesto dalla natura dell’affare o dagli usi (art. 1333 c.c.); nel paradigma della figura, il silenzio sembra rappresentare più una forma di accettazione tacita(160)che non l’indice di un atto unilaterale a rilevanza bilaterale(161), come pure ha ritenuto autorevole dottrina. L’attitudine traslativa del contratto con obbligazioni a carico del solo proponente non è, però, del tutto scontata, vacillando là dove la legge prevede un onere di forma ad substantiam, come nel caso del trasferimento in proprietà di beni immobili; ed anche a voler limitare tale onere alla sola dichiarazione del proponente(162), la non meno decisiva considerazione per cui un procedimento formativo basato sul mancato rifiuto dell’oblato rappresenta un modo di conclusione troppo fragile per sorreggere gli effetti reali(163)non sarebbe comunque superabile attraverso l’argomento per cui l’attribuzione di un vantaggio potrebbe tranquillamente fare a meno del consenso del beneficiario(164).
Infatti, l’acquisto della proprietà determina per l’acquirente l’assunzione di obblighi ed oneri, sul terreno fiscale e su quello della manutenzione, oltre al rischio di essere chiamato a rispondere di eventuali danni arrecati dalla cosa, ex art. 2053 c.c., che inducono a ritenere necessaria per il loro accollo un’inequivoca ed esplicita manifestazione di volontà. È allora da condividere l’opinione secondo cui l’art. 1333 c.c. non potrebbe mai consentire il trasferimento della proprietà, dell’usufrutto e dell’uso sui beni immobili, pur ammettendo una soluzione diversa in ordine ai diritti di credito e a quei diritti reali minori, come le servitù, la cui attribuzione non reca con sé le paventate conseguenze(165).
Tale conclusione è ancor più evidente, poi, per il caso di contratto a favore di terzi, i cui effetti si producono in via diretta ed immediata nella sfera del terzo, salva la sua facoltà di rimuoverli successivamente attraverso il rifiuto.
Ciò detto, la scelta della Cassazione di riconoscere, nel caso di specie, la piena efficacia reale del contratto con obbligazioni a carico del solo proponente può comprendersi alla luce del fatto che fra le parti già esisteva un precedente accordo, in cui il destinatario dell’attribuzione reale aveva potuto esprimere il suo consenso al trasferimento del diritto nel suo patrimonio. Ma se l’accettabilità della ricostruzione del Supremo Collegio poggia sulla precedente manifestazione di volontà dell’acquirente, allora, il ricorso ad un nuovo contratto, sia pure nella versione “leggera” di cui all’art. 1333 c.c., non è affatto ineluttabile, ed anzi risulta superfluo, potendo colui che è chiamato ad eseguire l’obbligazione di dare adempierla attraverso un atto unilaterale(166), che dovrà rivestire la forma scritta a pena di nullità, ex art. 1350 c.c.(167), e sarà suscettibile di trascrizione ai sensi dell’art. 2645 c.c.
A fortiori, comunque, l’atto solutorio potrebbe anche avere le vesti di un contratto. Un’ipotesi del genere si ha nel caso del contratto definitivo che attua un contratto preliminare ad esecuzione anticipata(168), ma, in linea di massima, ciò sembra vero anche in relazione al contratto preliminare tout court, benché allora il successivo contratto non sarà un atto meramente solutorio, ma pure costitutivo (quantomeno) dell’obbligazione dell’acquirente di pagare il corrispettivo. Proprio con riguardo a siffatta ipotesi, ci si può chiedere se le conclusioni tratte nel paragrafo precedente circa le ripercussioni sull’atto esecutivo dei vizi o delle vicende che interessano il negozio obbligatorio possano essere richiamate anche a proposito del rapporto fra contratto preliminare e contratto definitivo.
La questione è articolata, perché la prestazione isolata è un atto dovuto, sprovvisto di una funzione diversa da quella assegnatagli dall’atto obbligatorio, mentre nel contratto definitivo confluisce sì una funzione solutoria, ma esso è al contempo dotato di una funzione propria (si pensi, ad esempio, a quella della vendita), che, una volta sfumata la prima, potrebbe comunque sopravvivere(169). Il problema si riallaccia alla disputa sulla natura negoziale o non negoziale dell’adempimento: la prima opzione dovrebbe far propendere per ritenere che il contratto definitivo sia dotato comunque di una causa propria ed autonoma, salvo, tutt’al più, ammetterne l’annullamento sulla base dell’erronea convinzione del carattere vincolante del preliminare (art. 1429 c.c., n. 4)(170); la seconda opzione, invece, dovrebbe indurre a ritenere prevalente nel definitivo la funzione solutoria, e dunque a legarne le sorti a quelle del contratto preliminare.
A ben vedere, però, questa contrapposizione va stemperata, giacché non vi è assoluta incompatibilità fra il carattere dovuto dell’adempimento e la sua struttura negoziale: anzi, «l’attuazione dell’obbligo può consistere in un’attività meramente materiale (addirittura negativa, in taluni casi), ovvero ancora in un negozio giuridico unilaterale o bilaterale»(171): si tratta pertanto di trovare una soluzione che valorizzi i diversi aspetti della dinamica in questione.
In prima battuta, il collegamento genetico che unisce il contratto preliminare al contratto definitivo induce a ritenere che quest’ultimo non possa essere ritenuto immune dall’originaria o sopravvenuta mancanza dell’obbligo a contrarre che ne ha costituito il presupposto. La natura prevalentemente dovuta dell’atto, tuttavia, non deve persuadere a rifiutare un possibile apprezzamento della sua autonomia sotto altri profili. Ad esempio, a fronte della consapevolezza che le parti avessero avuto dell’inesistenza o della precarietà del vincolo a contrarre, a causa della nullità o dell’annullabilità del contratto preliminare, la conclusione di un atto avente il medesimo contenuto, ma produttivo di effetti reali, dovrebbe condurre ad escludere che esse abbiano voluto con ciò eseguire l’accordo preliminare, quanto, piuttosto, dare immediata attuazione, con un nuovo atto, ad un assetto di interessi già prospettato in precedenza e sul quale esse ritengono di convergere ancora; in un’ipotesi del genere, dunque, solo la presenza di «prove sicurissime», come la specifica menzione della causa solutoria, potrebbe comportare la nullità del nuovo atto per mancanza di causa(172).
Analogamente, tutte le volte in cui il contraente legittimato a far valere un rimedio contro il contratto preliminare abbia consapevolmente concluso il definitivo può pensarsi, sebbene sia incerta la presenza nell’ordinamento di un generale divieto di venire contra factum proprium(173), che la parte abbia voluto o convalidare tacitamente il preliminare in caso di annullabilità (art. 1444, secondo comma, c.c.), o, più in generale, spezzare il nesso fra i due contratti e «appoggiare il definitivo sull’autonomo fondamento causale dato dalla sua propria causa»(174).

8. Le vendite ad efficacia reale differita

8.1 La vendita di cosa futura

Le vendite di cosa futura, di cosa altrui e di cosa determinata solo nel genere non rappresentano una vera e propria deroga al principio consensualistico, quanto, piuttosto, un suo limite interno: l’inesistenza, l’altruità o l’indeterminatezza del bene, infatti, non comportano alcuna scissione ispirata al modello tedesco, bensì impongono un naturale differimento dell’effetto reale al tempo in cui la cosa venga ad esistenza, o il diritto sia acquistato dall’alienante o, ancora, si abbia l’individuazione del bene da trasferire.
Nella vendita di cosa futura, per cominciare, il venditore non assume un’obbligazione di dare, ma si obbliga a fare quanto necessario, secondo i termini contrattuali, perché la cosa venga ad esistere. Là dove ciò non si verifichi per causa a lui non imputabile, le conseguenze saranno diverse in ragione del fatto che il contratto sia o meno aleatorio: nel primo caso, il rischio grava sull’acquirente, che dovrà quindi eseguire ugualmente la sua prestazione, nel secondo caso, invece, il contratto sarà inefficace, ex art. 1472, secondo comma, c.c. (la norma parla di nullità, ma impropriamente, poiché la nullità deriva sempre da un vizio originario dell’atto).
La vendita di cosa futura è tradizionalmente considerata una vendita sottoposta alla condicio iuris della venuta ad esistenza della cosa(175); non vi sono gravi obiezioni contro questa idea, né è tale quella basata sulla mancata retroattività dell’effetto reale, che invece caratterizza la condizione, incontrando questa retroattività significativi limiti, apportati dalla legge o, semplicemente, dalla volontà delle parti di derogarvi. Tuttavia, essendo in genere le condizioni legali espressioni di interessi lambiti dal contratto ma ad esso esterni e trascendenti(176), è preferibile parlare semplicemente di vendita ad effetti reali differiti, quale peculiare «fattispecie degli effetti finali», espressione con cui si indica un negozio i cui effetti sono subordinati dalla legge o dalle parti ad ulteriori eventi futuri(177).
La vendita di cosa futura può essere trascritta fin da subito, giacché ad essa conseguono gli effetti presi in considerazione dall’art. 2643 c.c., il quale, d’altra parte, non richiede che il loro dispiegamento sia contestuale alla conclusione dell’atto(178). In tal senso depone anche l’art. 2645-bis c.c., che ammette la trascrizione del contratto preliminare anche quando esso abbia ad oggetto beni immobili da costruire: non vi sono ragioni, infatti, per limitare la guarentigia della trascrizione al solo impegno obbligatorio nascente dal preliminare, e non estenderla pure all’atto ad efficacia reale ancorché non immediata. Anche la giurisprudenza ammette la trascrizione, ma ne rinvia l’operatività al momento di attuazione dell’effetto traslativo(179); questa opinione, accolta peraltro dal legislatore al quinto comma dell’art. 2645-bis c.c., è assai poco convincente, poiché confonde il profilo dell’opponibilità del titolo con quello della sua efficacia, col risultato di depotenziare, ancorché in casi peculiari(180), la tutela offerta all’acquirente dalla trascrizione(181).
L’art. 2645-bis c.c. indica al sesto comma il criterio, suscettibile di ricoprire valenza generale, alla cui stregua individuare il momento della venuta ad esistenza del bene: è considerato esistente l’edificio nel quale sia stato eseguito il rustico, comprensivo delle mura perimetrali delle singole unità, e sia stata completata la copertura. La soluzione legislativa sembra coincidere con quella usualmente adottata dalla giurisprudenza, che richiede la presenza delle componenti essenziali dell’edificio, non riassumibili nel semplice “scheletro” in cemento armato, ma neppure implicanti la compiuta realizzazione delle rifiniture o degli accessori non indispensabili al suo utilizzo(182).

8.2 La vendita di cosa altrui

Il venditore di una cosa altrui è obbligato, ex art. 1478 c.c., a procurarne l’acquisto al compratore; questi, però, diviene proprietario in via automatica nel momento in cui l’alienante acquista il diritto dall’effettivo titolare, essendo stata la sua mancanza di legittimazione ad imporre il differimento dell’effetto reale(183). Il promittente venditore risponderà quindi per inadempimento ogni volta in 65 cui il mancato acquisto non sia dipeso da sopravvenuta impossibilità per causa a lui non imputabile (si pensi al perimento fortuito del bene o alla sua successiva incommerciabilità), mentre non gli gioverebbe addurre il rifiuto del terzo di dismettere il diritto(184).
Qualora abbia ignorato l’altruità del bene il compratore, fino a quando non ne abbia acquistato la proprietà, può chiedere la risoluzione del contratto, ed il venditore sarà allora tenuto al risarcimento del danno ed ai rimborsi secondo la disciplina di cui all’art. 1479 c.c.; tale rimedio spetta anche all’acquirente consapevole dell’altruità del bene, ma questi potrà esperirlo solo dopo il compimento del termine convenzionalmente stabilito o fissato dal giudice per l’adempimento del venditore(185).
Anche la vendita di cosa altrui è trascrivibile fin dalla sua conclusione, non tanto sulla scorta della medesima possibilità prevista per l’alienazione condizionata(186), che si fonda sulla retroattività degli effetti della condizione, quanto perché si tratta pur sempre di un atto ad efficacia reale ancorché mediata(187). L’opinione negativa secondo cui non sarebbe possibile trascrivere contro il venditore, in quanto sfornito della titolarità del diritto, né contro il vero proprietario, a causa della mancanza di un titolo nei suoi confronti, può essere superata riconoscendo alla trascrizione, in virtù della peculiare conformazione della fattispecie in parola, oltre ad una rilevanza secondaria in vista dell’eventuale usucapione abbreviata (art. 1159 c.c.), la funzione di prenotare gli effetti della vicenda traslativa che si realizzerà in via automatica con l’acquisto della proprietà da parte del venditore, senza che l’acquirente debba rinnovare la trascrizione del proprio contratto, dovendo piuttosto curare che sia eseguita, ai fini dell’art. 2650 c.c., la pubblicità del contratto fra il venditore e l’alienante(188).
L’acquisto del diritto da parte del compratore può avvenire anche per altre vie: il venditore, infatti, potrebbe accordarsi con il terzo affinché trasferisca con un proprio atto il diritto all’acquirente, oppure, ove si ammetta l’istituto, persuaderlo a compiere un atto di “approvazione” che renda efficace il contratto concluso dal venditore stesso pur in mancanza di legittimazione ad interferire nell’altrui sfera giuridica(189); l’acquirente, inoltre, potrebbe divenire titolare del diritto in virtù di un meccanismo a non domino(190).
In quest’ultima evenienza si discute se il compratore che scopra successivamente l’altruità della cosa possa o meno domandare la risoluzione. L’opinione positiva trae un riscontro indiretto dal secondo comma dell’art. 1192 c.c., ma soprattutto fa leva sulla parziale insoddisfazione dell’interesse creditorio, frustrato dall’incertezza dell’acquisto a non domino che è esposto al positivo riscontro processuale della buona fede(191). L’opinione negativa, invece, oltre a riportarsi ad una generale esigenza di certezza del traffico giuridico, rammenta come la risoluzione non possa esser chiesta, ex art. 1479 c.c., una volta che il risultato traslativo si sia concretizzato, tanto più che la cooperazione del venditore, volta a far conseguire al compratore il possesso del bene (art. 1153 c.c.) o a consentirgli di stipulare il contratto poi trascritto (art. 2644 c.c.), costituirebbe comunque un modo di adempimento dell’obbligazione di cui all’art. 1478, primo comma, c.c.(192). In nessun caso, però, il compratore può essere costretto, al fine di procurare un vantaggio al venditore a danno dell’attuale proprietario, ad avvalersi di mezzi, come la regola possesso vale titolo o la trascrizione, che la legge pone a salvaguardia del suo interesse. Dunque, se l’acquirente scopre che la cosa non era di proprietà del venditore prima del perfezionamento della fattispecie acquisitiva a non domino, potrà senz’altro astenersi dal completarla e domandare subito la risoluzione del contratto(193).
Là dove il diritto sia stato trasferito al compratore dal terzo, si pone il problema di quali conseguenze possa avere nei confronti di quest’ultimo l’originaria o sopravvenuta inefficacia del contratto di vendita.
L’accordo che intercorre fra il venditore e l’alienante affinché il secondo trasferisca il diritto al compratore non può essere considerato un atto solutorio, poiché l’alienante è del tutto estraneo al rapporto fra il venditore e il compratore. L’intento solutorio, semmai, è un motivo che fa capo al venditore, per cui, salvo quando sia stato dedotto in condizione risolutiva, non avrà ripercussioni sul contratto concluso con l’alienante, che sembra configurare un contratto a favore di terzi (in particolare, a favore del compratore). L’efficacia reale di un simile atto non potrebbe peraltro essere contestata sulla scorta dell’argomento che preclude l’attribuzione unilaterale del diritto di proprietà, giacché l’acquirente ha manifestato il suo consenso con la conclusione della vendita. Ora, 67 di fronte a vizi o circostanze che rendano ex tunc o ex nunc inefficace tale vendita, sembra iniquo imporre all’alienante la restituzione del corrispettivo ricevuto dal venditore in cambio della riacquisizione di un bene rispetto al quale potrebbe non avere più alcun interesse. Pertanto, è preferibile applicare in via analogica quanto prevede il terzo comma dell’art. 1411 c.c. per il caso in cui la prestazione effettuata al terzo incontri la revoca del beneficio da parte dello stipulante o il rifiuto del terzo di profittarne: salvo che diversamente risulti dalla volontà delle parti o dalla natura del contratto, il diritto resta a beneficio dello stipulante, ossia, per quel che qui interessa, si trasmette alla sfera giuridica del venditore(194).

8.3 La vendita di cosa determinata solo nel genere

Nell’alienazione di cosa determinata solo nel genere (art. 1378 c.c.) l’effetto reale è posticipato al momento dell’identificazione della res.
La categoria delle cose generiche non è esattamente sovrapponibile a quella delle cose fungibili(195). Sebbene, infatti, l’appartenenza ad un genus unitario sia il presupposto della fungibilità, anche cose infungibili possono essere oggetto di un’alienazione generica se considerate nella loro attinenza ad un genere ristretto(196): si pensi alla vendita di alcune monete antiche appartenenti ad una collezione privata qualora i contraenti abbiano rimandato ad un momento successivo l’individuazione dei singoli esemplari. La giurisprudenza, dal canto suo, ha ammesso la vendita di una porzione di un fondo solo quantitativamente individuata, sancendo così la possibilità di riferire l’alienazione generica anche agli immobili(197). In quest’ultima ipotesi, però, sembra difficile prospettare una subitanea trascrizione del contratto, stante l’impossibilità di indicare gli estremi del bene a cui il diritto si riferisce, a meno di non voler optare per l’alternativa, invero un po’ radicale, di compiere la trascrizione dell’intero genus. Una diversa soluzione, tuttavia, potrebbe essere accolta qualora il contratto contenga criteri sufficientemente precisi per la determinazione dell’oggetto(198).
Dall’alienazione di cose generiche va tenuta distinta l’alienazione di una determinata massa di cose, ove il concetto di massa rinvia a quello di universalità(199), ovvero di una pluralità di cose mobili appartenenti ad una stessa persona e aventi una destinazione unitaria (art. 816 c.c.); premesso che pure l’alienazione di massa può concernere sia beni fungibili sia beni infungibili, essa sottostà, secondo l’art. 1377 c.c., al principio consensualistico.
L’individuazione è un atto giuridico in senso stretto, dovuto (di solito) dal venditore: la natura negoziale(200)deve escludersi perché l’effetto traslativo risiede nel precedente contratto di vendita, rispetto al quale l’individuazione dell’oggetto rappresenta una mera necessità logica in vista del risultato traslativo. Deve essere altresì escluso ogni richiamo all’individuazione in termini di condizione volontaria o di condicio iuris: rispetto alla prima, infatti, manca l’incertezza dell’evento, atteso che le parti si prospettano l’individuazione come un esito scontato; rispetto alla seconda, invece, manca il riferimento ad un interesse esterno al contratto di cui generalmente la condizione legale è portatrice(201).
L’individuazione va dunque ricondotta alla disciplina dell’adempimento, in particolare per quanto riguarda la capacità dei soggetti, le modalità di tempo e di luogo della prestazione e l’eventuale rifiuto del compratore di farsi carico della cosa individuata, che, se ingiustificato, potrà essere neutralizzato attraverso l’intervento della mora credendi, la quale comporta, fra l’altro, anche il passaggio del rischio sull’acquirente per il perimento fortuito del bene(202).
Il richiamo dell’art. 1378 c.c. all’«accordo tra le parti» (o ai «modi da esse stabiliti») intende quindi evitare, per un verso, che l’individuazione sia totale appannaggio dell’arbitrio di una parte e, per un altro verso, che essa possa essere sottratta dall’ambito della corretta collaborazione fra creditore e debitore propria di ogni fenomeno di adempimento. Questa chiave di lettura risolve anche i problemi che possono sorgere dall’accettazione di un’individuazione riguardante beni di qualità diversa da quella contrattualmente dovuta (che, salvo specifico accordo fra le parti, corrisponde a quella non inferiore alla media, ex art. 1778 c.c.).
Posto che l’accettazione vale come quietanza verso il venditore(203), il compratore che abbia consapevolmente accettato cose di qualità inferiori non potrà far valere i rimedi per l’inadempimento, valendo la sua determinazione quale acquiescenza di fronte alla prestazione inesatta ma evidentemente ritenuta adeguata al soddisfacimento del suo interesse. Di fronte alla prestazione di cose che presentino una qualità maggiore, invece, il problema non riguarderà tanto il compratore, il cui interesse si presume soddisfatto, quanto, l’alienante: si nega che questi possa esigere un supplemento di prezzo, a meno che la preventiva comunicazione data al compratore della maggiore qualità dei beni non permetta di considerare l’accettazione della consegna come un assenso ad una proposta di modificazione dell’originario contratto(204). Diversamente, il compratore potrà pretendere il corretto adempimento della prestazione, e, qualora il venditore non sia in grado di offrire le cose pattuite, potrà chiedere la risoluzione del contratto.
L’individuazione mira a rendere identificabile il bene venduto ed avviene solitamente - ma non necessariamente - con la separazione della cosa dal resto del genus o con l’apposizione sulla stessa di segni distintivi. Non è peraltro indispensabile che l’alienante adotti cautele tali da rendere impossibile la manomissione o la sostituzione della cosa: anche nella vendita di cose specifiche, infatti, l’astratta possibilità che l’alienante possa pregiudicare il risultato traslativo, ad esempio mediante una doppia alienazione, non impedisce al compratore di acquistare la proprietà ancor prima di ricevere la consegna del bene o di trascrivere il contratto(205).
Nell’acquisto di cose generiche da parte del mandatario, e, in particolare, di denaro, la giurisprudenza ha affermato che l’individuazione avviene con la loro consegna al mandatario da parte del terzo(206).
Dell’avvenuta individuazione può essere data notizia attraverso una comunicazione all’acquirente con cui il venditore gli rende noto che la merce si trova a sua disposizione in un determinato luogo(207). La semplice messa a disposizione, però, non costituisce una forma di individuazione valida per beni rispetto ai quali è possibile indicare il numero seriale, come i titoli di credito(208); l’esigenza di una specifica individuazione non è peraltro venuta meno a seguito del processo di dematerializzazione cartolare avviato dal D.lgs. 24 giugno 1998, n. 213, essendo comunque possibile l’impiego di tecniche alternative di scritturazione(209).
Quando si tratta di cose da consegnare da un luogo all’altro, l’art. 1378 c.c. stabilisce che l’individuazione avviene con la consegna della cosa al vettore o allo spedizioniere (sono invece irrilevanti le eventuali clausole “fob” o “franco”, le quali si riferiscono alla regolamentazione delle spese di trasporto e di carico(210)): il compratore ha dunque la facoltà di agire contro il vettore in caso di perdita della merce durante il viaggio(211).

