- capitolo XV - l’atto notarile come strumento per la tutela dei diritti nel processo di cognizione (piena e sommaria)
- capitolo XV -
L’atto notarile come strumento per la tutela dei diritti nel processo di cognizione (piena e sommaria)
di Salvatore Di Meglio

1. La funzione di “documentazione” dell’atto notarile

Tradizionalmente, nell’ambito della cosiddetta funzione notarile, accanto alla funzione di adeguamento, viene individuata la cd. funzione di documentazione, anche detta di certificazione, cui fa espresso riferimento il primo comma dell’art. 1 L.N. Si tratta dell’attività mediante la quale il notaio raccoglie e racchiude le dichiarazioni di scienza e di volontà di uno o più soggetti in un documento atto per legge a suscitare certezze legali e a fornire prova fino a querela di falso. Si dice a questo proposito che detta funzione consiste nell’attribuzione della pubblica fede.
La funzione di certificazione viene esercitata in nome e per conto dello Stato, cui essa appartiene, delegata dal Dirigente del Ministero della giustizia al notaio, il quale per questo motivo appone all’atto, insieme alla sua sottoscrizione, il sigillo che reca lo stemma della Repubblica(1).
Si realizza qui uno di quei casi in cui attività di diritto pubblico, riservate allo Stato e ad altri enti pubblici, sono affidate a soggetti estranei alla pubblica amministrazione, che in tal modo vengono autorizzati a svolgere funzioni di spettanza di quest’ultima e che, per questo motivo, assumono una particolare posizione all’interno della struttura organizzativa della stessa(2). Ciò che, tuttavia, non toglie che, proprio con riferimento alla funzione notarile di certificazione, questa sia da considerare come un’attività attribuita al notaio in proprio, non essendo possibile considerare il notaio come un ‘organo’ dello Stato(3). Quello del notaio, infatti, è un ufficio pubblico, ma non è un ufficio della pubblica amministrazione, perché né svolge attività sostanzialmente amministrativa, né è incardinato in quell’apparato.
L’ufficio del notaio non appartiene allo Stato-persona o ad alcun altro apparato, ma è soltanto e immediatamente un ufficio della Repubblica, alla quale riferisce, in finale imputazione, i suoi atti e la sua attività complessiva(4).
È necessario precisare che la funzione certificativa non è appannaggio dei soli notai - come sarà meglio chiarito nel successivo paragrafo - ma si caratterizza nell’ambito della funzione notarile perché il notaio non si limita a rilasciare meri attestati certificativi, ma attribuisce una particolare efficacia probatoria al contenuto complessivo del documento. L’atto notarile, infatti, non costituisce una mera riproduzione di dichiarazioni rese al notaio, ma presuppone un’importante attività dello stesso, «logicamente e cronologicamente preliminare rispetto a quella della documentazione»(5). Il notaio, infatti, diversamente dagli altri pubblici ufficiali, utilizzando il linguaggio giuridico di cui è fornito e applicando le giuste forme per il raggiungimento dello scopo, è capace di creare un documento tendenzialmente univoco nel suo significato e corrispondente al senso obiettivo di quanto dichiaratogli. La peculiarità dell’atto pubblico notarile rispetto agli altri atti pure formati da un pubblico ufficiale sarà esaminata nel paragrafo seguente.

2. L’atto pubblico notarile come mezzo di prova

L’esame dell’atto pubblico notarile come mezzo di prova è inteso a verificare quale sia in concreto il contenuto della pubblica fede e quando l’atto pubblico possa dirsi realmente fidefacente.
Il codice civile, all’art. 2699 c.c., definisce l’atto pubblico come «il documento redatto, con le richieste formalità, da un notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato ad attribuirgli pubblica fede nel luogo dove l’atto è formato» ed aggiunge, occupandosi della sua efficacia (art. 2700 c.c.), che esso «fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato, nonché delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o da lui compiuti».
Benché l’art. 2699 c.c. sembri offrire una definizione unitaria di «atto pubblico», la realtà dimostra che esiste una molteplicità di atti pubblici, sia sotto il profilo soggettivo, sia sotto il profilo di quelle che il legislatore chiama «le richieste formalità»(6). Si tratta di una varietà costantemente incrementata dall’opera della giurisprudenza, la quale, dimostrando talora di non riconoscere all’atto pubblico la suddetta varietà di contenuti, tende a ricondurre nell’ambito dell’astratta fattispecie di legge «ogni scritto redatto da un pubblico ufficiale per uno scopo inerente alle sue funzioni», ammettendo finanche che il concetto di atto pubblico - ai fini della repressione del falso materiale e ideologico - sia più ampio di quello che si desume dalla definizione contenuta nell’art. 2699 c.c., per ricomprendere non solo gli atti formati da pubblici documentatori, ma anche i documenti «formati dal pubblico ufficiale o dal pubblico impiegato incaricato di un pubblico servizio nell’esercizio delle sue funzioni»(7).