9. La vendita alternativa e la vendita con facoltà alternativa

Nella vendita alternativa sono dedotti in contratto due o più beni affinché uno soltanto venga trasferito al compratore. Essa non è disciplinata dalla legge, che prende in considerazione una simile dinamica solo con riguardo ai contratti obbligatori (artt. 1285-1291 c.c.): le norme sulle obbligazioni alternative sono pertanto richiamabili in via analogica(212).
La facoltà di scelta, in linea con la previsione dell’art. 1286 c.c., spetta al venditore là dove non sia stata attribuita al compratore o ad un terzo; il suo esercizio, attraverso un atto giuridico in senso stretto(213)e recettizio(214), determina il trasferimento del diritto. Ancor prima di questo momento, la determinatezza dei beni oggetto della vendita dovrebbe consentirne la trascrizione(215).
Dal corrispondente paradigma obbligatorio attinge la propria disciplina anche la vendita con facoltà alternativa(216), la quale riguarda un bene già determinato, lasciando tuttavia al venditore o al compratore la facoltà di sostituirlo con un altro.
Dibattuto è il momento della translatio. Secondo alcuni, essa avverrebbe già con la conclusione del contratto, per cui la facoltà di sostituzione risolverebbe ex tunc il trasferimento determinando ex nunc l’acquisto del nuovo diritto(217). Secondo altri, invece, il trasferimento, allo stesso modo che nella vendita alternativa, sarebbe rinviato al momento in cui la parte a cui spetta la facoltà alternativa rinuncia ad avvalersene consegnando o richiedendo la cosa dovuta o lasciando decorrere invano il termine per il suo esercizio(218).
Un criterio per dirimere il problema potrebbe essere quello della sopportazione del rischio per il deterioramento o il perimento del bene. L’opzione in favore dell’immediatezza dell’effetto reale, infatti, mercé il principio res perit domino, gioca a sfavore del compratore; diversamente, l’effetto reale differito fa gravare medio tempore tale rischio sul venditore. Là dove la scelta spetti al venditore, allora, si potrebbe considerare la vendita efficace già con la conclusione del contratto, ma sottoposta alla condizione risolutiva potestativa inerente la facoltà di scelta dell’alienante, la quale determinerebbe la risoluzione ex tunc dell’effetto reale ed il trasferimento ex nunc del nuovo diritto; viceversa, là dove la scelta spetti al compratore, è possibile ritenere che il trasferimento sia sottoposto ad una condizione sospensiva potestativa destinata a venir meno col mancato esercizio della facoltà di scelta da parte dell’acquirente(219).
La trascrizione è ammissibile in entrambe le prospettive(220). La facoltà alternativa, quale evento dedotto in condizione, deve essere indicata nella nota da presentare al conservatore, ex art. 2659, secondo comma, c.c.; il suo esercizio determina quindi la cancellazione della condizione ai sensi dell’art. 2668, terzo comma, c.c., e, ove ciò abbia avuto anche un effetto risolutivo, ne sarà data annotazione a margine della vendita trascritta, ex art. 2655, primo comma, c.c.

10. L’appalto, la somministrazione, il contratto estimatorio

Per alcuni contratti le modalità di svolgimento del rapporto rendono non sempre chiaro il congegno che ne governa gli effetti reali.
Riguardo all’appalto, non presenta particolari difficoltà l’ipotesi in cui i materiali per la costruzione di cose mobili siano forniti in tutto o per la maggior parte dal committente, né quella dell’appalto relativo alla costruzione di edifici su suolo del committente: nel primo caso, infatti, il committente non perde mai la proprietà dei materiali forniti, mentre nel secondo caso opera il principio dell’accessione.
Quando, invece, i materiali o il suolo appartengono all’appaltatore la dottrina consolidata ritiene che la proprietà passi al committente in virtù dell’accettazione (che non necessariamente coincide col momento della consegna, arg. ex art. 1665, quarto comma, c.c.), poiché con tale atto il committente manifesta il suo gradimento per l’opera, della quale mediante la verifica appura la conformità alla determinazione contrattuale ed alle regole dell’arte, e la sua volontà di farla propria: non a caso, in seguito all’accettazione grava sul committente il rischio per perimento o deterioramento del bene dovuto a causa non imputabile ad alcuna delle parti, ex art. 1673, primo comma, c.c.(221).
Il meccanismo traslativo opera sulla falsariga di quello che presiede la vendita di cosa futura, con un’importante differenza: mentre in quest’ultima il risultato finale dell’attribuzione in proprietà è prevalente rispetto allo svolgimento della prestazione di fare dell’alienante, che si attua secondo un progetto tendenzialmente da questi predefinito e supinamente accettato dall’acquirente, nell’appalto, viceversa, risulta predominante il momento esecutivo dell’opera, giacché questa deve essere realizzata conformemente alle condizioni stabilite dal committente, il quale vigila sulla fedeltà dell’esecuzione e, di fronte a variazioni che non siano necessarie (art. 1662 c.c.), può sempre esigere il ritorno al progetto originario. Naturalmente, ciò non significa che il venditore di una cosa futura sia libero di realizzare una cosa differente da quella che ha posto in vendita (anche perché in questo caso si avrebbe una mancata venuta ad esistenza dell’oggetto del contratto). Piuttosto, la diversa natura dei due rapporti induce a ritenere sufficiente, al fine dell’effetto traslativo, la semplice venuta esistenza della cosa, nel caso della vendita, mentre, nel caso dell’appalto, a richiedere una esistenza che potremmo dire in senso giuridico, suffragata cioè da quell’atto di accettazione che attesta il buon esito della verifica ex art. 1665 c.c., la rispondenza dell’opera al progetto e certifica la sua idoneità a svolgere la funzione a cui è deputata.
Nella somministrazione, invece, l’attribuzione in proprietà delle cose avviene attraverso la loro consegna o la loro erogazione, che rappresenta l’atto solutorio (traditio) attraverso cui il somministrante dà seguito all’impegno di trasferire il dominio sulle singole forniture. La somministrazione va distinta dalla vendita a consegne ripartite, ove l’attribuzione in proprietà sull’intero bene avviene secondo il principio consensualistico, mentre la ripartizione delle consegne rappresenta solo una modalità dell’adempimento dell’obbligazione di cui all’art. 1476, n. 1, c.c.(222).
Non sarebbe poi pertinente ascrivere il rapporto di somministrazione ad un’alienazione di cose determinate solo nel genere: l’individuazione, infatti, non si riduce alla sola consegna, potendo anzi consistere in una semplice dichiarazione unilaterale dell’alienante, mentre la funzione del contratto di somministrazione esige che la cosa sia non solo giuridicamente ma anche materialmente trasferita al somministrato affinché possa farne l’uso che gli conviene(223).
Infine, sul contratto estimatorio vi è da rilevare come la dottrina più recente ne escluda ogni accostamento alla vendita, sostenendo che l’accipiens acquisti un’autorizzazione a disporre del diritto del tradens attraverso il compimento di atti direttamente efficaci nei confronti dei terzi(224). La funzione della vendita è qui apparsa esorbitante rispetto al piano di interessi realizzato dal contratto estimatorio, essendo meramente eventuale l’acquisto della proprietà da parte dell’accipiens. In tal senso deporrebbe anche la normativa codicistica, soprattutto se confrontata con la ben più esplicita definizione del riporto data all’art. 1548 c.c.: infatti, non si comprenderebbe il senso di una disciplina che, sancendo la validità degli atti dispositivi compiuti dall’accipiens sulle cose ricevute (art. 1558, primo comma, c.c.), facendo gravare su quest’ultimo il periculum rei (art. 1557 c.c.) e precludendo al tradens il compimento di atti dispositivi sulle cose consegnate fino a quando che non gli siano restituite (art. 1558, secondo comma, c.c.), diverrebbe del tutto superflua là dove il legislatore avesse voluto considerare il contratto estimatorio come un contratto ad immediata efficacia reale fra le parti(225).
D’altro canto, non sono mancate, soprattutto in passato, ricostruzioni del contratto estimatorio quale vendita in cui la restituzione delle cose ricevute sottintenderebbe una facoltà di recesso a favore dell’acquirente(226), oppure rappresenterebbe l’evento dedotto in condizione potestativa risolutiva(227).

11. I contratti reali

Una tralatizia idea, risalente a Pothier, giustifica la presenza di contratti qui re contrahuntur in sistemi che accolgono il principio di libertà contrattuale, come quello francese ed italiano, in virtù di una ragione essenzialmente logica(228): a proposito del comodato, ad esempio, il giurista di Orleans scriveva che l’obbligazione del comodatario di restituire la cosa, che è l’«essenza» di questo contratto, non potrebbe nascere finché la stessa non sia stata ricevuta dal beneficiario, per cui non sarebbe nemmeno concepibile il prestito ad uso in mancanza della consegna del bene da parte del comodante(229).
In realtà, anche la locazione comporta la restituzione del bene al locatore, eppure essa è un contratto consensuale, e già questo rilievo aveva fatto addirittura dubitare della cittadinanza di una simile categoria nel diritto positivo(230).
A ben vedere, però, la realità ha più di una giustificazione, come ha illustrato attenta dottrina.
Nei contratti gratuiti e nella donazione di modico valore, la realità rafforza una funzione che altrimenti rischierebbe di apparire sfuggente e fragile sotto il profilo della sua vincolatività, perché l’assenza di una controprestazione in capo al mutuatario, al comodatario o al depositario, che non può certo essere rinvenuta nel mero obbligo di restituzione, a cui non corrisponde né un sacrificio proprio né un vantaggio altrui, rende problematica l’individuazione di un interesse che garantisca la serietà dell’impegno dell’altra parte e dunque l’attrazione del rapporto nella sfera della rilevanza 73 giuridica(231). Nei contratti reali onerosi, invece, a spiegare la necessità della consegna resta l’accennata motivazione logica, che conferma, però, la sua debolezza sistematica, tant’è che in relazione a questi ultimi si ammette comunemente la possibilità di dar vita a contratti consensuali atipici “paralleli” (ovvero dal contenuto analogo a quelli tipici) in quanto più rispondenti alle esigenze del mondo degli affari. Emblematica è la vicenda del mutuo, per il quale, da una parte, si ricorre a forme spiritualizzate di consegna, come l’accredito della somma di denaro compiuto dalla banca sul conto del cliente(232), e, da un’altra parte, se ne è appieno riconosciuta la variante del mutuo di scopo, quale contratto consensuale, oneroso ed atipico in cui la consegna della somma di denaro costituisce l’oggetto di un’obbligazione del finanziatore e non un elemento costitutivo del negozio(233). La deviazione dalla realità, ex art. 1322, secondo comma, c.c., è ammissibile poiché vi è una corrispettività di prestazioni patrimoniali a suffragare il valore impegnativo delle reciproche promesse della parti(234).
Questa breve introduzione rivela come la consegna sia assunta dal legislatore quale indice della manifestazione del consenso necessario alla conclusione del contratto. L’insufficienza della sola dichiarazione di volontà viene in genere ritenuta una deroga al principio consensualistico, il che è innegabile se consideriamo che la maggioranza dei contratti ad efficacia reale si conclude attraverso il semplice incontro delle dichiarazioni delle parti. Almeno da un punto di vista teorico, però, siffatta deroga non è assoluta, giacché nei contratti reali la dichiarazione di volontà e la consegna integrano un’unità logica e procedimentale funzionalmente necessaria a dar vita al contratto(235), per cui, più che del concorso di due elementi, è preferibile parlare di “consenso mediante consegna”(236): quest’ultima, infatti, non esprime l’adempimento di un’obbligazione di dare - il che avrebbe senz’altro implicato un distacco totale dal modello del consenso traslativo - ma è parte e manifestazione stessa dell’accordo.
La consegna è stata talora accostata alla forma(237), ma è opportuno tenere ben distinti i due elementi, sia perché se essa rappresentasse davvero una forma ad substantiam sorgerebbe più di un dubbio sulla sua derogabilità, ancorché limitata ai contratti onerosi, da parte dell’autonomia privata; sia, inoltre, perché la forma riveste per intero la dichiarazione contrattuale e la palesa all’esterno, mentre la consegna è un elemento di per sé neutro, necessario al perfezionamento di una pluralità di contratti ma da sola insuscettibile di caratterizzare in modo univoco la volontà dei contraenti e dunque di rivelare alcunché sui loro intendimenti negoziali(238).

12. I diritti reali di garanzia

La costituzione di ipoteca è sottratta al principio consensualistico: il titolo con cui è concessa l’ipoteca volontaria, corrispondente ad un contratto o ad un atto unilaterale, non è sufficiente alla nascita del diritto, il quale sorge solo con l’iscrizione nei pubblici registri, secondo una sequenza dettagliatamente disciplinata dalla legge che può essere attivata dalle parti interessate, ma pure da qualsiasi terzo munito di titolo ancorché sfornito di procura(239).
L’ipoteca, richiedendo una forma di pubblicità costitutiva, realizza una deroga piena al modello del consenso traslativo. Quanto al pegno, invece, possono, in via generale, essere richiamate le osservazioni sopra svolte a proposito dei contratti reali, fra i quali deve preferibilmente essere ascritto(240).
Secondo una tesi che gode di ampio seguito, tuttavia, l’art. 2786 c.c., per il quale il pegno si costituisce con la consegna al creditore della cosa o del documento che conferisce l’esclusiva disponibilità della medesima, sarebbe da riferirsi non al contratto di pegno, bensì al diritto stesso, col risultato che il mancato spossessamento del debitore non osterebbe a ritenere perfezionato fra le parti un contratto consensuale diretto ad offrire al creditore un titolo costitutivo del diritto di pegno suscettibile di essere eseguito attraverso l’immissione forzata nel possesso del bene ex art. 605 c.p.c.; un’analoga soluzione, peraltro, si avrebbe pure nel caso in cui ad essere rimasto inadempiuto fosse invece il contratto preliminare di pegno, purché, in tale ipotesi, vi sia prima la costituzione giudiziale del titolo mercé la sentenza di cui all’art. 2932 c.c.(241).
In quest’ottica si rafforza la posizione del creditore, svalutando al contempo la realità del contratto in ragione degli inconvenienti che essa arreca, in particolare, al settore del credito d’impresa, dove lo spossessamento, determinando la fuoriuscita del bene dal circuito economico-produttivo del debitore, può comportare ricadute negative sul processo industriale che non giovano ad alcuno dei soggetti coinvolti; da qui la tendenza a ricercare nuove forme di pegno che facciano a meno del disagevole requisito(242).
Lo spossessamento, tuttavia, viene difeso con tenacia dalla giurisprudenza, la quale, anche nel recepire la figura del pegno rotativo, sorta nella prassi bancaria e giuridicamente ricostruita da attenta dottrina nei termini di una duttile garanzia senza spossessamento(243), ha ribadito che la consegna (effettiva, non spiritualizzata) della res continua ad essere un elemento imprescindibile sia per la costituzione del pegno, sia per la futura sostituzione del bene su cui inerisce il vincolo(244). Di vero e proprio pegno senza spossessamento, dunque, pare possibile parlare solo con riguardo a quelle peculiari ipotesi legislative concernenti beni oggetto di lavorazione e trasformazione industriale oppure beni insuscettibili di dazione: è il caso del pegno sui «prosciutti a denominazione di origine tutelata» (L. 24 luglio 1985, n. 401), le cui modalità di costituzione sono state estese anche al pegno sui «prodotti lattiero-caseari a denominazione di origine a lunga stagionatura» (L. 27 marzo 2001, n. 122), o del pegno sui titoli dematerializzati, ove la nascita del vincolo avviene attraverso la registrazione nel conto tenuto dall’intermediario (art. 83-octies, primo comma, Tuf, inserito dal D.lgs. 27 gennaio 2010, n. 27).
Ora, malgrado la giusta critica di anacronismo rivolta allo spossessamento, in effetti più consono ai pegni scambiati da amanti o rivali nei melodrammi ottocenteschi che non all’economia contemporanea, il tentativo di rileggere il contratto in parola in chiave consensuale, anziché reale, può dare adito a qualche dubbio. Anche in Francia, del resto, è solo a seguito di un intervento legislativo, l’ordonnance del 23 marzo 2006, che esso ha perduto la sua realità, poiché in quell’occasione la dépossession è stata degradata a semplice condizione di opponibilità del diritto ai terzi, e, soprattutto, se ne è ammessa la surrogazione con una particolare iscrizione pubblicitaria da eseguirsi, su richiesta del creditore, in un apposito registro, lasciando così al debitore la disponibilità della cosa e l’utilità che può derivarne(245).
Una simile riforma è auspicabile anche in Italia, ma, nell’attesa, un contratto di pegno non accompagnato dallo spossessamento, e dunque che non reca con sé la nascita del diritto, potrebbe rivelarsi un’arma spuntata per il creditore, costringendolo magari a ricorrere alla tutela giurisdizionale col rischio che, nel frattempo, il debitore sottragga dal proprio patrimonio i beni che avrebbero dovuto essere interessati dalla garanzia.
Peraltro, se è vero che la prospettata scissione fra titolo e modo di costituzione del pegno consente al creditore, attraverso l’esecuzione forzata della consegna, di sopperire all’inadempimento del contratto costitutivo di pegno, o, col concorso della sentenza di cui all’art. 2932 c.c., del relativo contratto preliminare(246), è anche vero che simili vantaggi non postulano necessariamente la consensualità del contratto di pegno. Infatti, come abbiamo osservato nel paragrafo precedente, rispetto ai contratti reali tipici onerosi si riconosce ormai pacificamente all’autonomia privata il potere di dar vita a corrispondenti contratti consensuali atipici di analogo contenuto, in cui la consegna cessa cioè di essere una manifestazione del consenso e diviene materia di obbligazione, idonea, dunque, ad essere eseguita in forma specifica. Questo discorso si presta anche al contratto di pegno, che, quantomeno là dove la cosa provenga dal debitore, è un atto a titolo oneroso, attesa l’indubbia utilità che questi ne trae, ottenendo magari una dilazione del debito o riuscendo a dissuadere il creditore dall’intraprendere un pignoramento(247).
Riguardo al pegno sui diritti di credito, benché l’art. 2800 c.c. subordini alla notificazione della costituzione al debitore o alla accettazione di quest’ultimo solo la nascita del diritto di prelazione, è da escludere che la sua costituzione avvenga in forza del principio consensualistico; infatti, anche a voler esser cauti con la tesi che risolve il contenuto della garanzia reale nella prelazione(248), non vi è dubbio che fino a quando non è assistito dalla prelazione il pegno di crediti ha ben poca utilità, non determinando neppure quelle rilevanti implicazioni (spossessamento e ritenzione del bene da parte del creditore) che si hanno invece nel pegno di cose mobili(249).
Più articolato è lo scenario per il pegno sui titoli di credito, per i quali il principio che ne subordina l’efficacia alla menzione sul titolo, ex art. 1997 c.c., viene diversamente attuato in ragione della tipologia del titolo.
Per i titoli al portatore, il pegno si costituisce mediante consegna del titolo al creditore o a un terzo; stesso discorso deve farsi per i titoli rappresentativi, che recano un diritto alla consegna di una cosa(250); per i titoli all’ordine e quelli nominativi, invece, il pegno si costituisce in virtù di una fattispecie complessa, giacché è necessario che all’accordo fra le parti si accompagni, per i primi, l’apposita girata, ex art. 2014 c.c., e, per i secondi, la specifica annotazione sul titolo e sul registro dell’emittente, ovvero la consegna dal titolo con la clausola “in garanzia” od altra equivalente, ex artt. 2024 e 2026 c.c. Per i titoli dematerializzati, poi, è necessaria la registrazione nell’apposito conto tenuto dall’intermediario ai sensi dell’art. 83-octies D.lgs. 58/1998.
Quanto, infine, al pegno sui diritti diversi dai crediti, l’art. 2806 c.c. rinvia alle forme richieste per il trasferimento dei diritti stessi, salvo il terzo comma dell’art. 2787 c.c., ed alle disposizioni delle leggi speciali, alle quali l’interprete dovrà dunque rivolgersi (v., ad esempio, il combinato disposto degli artt. 138, 139 e 140 del D.lgs. 10 febbraio 2005, n. 30, il codice della proprietà industriale, che subordina alla trascrizione, presso l’Ufficio italiano brevetti e marchi, dell’atto costitutivo di un diritto di garanzia su un titolo di proprietà industriale l’opponibilità del diritto stesso ai terzi che hanno acquistato diritti su quel titolo(251)).

13. Un’appendice sul sistema tavolare

13.1 I diritti tavolari

In alcune zone del territorio nazionale - corrispondenti al Trentino-Alto Adige, alle province di Trieste e di Gorizia e a varie aree delle province di Udine, Belluno, Vicenza e Brescia(252)- vige un modello pubblicitario diverso da quello della trascrizione: è il sistema tavolare, in cui l’acquisto, la modifica e l’estinzione dei diritti che ad esso sono soggetti avvengono solo in seguito alla loro iscrizione nel libro fondiario (Grundbuch) o alla loro cancellazione dallo stesso.
Infatti, nel momento in cui si dovette provvedere all’unificazione legislativa dei territori annessi dall’Italia in seguito alla prima guerra mondiale, il legislatore italiano (al pari di quello francese quando nel 1924 dovette risolvere un analogo problema posto dall’annessione dei territori dell’Alsazia e della Lorena), optò per mantenere in vigore il sistema ereditato dalla dominazione dell’Impero Austro-ungarico, in ragione del suo radicamento presso le comunità locali e della presenza di un adeguato background tecnico-amministrativo idoneo a supportare il funzionamento di un regime pubblicitario organizzato su base reale, e dunque più complesso della trascrizione, che è invece strutturata su base personale(253). Si ebbe così una piccola manifestazione di quel fenomeno che un illustre studioso chiamò “particolarismo giuridico”, per indicarvi, inizialmente con riferimento alle vicende degli stati europei prima dell’epoca delle grandi codificazioni civili, quella «mancanza di unitarietà e di coerenza dell’insieme delle leggi vigenti in una data sfera spaziotemporale, individuata in seguito ad un giudizio di valore secondo il quale in quella stessa sfera vi “dovrebbe” essere, o “ci si aspetterebbe” vi fosse, unità e coerenza di leggi»(254).
L’art. 2 del R.D. 28 marzo 1929, n. 499 (L.tav.), stabilisce che, in deroga a quanto è previsto nel codice civile, il diritto di proprietà e gli altri diritti sui beni immobili non si acquistano per atto tra vivi se non con l’iscrizione (Eintragung) del diritto nel libro fondiario. Parimenti, non ha effetto la loro modificazione o estinzione per atto tra vivi senza la relativa iscrizione o cancellazione (Löschung).
Malgrado il generico riferimento alle iscrizioni, delle tre segnalazioni pubblicitarie contemplate dal diritto tavolare, ossia intavolazione, prenotazione e annotazione, solo la prima ha valenza costitutiva, e viene definita dall’art. 8 L.tav. n.t.(255)come l’iscrizione che ha per effetto l’acquisto incondizionato o la cancellazione incondizionata dei diritti tavolari su beni immobili. Questi diritti corrispondono ai diritti reali di godimento(256), all’ipoteca, ai privilegi per i quali le leggi speciali richiedano l’iscrizione e, per ragioni esclusivamente storiche, agli oneri reali sorti sotto il vigore dell’ordinamento austriaco(257).
In ossequio al principio del numero chiuso dei diritti reali, l’elenco delle situazioni tavolari è ritenuto tassativo. Invero, il canone del numerus clausus viene da tempo inteso non come una forma di cristallizzazione dell’esperienza giuridica, bensì come un limite all’inventiva dell’autonomia privata che, tuttavia, non preclude all’interprete la possibilità di includere fra i diritti reali posizioni non codificate in questi termini dal legislatore, ma che pure hanno con essi significative consonanze (ad esempio, quella del locatario o dell’affittuario)(258). Alla luce di ciò, è allora condivisibile la perplessità espressa da parte della dottrina sull’adeguatezza della norma tavolare, se privata di ogni flessibilità, a rispondere adeguatamente alle esigenze pubblicitarie che possono sorgere con la naturale evoluzione della realtà sociale e giuridica(259).
Un’analoga problematica si è del resto posta anche nell’ordinamento generale a proposito della possibilità di trascrivere situazioni ulteriori rispetto a quelle contemplate dalla legge. La dottrina si è mostrata piuttosto intransigente, rilevando sia l’eccezionalità delle norme in materia, atteso il depotenziamento che esercitano verso il principio generale del consenso traslativo, e sia l’impossibilità di fondare l’allargamento delle maglie dell’art. 2643 c.c. sull’art. 2645 c.c., dovendo quest’ultimo essere necessariamente interpretato in connessione col primo, e dunque nel senso di ammettere la trascrizione anche degli atti unilaterali e dei provvedimenti amministrativi o giurisdizionali, che, pur non comparendo nell’elenco di cui all’art. 2643 c.c., danno luogo agli stessi effetti degli atti che vi figurano(260).
Un approccio più duttile ed incline a cogliere le implicazioni che possono riflettersi sui valori costituzionali è stato invece adottato dalla Consulta, la quale aveva censurato il quarto comma della precedente formulazione dell’art. 155 c.c. poiché non prevedeva la possibilità di rendere opponibile ai terzi mediante trascrizione il provvedimento giudiziale di assegnazione della casa familiare emesso nella fase della separazione (v. ora art. 155-quater, primo comma, c.c.), a differenza, invece, di quanto aveva consentito l’art. 6, comma sesto, della L. 1 dicembre 1970, n. 898, a proposito dell’analogo provvedimento emesso durante il procedimento di scioglimento del matrimonio. Tale divergenza, infatti, era stata considerata non solo lesiva dell’art. 3 Cost., ma pure degli artt. 29 e 31 Cost., in quanto comportava una minor tutela dello status di coniuge assegnatario separato, che, al contrario di quello di coniuge divorziato, sussiste in un tempo in cui è ancora in vita la famiglia(261).
In un’occasione successiva, poi, la Corte ha riconosciuto il diritto del genitore affidatario del figlio naturale, nato da una convivenza more uxorio ormai cessata, ad ottenere la trascrizione del provvedimento di assegnazione della casa familiare, giacché, pur non esistendo alcuna specifica norma in proposito, tale possibilità è desumibile dall’interpretazione sistematica delle disposizioni, codicistiche e di rango costituzionale, che concernono i rapporti fra genitori e figli e che riconoscono il principio di responsabilità genitoriale (art. 30 Cost.) ed il superiore interesse del figlio alla conservazione dell’abitazione familiare ed alla rimozione delle discriminazioni sussistenti rispetto allo status di figlio legittimo anche in ordine alle tutele apprestate dall’ordinamento verso i terzi controinteressati(262).
Tali conclusioni, evidentemente, non possono che essere accolte anche nell’ambito del diritto tavolare per quanto riguarda la possibilità di sottoporre ad annotazione i suddetti atti, tanto più che l’art. 20, lett. h, L.tav. n.t., prevede l’annotabilità degli atti o fatti, riferiti a beni immobili, per i quali le leggi estese, quelle anteriori mantenute in vigore o quelle successive richiedano o ammettano la pubblicità, salvo quando questa debba avvenire nelle forme dell’intavolazione(263).

13.2 Le diverse iscrizioni ammesse nel libro fondiario: intavolazioni, prenotazioni, annotazioni

L’art. 76 L.tav. n.t. prevede che il giudice tavolare ordini le iscrizioni su domanda di chi abbia un legittimo interesse oppure di coloro che sono obbligati dalla legge a promuoverle. Tali soggetti sono individuati dall’art. 11 L.tav. anche mediante un rinvio al codice civile, e quindi, in primis, all’art. 2671 c.c., che obbliga a curare la pubblicità il notaio o il pubblico ufficiale che ha ricevuto o autenticato l’atto.
L’art. 76 viene interpretato in senso estensivo: l’iscrizione può essere domandata anche da chi vanti situazioni giuridiche suscettibili di trarne direttamene o indirettamente vantaggio(264), come l’alienante, sul quale continua a gravare la titolarità del diritto fintantoché non sia compiuta l’intavolazione, o il creditore che agisce in via surrogatoria al fine di far acquisire al patrimonio del suo debitore un bene che la mancata intavolazione aveva lasciato al di fuori(265) Le intavolazioni (Einverleibungen), la cui portata è stata illustrata nel paragrafo precedente, possono eseguirsi solo in forza di sentenza, o di altro provvedimento dell’autorità giudiziaria, di atto pubblico o di scrittura privata autenticata o accertata giudizialmente (art. 31 L.tav. n.t.).
Gli atti pubblici e le scritture private debbono contenere, ex art. 32 L.tav. n.t., oltre ai requisiti previsti agli artt. 26 e 27, l’esatta indicazione tavolare dell’immobile o del diritto per il quale si chiede l’intavolazione. Quando l’intavolazione è fondata su una sentenza, è necessario che questa sia passata in giudicato (arg. ex art. 38, primo comma, L.tav. n.t.), poiché la natura costitutiva dell’istituto esige una tendenziale stabilità della statuizione giudiziale.
Altri provvedimenti che possono venire in considerazione sono specificati dall’art. 33 L.tav. n.t., ove compaiono, ad esempio, la sentenza di esecuzione in forma specifica dell’obbligo a contrarre (art. 2932 c.c.), o i provvedimenti definitivi dell’autorità amministrativa che importano il trasferimento, totale o parziale, o la modificazione o l’estinzione di un diritto tavolare. L’elenco non è tuttavia tassativo, ed è stato esteso, ad esempio, al provvedimento di omologazione della separazione consensuale che recepisca accordi dei coniugi costitutivi o traslativi di diritti reali immobiliari, e al lodo, munito di exequatur, se emesso al termine di un arbitrato rituale, o rivestito della forma dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata se pronunciato ad esito di un arbitrato irrituale(266).
Quando l’atto o la sentenza di cui si chiede l’intavolazione non presentano tutti i requisiti previsti dagli artt. 31-34 L.tav. n.t., ma soddisfano comunque i requisiti generali per l’iscrizione stabiliti dagli artt. 26 e 27 - ovvero: la sussistenza di una valida causa; l’assenza di vizi visibili che ne diminuiscano l’attendibilità; l’identificazione dei soggetti coinvolti in modo tale da non consentire scambi di persona; l’indicazione del luogo e della data in cui il documento è stato formato - l’art. 35 L.tav. n.t. prevede che il giudice tavolare possa accordare la prenotazione (Vormerkung), la quale comporta l’acquisto, la modificazione o l’estinzione di un diritto tavolare a condizione che i requisiti mancanti si producano successivamente: si pensi all’iscrizione di una sentenza non ancora passata in giudicato, o di una scrittura privata non autenticata prima che l’autenticità delle sottoscrizioni sia accertata giudizialmente.
La prenotazione, dunque, ha lo stesso ambito di applicazione dell’intavolazione/estavolazione, tant’è che l’art. 85 L.tav. n.t., in deroga al principio della domanda sancito al successivo art. 96, stabilisce al terzo comma che la domanda d’intavolazione comprende anche quella di prenotazione, salvo che l’istante l’abbia espressamente esclusa. La prenotazione si traduce in un’intavolazione (o in un’estavolazione) condizionata alla tempestiva sopravvenienza di una giustificazione (Rechtfertigung) che tenga luogo del requisito mancante al momento in cui l’iscrizione è stata domandata (artt. 40 e 41 L.tav. n.t.; quest’ultimo elenca i titoli idonei costituire una giustificazione(267)). Una volta intervenuta la giustificazione, gli effetti dell’iscrizione sono retroattivi; lo si ricava dall’art. 49, secondo comma, L.tav. n.t., in base al quale con l’iscrizione della giustificazione avviene la contemporanea cancellazione d’ufficio di tutte le iscrizioni conseguite contro il proprietario intavolato dopo la presentazione della domanda di prenotazione.
È importante osservare che ad essere condizionata è l’intavolazione, e non la situazione giuridica in sé: i contratti ad efficacia reale sottoposti a condizione sospensiva non rappresentano, per la sola incertezza dell’effetto traslativo, un titolo destinato alla prenotazione; la condizione, piuttosto, sarà oggetto di annotazione, ex art. 20, lett. h, L.tav.
Al fine di evitare che la prenotazione si prolunghi per un tempo indefinito, alimentando così uno stato di incertezza, il legislatore ha previsto agli artt. 42-45-bis L.tav. n.t. i termini ed i presupposti al cui ricorrere la cancellazione può essere richiesta da colui contro il quale la prenotazione è stata eseguita oppure può essere disposta d’ufficio dal giudice tavolare(268).
Il terzo tipo di iscrizioni tavolari, infine, è quello delle annotazioni (Anmerkungen), che, a differenza delle precedenti, concernono fatti od atti che non determinano l’acquisto di diritti reali ma che rilevano in ordine alle intavolazioni od alle prenotazioni già eseguite.
Gli artt. 19 e 20 L.tav. n.t. si occupano di definire l’elenco degli atti e dei fatti annotabili, che spesso corrispondono a quelli per i quali fuori dai territori in cui vige il libro fondiario è prevista la trascrizione: vi figurano, fra gli altri, i contratti di locazione ultranovennali (art. 19 n. 1), il patto di riscatto (art. 19 n. 6), le domande giudiziali, inerenti le azioni in cancellazione, di cui agli artt. 61-68 L.tav. (art. 20, lett. f) e le domande giudiziali di cui agli artt. 2652 e 2653 c.c. in relazione agli effetti ivi previsti in quanto non incompatibili con le norme tavolari (art. 20, lett. g). Ove l’annotazione manchi, la vicenda non pubblicizzata non potrà essere opposta, ai sensi dell’anzidetto art. 19, secondo comma, ai terzi che abbiano a qualunque titolo acquistato diritti sugli immobili in base ad un atto per il quale la corrispondente iscrizione nel libro fondiario sia stata chiesta anteriormente alla domanda di annotazione. Talune annotazioni, tuttavia, svolgono la funzione di mera pubblicità- notizia, come quella riguardante i fatti giuridici relativi allo stato ed alla capacità delle persone o da cui derivano limitazioni alla facoltà di disporre del patrimonio (art. 20, lett. a, L.tav. n.t.).
La ragione per cui gli atti e i fatti annotabili sono individuati in due sedi distinte è dovuta alla circostanza che l’art. 52 L.tav. n.t. subordina l’iscrizione al riscontro dei requisiti previsti per le intavolazioni unicamente le ipotesi di cui all’art. 19, mentre per quelle ricomprese all’art. 20 è sufficiente la presenza dei soli requisiti stabiliti negli artt. 26 e 27. Non sembra invece costituire un elemento distintivo la regola, prevista all’ultimo comma dell’art. 19, che, estendendo l’ambito soggettivo di applicazione dell’art. 2667, ultimo comma, c.c., stabilisce che l’omessa annotazione non possa essere opposta da coloro che erano obbligati a farla eseguire o dai loro eredi. La norma, infatti, è considerata applicabile anche alle annotazioni di cui all’art. 20(269).

Abbiamo già fatto riferimento agli artt. 26 e 27 L.tav. n.t. Il primo, dopo aver precisato che le intavolazioni e le prenotazioni possono essere ordinate dal giudice tavolare solo verso la presentazione di atti contenenti i requisiti prescritti dalla legge, stabilisce, al secondo comma, che gli atti comportanti un acquisto od una modificazione di un diritto tavolare debbono contenere una valida causa. Qui il legislatore minus dixit quam voluit: ha sicuramente inibito l’iscrizione di atti astratti o aventi causa illecita, ma non vi è motivo per non credere preclusa l’iscrizione anche agli atti affetti da altre cause di nullità; lo conferma pure il primo comma dell’art. 26, per il quale gli atti di cui si domanda l’iscrizione debbono avere i requisiti prescritti dalla legge.
Il giudice tavolare è però tenuto a rilevare solo i vizi che appaiono dal titolo, senza svolgere ulteriori indagini od assumere altre informazioni rispetto a quelle che emergono dagli atti presentati nel procedimento di iscrizione. L’art. 27, infatti, richiede che i documenti in base ai quali si domanda l’iscrizione siano esenti da vizi visibili che ne diminuiscano l’attendibilità; pur riferendosi al profilo formale del titolo (si pensi al caso in cui questo presenti inammissibili cancellazioni o aggiunte), la norma viene richiamata anche quale limite del vaglio sostanziale(270).
Opportunamente si esclude che un’iscrizione basata su un contratto annullabile possa essere rifiutata: l’annullabilità, infatti, è un rimedio generalmente rimesso alla legittimazione ad agire della sola parte nel cui interesse è stabilito dalla legge (art. 1441, primo comma, c.c.), per cui se il giudice tavolare potesse sostituirsi alla valutazione individuale, gli verrebbe conferito un potere più ampio di quello riconosciuto nel resto del territorio nazionale al giudice del processo cognitivo(271).
Un’eccezione è tuttavia prevista dall’art. 94 L.tav., che, nell’indicare le condizioni necessarie affinché possa essere ordinata un’iscrizione tavolare, contempla al n. 2 l’insussistenza di alcun giustificato dubbio sulla capacità personale delle parti di disporre dell’oggetto a cui l’iscrizione si riferisce o sulla legittimazione delle stesse. Il giudice dovrà quindi riscontrare non solo la legittimazione dell’istante a richiedere l’iscrizione - sia dal punto di vista processuale sia in ordine alla sussistenza del legittimo interesse ex art. 76 L.tav. n.t. - ma anche la legittimazione delle parti al compimento dell’atto e la loro capacità di agire(272). È dubbio se il giudice possa avvalersi di circostanze extraprocedimentali di cui sia aliunde venuto a conoscenza (ad esempio, l’esistenza di una sentenza di interdizione): di certo, non può mai rifarsi a meri sospetti. La mediazione dell’intervento notarile nella predisposizione dell’atto da iscrivere, peraltro, dovrebbe drasticamente ridurre interventi del genere (v. art. 54, R.D. 10 settembre 1914, n. 1326).

13.3. Il principio del predecessore tavolare

L’art. 21 L.tav. n.t. pone il principio del predecessore tavolare: le iscrizioni possono eseguirsi solo in confronto di colui che al tempo della presentazione della domanda risulta iscritto nel libro fondiario quale titolare del diritto di cui è richiesta l’iscrizione, oppure che viene contemporaneamente intavolato o prenotato come tale. La norma, essendo relativa ad un sistema pubblicitario costitutivo e a base reale, è più severa rispetto all’art. 2650 c.c., che, nel codificare il principio di continuità delle trascrizioni, si limita a stabilire l’inefficacia delle successive trascrizioni o iscrizioni a carico dell’acquirente là dove (e fintantoché) non vi sia anche la trascrizione dell’atto anteriore di acquisto.
L’art. 22 L.tav. n.t., poi, stabilisce che se un diritto tavolare è stato successivamente trasferito a più persone senza le corrispondenti iscrizioni, l’ultimo acquirente può chiedere che il diritto venga iscritto direttamente a suo nome purché dia la prova della serie continua dei trasferimenti che arrivano fino a lui. Considerando che l’art. 2650 c.c. non tollera la mancanza di neppure un anello nella catena delle trascrizioni, l’art. 22 sembrerebbe più indulgente; ma così non è, poiché il diritto tavolare non riserva in favore dell’acquirente alcun effetto prenotativo analogo a quello previsto dal diritto comune in favore di chi abbia trascritto o iscritto un diritto pur nella mancanza di una precedente trascrizione(273).
Nell’ordinamento generale, inoltre, la possibilità di rendere pubblica una domanda giudiziale non è di solito subordinata alla trascrizione del titolo impugnato, come si evince dall’art. 2654 c.c., che si limita a prevedere soltanto la possibilità di annotare le domande giudiziali indicate negli artt. 2652 e 2653 c.c. in margine alla trascrizione o all’iscrizione dell’atto a cui si riferiscono, senza con ciò precludere la pubblicità della domanda quando non sia in precedenza avvenuta la pubblicità dell’atto(274). Nel sistema tavolare, invece, di nuovo a causa della sua funzione costitutiva, le domande giudiziali possono essere annotate solo quando si rivolgono contro il titolare di un diritto iscritto, salva l’eccezione apportata in campo successorio dal secondo comma dell’art. 21 L.tav. n.t., che, in caso di morte del titolare di un diritto tavolare, consente di annotare le domande giudiziali per le quali è ammesso un tale onere ancora prima dell’iscrizione del diritto al nome del successore(275).
Il principio del predecessore tavolare, infine, sembra costituire un ostacolo di non poco conto all’iscrizione della vendita di cosa altrui, per la quale nell’ordinamento generale è invece, tutto sommato, ipotizzabile la trascrizione(276).