In buona sostanza, per la giurisprudenza, è pubblico ufficiale ogni soggetto munito di pubbliche funzioni e sono atti pubblici tutti gli accertamenti da lui compiuti nello svolgimento di tali funzioni. In realtà, questa impostazione - ispirata all’esigenza di reprimere comportamenti di pubblici amministratori contrastanti con il principio di legalità dell’azione amministrativa e con l’esigenza di buon andamento e imparzialità dell’amministrazione - non appare convincente, perché la circostanza che un determinato documento sia formato da un pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni è sicuramente condizione necessaria, ma non anche sufficiente affinché il documento pubblico si possa considerare fidefacente allo stesso modo tutte le volte che i minima standard ricorrono; al contrario, è necessario che la legge attribuisca in modo non equivoco al pubblico ufficiale una specifica funzione certificativa e con ciò stesso la capacità d’essere fonte di produzione di pubbliche certezze.
A questo punto, devono indicarsi taluni «altr[i] pubblic[i] ufficial[i]» ai quali la legge conferisce in prevalenza un potere di pubblica documentazione. Si pensi, innanzitutto, agli ufficiali dello stato civile, i quali, tra l’altro, hanno il compito di ricevere e verbalizzare le dichiarazioni di terzi in materia di status, attribuendo pubblica fede, ai sensi dell’art. 451 c.p.c., alle relative rappresentazioni documentali. Oppure agli ‘ufficiali roganti’, funzionari di alcune amministrazioni pubbliche, ai quali è invece conferito il potere di stipulare atti amministrativi che hanno valore di piena prova (così, l’art. 16, R.D. 18 novembre 1923, n. 2440, recante “Nuove disposizioni sull’amministrazione del patrimonio e sulla contabilità dello Stato”, attribuisce ad un pubblico ufficiale appositamente delegato a rappresentare l’amministrazione, la funzione di stipulare i contratti in cui questa è parte, atti che vengono ricevuti da un funzionario designato quale ufficiale rogante, autorizzato anche a redigere i processi verbali di aggiudicazione nelle aste e nelle licitazioni private).
Un’attività di pubblica documentazione è altresì svolta dai cancellieri degli uffici giudiziari, i quali redigono e sottoscrivono i verbali di udienza, ricevono da terzi i cd. atti di notorietà, nonché le dichiarazioni di accettazione dell’eredità o di rinunzia alla stessa. E ancora, tra i più comuni dipendenti pubblici cui è attribuita una funzione documentativa figurano il segretario comunale, l’ufficiale postale, l’agente di polizia e le autorità consolari, ma anche il conservatore di pubblici registri, il quale è tenuto, a fronte della richiesta dell’interessato e previa verifica della legittimità della stessa, ad iscrivere ed annotare gli atti che gli vengono presentati.
Dunque, talora l’ordinamento attribuisce a soggetti diversi dal notaio singole competenze altrimenti riconducibili alla generale funzione notarile, ma è giocoforza ritenere che la circostanza che l’atto provenga da un pubblico ufficiale non sia di per sé sola indicativa della sua fidefacenza.
Si pensi, per fare un esempio, all’ambito delle violazioni del codice della strada, ove si ritiene generalmente che per contestare le affermazioni contenute in un verbale proveniente da un pubblico ufficiale su circostanze di provenienza sensoriale, come tali suscettibili di errore di fatto, non sia necessario proporre querela di falso, ma sia sufficiente fornire prove idonee a vincere la presunzione di veridicità del verbale, secondo l’apprezzamento rimesso al giudice del merito(8).
In buona sostanza, si vuol dire che la forza probante dell’atto pubblico, espressa in modo pregnante dalla formula normativa che attribuisce ‘pubblica fede’ al documento redatto dal notaio o da altro pubblico ufficiale competente, è il riflesso della qualificazione soggettiva del suo autore, nonché della qualificazione oggettiva della attività compiuta (le «richieste formalità» di cui all’art. 2699 c.c., che il notaio è tenuto per legge a compiere per la perfezione di un documento nel quale possano essere riconosciute le caratteristiche strutturali dell’atto pubblico).