13.4 Gli acquisti suscettibili di intavolazione. I principi di pubblica fede del libro fondiario e di legalità

L’intavolazione non è mai la fonte acquisitiva esclusiva del diritto, andando semmai a costituire una fattispecie complessa assieme al titolo dell’acquisto; essa non varrà dunque a trasferire diritti inesistenti perché fondati su atti invalidi ovvero diritti diversi da quelli risultanti dall’atto iscritto(277).
Può risultare bizzarro che l’art. 12 L.tav., dopo aver escluso l’applicabilità degli artt. 1159 e 1376 c.c. nelle zone di vigenza del diritto tavolare, mantenga tuttavia fermo, attraverso il richiamo all’art. 1465 c.c., quel principio res perit domino che del consenso traslativo è un tralatizio corollario. In realtà, ciò è spiegabile in virtù del fatto che, mentre in Austria e in Germania l’iscrizione nel Grundbuch richiede un’ulteriore manifestazione di volontà di entrambe le parti che si esprime attraverso un contratto in forma solenne (Auflassung), secondo la legge italiana, una volta che si è perfezionato il contratto, l’intavolazione può avvenire anche sulla base della sola domanda dell’acquirente, il quale dispone di un diritto potestativo in tal senso. Questo comporta la tendenziale esclusione di ogni significativa distanza temporale fra la stipulazione del contratto e la sua intavolazione e giustifica pertanto l’accollo del rischio per il deterioramento o il perimento del bene sul compratore fin da prima del passaggio del diritto, che avverrà infatti in un momento rimesso alla sua esclusiva determinazione(278).
L’art. 2 L.tav. non contempla fra gli acquisti intavolabili quelli mortis causa. L’esclusione è un retaggio indiretto del diritto austriaco, che serba a tali acquisti un particolare regime caratterizzato dalla cd. procedura di ventilazione ereditaria: poiché il legislatore italiano ritenne di non dover apportare una così rilevante modifica al proprio diritto successorio, preferì qui semplicemente assegnare all’iscrizione il solo compito di salvaguardare il principio del predecessore tavolare(279).
È controverso se abbiano carattere costitutivo le iscrizioni relative alle sentenze che costituiscono, modificano, trasferiscono od estinguono diritti reali immobiliari, come quella che esegue in forma specifica dell’obbligo a contrarre, ex art. 2932 c.c., o quella che attribuisce la proprietà della porzione di fondo attiguo occupata in buona fede nella costruzione di un edificio sul proprio fondo, ex art. 938 c.c. L’opinione positiva poggia sull’inidoneità di una differenza meramente procedimentale, data dall’esercizio di un diritto potestativo per via giudiziale anziché per via negoziale, a determinare per i provvedimenti in parola un diverso trattamento(280); la giurisprudenza, però, ritiene che l’effetto costitutivo dell’iscrizione sia limitato ai soli atti negoziali inter vivos(281).
Per i trasferimenti immobiliari conseguenti ad espropriazione per pubblica utilità o ad esecuzione forzata, invece, si riconosce all’iscrizione l’unica funzione di far conseguire il potere di disporre del bene(282).
Anche l’iscrizione del diritto acquistato a titolo originario non ha valore costitutivo. Essa può avvenire, ex art. 5 L.tav., sulla base di una sentenza passata in giudicato che accerti l’esistenza del diritto, al fine di rendere tale vicenda opponibile ai terzi: l’ultimo comma, infatti, fa salvi i diritti dei terzi acquistati sulla fede del libro fondiario anteriormente all’iscrizione o all’annotazione della domanda giudiziale diretta ad ottenere l’iscrizione del proprio diritto.
Una risalente giurisprudenza sovrapponeva alla fede del libro fondiario la buona fede soggettiva dell’acquirente, ritenendo che quest’ultima fosse un requisito indefettibile affinché, in presenza di una doppia alienazione immobiliare, il secondo acquirente che avesse per primo domandato l’iscrizione del diritto potesse prevalere ai sensi dell’art. 6 L.tav.(283). Quest’orientamento, che non trovava riscontro nel diritto tavolare, fu sconfessato da un’importante sentenza delle Sezioni unite(284), ma l’idea di fondo non è mai stata del tutto abbandonata, giacché per gli acquisti avvenuti in virtù di usucapione si continua ad affermare che il diritto usucapito, pur in difetto dell’iscrizione della sentenza che lo accerta, è opponibile al terzo in mala fede, identificando quest’ultimo non solo sulla base dell’effettiva conoscenza della realtà sostanziale, ma anche della mera conoscibilità della stessa, da valutarsi alla stregua dell’ordinaria diligenza e delle indagini richieste dalla comune prudenza(285).

L’equiparazione fra conoscenza e conoscibilità è giustamente contestata in dottrina, sia perché anch’essa non ha alcun fondamento normativo, sia perché un simile onere renderebbe vano il complesso ed oneroso apparato pubblicitario a base reale(286). Più accettabile è talora parsa l’idea di ammettere l’opponibilità dell’avvenuta usucapione non risultante dai registri al terzo consapevole di stare acquistando da chi non era già più titolare del diritto(287); in tal modo, però, si finirebbe con l’attribuire all’elemento soggettivo della buona fede un’importanza non accordatagli nemmeno dall’art. 2644 c.c. malgrado la precipua funzione dichiarativa della trascrizione.
Il principio di pubblica fede del Grundbuch è strettamente connesso ad un altro caposaldo della materia tavolare, il principio di legalità. A differenza di quanto accade nell’ordinamento generale, ove il conservatore si limita ad accertare che l’atto presentatogli rientri fra quelli previsti all’art. 2657 c.c. e che la sua trascrizione sia ammessa dalla legge, nel sistema del libro fondiario l’iscrizione non può avvenire se non in forza di un decreto del giudice tavolare (un tempo il pretore, oggi il tribunale in composizione monocratica) emesso dopo un controllo sulla legittimità e la liceità dell’atto al termine di un procedimento di volontaria giurisdizione in cui non è previsto alcun contraddittorio fra le parti (artt. 93 e ss. L.tav. n.t.).
Poiché avverso il decreto tavolare di accoglimento (o di rigetto) della domanda è ammesso reclamo entro sessanta giorni dalla notificazione del decreto impugnato (artt. 126 e ss. L.tav. n.t.), o, in caso di mancanza o di nullità della notificazione, entro il termine, richiamato in via analogica, previsto dall’art. 64, primo comma, L.tav. n.t. per l’azione in cancellazione(288), è stato osservato che la pubblica fede dell’iscrizione dovrebbe dispiegarsi solo una volta spirati i termini per la proposizione del reclamo(289), che viene annotato d’ufficio, ex art. 129 L.tav. n.t.
Il reclamo è un rimedio concorrente con l’azione di cancellazione ed è diretto contro i vizi formali del decreto e le eventuali difformità fra la l’iscrizione disposta e lo stato degli atti in virtù dei quali essa è stata richiesta; diversamente, quando si vogliano far valere difetti del titolo, il concorso è escluso, ed è possibile ricorrere soltanto all’azione di cancellazione(290).

13.5 L’azione in cancellazione: cenni sulla tutela dei terzi subacquirenti di fronte alla nullità o all’annullamento del titolo di un precedente dante causa

L’art. 7 L.tav. rimette la disciplina degli acquisti di diritti tavolari compiuti dai terzi sulla base di intavolazioni invalide od inefficaci agli artt. 61 e ss. L.tav. n.t., dichiarando peraltro inapplicabili le regole di diritto comune incompatibili con tali disposizioni, e, in particolare, gli artt. 534, 561, 563 (relativi all’acquisto dall’erede apparente e agli effetti dell’azione di riduzione), 1445 e 2652 c.c.(291).
Volendo limitare il discorso all’ambito contrattuale, diremo solo della sorte dell’acquisto del terzo il cui dante causa abbia a sua volta acquistato in virtù di un titolo nullo o annullato, rilevando subito come la tutela sia diversamente modulata, secondo una consonanza di metodo col sistema della trascrizione (art. 2652, n. 6, c.c.), in ragione del fatto che il terzo fosse o meno in buona fede.
Dal combinato disposto degli artt. 62-64 L.tav. n.t. emerge che nei confronti dell’avente causa immediato beneficiario dell’intavolazione viziata e dei suoi terzi subacquirenti in mala fede, l’azione di cancellazione non subisce significativi limiti, potendo essere esercitata nel termine di prescrizione corrispondente a quello dell’impugnazione negoziale a cui è connessa. Invece, nei confronti dei terzi subacquirenti che, prima dell’annotazione della litigiosità dell’intavolazione(292), abbiano acquisito in buona fede diritti tavolari, la rimozione dell’intavolazione impugnata può essere fatta valere a condizioni diverse, a seconda che il decreto tavolare concessivo della stessa fosse stato o meno regolarmente notificato all’attore: a) nel primo caso, che è quello più comune, l’attore deve domandare al giudice tavolare l’annotazione della litigiosità dell’intavolazione entro il termine di reclamo contro il decreto che l’ha concessa (sessanta giorni dalla notifica dello stesso) e, entro sessanta giorni dalla scadenza di detto termine, promuovere l’azione di cancellazione contro tutti coloro che, per effetto dell’impugnata intavolazione, abbiano acquistato un diritto tavolare oppure abbiano conseguito sul medesimo ulteriori intavolazioni o prenotazioni (art. 63); b) nel secondo caso, invece, è sufficiente che l’attore esperisca l’azione di cancellazione contro i terzi che abbiano posteriormente acquistato in buona fede diritti tavolari entro tre anni dal momento in cui era stata presentata al giudice la domanda per ottenere l’intavolazione impugnata (art. 64, primo comma).
Quando i terzi fanno salvi i loro diritti, si ritiene operante un meccanismo acquisitivo a non domino che rappresenta «l’estrinsecazione massima del principio della pubblica fede» del libro fondiario(293).
I termini previsti dagli artt. 62-64 L.tav. sono veri e propri termini di decadenza dell’azione di cancellazione, diversamente dal quinquennio contemplato dall’art. 2652, n. 6, c.c., che è una mera soglia temporale che contribuisce a graduare la tutela dei terzi(294). Tale divergente impostazione dipende sempre dalla natura costitutiva della pubblicità tavolare, che esige il ricorso ad una specifica impugnativa nei confronti di tutti coloro che abbiano acquistato diritti per effetto dell’impugnata intavolazione al fine di procurare all’attore un titolo idoneo (la sentenza) ad ottenere la cancellazione delle iscrizioni successive alla sua accertandone il diritto al rispristino dello stato tavolare precedente anche nei confronti dei subacquirenti(295).
Si segnala, infine, il venir meno del regime di favor previsto dall’art. 1445 c.c. per i terzi di buona fede che abbiano acquistato a titolo oneroso là dove la causa dell’annullabilità sia diversa dall’incapacità legale: mentre il diritto comune salva gli acquisti di questi terzi, purché trascritti prima della domanda di annullamento, l’art. 7 L.tav. dichiara la disposizione inapplicabile, per cui il terzo acquirente, anche se a titolo oneroso, non incontra una tutela immediata, ma solo subordinata al decorso dei termini di cui agli artt. 63 e 64 L.tav. n.t.(296).


(1) CH. LARROUMET, Les obligations. Le contrat, 6e éd., Paris, 2007, p. 186 e ss.; CH. BEUDANT, Cours de droit civil français, La vente et le louage, Paris, 1908, p. 10.

(2) C.A. CANNATA, Corso di istituzioni di diritto romano, I, Torino, 2001, p. 315; M. KASER-R. KNÜTEL, Römisches Privatrecht, 17. Aufl., München, 2003, p. 53.

(3) M. FABRE - MAGNAN, «Le mythe de l’obligation de donner», in Rev. trim. dir. civ., 1996, p. 106.

(4) Il giudizio è di E. BETTI, «Il quarto libro nel progetto del codice civile italiano», in Riv. dir. comm., 1938, I, p.541, che diffidava della «concezione individualistica propria del diritto naturale ed ereditata dal liberalismo» alla base del “dogma della volontà”.

(5) U. PETRONIO, Vendita, trasferimento della proprietà e vendita di cosa altrui nella formazione del code civil e dell’Allgemeines bürgerliches Gesetzbuch, in Vendita e trasferimento della proprietà nella prospettiva storico-comparatistica. Atti del Congresso Internazionale Pisa-Viareggio-Lucca, 17-21 aprile 1990, a cura di L. VACCA, I, Milano, 1991, p. 175 e ss.; ID., Sinallagma e analisi strutturale dei contratti all’origine del sistema contrattuale moderno, in Towards a General Law of Contract, edited by J. BARTON, Berlin, 1990, p. 240 e ss.

(6) G. ASTUTI, Contratto (dir. interm.), in Enc. dir., IX, Milano, 1961, p. 779 e ss.; ID., I contratti obbligatori nella storia del diritto italiano, parte generale, I, Milano, 1952, p. 16 e ss.; F. CALASSO, Il negozio giuridico. Lezioni di storia del diritto italiano, II ed., Milano, 1957, p. 334 e ss.; F. WIEACKER, Storia del diritto privato moderno con particolare riguardo alla Germania, I, trad. it. U. Santarelli e S.A. Fusco, Milano, 1980, p. 445 (Privatrechtsgeschichte der Neuzeit unter besonderer Berücksichtigung der deutschen Entwiklung, neubearbeite Aufl., Göttingen,1967); ID., Contractus und Obligatio im Naturrecht zwischen Spätscholastik und Aufklärung, in La seconda scolastica nella formazione del diritto privato moderno. Incontro di studio - Firenze, 16-19 ottobre 1972, a cura di P. Grossi, Milano, 1973, p. 227 e ss.Sulla rilevanza del principio di libertà contrattuale nel Code civil e nell’ABGB, v. E. DEZZA, Lezioni di storia della codificazione civile. Il Code civil (1804) e l’Allgemeines Bürgerliches Gesetzbuch (ABGB, 1812), II ed. Torino, 2000, p. 75 e ss., p. 151 e ss.

(7) P.M. VECCHI, Il principio consensualistico. Radici storiche e realtà applicativa, Torino, 1999, 28 e ss.Sulla genesi dei meccanismi traslativi che caratterizzano i diversi ordinamenti europei, v. C.A. CANNATA, Materiali per un corso di fondamenti del diritto europeo, I, Torino, 2005, p. 9 e ss.; E. FERRANTE, Consensualismo e trascrizione, Padova, 2008, p. 3 e ss.

(8) A. GAMBARO, Il modello francese, in A. GAMBARO-R. SACCO, Sistemi giuridici comparati, III ed., nel Trattato di diritto comparato diretto da R. Sacco, Torino, 2008, p.197 e ss., p. 222; E. DEZZA, Lezioni di Storia della codificazione civile. Il Code Civil (1804) e l’Allgemeines Bürgerliches Gesetzbuch (ABGB, 1812), II ed., Torino,2000, p. 77; P. RAYNAUD, Les biens, in G. MARTY-P. RAYNAUD, Droit civil, 2 e éd., Paris, 1980, p. 61; J. HAMEL, Contrats civils, I, in M. PLANIOL-G. RIPERT, Traité pratique de droit civil français, 2 e éd., tome X, Paris,1956, p. 10 ; F. LAURENT, Principes de droit civil, XXIV, 3 e éd., Bruxelles-Paris, 1878, p. 7, elogiando la scelta del code, scrisse che «c’est bien dans la matière des contrats qu’il faut écouter la voix de la nature, plutôt que les abstractions de la science».

(9) G.R. POTHIER, Trattato del contratto di vendita, in Opere di G.R. Pothier contenenti i Trattati del diritto francese, Livorno, 1835, nn. 42 e ss., n. 519 (pp. 437 e ss., p. 525).

(10) Sulla compravendita in diritto romano, v. G. PUGLIESE, Compravendita e trasferimento della proprietà in diritto romano, in Vendita e trasferimento della proprietà nella prospettiva storico-comparatistica, I, cit., p. 25 e ss.

(11) G. VETTORI, Consenso traslativo e circolazione dei beni. Analisi di un principio, Milano, 1995, p. 19; U. PETRONIO, op. cit., p. 179 e ss.; C. SAINT-ALARY HOUIN, Le transfert de propriété depuis le code civil, in Vendita e trasferimento della proprietà nella prospettiva storico-comparatistica, I, cit., p. 198; P.G. MONATERI, La sineddoche. Formule e regole nel diritto delle obbligazioni e dei contratti, Milano,1984, p. 415; C.A. FUNAIOLI, La tradizione, Padova,1942, p. 78 e ss.; A. COLIN-H. CAPITANT, Cours élémentaire de droit civil français, I, 4 e éd., Paris, 1923, p.937; J. HUET, Les principaux contrats spéciaux, in Traité de droit civil sous la direction de J. GHESTIN, Paris, 1996, p.37; PH. MALAURIE-L. AYNÈS-P-Y. STOFFEL MUNCK, Les contrats spéciaux, Paris, 2011, p. 166 e ss. Siffatta prassi risultava peraltro diffusa anche in Italia, v. A. PERTILE, Storia del diritto italiano dalla caduta dell’Impero romanoalla codificazione, IV, Storia del diritto privato, Padova,1874, p. 530.

(12) V., ad esempio, C. SAINT-ALARY HOUIN, op. cit., p.215.

(13) R. NICOLÒ, Diritto civile, in Enc. dir., XII, Milano, 1964, p. 908.

(14) C.M. BIANCA, Il principio del consenso traslativo, inDiritto privato, 1995, I, Il trasferimento in proprietà, p. 7.

(15) A. AURICCHIO, La simulazione nel negozio giuridico. Premesse generali, Napoli, 1957, p. 192 e ss.; S. PUGLIATTI, La pubblicità nel diritto privato, Parte generale, Messina, 1944, p. 26.

(16) In tal senso, F. GAZZONI, Manuale di diritto privato, XIIed., Napoli, 2006, p. 288.R. SACCO, La consegna e gli altri atti di esecuzione, in R. SACCO - G. DE NOVA, Il contratto, I, III ed., in Trattato di diritto civile diretto da R. Sacco, Torino, 2004, p. 900 e ss., rinviene un parallelismo fra il trattamento normativo della doppia alienazione, mobiliare e immobiliare, della cessione del credito e del trasferimento a più acquirenti dello stesso diritto personale di godimento. Inoltre, l’Autore ridimensiona, in modo forse un po’ eccessivo, le differenze fra l’ordinamento italiano e quello tedesco, caratterizzato dal Trennungsprinzip e dall’Abstraktionsprinzip (v. infra, par.7.2).Tendono a ridurre il distacco fra i due sistemi anche F. GAZZONI, La trascrizione immobiliare, I, Artt. 2643-2645- bis, II ed., in Commentario Schlesinger, Milano, 1998, p. 22e ss., e F. FERRARI, «Principio consensualistico ed Abstraktionsprinzip: un’indagine comparativa», in Contr. impr., 1992, p. 897 e ss.

(17) C.M. BIANCA, op. cit., p. 9.

(18) C.A. FUNAIOLI, «La cd. proprietà relativa», in Riv. dir. comm., 1950, I, 292 e ss., p. 301.

(19) P.M. VECCHI, op. cit., 92 e ss.

(20) U. NATOLI, Il conflitto di diritti e l’art. 1380 del codice civile, Milano, 1950, 33 e ss., p. 116.

(21) G. VETTORI, op. cit., p. 76 e ss., p. 94 e ss.

(22) V. infra, par. 4.

(23) F. GALGANO, Degli effetti del contratto, Art. 1372-1386, in Commentario Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1993, p.30, 32.

(24) C.M. BIANCA, op. cit., p. 22.

(25) V. ROPPO, Il contratto, II ed., in Trattato di diritto privatodiretto da G. Iudica e P. Z ATTI, Milano, 2011, p. 536.

(26) F. MESSINEO, Il contratto in genere, in Trattato CicuMessineo, Milano, 1972, p. 116 e ss.

(27) V. ROPPO, op. loc. cit. L’autorevole dottrina applica il concetto di opponibilità anche in relazione al contratto del secondo acquirente che abbia per primo trascritto o conseguito in buona fede il possesso della cosa; in queste ipotesi, però, almeno alla luce della natura del fenomeno acquisitivo, che riteniamo essere a non domino, la prevalenza del secondo acquirente non dovrebbe fondarsi tanto sull’opponibilità del suo titolo, quanto, appunto, sull’intervento di una fattispecie a titolo originario che richiede, oltre al titolo astrattamente idoneo al trasferimento dellaproprietà, anche la presenza di ulteriori requisiti. In altre parole, non sembra qui possibile parlare di opponibilità del contratto poiché esso è in sé inefficace allo scopo traslativo, per cui non dà luogo ad effetti che possano essere fatti valere contro un precedente acquirente: effetti che, invece, si produrranno col concorso delle condizioni di cui agli artt. 1155 e 2644 c.c.

(28) P.G. MONATERI, op. cit., p. 360 e ss.; v. anche ID., Contratto e trasferimento della proprietà. I sistemi romanisti, Milano, 2008, p. 217 e ss.

(29) G. AMADIO, «Proprietà e consegna nella vendita dei beni di consumo», in Riv. dir. civ., 2004, I, p. 138; A. NICOLUSSI, «Diritto europeo della vendita dei beni di consumo e categorie dogmatiche», in Europa dir. priv.,2003, p. 532, nota 10; C. RINALDO, «La sostituibilità del bene nella vendita di species al consumatore. Italia e Germania: due ordinamenti a confronto», in Riv. dir. civ., 2011, II, p. 543.

(30) A. LUMINOSO, La compravendita, VII ed., Torino,2011, p. 346 e ss., anche per un esame essenziale delle diverse opinioni.

(31) Ricorre allo schema della vendita di cose generiche E. MOSCATI, Art. 1519-quater (diritti del consumatore), comi 1-6, Note introduttive, in Commentario alla disciplina della vendita dei beni di consumo, Artt. 1519-bis - 1519- nonies c.c. e art. 2 D.lgs. 2 febbraio 2002 n. 24, coordinato da L. Garofalo, Padova, 2003, p. 297 e ss., secondo cui, però, l’individuazione coinciderebbe, di solito, con la consegna. Il nesso fra l’art. 1378 c.c. e la disciplina speciale è colto pure da A. NICOLUSSI, op. cit., p. 542 e ss., che però non ritiene possibile generalizzare l’interpretazione suggerita nel testo.

(32) F. BOCCHINI, La vendita di cose mobili, Art. 1510-1536, II ed., in Commentario Schlesinger-Busnelli, Milano, 2004, p. 34.

(33) G. AMADIO, op. cit., p. 138 e ss.

(34) S. PAGLIANTINI, «Sul principio res perit domino», inObb. contr., 2010, p. 781.

(35) Tuttavia, prosegue l’art. 20, il rischio è trasferito al consumatore al momento della consegna al vettore se il consumatore ha incaricato il vettore del trasporto dei beni e quest’ultimo non sia stato proposto dal professionista, fatti salvi i diritti del consumatore nei confronti del vettore.

(36) P. SIRENA, Il principio del consenso traslativo, in Trattato del contratto diretto da V. Roppo, III, Effetti, a cura di M. COSTANZA, Milano, 2006, p. 31.

(37) P. SIRENA, op. cit., p. 35 e ss.; P. M. VECCHI, op. cit., p.66 e ss.

(38) C.M. BIANCA, op. cit., p. 20 e ss.; P. SIRENA, op. cit., p.32 e ss.; P.M. VECCHI, op. cit., p. 129.

(39) Cass., 25 agosto 1994, n. 7512, in Giust. civ. mass.,1994, p. 1105.

(40) Cass., 22 giugno 2004, n. 11572, in Giust. civ. mass.,2004, p. 1394.

(41) C.M. BIANCA, op. cit., p. 23.

(42) P.M. VECCHI, op. cit., p. 130, che rammenta Cass., 6 maggio 1987, n. 4196, in Giust. civ. mass., 1987, p. 1183.

(43) M. FRANZONI, Dei fatti illeciti, Art. 2043-2059, in Commentario Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1993, p.625.

(44) P.G. MONATERI, La responsabilità civile, in Trattato di diritto civile diretto da R. Sacco, Torino, 1998, p. 1079.

(45) P.G. MONATERI, ult. op. cit., p. 1105, ricorda che l’opinione tradizionale ritiene tassativa l’elencazione delle figure chiamate a rispondere in solido col conducente, al fine di sollevare il danneggiato dall’onere di ricercare l’eventuale detentore del mezzo per rivalersi nei suoi confronti.Una diversa impostazione, tuttavia, è stata sollecitata dalla diffusione della locazione finanziaria nel settore automobilistico, in quanto appariva iniquo chiamare in causa la responsabilità della società proprietaria del veicolo che, avendolo concesso in leasing, non manteneva più alcun potere di controllo sullo stesso. La proposta di riconoscere la responsabilità del locatario, in luogo di quella della società concedente, era stata esclusa dalla giurisprudenza, la quale aveva ritenuto che l’art. 2054, terzo comma, c.c. prevedendo una responsabilità senza colpa per fatto altrui, costituisse norma eccezionale e, pertanto, insuscettibile di applicazione analogica nei confronti di soggetti diversi da quelli in essa indicati (Cass., 9 dicembre1992, n. 13015, in Giust. civ., mass., 1992, p. 1844; diversamente, invece, Trib. Milano, 13 gennaio 1984, inResp. civ. prev., 1984, p. 101, con nota di G. SCALFI,«Analogia o produzione giudiziaria di Norme? Considerazioni sull’art. 2054, comma 3, c.c.»). Sul punto è intervenuto il legislatore, che, al secondo comma dell’art. 91 del D.lgs. 30 aprile 1992, n. 285, ha introdotto la responsabilità del locatario in solido col conducente ai sensi dell’art. 2054, terzo comma, c.c. Tale responsabilità, peraltro, continua ad essere esclusa dalla giurisprudenza, sulla scorta dell’anzidetta motivazione, per i fatti avvenuti prima dell’entrata in vigore del decreto che ha innovato la materia; v. Cass., 13 dicembre 2010, n. 25127, in Guida dir., 2011, 7, p. 80.

(46) Trib. Bari, 14 marzo 2011, in http://dejure.giuffre.it.

(47) Cass., 20 aprile 2010, n. 9314, in Giust. civ. mass., 2010, p. 567.

(48) Cass., 7 aprile 1999, n. 3340, in Giust. civ. mass., 1999, p. 768.

(49) Cass., 15 aprile 1992, n. 4565, in Giust. civ. mass., 1992, p. 623.

(50) Su cui v. (anche per un’interpretazione diversa da quella maggioritaria) C. ARGIROFFI, La rivendica del venditore. Prospettive storiche e soluzioni attuali, in Vendita e trasferimento della proprietà nella prospettiva storicocomparatistica, II, cit., p. 501 e ss.

(51) G. GORLA, La compravendita e la permuta, in Trattato di diritto civile italiano diretto da F. VASSALLI, Torino, 1937, p. 276.

(52) A. LUMINOSO, op. cit., p. 402 e ss.; A. CIATTI, Art. 1519- Restituzione di cose non pagate, in Commentario del codice civile diretto da E. GABRIELLI, Dei singoli contratti, artt.1470-1547, a cura di D. Valentino, Torino, 2011, p. 433 e ss.; F. BOCCHINI, op. cit., p. 302; P. GRECO-G. COTTINO, Della vendita, Art. 1470-1547, II ed., in Commentario Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1981, p.409 e ss.; C.M. BIANCA, La vendita e la permuta, inTrattato di diritto civile italiano diretto da F. Vassalli,Torino, 1972, p. 969 e ss.; D. RUBINO, La compravendita, II ed., in Trattato Cicu-Messineo, Milano, 1962, p. 978.Diverso nei presupposti, ma non nella finalità, è il rimedio, conosciuto nel mondo anglosassone come stoppage in transitu, contemplato all’art. 75 L.fall., su cui v. F. BOCCHINI, op. cit., p. 313 e ss.

(53) P.G. MONATERI, Contratto e trasferimento della proprietà, cit., p. 221 e ss.

(54) B. CAPPONI, Pignoramento, in Enc. giur. Treccani, XXIII, Ist. Enc. it., p. 19.

(55) Storicamente, parecchie figure di ipoteche legali italiane furono mutuate dai privilegi reali francesi; V. SIMONCELLI, Istituzioni di diritto privato italiano. Lezioni, Athenaeum, 1914, p. 359. Ancora oggi è molto stretto il nesso fra l’ipoteca ed i privilegi speciali immobiliari, tant’è che si è ritenuto di poterli qualificare come delle hypothèques légales privilégiées; v. Y. PICOD, Droit des sûretés, Paris, 2008, p. 419.

(56) Il secondo comma del § 925 BGB stabilisce l’inefficacia dell’accordo per il trasferimento della proprietà di beni immobili sottoposto condizione o termine, per cui l’effetto traslativo non potrebbe essere sospensivamente condizionato all’integrale pagamento del prezzo come avviene nella vendita con riserva di proprietà; tuttavia, non contravviene al divieto in parola il rifiuto del proprietario di accon-sentire all’Auflassung fino a quando non sia avvenuto il pagamento del prezzo, alla luce anche del fatto che l’esercizio dell’eccezione di inadempimento da parte sua, qualora fosse convenuto per l’esecuzione della prestazione, determinerebbe, secondo il § 322, I BGB, la condanna dell’altra parte all’adempimento contestuale (Zug-um-Zug Verurteilung zur Auflassung); v. P. BASSENGE, § 925, Auflassung, in Palandt. Bürgerliches Gesetzbuch, 71. Aufl., München, 2012, p. 1498.

(57) A. CHIANALE, L’ipoteca, II ed., in Trattato di diritto civile diretto da R. SACCO, Torino, 2010, p. 204; ID., Obbligazione di dare e trasferimento della proprietà, Milano, 1990, p. 218; D. MEDICUS - S. LORENZ, Schuldrecht II, Besonderer Teil, 15. Aufl., München, 2010, p. 100 e ss.

(58) F. GAZZONI, Manuale, cit., 288; P.M. VECCHI, op. cit., p.125; G. FURGIUELE, «Il contratto con effetti reali fra procedimento e fattispecie complessa: prime osservazioni», in Diritto privato, 1995, I, Il trasferimento in proprietà, p. 370; U. NATOLI, Il possesso, Milano, 1992, p.277; L. MENGONI, Gli acquisti «a non domino», III ed., Milano, 1975, p. 13; S. PUGLIATTI, La trascrizione, I, 1, La pubblicità in generale, in Trattato Cicu-Messineo, Milano,1957, p. 286; C.A. FUNAIOLI, La tradizione, cit., p. 100 (ma una più articolata, e, si direbbe, differente posizione l’Autore esprime in «La cd. proprietà relativa», cit., p. 301 e ss.). Per una diversa opinione, v. C.M BIANCA, Diritto civile, VI, La proprietà, Milano, 1999, p. 802, e, in parte, C. ARGIROFFI, Del possesso di buona fede di beni mobili, Artt. 1153-1157, in Commentario Schlesinger, Milano, 1988, p. 201 e ss.

(59) G. CIAN, «“Il contratto” di Rodolfo Sacco», in Riv. dir. civ., 1977, II, p. 459.

(60) L. MENGONI, op. cit., p. 7.

(61) Sul concetto di prova legale in rapporto al principio del libero convincimento del giudice, anche in prospettiva storica, v. M. TARUFFO, La prova dei fatti giuridici, in Trattato Cicu-Messineo continuato da Mengoni, Milano, 1992, p. 361 e ss.

(62) L. FERRI-P. ZANELLI, Della trascrizione. Trascrizione immobiliare, Art. 2643-2696, in Commentario ScialojaBranca, Bologna-Roma, 1995, 18 e ss.

(63) F. GAZZONI, La trascrizione immobiliare, cit., p. 475; R. CORRADO, La pubblicità nel diritto privato, parte generale, Torino, 1947, p. 323.

(64) C. MAIORCA, Della trascrizione, in Commentario al codice civile diretto da M. D’AMELIO, Libro della Tutela dei Diritti, Firenze, 1943, p. 146.

(65) R. CORRADO, op. cit., p. 325.

(66) F. GAZZONI, ult. op. cit., p. 491 e ss.; R. TRIOLA, Della tutela dei diritti, La trascrizione, in Trattato di diritto privato diretto da M. BESSONE, Torino, 2000, p. 8 e ss.

(67) U. NATOLI, Della trascrizione, in U. NATOLI-R. FERRUCCI, Della tutela dei diritti. Trascrizione. Prove, II ed., in Commentario del codice civile Utet, VI, I, Torino, 1971, p.93; R. NICOLÒ, La trascrizione, I, Milano, 1973, p. 118 ss.(che pure sostiene la teoria della condicio iuris); G.VETTORI, op. cit., p. 85.

(68) E. FERRANTE, op. cit., p. 122, nota n. 59.

(69) In tal senso, seppur per vie diverse, F. GAZZONI, ult. op. cit., p. 514 e ss.; R. TRIOLA, Trascrizione, in Enc. dir., XLIV, Milano, 1992, p. 947 e ss.; G. VETTORI, op. cit., p.91; L. MENGONI, op. cit., p. 8 e ss., e R. NICOLÒ, ult. op. cit., p. 120.

(70) U. NATOLI, ult. op. cit., p. 7. Il riferimento all’apparenza, invero, è tutt’altro che pacifico in dottrina; v. A. FALZEA, Apparenza, in Enc. dir., II, Milano, 1958, p. 690 e F. GAZZONI, ult. op. cit., p. 45 e ss.

(71) Il rischio che della presunzione di buona fede si giovi, proprio perché juris et de jure, l’acquirente che in buona fede non è rappresenta un paradosso insito in tutte le presunzioni assolute, che si palesa ogniqualvolta non coincida nella realtà la sussistenza dell’interesse con la presunzione del fatto che lo rende inattaccabile; sul punto, A. PALAZZO, Presunzione (dir. priv.), in Enc. dir., XXXV, Milano, 1986, p.265 e ss.

(72) U. NATOLI, ult. op. cit., p. 92 e ss.; L. BIGLIAZZI GERI -U. BRECCIA - F.D. BUSNELLI - U. NATOLI, Diritto civile, 2,Diritti reali, Torino, 2003 (rist.), p. 431 e ss.; D. POLETTI,«Doppia alienazione immobiliare e “responsabilità extracontrattuale da contratto”», in Contr. impr., 1991,737 e ss.

(73) U. NATOLI, ult. op. cit., p. 150 e ss.

(74) F. GAZZONI, ult. op. cit., p. 516.

(75) U. NATOLI, ult. op. cit., p. 94 e ss.

(76) La posizione soggettiva del terzo deve essere valutata al momento della conclusione del contratto, essendo irrilevante una consapevolezza della precedente alienazione acquisita successivamente: infatti, una volta stipulato il contratto col dante causa

(77) F.D. BUSNELLI, La lesione del credito da parte di terzi, Milano, 1963, p. 255 e ss.; D. POLETTI, «Dalla lesione del credito alla responsabilità extracontrattuale da contratto», in Contr. impr., 1987, p. 131 e ss.

(78) Per un’implicita deroga al principio consensualistico, v. comunque le limpide ed autorevoli riflessioni di A. ASQUINI, Titoli di credito, Padova, 1966, p. 58, e F. CARNELUTTI, Teoria giuridica della circolazione, Padova, 1933, p. 193; di recente, L. DELLI PRISCOLI, «La rilevanza del possesso nei titoli di credito», in Banca, borsa, tit. cred., 2009, II, p. 11 e ss.

(79) F. MARTORANO, Titoli di credito. Titoli non dematerializzati, in Trattato Cicu-Messineo-Mengoni continuato da Schlesinger, Milano, 2002, p. 461 e ss.; G.F. CAMPOBASSO, Diritto commerciale, 3, Contratti. Titoli di credito. Procedure concorsuali, III ed., Torino, 2001, p. 250 e ss.; A. STAGNO D’ALCONTRES, Il titolo di credito.Ricostruzione di una disciplina, Torino, 1999, p. 100 e ss.; G.U. TEDESCHI, Titoli di credito, in Dig. disc. priv., sez. comm., XV, Torino, 1998, p. 426; C.M. BIANCA, «Il principio del consenso traslativo», cit., p. 31; G. VETTORI, op. cit., p. 109 e ss.; P. SPADA, «L’efficacia del consenso traslativo nella circolazione dei titoli azionari: proposte per ripensare un problema», in Il contratto. Silloge in onore di Giorgio Oppo, II, Padova, 1992, p. 477 e ss.; A. PAVONE LA ROSA, La cambiale, in Trattato Cicu-Messineo continuato da Mengoni, Milano, 1982, p.293; G.L. PELLIZZI, Principî di diritto cartolare, Bologna,1967, p. 51; M. LIBERTINI, «Osservazioni sul valore giuridico del “transfert” nella circolazione delle azioni di società», in Riv. soc., 1966, p. 805; W. BIGIAVI, «Il trasferimento dei titoli di credito», in Riv. trim. dir. proc. civ., 1950, 1, passim; A. FIORENTINO, «La “consegna” nell’alienazione dei titoli di credito», in Banca, borsa, tit. cred., 1948, I, p. 132 e ss.; T. ASCARELLI, «Titolarità e costituzione del diritto cartolare», in Riv. dir. comm.,1932, I, p. 531 e ss. In giurisprudenza, v. Cass., 24 aprile2008, n. 17088, in Banca, borsa, tit. cred., 2009, II, 1, con nota di L. DELLI PRISCOLI, «La rilevanza del possesso», cit.Sulla possibilità di ricorrere all’esecuzione forzata per conseguire il possesso qualificato del titolo, destinata ad essere accolta o meno in ragione della natura del titolo, v. F. MARTORANO, op. cit., p. 476 e ss.

(80) P. SPADA, «La dematerializzazione della “ricchezza assente” alla fine del millennio (riflessioni sistematiche sulla dematerializzazione dei titoli di massa)», in Banca, borsa, tit. cred., 1999, I, p. 419 e ss.; A. BUSANI-C.M. CANALI, «Strumenti finanziari dematerializzati: circolazione, vincoli e conferimento in fondo patrimoniale», in Riv. not., 1999, p. 1069 e ss.Diversamente, v. Cass. pen., 21 gennaio 2009, n. 7769, in Giur. comm., 2010, p. 77, con nota di M. CIAN, «Il trasferimento dei titoli dematerializzati fra consensualismo e anticonsensualismo», e ID., «La dematerializzazione degli strumenti finanziari», in Banca, borsa, tit. cred., 2007, p. 677 e ss., secondo cui, malgrado la forte incertezza che caratterizza la questione, il trasferimento di questi «flussi di beni» dovrebbe perfe-zionarsi solo col compimento della registrazione.In tema v. anche G.P. LA SALA, «L’acquisto a non domino di strumenti finanziari dematerializzati», in Banca, borsa, tit. cred., 2004, p. 467.

(81) F. GALGANO, Diritto privato, XV ed., Padova, 2010, p.430 e ss.

(82) F. GALGANO, «Sulla circolazione dei titoli di credito», in Contr. impr., 1987, 388 e ss.

(83) G. PARTESOTTI, Lezioni sui titoli di credito, Torino,1992, p. 64; A. PAVONE LA ROSA, op. cit., p. 34; G.L. PELLIZZI, op. cit., 31 e ss. Vicino a questa posizione, in definitiva, sembra anche F. MARTORANO, op. cit., p.102 e ss.

(84) E. NAVARRETTA, La causa e le prestazioni isolate, Milano, 2000, p. 312 e ss.; EAD., Il contratto e l’autonomia privata, in U. BRECCIA - L. BRUSCUGLIA - F.D. BUSNELLIF. GIARDINA - A. GIUSTI - M.L. LOI - E. NAVARRETTA - M. PALADINI - D. POLETTI - M. ZANA, Diritto privato, I, II ed., Torino, 2009, p. 302 e ss.; E. FERRANTE, op. cit., p. 84; G.F. CAMPOBASSO, op. cit., p. 261; U. BRECCIA, Causa, in G. ALPA - U. BRECCIA - A. LISERRE, Il contratto in generale, III, in Trattato di diritto privato diretto da M. Bessone, XIII, Torino, 1999, p. 40; L. MENGONI, «Il trasferimento dei titoli di credito nella teoria dei negozi traslativi con “causa esterna”», in Banca, borsa, tit. cred., 1975, I, p. 392 e ss.