Ora, proprio avendo riguardo alle caratteristiche dell’attività compiuta, vi è che il notaio, a differenza di qualunque altro pubblico ufficiale, non si limita a registrare la volontà delle parti, ma compie ogni più opportuna attività diretta ad adeguare la volontà delle parti a quella della legge, indicando ad esse attraverso quali strumenti giuridicamente corretti raggiungere lo scopo concordemente prefigurato (cd. funzione di adeguamento). Il notaio, infatti, nel ridurre per iscritto il contenuto delle dichiarazioni resegli e applicando le giuste forme per il raggiungimento dello scopo, è capace di creare un documento tendenzialmente univoco nel suo significato e corrispondente al senso obiettivo di quanto dichiaratogli.
In alcuni casi, questa peculiarità del notaio è stata riconosciuta anche dalla giurisprudenza, la quale ha osservato come la pubblica fede cui fa riferimento l’art. 1 L.N. possa inquadrarsi in «quella che è stata definita la funzione ‘antiprocessuale’ del notaio, avente ad oggetto la certezza dei rapporti giuridici, alla cui tutela è essenzialmente preordinata la sua funzione: egli, infatti, non è passivo strumento di nuda registrazione delle dichiarazioni delle parti, ma pubblico ufficiale obbligato ad operare perché non sia turbata la certezza dei rapporti giuridici. Tale funzione ed obbligo del notaio emergono dall’art. 1 della L.N., che individua detta funzione nell’attribuzione della ‘pubblica fede’ agli atti da lui redatti»(9).
A giustificare tale pubblica fede - e la certezza che ne deriva - sono il divieto di ricevere atti contrari alla legge, previsto dall’art. 28 L.N., ma anche tutte le altre disposizioni della legge notarile poste a garanzia della corretta trasposizione della volontà delle parti nel documento pubblico(10).
In sintesi, dunque, si può ritenere che la pubblica fede connoti un atto solo quando compiuto da un soggetto tecnicamente preparato ed imparziale e attiene alla sua affidabilità. Consegue che, se è vero che talvolta l’ordinamento attribuisce a soggetti diversi dal notaio singole competenze altrimenti riconducibili alla generale funzione notarile, è altrettanto vero che solo al notaio spetta, in virtù del suo stato professionale, una competenza di carattere istituzionale. L’art. 1 della L.N., infatti, prevede che «[i] notari sono ufficiali pubblici istituiti per ricevere gli atti tra vivi e di ultima volontà [e] attribuire loro pubblica fede»(11). È, dunque, il valore aggiunto del notaio ciò che distingue (da ogni altro, pure pubblico senz’altro) l’atto pubblico notarile.

2.1 L’efficacia probatoria dell’atto notarile informatico

In attuazione dell’art. 65 della L. 69/2009 - che delegava il Governo ad adottare, entro un anno dalla data di entrata in vigore della legge, uno o più decreti legislativi in materia di ordinamento del Notariato con riferimento alle procedure informatiche e telematiche per la redazione dell’atto pubblico, l’autenticazione di scrittura privata, la tenuta dei repertori e registri e la conservazione dei documenti notarili - è stato emanato il D.lgs. 2 luglio 2010, n. 110, recante «Disposizioni in materia di atto pubblico informatico redatto dal notaio»(12).
Detto decreto ha introdotto, dunque, nel nostro ordinamento la figura dell’atto notarile informatico - per tale intendendosi sia l’atto pubblico redatto con modalità informatiche, sia la scrittura privata autenticata mediante l’utilizzo di modalità informatiche - al fine di dare piena equiparazione, sul piano degli effetti giuridici, all’atto pubblico ed alla scrittura privata autenticata con strumenti informatici rispetto ai corrispondenti documenti cartacei. L’impianto complessivo della legge notarile è stato così risistemato per far posto alle nuove tipologie di atti notarili previsti dal decreto.