(85) P. SIRENA, op. cit., p. 62; F. MARTORANO, op. cit., p.489; P. SPADA, op. cit., p. 477; F. GALGANO, «Sulla circolazione dei titoli di credito», cit., p. 388; L. MENGONI, Gli acquisti «a non domino», cit., 109; E. FERRANTE, op. cit., p. 84 e ss.

(86) P. SIRENA, op. cit., 62 e ss.; C.M. BIANCA, «Il principio del consenso traslativo», cit., p. 31; ID., «Alienazione dei titoli di credito ed efficacia nei confronti dei creditori dell’alienante», in Riv. trim. dir. proc. civ., 1962, p. 144 e ss.87 L. MENGONI, «In tema di cessione di titoli all’ordine», in Banca, borsa, tit. cred., 1957, II, p. 566 e ss.; ID., Gli acquisti «a non domino», cit., p. 109 e ss.

(88) G. VETTORI, op. cit., p. 142 e ss., il quale, peraltro, esclude che la tutela obbligatoria prevista dall’art.1993 c.c. si leghi necessariamente alle modalità a non domino dell’acquisto del titolo, rappresentando piuttosto un effetto che la legge fa seguire alla promessa contenuta nel titolo a prescindere dal suo modo di acquisto, per cui esso non verrebbe smentito da un trasferimento consensuale non accompagnato dalla traditio (p. 133 e ss.).

(89) L’art. 2022, secondo comma, c.c. pone condizioni più rigorose quando la richiesta del trasfert (ossia del cambiamento della doppia intestazione) provenga dall’acquirente anziché dall’alienante, giacché in questo caso, al fine di tutelare l’attuale intestatario dal rischio dello smarrimento o della sottrazione del titolo, si richiede all’acquirente di dimostrare il suo diritto mediante un atto autentico (atto pubblico o scrittura privata autenticata), che può essere però sostituito da una sentenza di accertamento del trasferimento avvenuto per scrittura privata o anche solo verbalmente; F. MARTORANO, op. cit., p. 852 e ss.

(90) F. MORATORANO, op. cit., p. 488 e ss.; G.U. TEDESCHI, op. loc. cit.; P. SPADA, op. cit., p. 477 e ss.; G. PARTESOTTI, op. cit., p. 55; A. PAVONE LA ROSA, «Sul conflitto fra due acquirenti di uno stesso titolo nominativo», in Riv. trim. dir. proc. civ., 1953, p. 664 e ss.

(91) P. SIRENA, op. cit., p. 63; G.U. TEDESCHI, op. loc. cit.

(92) P. SIRENA, op. loc. cit.; F. MARTORANO, op. cit., p. 485; P. SPADA, op. cit., p. 479. Ritiene invece sempre necessaria l’acquisizione del possesso, quanto meno per i titoli nominativi, ai fini dell’opponibilità dell’alienazione, C.M. BIANCA, «Alienazione dei titoli di credito», cit., p. 149.In materia fallimentare, parte della dottrina (ad esempio, P. SPADA, op. cit., p. 479 e ss.) ha sostenuto che l’art. 45 L.fall. esigerebbe, al fine di rendere l’alienazione opponibile ai creditori, che l’alienatario conseguisse il possesso qualificato del titolo prima della data della dichiarazione di fallimento, non essendo all’uopo sufficiente la presenza di un atto di alienazione avente data certa anteriore. Diversamente, invece, si è altrove sostenuto che il criterio di cui all’art. 2914, n. 4, c.c. sarebbe parimenti utilizzabile anche nei confronti della curatela, là dove l’alienazione sia avvenuta prima della sentenza che dichiara il fallimento (così, F. MARTORANO, op. cit., p.487).

(93) T. MANCINI, La cessione dei crediti, in Trattato di diritto privato diretto da P. RESCIGNO, 9, Obbligazioni e contratti, I, II ed., Torino, 1999, p. 470 e ss.

(94) R. SACCO, op. cit., p. 895.

(95) A. DOLMETTA-G.B. PORTALE, «Cessione del credito e cessione in garanzia nell’ordinamento italiano», in Banca, borsa, tit. cred., 1999, I, p. 83 e ss.; A.A. DOLMETTA, Cessione dei crediti, in Dig. disc. priv., sez. civ., II, Torino,1988, p. 297.

(96) G. CIAN, «Disciplina della cessione dei crediti d’impresa (L. 21 febbraio 1991, n. 52)», in Nuove leggi civ. comm., 1994, p. 259.

(97) U. BRECCIA, Le obbligazioni, in Trattato di diritto privato a cura di G. Iudica e P. Zatti, Milano, 1991, p. 782; C.M. BIANCA, «Il principio del consenso traslativo», cit., p.27 e ss.; ID., Diritto civile, 4, L’obbligazione, Milano, 1991, p. 579.

(98) P. PERLINGIERI, Della cessione dei crediti, Art. 1260-1267, in Commentario Scialoja-Branca, Bologna-Roma,1982, p. 163 e ss.

(99) L. BIGLIAZZI GERI, «Osservazioni in tema di buona fede e diligenza nel pagamento al creditore apparente (con particolare riferimento alla cessione dei crediti)», in Riv. trim. dir. proc. civ., 1968, p. 1325 e ss.

(100) S. TROIANO, La cessione di crediti futuri, Padova,1999, p. 457 e ss.

(101) Cass., 22 aprile 2003, n. 6422, in Giust. civ. mass.,2003, p. 889.

(102) S. TROIANO, op. cit., p. 473.

(103) S. TROIANO, op. cit., p. 474.

(104) P. PERLINGIERI, Cessione dei crediti, in Enc. giur. Treccani, VI, Ist. Enc. it., p. 7; L. BIGLIAZZI GERI, op. cit., p.1339, nota 68; Cass., 6 agosto 1999, n. 8485, in Giust. civ. mass., 1999, p. 1780. Secondo C.M. BIANCA, ult. op. cit., p. 580, 603 e ss., invece, si tratterebbe di un riconoscimento di debito, argomentando anche dal primocomma dell’art. 1248 c.c.

(105) U. BRECCIA, ult. op. cit., p. 793.

(106) P.M. VECCHI, op. cit., p. 151; L. BIGLIAZZI GERI, op. cit., p. 1341 ss. La notificazione può provenire anche dal cessionario, oltre che dal cedente; Cass., 10 maggio2005, n. 9761, in Giust. civ. mass., 2005, p. 1062.

(107) Cass., 21 dicembre 2005, n. 28300, in Giust. civ. mass., 2005, p. 2680; Cass., 29 settembre 1999, n. 10788, in Giust. civ. mass., 1999, p. 2034.

(108) F. GAZZONI, Manuale, cit., p. 622; L. BIGLIAZZI GERI,op. cit., p. 1341 e ss.

(109) U. BRECCIA, ult. op. cit., p. 798

(110) C.M. BIANCA, ult. op. cit., p. 602 e ss.; U. BRECCIA, ult. op. cit., p. 798 e ss.; Cass., 17 gennaio 2001, n. 575, in Contratti,2002, p. 59, con nota di V. DI BONA, «Le eccezioni del debitore ceduto al cessionario: le differenze nel factoring». Un’interpretazione restrittiva del principio è invece proposta da P. SIRENA, op. cit., p. 60.Ad ogni modo, non rileverebbero quelle eccezioni fondate su vicende modificative od estintive del rapporto poste in essere in modo fraudolento dal cedente, ad esempio mediante uno scioglimento per mutuo consenso del rapporto stesso (Cass., 25febbraio 2005, n. 4078, in Giust. civ. mass., 2005, p. 480).

(111) U. BRECCIA, ult. op. cit., p. 799 e ss.; U. NATOLI, «In tema di compensazione legale secondo il nuovo codice civile», in Foro it., 1948, IV, c. 60.

(112) U. BRECCIA, ult. op. cit., p. 792.

(113) L. MENGONI, Gli acquisti «a non domino», cit., p. 106 e ss.

(114) P. PERLINGIERI, Della cessione dei crediti, cit., p. 240 e ss.

(115) P. PERLINGIERI, ult. op. cit., p. 242.

(116) C.M. BIANCA, ult. op. cit., p. 609.

(117) P. PERLINGIERI, ult. op. cit., p. 238 e ss., p. 242 e ss.

(118) V., fra gli altri, G. VETTORI, «Circolazione dei beni e ordinamento comunitario», in Riv. dir. priv., 2008, p.295; E. FERRANTE, op. cit., p. 75; S. DELLE MONACHE,«Fedeltà al principio consensualistico?», in Atti del Convegno per il cinquantenario della Rivista di diritto civile “Il diritto delle obbligazioni e dei contratti: verso una riforma”? - Treviso, 23-24-25 marzo 2006 (suppl. a Riv. dir. civ., 2006, n. 6), p. 286 e ss.; P. SIRENA, op. cit., p. 41 e ss.; A. LUMINOSO, op. cit., p. 4 e ss.; F. DELFINI, Dell’impossibilità sopravvenuta. Artt. 1463-1466, in Commentario Schlesinger-Busnelli, Milano, 2003, v133 e ss.; V. ROPPO, op. cit., p. 485; E. NAVARRETTA, La causa e le prestazioni isolate, cit., 60 e ss.; N. MUCCIOLI, Efficacia del contratto e circolazione della ricchezza, Padova, 2004, p.155 e ss.; M. FRANZONI, Degli effetti del contratto, II, Integrazione del contratto. Suoi effetti reali e obbligatori, Artt. 1374-1381, in Commentario Schlesinger, Milano,1999, p. 333 e ss.; C. CAMARDI, «Principio consensualistico, produzione e differimento dell’effetto reale. I diversi modelli», in Contr. impr., 1998, p. 599; F. FERRARI, op. cit., p. 893; G.B. PORTALE, «Principio consensualistico e conferimento di beni in proprietà», in Riv. soc., 1970, p. 933 e ss.

(119) V., ad esempio, V. ROPPO, op. cit., p. 485; M. FRANZONI, ult. op. cit., p. 332.

(120) A. CHIANALE, Obbligazione di dare e di fare in diritto comparato e italiano, in Dig. disc. priv., sez. civ., XII, Torino,1995, p. 360 e ss.; V. MARICONDA, «Il pagamento traslativo», in Contr. impr., 1988, p. 738 e ss.

(121) P. GRECO-G. COTTINO, op. cit., 8 e ss.; P. SCHLESINGER, Il pagamento al terzo, Milano, 1961, p. 24e ss.; E. RUSSO, La responsabilità per inattuazione dell’effetto reale, Milano, 1965, 63 e ss.; G. GAZZARA, La vendita obbligatoria, Milano, 1957, p. 139 e ss.

(122) M. GIORGIANNI, Causa (dir. priv.), in Enc. dir., VI, Milano, 1960, p. 550.

(123) Lo ricordano, in senso critico, G.B. PORTALE, op. cit., p. 933 e ss., e, recentemente, A. ORESTANO, Promesse gratuite, in I contratti gratuiti, a cura di A. Palazzo e S. Mazzarese, in Trattato dei contratti diretto da P. Rescigno e G. Gabrielli, Torino, 2008, I, p. 643 e ss.

(124) E. BETTI, Teoria generale del negozio giuridico, terza rist. della II ed., Torino, 1960, in Trattato di diritto civile italiano diretto da F. VASSALLI, p. 172 e ss., p. 184 e ss. Questa impostazione, oltre ad aver goduto in dottrina e in giurisprudenza di grande fortuna, ancora oggi non del tutto sopita (v., ad esempio, F. GALGANO, Diritto privato, cit., p. 242; P.M. VECCHI, op. cit., p. 47; Cass., 13 febbraio 2009, n. 3646, in Giust. civ. mass.,2009, 238), fu esplicitamente adottata dalla Relazioneal codice del 1942, al n. 613.L’idea della tipicità delle cause, invero, non imponeva necessariamente che esse dovessero essere individuate in modo tassativo dal diritto positivo, potendo anzi risultare «ammesse dalla coscienzasociale siccome rispondenti a un’esigenza pratica legittima [e] a un interesse sociale durevole». In altre parole, le istanze di socialità di cui si riteneva dovesse farsi carico la causa trovavano una prima e fondamentale garanzia nei tipi normativi scolpiti dal legislatore; per quanto riguardava il potere creativo dei privati, invece, il timore di un trionfo delle pulsioni individuali veniva scongiurato mediante un’interpretazione del secondo comma dell’art. 1322 c.c. che escludesse la possibilità di riconoscere qualsivoglia causa contrattuale purché lecita, dovendosi piuttosto verificare che essa rispondesse anche ad una«funzione di interesse sociale» che l’apprezzamento della giurisprudenza avrebbe saputo valutare; così E. BETTI, ult. op. cit., p. 195 e ss. Si mostrò tuttavia scettico sull’idoneità della tipicità sociale a sorreggere gli effetti reali S. PUGLIATTI, Fiducia e rappresentanza indiretta, in ID., Diritto civile. Metodo, teoria, pratica. Saggi, Milano, 1951, p. 267 e ss.

(125) V.M. TRIMARCHI, «Negozio fiduciario», in Enc. dir., XXVIII, Milano, 1978, p. 42 nota 94; G. GAZZARA, op. cit., p. 3; G. BRANCA, Istituzioni di diritto privato, Bologna,1955, p. 223; A. TRABUCCHI, Istituzioni di diritto civile, Padova, 1950, p. 373; S. PUGLIATTI, «Precisazioni in tema di vendita a scopo di garanzia», in Riv. trim. dir proc. civ., 1950, p. 341; ID., Fiducia e rappresentanza indiretta, cit., 269 e ss.; L. CARIOTA-FERRARA, I negozi fiduciari, Padova, 1933, p. 122 e ss., p. 126 e ss.

(126) L’autonomia, rispetto all’argomento trattato, del principio del numero chiuso e di quello di tipicità dei diritti reali emerge alla luce delle loro origini storiche e del loro attuale significato, su cui si rinvia a M. COMPORTI, Diritti reali in genere, II ed., in Trattato CicuMessineo-Mengoni continuato da Schlesinger, Milano,2011, p. 217 e ss.

(127) A. DI MAJO, Le promesse unilaterali, Milano, 1989, p.66.

(128) L. BOZZI, «Note preliminari sull’ammissibilità del trasferimento astratto», in Riv. dir. comm., 1995, I, p. 210e ss., e nota 57; A. CHIANALE, Obbligazione di dare e trasferimento della proprietà, Milano, 1990, p. 49.

(129) G.B. FERRI, Causa e tipo nella teoria del negozio giuridico, Milano, 1965, p. 244 e ss.; M. GIORGIANNI, op. cit., p. 561 e ss.

(130) M. GIORGIANNI, op. cit., p. 566 e ss.Sul punto, E. NAVARRETTA, La causa e le prestazioni isolate, cit., p. 54 e ss.; EAD., «Le prestazioni isolate nel dibattito attuale. Dal pagamento traslativo all’atto di destinazione», in Riv. dir. civ., 2007, I, p. 824.

(131) … i cui effetti, comunque, in mancanza del rapporto sottostante, possono essere rimossi attraverso l’azione di arricchimento senza causa (§812, II BGB); R. BORK, Allgemeiner Teil des BürgerlichenGesetzbuchs, 3. Aufl., Tübingen, 2011, p. 186.

(132) D. MEDICUS, Allgemeiner Teil des BGB, 10. Aufl., C.F. Müller, 2010, p. 93 e ss.

(133) R. BORK, op. cit., 176.Si direbbe sottratta al Trennungsprinz la cessione del credito, giacché il § 398 BGB prospetta la Zession come una Verfügung über die Forderung; v. D. MEDICUS-S. LORENZ, Schuldrecht, I, Allgemeiner Teil, 19. Aufl., München, 2010, p. 361.

(134) Y. THOMAS, «Une invention de la romanistique allemande: l’acte de transfert abstrait», in Droits, 1988, p. 38. Sull’origine del trasferimento astratto, v. anche C.A. CANNATA, Materiali per un corso di fondamenti del diritto europeo, cit., p. 13 e ss.

(135) F.C. VON SAVIGNY, Das Obligationenrecht als Theil des heutigen Römischen Rechts, II, Berlin, 1853, 256 ss.e nota m.

(136) D. MEDICUS, op. cit., p. 98; R. BORK, op. cit., p. 189 e ss.; F. BAUR-R. STÜRNER, Sachenrecht, 18. Aufl., München, 2009, p. 56 e ss.; R. KNÜTEL, Vendita e trasferimento della proprietà nel diritto tedesco, in Vendita e trasferimento della proprietà nella prospettiva storicocomparatistica, I, cit., 297 e ss.

(137) D. MEDICUS, op. cit., p. 101 e ss.; R. BORK, op. cit., p.190 e ss.; H. KÖTZ, Vertragsrecht, Tübingen, 2009, p. 158 e ss.

(138) T. MAYER-MALY, Kauf und Eigentumsübergang im österreischen Recht, in Vendita e trasferimento della proprietà nella prospettiva storico-comparatistica, I, cit., p.276.; G. IRO, Bürgerliches Recht, IV, Sachenrecht, 4. Aufl., Wien-New York, 2010, p. 131.

(139) La soluzione sembra pacifica in dottrina, cfr. H. SPRAU, § 818 Umfang des Bereicherungsanspruchs, in Palandt, cit., p. 1291.

(140) M. WOLF-M. WELLENHOFER, Sachenrecht, 26. Aufl., München, 2011, p. 99 e ss., p. 279 e ss.

(141) E. NAVARRETTA, La causa e le prestazioni isolate, cit., p. 100 e ss.; A. WACKE, «Trasferimento della proprietà in virtù di mero consenso o solo a seguito della tradizione del bene? Sulle divergenze nei percorsi della recezione e sul possibile superamento delle stesse», in Europa dir. priv., 1998, p. 1039.

(142) D. MEDICUS, op. cit., p. 99.

(143) M. GIORGIANNI, op. cit., p. 560, 566 e ss.

(144) M. GIORGIANNI, op. cit., p. 568. Di recente, F. GAZZONI, Manuale, cit., p. 827 e ss.In generale, sui rapporti fra azione di ripetizione e azione di rivendicazione, v. E. MOSCATI, «Caducazione degli effetti del contratto e pretese di restituzione», in Riv. dir. civ., 2007, I, p. 477 e ss.

(145) E. NAVARRETTA, ult. op. cit., I, p. 825.

(146) E. NAVARRETTA, ult. op. cit., p. 836 e ss.; EAD., La causa e le prestazioni isolate, cit., p. 112 e ss., dove peraltro si rileva che tale innovazione andrebbe per coerenza accompagnata dalla restrizione della tutela del secondo acquirente che abbia trascritto per primo nell’ambito di una doppia alienazione immobiliare alla sola ipotesi della sua buona fede, al fine di colmare l’irragionevole divario fra l’art. 2644 c.c. e l’art. 2656, n. 6, seconda parte, c.c.

(147) E. NAVARRETTA, «Le prestazioni isolate nel dibattito attuale», cit., p. 825 e ss.; EAD., La causa e le prestazioni isolate, cit., p. 105 e ss.

(148) E. NAVARRETTA, «Le prestazioni isolate nel dibattito attuale», cit., p. 827.

(149) Scrive U. BRECCIA, Causa, cit., p. 7 e ss., che la causa simbolica si ha quando la reciprocità dello scambio è solo fittizia, perché in realtà svuotata dal valore assolutamente irrisorio delle prestazioni; di causa simbolica, invece, si parla là dove essa poggi su un elemento non intrinsecamente privo di valore economico, ma che risulta marchianamente anodino ad assurgere, nel caso specifico, a corrispettivo della controprestazione; di causa putativa, infine, si discorre quando il contratto tende a far conseguire all’acquirente una facoltà che già gli spetta di diritto.

(150) Di causa esterna parla C. CAMARDI, Vendita e contratti traslativi. Il patto di differimento degli effetti reali, Milano, 1999, p. 132.

(151) E. NAVARRETTA, «Le ragioni della causa e il problema dei rimedi. L’evoluzione storica e le prospettive nel diritto europeo dei contratti», in Riv. dir. comm., 2003, I, p. 985 e ss.; EAD., La causa e le prestazioni isolate, cit., p. 269 e ss., p. 289 e ss.; EAD., «Le prestazioni isolate nel dibattito attuale», cit., p. 829.È appena il caso di osservare come il ruolo di garante della giustificazione e della razionalità del contratto,che nel nostro ordinamento è svolto alla causa, viene altrove affidato ad altri istituti, come lo Zweck nel sistema tedesco, o il concetto di purpose nell’ambito del Draft Common Frame of Reference. La differenza sul piano rimediale, dunque, è influenzata non tanto dall’adesione o meno al modello causale, quanto dall’adozione di una tecnica traslativa improntata al principio consensualistico o al principio di separazione: infatti, mentre il rimedio preventivo della nullità per difetto di causa, incentrato su un accertamento a priori della stessa, è coerente con un meccanismo che connette alla manifestazione del consenso delle parti l’immediato trasferimento del diritto, rendendolo così fin da subito inoperante, il rimedio a posteriori dell’arricchimento ingiustificato, che sia nel BGB sia nel Draft interviene in presenza di un’attribuzione patrimoniale non sorretta da alcun fondamento, si comprende maggiormente in presenza di una scissione fra l’atto obbligatorio e l’atto traslativo, posto che l’alienante è in grado di verificare l’effettiva validità del primo in un momento antecedente al compimento del secondo; in tema, E. NAVARRETTA, Europa cum causa, in Diritto comunitario e sistemi nazionali: pluralità delle fonti e unitarietà degli ordinamenti. Atti del quarto Convegno Nazionale SISDIC, Capri 16-17-18 aprile 2009, Napoli, 2010, p. 338 e ss.Con riguardo all’ordinamento germanico, la necessità che l’attribuzione patrimoniale (Zuwendung) sia sempre giustificata ha significativamente indotto a dire che «sebbene la causa non trovi una disciplina positiva nel codice civile tedesco, non si può negare che il BGB la conosce bene»; così G. HOHLOCH, Riflessioni relative all’attuale fase del diritto tedesco, in Causa e contratto nella prospettiva storico-comparatistica. Atti del II Congresso Internazionale ARISTEC, Palermo, 7-8 giugno 1995, a cura di L. VACCA, Torino, 1997, p. 363.A proposito del Draft, poi, vi è da segnalare che l’art. VIII.-2:101 lascia le parti libere di determinare il momento della translatio (benché in mancanza di un simile accordo si farà riferimento al tempo della consegna o di un equivalente di questa, ex artt. VIII.-2:103 e VIII.-2:104), mentre nella disciplina del contratto non si ha alcun riferimento all’elemento causale; l’esigenza ad esso sottesa, tuttavia, sulla scia del sistema tedesco, emerge nella disciplina dell’unjustified enrichment, in particolare quando si dice che «anenrichment is … unjustified if the disadvantaged person conferred it for a purpose which is not achieved …» (art. VII.-2:101 (4)). In tema, G. DONADIO, «Il trasferimento della proprietà nel modello del Draft Common Frame of Reference», in Contratti, 2011, p. 303.

(152) S. PUGLIATTI, «La rappresentanza indiretta e la morte del rappresentante», in Foro padano, 1953, III, p.87 e ss.

(153) S. PUGLIATTI, ult. op. cit., p. 83.

(154) M. ALLARA, Principî di diritto testamentario, Torino,1957, p. 157.

(155) E. NAVARRETTA, La causa e le prestazioni isolate, cit., p. 266 e ss.; EAD., «Le prestazioni isolate nel dibattito attuale», cit., p. 829; A. CHIANALE, Obbligazione di dare e di fare, cit., p. 361; V. SCALISI, Negozio astratto, in Enc. dir., XXVIII, Milano, 1978, p. 88 e ss. Diversamente, C. CAMARDI, ult. op. cit., p. 136.

(156) E. NAVARRETTA, ult. op. cit., p. 832; EAD., La causa e le prestazioni isolate, cit., p. 373.

(157) Cass., 21 dicembre 1987, n. 9500, in Giust. civ., 1988, p. 1237, con nota di M. COSTANZA, «Art. 1333 c.c. e trasferimenti immobiliari solutionis causa».

(158) Cass., 9 ottobre 1991, n. 10612, in Giust. civ., 1991, p.2895, con nota di F. GAZZONI, «Babbo Natale el’obbligo di dare».

(159) F. GAZZONI, «Babbo Natale e l’obbligo di dare», cit., p. 2897.

(160) F. GALGANO, Il contratto, II, ed., Padova, 2011, p. 128 e ss.; M. SEGNI, Autonomia privata e valutazione legale tipica, Padova, 1972, p. 374 e ss.

(161) G. BENEDETTI, Dal contratto al negozio unilaterale, Milano, 1969, p. 185 e ss., p. 197 e ss.

(162) P. GALLO, Art. 1333 - Contratto con obbligazioni del solo proponente, in Commentario del codice civile diretto da E. Gabrielli, Dei contratti in generale, artt. 1321-1349, a cura di E. Navarretta e A. Orestano, Torino, 2011, p. 393; A. SCIARRONE ALIBRANDI, «Pagamento traslativo e art.1333 c.c.», in Riv. dir. civ., 1989, II, p. 543.

(163) V. ROPPO, op. cit., 123 e ss.

(164) In tal senso, invece, C. DONISI, Il problema dei negozi giuridici unilaterali, Milano, 1972, p. 315.

(165) AND. D’ANGELO, Proposta e accettazione, in Trattato del contratto diretto da V. ROPPO, I, Formazione, a cura di C. GRANELLI, Milano, 2006, p. 16, nota 40; R. SACCO, Contratto e negozio a formazione bilaterale, in R. SACCO-G. DE NOVA, Il contratto, I, cit., p. 284; G.F. BASINI, Le promesse premiali, Milano, 2000, p. 235 e ss.; L. BIGLIAZZI GERI - U. BRECCIA - F.D. BUSNELLI - U. NATOLI, Diritto civile, 1, II, Fatti e atti giuridici, Torino,1997 (rist.), p. 627, nota 123.

(166) C. CAMARDI, «Principio consensualistico, produzione e differimento dell’effetto reale», cit., p.596.

(167) In virtù del principio generale contenuto all’art.1351 c.c., secondo cui qualunque atto di volontà col quale ci si impegna a contrarre deve avere la stessa forma ad substantiam richiesta per l’atto che ci si obbliga a concludere, anche l’atto costitutivo dell’obbligo di dare dovrà, ove concerna beni immobili, sottostare alla forma prevista dall’art. 1350 c.c.; A. LUMINOSO, Il mandato, Torino, 2007, p. 63.

(168) A. LUMINOSO, Appunti sui negozi traslativi atipici, Milano, 2007, p. 27.

(169) A. LUMINOSO, ult. op. cit., p. 27 e ss.

(170) V. FRANCESCHELLI - G. GABRIELLI, Contratto preliminare I) Diritto civile, in Enc. giur. Treccani, IX, Ist. Enc. it., p. 6; C.M. BIANCA, Diritto civile, 3, Il contratto, II ed.,Milano, 2000, p. 189.

(171) M. GIORGIANNI, «Natura del pagamento e vizi di volontà del solvens», in Foro pad., 1962, I, p. 721; U. NATOLI, L’attuazione del rapporto obbligatorio, II, Il comportamento del debitore, in Trattato Cicu-Messineo continuato da Mengoni, Milano, 1984, p. 29 e ss.

(172) R. SACCO, I fatti e le situazioni strumentali, in R. SACCO-G. DE NOVA, Il contratto, II, cit., p. 293.

(173) A.P. SCARSO, «Venire contra factum proprium e responsabilità», in Resp. civ. prev., 2009, p. 518 e ss. Osserva R. SACCO, Il fatto, l’atto, il negozio, in Trattato di diritto civile diretto da R. Sacco, Torino, 2005, p. 246 e ss., che, sebbene in Italia il dovere di coerenza non sia«particolarmente sbandierato», esso non è estraneo alla nostra cultura giuridica; sembra anzi possibile affermare che quando taluno si avvale degli effetti di un negozio pur nella consapevolezza della sua cagione di invalidità o di risoluzione, poi non possasuccessivamente invocare tali rimedi.

(174) V. ROPPO, op. cit., p. 625 e ss.

(175) P. PERLINGIERI, I negozi su beni futuri, I, La compravendita di «cosa futura», Napoli, 1962, p. 152 e ss.; C.M. BIANCA, La vendita e la permuta, cit., p. 335; A.M. MUSY - S. FERRERI, La vendita, in Trattato di diritto civile diretto da R. Sacco, Torino, 2006, p. 204.

(176) V. ROPPO, op. cit., p. 598.

(177) R. CAVALLO BORGIA, Profili giuridici della vendita di cosa altrui, Milano, 1972, p. 27.Ad una vendita con efficacia reale differita (al momento del pagamento dell’ultima rata del prezzo) può sostanzialmente ricondursi anche la vendita con riserva della proprietà (R. CAVALLO BORGIA, op. cit., p.72 e ss.; P. GRECO - G. COTTINO, op. cit., p. 433 ss. A. LUMINOSO, ult. op. cit., p. 169 e ss.; F. NADDEO, Art. 1523- Passaggio della proprietà e dei rischi, in Commentario del codice civile diretto da E. Gabrielli, Dei singoli contratti, artt. 1470-1547, a cura di D. Valentino, cit., p. 479.), malgrado in dottrina non siano mancate diverse ricostruzioni di tale patto, anche nel senso di escludere che esso attenga al piano degli effetti reali; v., C.M. BIANCA, ult. op. cit., p. 520 e ss., che, muovendo dal sostanziale svuotamento della posizione proprietaria del venditore ancor prima del pagamento dell’ultima rata, ha ritenuto che il riservato dominio costituisca una clausola di garanzia finalizzata ad assicurare all’alienante il recupero del bene in caso di inadempimento del compratore e di risoluzione del contratto.

(178) C.M. BIANCA, ult. op. cit., p. 342. Incline a ritenere eseguibile la trascrizione solo dopo la venuta ad esistenza della cosa è D. RUBINO, op. cit., p. 190.Ai fini della nota di trascrizione (art. 2659, primo comma, n. 4, c.c.), per individuare l’immobile non ancora venuto ad esistenza si può far riferimento al nuovo testo dell’art. 2826 c.c., relativo all’iscrizione di ipoteca sui fabbricati in corso di costruzione, per la quale si richiede di precisare i dati di identificazione catastale del terreno su cui insistono.

(179) Cass., 21 luglio 2009, n. 16921, in Riv. not., 2010, p.1159, con nota di M.F. GIORGIANNI e D. CORONELLA,«Sulla trascrivibilità della vendita di cosa futura».

(180) V., ad esempio, quello al centro di Cass., 10 marzo1997, n. 2126, in Corr. giur., 1997, p. 1092, con nota di F. MACARIO, «Effetto traslativo nella vendita di cosa futura», in cui si trattava di far valere l’acquisto della titolarità verso terzi diversi dagli aventi causa di uno stesso venditore.

(181) F. MACARIO, op. cit., p. 1098.

(182) Cass., 10 marzo 1997, n. 2126, cit.; C.M. BIANCA, ult. op. cit., p. 46.

(183) A. LUMINOSO, La compravendita, cit., p. 240 e ss.; C.M. BIANCA, ult. op. cit., p. 655.

(184) U. GRASSI, Art. 1478 - Vendita di cosa altrui, in Commentario del codice civile diretto da E. Gabrielli, Dei singoli contratti, artt. 1470-1547, a cura di D. VALENTINO, cit., p. 224.

(185) Cass., 23 febbraio 2001, n. 2656, in Giust. civ. mass.,2001, p. 308.

(186) U. GRASSI, op. cit., p. 232. Come per la pubblicità della condizione sospensiva, però, anche il procedimento di trascrizione della vendita di cosa altrui sarà diviso in due tempi: inizialmente si trascriverà il contratto di compravendita precisando nella nota la ragione per cui non avviene l’immediato trasferimento del diritto; quando poi sarà trascritto l’atto di acquisto dall’alienante al compratore, verrà cancellata la precedente indicazione.

(187) A. LUMINOSO, ult. op. cit., p. 136. È chiaro che qui la trascrizione potrà giovare al compratore ex art. 2644 c.c. non certo in ordine ad alienazioni compiute verso terzi da parte del proprietario ma solo nel caso in cui il venditore, una volta divenuto proprietario del bene, lo venda nuovamente ad un terzo; G. MARICONDA, La trascrizione, in Trattato di diritto privato diretto da P. Rescigno, 19, Tutela dei diritti, I, II ed., Torino, 1997, p.97.

(188) R. NICOLÒ, La trascrizione, cit., p. 91, Ritengono invece eccezionale l’effetto prenotativo della trascrizione, e dunque insuscettibile di essere riferito oltre le ipotesi espressamente contemplate dalla legge, R. TRIOLA, Della tutela dei diritti. La trascrizione, cit., p. 43; F. GAZZONI, La trascrizione immobiliare, cit., p.133 e ss.

(189) C.M. BIANCA, ult. op .cit., p. 655 e ss. A questa ipotesi pare guardare anche Cass., 27 luglio 2009, n. 17458, in Giust. civ. mass., 2009, p. 1236, là dove statuisce che il promittente, al fine di procurare la proprietà del bene all’acquirente, può acquistare egli stesso la cosa dal terzo proprietario, ovvero conseguire il consenso di quest’ultimo al trasferimento. La prestazione del consenso da parte del vero proprietario all’avvenuta alienazione è avallata anche da R. NICOLÒ, ult. op. loc. cit., secondo cui un simile atto potrebbe pure essere trascritto ai sensi dell’art. 2645 c.c.

(190) C.M. BIANCA, ult. op .cit., p. 659 e ss.

(191) C.M. BIANCA, ult. op. cit., p. 659 e ss.; P. GRECO - G. COTTINO, op. cit., p. 171.

(192) D. RUBINO, op. cit., 330; G.B. FERRI, La vendita in generale. Le obbligazioni del venditore. Le obbligazioni del compratore, in Trattato di diritto privato diretto da P. Rescigno, 11, Obbligazioni e contratti, III, II ed., Torino,2000, p. 548.

(193) D. RUBINO, op. cit., p. 329; P. GRECO - G. COTTINO,op. cit., p. 168.

(194) U. GRASSI, op. cit., p. 227.

(195) P. SIRENA, op. cit., p. 64 e ss.; M. FRANZONI, Degli effetti del contratto, cit., p. 392 e ss.

(196) F. GAZZONI, Manuale, cit., p. 1092.

(197) Cass., 4 febbraio 1992, n. 1194, in Giur. it., 1993, I, p.1084. In tal caso l’individuazione consiste nel frazionamento dell’immobile, d’intesa fra le parti o finanche eseguito in forma specifica se l’alienante è reticente; M. FRANZONI, ult. op. cit., p. 408.

(198) F. GAZZONI, ult. op. cit., p. 123 e ss.

(199) P. SIRENA, op. cit., p. 66.

(200) In tal senso, G. GAZZARA, op. cit., p. 184.

(201) V. ROPPO, op. cit., p. 598.

(202) C.M. BIANCA, ult. op. cit., p. 283 e ss.; P. SIRENA, op. cit., p. 67; M. FRANZONI, ult. op. cit., p. 398 e ss.

(203) M. FRANZONI, ult. op. cit., p. 398.

(204) C.M. BIANCA, ult. op. cit., p. 289 e ss.

(205) C.M. BIANCA, ult. op. cit., p. 283, 287 e ss.

(206) Cass., 6 marzo 1999, n. 1925, in Giur. comm., 2000, II, p. 167, con nota di N. ABRIANI, «Dalle nebbie della finzione al nitore della realtà: una svolta nella giurisprudenza civile in tema di amministratore di fatto».

(207) Cass., 28 aprile 2011, n. 9466, in Giust. civ. mass.,2011, p. 671.

(208) Cass., 9 gennaio 1997, n. 108, in Banca borsa tit. cred.,1998, II, 301; Cass., 15 novembre 1995, n. 11834, inGiust. civ. mass., 1995, p. 1883. Analoga soluzione è stata adottata in ordine alla (mancata) costituzione del pegno costituito su b.o.t. e c.c.t. dei quali erano stati indicati soltanto gli importi e le date di scadenza, senza che si fosse provveduto anche alla loro registrazione sul conto dell’intermediario (v. infra, par.12); Cass., 27 ottobre 2006, n. 23268, in Banca borsa tit. cred., 2008, II, p. 308, con note di A.M. AZZARO, «Pegno rotativo su titoli dematerializzati, spossessamento e revocatoria fallimentare nel dialogo tra dottrina e giurisprudenza», e di N. DE LUCA, «Res quae tangi non possunt (a proposito di dematerializzazione, pegno e individuazione del “bene”)».

(209) Cass., 14 giugno 2000, n. 8107, in Giur. it., 2001, p.86, con nota di M. CALLEGANI, «Note in tema di dematerializzazione»; P. SIRENA, op. cit., p. 65 e ss.; M. FRANZONI, ult. op. cit., p. 410.

(210) Cass., 28 marzo 2008, n. 8063, in Resp. civ. prev., 2009, p. 348, con nota di A. FACCO, «Note sulla titolarità dell’interesse assicurativo e sulla determinazione della colpa grave dell’assicurato»; Cass., 4 novembre2002, n. 15389, in Giust. civ. mass., 2002, p. 1900.

(211) Cass., 26 marzo 2001, n. 4344, in Giust. civ. mass.,2001, p. 586.

(212) A.M. MUSY - S. FERRERI, op. cit., p. 106.

(213) Diversamente, G. GAZZARA, op. cit., p. 196 e ss.

(214) L’art. 1286 c.c. considera recettizia anche la dichiarazione formulata dal terzo; critica siffatta equipa-razione alla dichiarazione di scelta della parte G. GIAMPICCOLO, La dichiarazione recettizia, Milano, 1959, p. 52 e ss.

(215) G. MARICONDA, op. cit., p. 96; D. RUBINO, op. cit., p.410. Più dubbioso, invece, F. GAZZONI, La trascrizione, cit., p. 125 e ss.; contrario, R. TRIOLA, ult. op. cit., p. 31 e ss.

(216) U. BRECCIA, Le obbligazioni, cit., p. 211 e ss.

(217) C.M. BIANCA, ult. op. cit., p. 215 e ss.; D. RUBINO, ult. op. cit., p. 410 e ss.; P. SIRENA, op. cit., p. 53. Dalla immediatezza dell’effetto reale, peraltro, G. GAZZARA, op. cit., p. 199 e ss., escludeva del tutto l’ammissibilità della vendita con facoltà alternativa.

(218) Con riferimento alla facoltà del venditore, A.M. MUSY - S. FERRERI, op. cit., p. 107 e ss.

(219) Alcuni rilievi in tal senso in D. RUBINO, op. cit., 411; A.M. MUSY - S. FERRERI, op. cit., p. 108.

(220) La trascrizione della vendita con facoltà alternativa è ammessa senz’altro, con riferimento al bene già individuato, da chi ne sostiene l’immediata efficacia traslativa; v. F. GAZZONI, ult. op. cit., p. 127; R. TRIOLA, ult. op. cit., p. 33; D. RUBINO, ult. op. cit., p. 411.

(221) M. FRANZONI, ult. op. loc. cit.; C. CAMARDI, Vendita e contratti traslativi, cit., p. 79 e ss.; D. RUBINO - G. IUDICA, Dell’appalto, Art. 1655-1677, III ed., in CommentarioScialoja-Branca, Bologna-Roma, 1992, p. 339 e ss.; O. CAGNASSO, Contratto di appalto e trasferimento della proprietà, in Diritto privato, 1995, I, Il trasferimento in proprietà, p. 49 e ss.; C. GIANNATTASIO, L’appalto, II ed., in Trattato Cicu-Messineo continuato da Mengoni, Milano,1977, p. 12 e ss. Sulle forme dell’accettazione, v. anche M. GAMBINI, L’esecuzione del contratto, in I contratti di appalto privato, a cura di V. CUFFARO, in Trattato dei contratti diretto da P. Rescigno ed E. Gabrielli, Torino,2011, p. 206 e ss.

(222) O. CAGNASSO, La somministrazione, in Trattato di diritto privato diretto da P. Rescigno, 11, Obbligazioni e contratti, III, cit., p. 828; C. GIANNATTASIO, La permuta. Il contratto estimatorio. La somministrazione, II ed., in Trattato Cicu-Messineo, Milano, 1974, p. 226; C.M. BIANCA, ult. op. cit., p. 381 e ss.

(223) G. COTTINO, Del contratto estimatorio. Della sommini-strazione, Art. 1556-1570, in Commentario Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1972, p. 112 e ss.; M. FRANZONI, ult. op. cit., p. 362.

(224) G. COTTINO, op. cit., p. 18 e ss.; C. GIANNATTASIO, ult. op. cit., p. 134; A. DE MARTINI, Profili della vendita commerciale e del contratto estimatorio, Milano, 1950, p.468 e ss.

(225) G. COTTINO, op. cit., p. 10 e ss.; O. CAGNASSO, Il contratto estimatorio, in Trattato di diritto privato diretto da P. Rescigno, 11, Obbligazioni e contratti, III, cit., p. 810; A. LUMINOSO, Vendita. Contratto estimatorio, in Trattato di Diritto Commerciale diretto da V. Buonocore, Torino,2004, p. 397.