L’atto pubblico redatto con modalità informatiche viene ricevuto dal notaio alla presenza delle parti e, eventualmente, di due testimoni. Il notaio «indaga la volontà delle parti e sotto la propria direzione e responsabilità cura la compilazione integrale dell’atto». Anche se non specificamente richiamati, si applicano anche all’atto pubblico informatico l’art. 28 L.N. (controllo di legalità) e l’art. 54 reg. not. (verifica delle autorizzazioni, della legittimazione e dei poteri di rappresentanza). Più in generale, trovano applicazione all’atto pubblico informatico tutte quelle disposizioni ‘sostanziali’ della legge notarile, la cui ratio ha carattere generale, e prescinde dal tipo di supporto utilizzato (cartaceo o informatico)(13). L’osservanza delle modalità informatiche prescritte dalla legge consente di produrre un atto che ha la medesima efficacia probatoria dell’atto pubblico cartaceo di cui all’art. 2700 c.c.
Riguardo alla autenticazione delle scritture private, invece, l’art. 47-bis, 2° comma, L.N., stabilisce che l’autenticazione di cui all’articolo 2703 c.c., 2° comma, c.c. è regolata, in caso di utilizzo di modalità informatiche, dall’articolo 25 del D.lgs. 7 marzo 2005, n. 82 (cd. codice dell’amministrazione digitale).
In proposito, si è rilevato che l’esame dell’art. 25 del D.lgs. n. 82/2005 (come modificato dal D.lgs. 30 dicembre 2010, n. 235) deve essere coordinato con quanto stabilisce l’art. 2703 e l’art. 72 L.N., onde risulta che a) l’autenticazione della firma digitale o elettronica delle parti consiste in una ‘attestazione’ da parte del notaio; b) detta ‘attestazione’ può essere contenuta nello stesso documento informatico, o in un documento informatico ulteriore e collegato con quello che reca le firme digitali o elettroniche delle parti (arg. ex artt. 1, comma 1, lett. q, 23, commi 3 e 5, 24, comma 1, D.lgs. n. 82/2005)(14).
Inoltre, per effetto della modifica apportata al testo dell’art. 25 del D.lgs. n. 82/2005 ad opera del D.lgs. 235/2010, si è espressamente previsto, in relazione all’autenticazione delle scritture private, che la firma elettronica possa consistere anche «nell’acquisizione digitale della sottoscrizione autografa». Prima di tale modifica, questa possibilità era prevista soltanto per l’atto pubblico informatico dall’ultima parte del comma 1 dell’art. 52-bis L.N., introdotto dal D.lgs. 110/2010.
Una parte della dottrina aveva però ritenuto di poter estendere analogicamente tale previsione anche al caso della autenticazione delle scritture private, essendo gli accertamenti notarili relativi all’identità personale del soggetto che sottoscrive l’atto in tutto identici nei casi dell’autenticazione e dell’atto pubblico(15). La richiamata modifica dell’art. 25 del codice dell’amministrazione digitale rende ora possibile per il notaio procedere all’autenticazione della firma elettronica, anche quando questa sia stata formata mediante acquisizione digitale della sottoscrizione autografa. Resta ferma, naturalmente, la necessità del previo accertamento dell’identità personale del sottoscrittore e della conformità con l’ordinamento giuridico del documento sottoscritto.
Riguardo, invece, alle copie autentiche degli atti conservati dal notaio rogante o autenticante, l’art. 68-ter L.N. prescrive che «1. Il notaio può rilasciare copie su supporto informatico degli atti da lui conservati, anche se l’originale è stato formato su un supporto analogico. Parimenti, può rilasciare copie su supporto cartaceo, degli stessi atti, anche se informatici. 2. Quando l’uso di un determinato supporto non è prescritto dalla legge o non è altrimenti regolato, il notaio rilascia le copie degli atti da lui conservati sul supporto indicato dal richiedente. 3. Il notaio attesta la conformità del documento informatico all’originale o alle copie apponendo la propria firma digitale».
Dunque, la legge notarile prevede oggi tre diverse tipologie di copie autentiche:
- le copie autentiche su supporto informatico degli atti conservati dal notaio rogante o autenticante;
- le copie autentiche di documenti esibiti al notaio;
- le copie autentiche di documenti cartacei o informatici, da allegarsi ad atti notarili rispettivamente informatici o cartacei(16).

3. La funzione di “prova scritta” dell’atto notarile nel procedimento monitorio: gli estratti autentici delle scritture contabili (art. 634, comma 2, c.p.c.)

La funzione di documentazione del notaio acquista una particolare rilevanza nell’ambito del procedimento monitorio disciplinato dagli artt. 633 e ss. c.p.c. Qui la prova richiesta per la emissione del decreto ingiuntivo è la peculiare ‘prova scritta’ prevista dall’art. 634 c.p.c., la quale può trarsi da qualsiasi documento degno di fede, quanto all’autenticità, anche se proveniente da terzi, ancorché privo dell’efficacia probatoria assoluta di cui agli artt. 2700 e 2702 c.c. e quindi sprovvisto della capacità di fornire la prova piena dell’esistenza del diritto (Cass., sez. I, 14 marzo 1995, n. 2924; Cass., sez. lav., 9 ottobre 2000, n. 13429; Cass., sez. I, 24 luglio 2000, n. 9685)(17).
Un’ipotesi significativa di efficacia legale della prova scritta, prevista dal 2° comma dell’art. 634 c.p.c. è costituita dagli estratti autentici della scritture contabili. Tali documenti, purché regolarmente bollati e vidimati nelle forme di legge, sono idonei a fondare l’emissione di un’ingiunzione per i crediti relativi a somministrazioni di merci e di denaro, nonché per prestazioni di servizi, anche nei confronti di soggetti che non siano imprenditori, in deroga all’art. 2710 c.c., che prevede un’efficacia probatoria di dette scritture, a favore dell’imprenditore, solo nei rapporti con altri imprenditori(18).
Come è stato osservato, nel sistema originario del codice, la mancanza di una chiara imputabilità ad un determinato soggetto delle scritture contabili aveva indotto il legislatore a prevedere la preventiva vidimazione del libro, consistente nella numerazione e bollatura in ogni foglio da parte dell’ufficio del Registro delle imprese o di un notaio. Ciò garantiva, da un lato, «la riferibilità del libro ad un certo imprenditore (individuale o societario) e, dall’altro lato, la immodificabilità dei dati che, una volta riportati su carta, diventavano definitivi per il semplice fatto di essere contenuti in un supporto preventivamente validato e riportati in esso secondo le regole di una ordinata contabilità»(19). La vidimazione tutelava l’identità del libro e impediva la sua sostituzione in tutto o in parte, costituendo il presupposto per il valore probatorio delle scritture contabili.
Tuttavia, la L. n. 383 del 18 ottobre 2001, intervenendo sul testo dell’art. 2215 c.c., ha disposto l’abrogazione dell’obbligo di vidimazione e bollatura(20)sia per il libro giornale che per il libro degli inventari, mantenendo fermo soltanto l’obbligo di numerazione progressiva delle pagine(21). Cosicché, è venuto a crearsi un problema di coordinamento tra l’art. 634, comma 2, c.p.c., che - come si è detto - prescrive la vidimazione e la bollatura (nonché la regolare tenuta) delle scritture contabili da cui vengono estrapolati gli estratti autentici, ai fini della concessione del decreto ingiuntivo, e l’attuale testo dell’art. 2215 c.c., che invece esclude l’obbligo di vidimazione e bollatura per il libro giornale e per il libro degli inventari (art. 2218 c.c.).
Al riguardo, sono state prospettate in dottrina tre differenti soluzioni interpretative(22).
In primo luogo, è stato osservato che potrebbe ritenersi implicitamente abrogato, alla luce del nuovo testo dell’art. 2215 c.c., l’obbligo della bollatura e della vidimazione, sul presupposto che l’art. 634 c.p.c. conterrebbe un implicito riferimento ai requisiti formali richiesti dall’art. 2215 c.c.: secondo questa interpretazione, anche i libri contabili non vidimati e bollati potrebbero essere utilizzati per ottenere il rilascio del decreto ingiuntivo.
La seconda soluzione prospettata è quella di ritenere che i libri contabili per i quali l’art. 2215 c.c. non richiede più la vidimazione e la bollatura non possano essere utilizzati ai fini del rilascio del decreto ingiuntivo, atteso che la giurisprudenza tradizionalmente riconnette lo specifico valore probatorio degli estratti autentici alla sussistenza di specifici requisiti di regolarità e di formalità delle scritture, i quali sono assicurati dall’ottemperanza alle suddette formalità.
Infine, secondo una terza soluzione, i requisiti della vidimazione e della bollatura continuerebbero ad avere rilevanza, ma soltanto sul piano probatorio, onde sarebbe lasciata all’imprenditore la scelta, pur prevista dall’art. 2218 c.c., se bollare o meno le proprie scritture contabili ai fini di un eventuale futuro utilizzo ai sensi dell’art. 634 c.p.c.