(226) G. BALBI, Il contratto estimatorio, II ed., in Trattato di diritto civile italiano diretto da F. Vassalli, Torino, 1960, p. 44 e ss., p. 88 e ss.; P. FORCHIELLI, «Il contratto estimatorio nella più recente dottrina», in Riv. trim. dir. proc. civ., 1955, p. 455 e ss.Il recesso è ammissibile anche per i contratti ad efficacia reale, in virtù della derogabilità del primo comma dell’art. 1373 c.c.; cfr. V. ROPPO, op. cit., p. 514.

(227) Alla condizione risolutiva collegata alla restituzione delle cose ricorre anche G. COTTINO, op. cit., p.25, pur precisando, in coerenza con la sua tesi, cheessa andrebbe riferita non «al trasferimento della proprietà della cosa (o delle cose) ma agli effetti scaturenti dal contratto estimatorio, cioè il conferimento del potere di disposizione da un lato, l’obbligo del pagamento del prezzo dall’altro»; v. anche C. GIANNATTASIO, ult. op. loc. cit.

(228) G. COTTINO, op. cit., p. 29.

(229) P. SIRENA, op. cit., p. 54 e ss.; C. SCOGNAMIGLIO, La conclusione e la rappresentanza, in Diritto civile, diretto da N. Lipari e P. Rescigno e coordinato da A. Zoppini, III, Obbligazioni, II, Il contratto in generale, Milano, 2009, p.221 e ss.

(230) G.R. POTHIER, Trattato dei contratti di beneficenza, in Opere di G.R. Pothier contenenti i Trattati del diritto francese, II, Livorno, 1836, n. 6 (p. 187).

(231) C.A. FUNAIOLI, La tradizione, cit., p. 643.

(232) V. ROPPO, op. cit., p. 128 e ss.; F. GAZZONI, Manuale, cit., p. 868; F. MASTROPAOLO, I contratti reali, in Trattato di diritto civile diretto da R. Sacco, Torino, 1999, p. 40 e ss.

(233) R. CALVO, Contratti e mercato, II ed., Torino, 2011,408.

(234)Cass., 3 dicembre 2007, n. 25180, in Riv. not., 2009,442, con nota di T. AGGIO, «Sul mutuo di scopoconsensuale»; Cass., 19 maggio 2003, n. 7773, inContratti, 2003, p. 1131, con note di N. MONTICELLI,«Contratto di finanziamento e rischio di cambio: il difficile equilibrio degli interessi contrapposti», e di V. GIORGI, «In tema di trasferimento del rischio di cambio inerente ad una somma di denaro oggetto di mutuo di scopo».Anche il carattere vincolante della promessa di mutuo, ex art. 1822 c.c., deve essere limitato al solo mutuo oneroso: è infatti coerente con la posizione accolta nel testo in ordine alla derogabilità della consegna sostenere che i contratti preliminari di contratti reali siano ammissibili esclusivamente in riferimento a contratti onerosi; V. ROPPO, op. cit., p.616; A. ORESTANO, La conclusione del contratto mediante consegna della cosa, in Trattato del contratto diretto da V. Roppo, I, Formazione, a cura di C. Granelli, Milano,2006, p. 307; F. MASTROPAOLO, op. cit., p. 36 e ss.; A. CHIANALE, Contratto preliminare, in Dig. disc. priv., sez. civ., IV, Torino, 1989, p. 286; U. NATOLI, I contratti reali, Milano, 1975, p. 36 e ss. Altro aspetto problematico connesso a quanto appena detto riguarda l’esecuzione in forma specifica della consegna. Se essa rappresenta l’oggetto di un’obbligazione nascente da un contratto consensuale parallelo al corrispondente tipo reale, come appunto può accadere per il mutuooneroso, allora sarà suscettibile di essere eseguita in forma specifica, direttamente aggredendo i beni del mutuante; A. DI MAJO GIAQUINTO, L’esecuzione del contratto, Milano, 1967, p. 354 e ss. Se, invece, ci troviamo in presenza di un preliminare di contratto reale la questione di un’esecuzione in forma specifica dell’obbligo a contrarre, ex art. 2932 c.c., è più problematica, come si dirà nel paragrafo seguente.In Francia, la giurisprudenza, a partire da Cass. 1 re, 28 mars 2000 (la massima si legge sul sito internet della Corte http://www.courdecassation.fr/publications_ cour_26/rapport_annuel_36/rapport_2000_98/troisi eme_partie_jurisprudence_cour_104/activites_econ omiques_commerciales_financieres_108/droit_cont rats_quasi_contrats_5884.html), ha adottato una soluzione ancor più netta, stabilendo che il mutuo, quando è concesso da un professionista, ad esempio una banca, abbandona il suo carattere reale, obbligando il mutuante al versamento della somma promessa; tale obbligazione può quindi essere eseguita in forma specifica. Nel caso in cui, invece, il mutuante non sia un professionista, il mutuo torna ad avere natura reale e il mancato rispetto della relativa promessa viene sanzionato solo con il risarcimento del danno; tuttavia, si ammette ormai anche Oltralpe che l’autonomia privata possa avvalersi di contratti consensuali e atipici di mutuo; v. PH. MALAURIE - L. AYNÈS - P-Y. STOFFEL MUNCK, Les obligations, 4 e éd., Paris, 2009, p. 212.

(235) V. ROPPO, op. loc. cit.; F. GALGANO, Il negozio giuridico, II ed., in Trattato Cicu-Messineo-Mengoni continuato da Schlesinger, Milano, 2002, p. 189; M. FRANZONI, Degli effetti del contratto, cit., p. 368; F. MASTROPAOLO, op. cit., p. 50 e ss.

(236) C. MANCINI, «La realità come scelta “atipica”», inRiv. dir. comm., 1999, I, p. 416.

(237) F. MASTROPAOLO, op. cit., p. 55.

(238) P. FORCHIELLI, I contratti reali, Milano, 1952, 95, p.110 e ss.

(239) D. CENNI, La formazione del contratto tra realità e consensualità, Padova, 1998, p. 60 e ss.; F. MASTROPAOLO, op. cit., p. 57.

(240) A. CHIANALE, L’ipoteca, cit., p. 59 e ss.; F. MACARIO,L’ipoteca, in Diritto civile, diretto da N. Lipari e P.Rescigno e coordinato da A. Zoppini, IV, Attuazione e tutela dei diritti, II, L’attuazione dei diritti, Milano, 2009, p.270; M. FRANZONI, ult. op. cit., p. 367 e ss.; G. GORLA - P. ZANELLI, Del pegno. Delle ipoteche, art. 2784-2899, IV ed., in Commentario Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1992, p.211.

(241) U. NATOLI, ult. op. cit., p. 65 e ss.; F. GAZZONI, Manuale, cit., p. 661; F. MACARIO, Il pegno, in Diritto civile, diretto da N. Lipari e P. Rescigno e coordinato da A. Zoppini, IV, Attuazione e tutela dei diritti, II, L’attuazione dei diritti, cit., p. 242. Cass., 26 gennaio 2010, n. 1526, in http://dejure.giuffre.it.

(242) E. GABRIELLI, Il pegno, in Trattato di diritto civile diretto da R. Sacco, Torino, 2005, p. 109 e ss.; R. SACCO, La consegna e gli altri atti di esecuzione, cit., p. 883; M. FRANZONI, ult. op. cit., p. 365 e ss.; D. CENNI, op. cit., p.203 e ss.; F. REALMONTE, Il pegno, in Trattato di diritto privato diretto da P. Rescigno, 19, Tutela dei diritti, I, cit., p. 828; P.M. VECCHI, op. cit., 59; G. GORLA - P. ZANELLI, op. cit., 56; L. MENGONI, Gli acquisti «a non domino», cit.,16, nota 36; A. MONTEL, Pegno (diritto vigente), in Noviss. Dig. it., XII, Torino, 1965, p. 794; G.P. CHIRONI, Trattato dei privilegi, delle ipoteche e del pegno, I, Parte generale, II ed., Torino, 1917, p. 562 e ss.Tale modello è stato accostato a quello tedesco, ove la costituzione del pegno richiede il concorso dell’accordo e della consegna (E. GABRIELLI, op. cit., p.110, nota 6); tuttavia, nell’ordinamento germanico la scissione fra titulus e modus è la regola, per cui è coerente in quel sistema rilevare che «zur Bestellung desPfandrechts an einer beweglichen Sache ist die Einigung über die Pfandrechtsbestellung und die Übergabe der Sache erforderlich» (F. BAUR - R. STÜRNER, op. cit., p. 42); il § 1205BGB, però, non sembra ritenere sufficiente il solo accordo al fine di vincolare il debitore, tanto più che in alternativa alla via contrattuale il pegno può essere costituito nel procedimento di esecuzione forzata attraverso il pignoramento (è il Pfändungspfandrecht di cui al § 804 ZPO); F. BAUR - R. STÜRNER, op. cit., p. 770.

(243) E. GABRIELLI, op. cit., p. 114 e ss., p. 126 e ss.

(244) E. GABRIELLI, op. cit., p. 223 e ss.

(245) Cass., 5 marzo 2004, n. 4520, in Fallimento, 2005, p.547, con nota di F. COMMISSO, «Sui requisiti del pegno rotativo»; Cass., 28 maggio 1998, n. 5264, in Banca borsa tit. cred., 1998, II, p. 485, con nota di A.M. AZZARO, «Il pegno “rotativo” arriva in Cassazione: ovvero “come la dottrina diventa giurisprudenza”».

(246) Y. PICOD, Droit des sûretés, cit., p. 276 e ss.

(247) Tradizionalmente si ritiene che al contratto preliminare di un contratto reale non possa essere applicato il rimedio dell’esecuzione in forma specifica dell’obbligo a contrarre, ex art. 2932 c.c., stante l’inidoneità della sentenza a supplire alla consegna. Tale conclusione, generalmente condivisa in dottrina, v. F. GAZZONI, Contratto preliminare, in G. ALPA - G. CHINÈ - F. GAZZONI - F. REALMONTE - L. ROVELLI, Il contratto in generale, II, in Trattato di diritto privato diretto da M. Bessone, Torino, 2000, p. 729 e ss.; A. CHIANALE, Contratto preliminare, cit., p. 287; U. NATOLI, I contratti reali, cit., p. 47, sembra peraltro coerente con la funzione della realità ed evita di attribuire alla statuizione giudiziale il potere di soppiantare un requisito legale di perfezionamento del negozio. Tuttavia, stante la tendenziale sovrapposizione che si ha fra le ipotesi (ricordate nel paragrafo precedente)del preliminare di un contratto reale oneroso e del contratto consensuale atipico produttivo di effetti corrispondenti a quelli del relativo contratto reale oneroso, non è sempre agevole distinguere in concreto le due fattispecie, malgrado esse siano trattate in modo ben diverso riguardo alla loro eseguibilità in forma specifica; A. ORESTANO, ult. op. cit., p.306.

(248) La natura del pegno è più sfumata qualora sia concesso da un terzo; v. L. BIGLIAZZI GERI - U. BRECCIAF.D. BUSNELLI - U. NATOLI, Diritto civile, 3, Obbligazioni e contratti, Torino, 1999 (rist.), p. 618 e ss.; D. RUBINO, Il pegno, in D. RUBINO - G.P. GAETANO, La responsabilità patrimoniale. Il pegno, i privilegi, in Trattato di diritto civile italiano diretto da F. Vassalli, Torino, 1956, p. 237 e ss.

(249) A. RAVAZZONI, Garanzia (diritti reali di), in Dig. disc. priv., sez. civ., VIII, Torino, 1992, p. 603.

(250) D. RUBINO, ult. op. cit., p. 235.

(251) L. BIGLIAZZI GERI - U. BRECCIA - F.D. BUSNELLI - U. NATOLI, ult. op. cit., p. 242.

(252) È dibattuta la natura delle garanzie sui diritti di proprietà industriale: parte della dottrina le accosta al pegno e, in particolare, al pegno su diritti diversi dai diritti di credito, mentre altra parte le riconduce al modello ipotecario, in ragione della somiglianza che con esso presenta il regime di pubblicità che ha sostituito lo spossessamento tipico del pegno, il quale, dunque, avrebbe in definitiva valore costitutivo ai fini della prelazione (art. 2808 c.c.), oltre ad esserecondizione essenziale per rendere opponibile la garanzia ai terzi «che a qualunque titolo [abbiano] acquistato e legalmente conservato diritti sul titolo di proprietà industriale» (art. 139, primo comma, c.p.i.). Non sono tuttavia ritenuti idonei a formare oggetto di una garanzia trascrivibile, bensì di pegno, ex art. 2806 c.c., i diritti personali di godimento dei titoli di proprietà industriale, in analogia con l’art. 2810 c.c., e i diritti concernenti domande di registrazione di diritti di proprietà industriale; così A. CHIANALE, «La funzione dei registri pubblicitari nella costituzione di garanzie reali su privative titolate», in Aida, 2009, p.117 e ss., 122.

(253) In particolare: Cervignano e Pontebba (UD), Cortina d’Ampezzo, Pieve di Livinallongo e Colle S. Lucia (BE), Pedemonte (VI), Magasa e Valvestino (BS).

(254) M. CUCCARO, Lineamenti di diritto tavolare, Milano,2010, p. 1 e ss. Rileva l’Autore come le simpatie del legislatore italiano verso il sistema del libro fondiario, seppure non lo indussero mai ad adottarlo per tutto il territorio nazionale, in ragione delle difficoltà organizzative che ciò avrebbe comportato, si manifestarono tuttavia quando lo introdusse per i possedimenti coloniali: nel 1909 in Eritrea, nel 1921 in Libia e nel 1925 a Rodi.

(255) G. TARELLO, Storia della cultura giuridica moderna, I,Assolutismo e codificazione del diritto, Bologna, 1976, p.29.

(256) La sigla n.t. sta per nuovo testo, intendendo l’ampio corpus di norme allegate al R.D. 499/1929.

(257) Riguardo all’usufrutto, la norma prevede un’eccezione per quello spettante agli esercenti la patria potestà sul minore, giacché, avendo fonte legale, sarà semmai oggetto di annotazione.

(258) G. GABRIELLI-F. TOMMASEO, Commentario della legge tavolare - Kommentar zum Grundbuchsgesetz, II ed., Milano, 1999, p. 259 e ss.

(259) M. COMPORTI, op. loc. cit.; S. RODOTÀ, «Note critiche in tema di proprietà», in Riv. trim. dir. proc. civ.,1960, p. 1330 e ss.

(260) G. GABRIELLI-F. TOMMASEO, op. cit., p. 262.

(261) F. GAZZONI, La trascrizione, cit., p. 593 e ss., p. 600 e ss.; R. TRIOLA, Della tutela dei diritti. La trascrizione, cit., p.100.

(262) Corte cost., 27 luglio 1989, n. 454, in Nuova giur. civ. comm., 1990, I, p. 292, con nota di M. DI NARDO. In tema, P. SIRENA, «L’opponibilità del provvedimento di assegnazione della casa familiare dopo la legge sull’affidamento condiviso», in Riv. dir. civ., 2011, II, passim e p.563, nota 12, ove si rileva che malgrado la sedes materiae della nuova disciplina sia quella della separazione personale dei coniugi, l’art. 6, comma sesto, L.898/1970, deve intendersi tacitamente abrogato in quanto incompatibile con le nuove disposizioni che si applicano, ex art. 4, secondo comma, L. 8 febbraio2006, n. 54, «anche in caso di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio, nonché ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati».

(263) Corte cost., 21 ottobre 2005, n. 394, in Riv. not.,2006, p. 489, con nota di G. CARLINI, «L’assegnazione dell’abitazione al genitore affidatario della prole naturale è trascrivibile anche se ciò non è espressamente previsto dal codice».

(264) M. CUCCARO, op. cit., p. 270.

(265) G. GABRIELLI - F. TOMMASEO, op. cit., p. 648; M.CUCCARO, op. cit., p. 72.

(266) G. GABRIELLI - F. TOMMASEO, op. cit., p. 412 e ss.

(267) Stabilisce la norma che la giustificazione è data: a) da una dichiarazione avente tutti i requisiti per l’intavolazione e proveniente da colui contro il quale è stata conseguita la prenotazione; b) nei casi di cui al primo comma dell’art. 38, da un atto provante che la sentenza è passata in giudicato o che i provvedimenti sono divenuti definitivamente esecutivi; c) nel caso di cui al capoverso dell’art. 38, dalla sentenza indicatanel secondo comma dell’art. 33 o dall’atto provante che il decreto di condanna è divenuto esecutivo; d) da una sentenza passata in giudicato che dichiari giustificata la prenotazione.

(268) G. GABRIELLI - F. TOMMASEO, op. cit., p. 480 e ss.; M. CUCCARO, op. cit., p. 24 e ss.

(269) G. GABRIELLI - F. TOMMASEO, op. cit., p. 362-364.

(270) G. GABRIELLI - F. TOMMASEO, op. cit., p. 380 e ss.

(271) M. CUCCARO, op. cit., p. 78 e ss.

(272) G. GABRIELLI - F. TOMMASEO, op. cit., p. 722.

(273) G. GABRIELLI - F. TOMMASEO, op. cit., p. 370.

(274) R. TRIOLA, Della tutela dei diritti. La trascrizione, cit., p.154.

(275) G. GABRIELLI - F. TOMMASEO, op. cit., p. 372 e ss., ammettono peraltro un’interpretazione estensiva della regola eccezionale in ordine alle ipotesi di sequestro e pignoramento dei beni ereditari, inquanto equiparabili ad una domanda giudiziale rappresentando l’inizio od il preludio del procedimento esecutivo.

(276) M. CUCCARO, op. cit., p. 38.

(277) Cass., 11 giugno 2005, n. 12382, in Giust. civ. mass.,2005, p. 1334.

(278) M. CUCCARO, op. cit., p. 44 e ss.

(279) M. CUCCARO, op. cit., p. 60 e ss.; G. GABRIELLI - F. TOMMASEO, op. cit., p. 16 e ss.

(280) G. GABRIELLI - F. TOMMASEO, op. cit., p. 10-12.

(281) Cass., 15 aprile 2008, n. 9881, in Giust. civ. mass.,2008, p. 578.

(282) G. GABRIELLI - F. TOMMASEO, op. cit., p. 12; M. CUCCARO, op. cit., p. 51.

(283) Per i riferimenti giurisprudenziali sull’animato dibattito, v. G. SICCHIERO, La trascrizione e l’intavo-lazione, in Giurisprudenza sistematica di diritto civile e commerciale fondata da W. Bigiavi, Torino, 1993, p. 247 e ss.

(284) Cass., S.U., 15 ottobre 1963, n. 2766, in Giust. civ.,1963, p. 2525.

(285) Cass., 9 giugno 2008, n. 15196, in Giust. civ. mass.,2008, p. 902; Cass., 23 marzo 1995, n. 3370, in Giur. it.,1996, I, p. 516, con nota di G. SICCHIERO, «Ancora sulla buona fede nel diritto tavolare»; Cass., 17 aprile1993, n. 4564, in Giust. civ. mass., 1993, p. 692; Cass., 21 marzo 1979, n. 1628, in Dir. giur. agr., 1981, p. 172.

(286) G. GABRIELLI - F. TOMMASEO, op. cit., p. 32; L. MENGONI, Problemi di diritto tavolare nel quadro dell’ordinamento italiano, in Convegno di studio sui problemi del libro fondiario - Trento, 15-16 ottobre 1971, Trento, 1972, p. 40 e ss.

(287) G. GABRIELLI - F. TOMMASEO, op. cit., p. 32-34. Critico, invece, G. SICCHIERO, «La “fede” dal diritto austriaco al sistema del libro fondiario», in Contr. impr.,1994, p. 426 e ss.

(288) G. GABRIELLI - F. TOMMASEO, op. cit., p. 840-842.

(289) M. CUCCARO, op. cit., p. 98.

(290) M. CUCCARO, op. cit., p. 92. Il concorso è parimenti escluso là dove si impugnino decreti che non dispongano un’intavolazione, quali quelli di rigetto della domanda; anche in tal caso l’unico rimedio esperibile è il reclamo.

(291) Rilievi critici in G. GABRIELLI - F. TOMMASEO, op. cit., p. 46-48.

(292) Prevede l’art. 61 L.tav. n.t., in apertura della disciplina dell’azione in cancellazione, che chi impugna in via contenziosa un’intavolazione da cui appare leso il suo diritto tavolare e chiede il ripristino dello stato tavolare anteriore può domandare al giudice tavolare l’annotazione di detta domanda; per effetto di tale annotazione, la sentenza che definisce la lite sarà efficace anche nei confronti di coloro cheabbiano conseguito diritti tavolari dopo la presentazione della domanda di annotazione.

(293) M. CUCCARO, op. cit., p. 129.

(294) M. CUCCARO, op. cit., p. 130 e ss.

(295) L. MENGONI, Gli acquisti «a non domino», cit., p. 305 e ss.

(296) M. CUCCARO, op. cit., p. 128 e ss.

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