Nell’incertezza del quadro normativo, non è agevole dare una risposta al problema. Secondo la citata dottrina(23), infatti, la prima soluzione potrebbe svuotare di significato la ratio sottesa all’art. 634 c.p.c., ove la peculiare efficacia a favore dell’imprenditore delle scritture contabili è giustificata proprio dalla necessità di bilanciare l’anomalia rappresentata dal fatto che le scritture contabili fanno prova a favore dell’imprenditore, benché provengano da esso medesimo. Ma anche la seconda soluzione appare insoddisfacente, perché escludere del tutto qualsiasi efficacia delle scritture contabili a favore dell’imprenditore significa vanificare l’intento del legislatore di introdurre uno strumento processuale di sicura semplificazione e agevolazione per la gestione del contenzioso dell’imprenditore.
Per quanto concerne, invece, la terza soluzione, si è giustamente osservato come essa in realtà attribuisca al dato normativo un significato che sembra andare ben oltre le intenzioni del legislatore, il quale probabilmente non si è posto un problema di coordinamento tra le norme. È lecito pensare, infatti, che detti problemi di coordinamento siano derivati da una mera svista del legislatore e non siano espressione di una scelta consapevole.
Dunque, nell’attuale contesto normativo, nessuna delle tre soluzioni interpretative sembra essere certa e definitiva. Tuttavia, la soluzione che appare preferibile è la prima e cioè quella favorevole ad estendere l’efficacia di «prova scritta» di cui all’art. 634 c.p.c. anche alle scritture contabili non vidimate, né bollate. Se, infatti, l’efficacia probatoria fosse esclusivamente connessa alla vidimazione e alla bollatura, è molto probabile che ogni imprenditore, nonostante l’abolizione dell’obbligo, continuerebbe a far bollare e vidimare le scritture contabili, in vista della futura e soltanto eventuale utilizzazione delle stesse nell’ambito di un procedimento monitorio. Ma ciò renderebbe del tutto superfluo l’intervento legislativo, che invece è improntato alla semplificazione delle formalità contabili.
Tale soluzione interpretativa è stata accolta anche da una recente giurisprudenza. A fronte, infatti, di un orientamento tradizionale, che ritiene preferibile tenere distinto il piano della regolare tenuta dei libri contabili da quello della loro efficacia probatoria (cosicché, ai fini dell’ottenimento del decreto ingiuntivo, i libri contabili devono essere necessariamente vidimati e bollati oltre che regolarmente tenuti e, in difetto di tali formalità, non potranno costituire idonee prove scritte per l’emissione del decreto ingiuntivo)(24), si registra una pronuncia favorevole alla concessione del decreto ingiuntivo anche in mancanza di vidimazione e bollatura(25). Tanto considerato, e per ritornare alla questione da cui si era partiti, si ritiene che la scelta di una soluzione piuttosto che un’altra non incida sull’estensione dell’accertamento compiuto dal notaio in sede di rilascio degli estratti autentici delle scritture contabili. Infatti, anche ove la vidimazione e la bollatura si considerino requisiti irrinunciabili ai fini probatori, il notaio potrà procedere al rilascio di estratti autentici pur quando il registro sia sprovvisto di vidimazione e bollatura, nel qual caso, però, sempre che si aderisca a tale impostazione, non potrà essere utilizzato per la concessione del decreto ingiuntivo.
Per quanto concerne, invece, gli estratti autentici delle scritture contabili prescritte dalle leggi tributarie (ivi compreso il registro Iva), con la citata L. n. 383/2001 il legislatore è intervenuto anche sull’art. 39 del D.P.R. n. 633/1972 e sull’art. 22 del D.P.R. n. 600/1973, sopprimendo la bollatura e lasciando in vita soltanto l’obbligo di numerazione progressiva delle pagine. Poiché anche l’art. 634 c.p.c. non prevede che tali scritture siano bollate e vidimate, ai fini della concessione del decreto ingiuntivo sarà sufficiente la loro regolare numerazione e l’osservanza delle formalità prescritte dall’art. 2219 c.c.(26)
Un’ultima considerazione va fatta con riferimento al caso in cui il libro contabile sia tenuto su supporto informatico (art. 2215-bis c.c.). Occorrendo tale eventualità, il notaio, verificata la validità delle firme del documento informatico, rilascia l’estratto autentico cartaceo certificando la conformità di questo all’originale e apponendo la sua firma.

3.1. Segue: L’attestazione della regolare tenuta di libri o registri della P.A. (art. 635, comma 1, c.p.c.)

L’intervento certificativo del notaio nell’ambito del procedimento monitorio si realizza anche ai sensi dell’art. 635, 1° comma c.p.c., il quale prevede che i libri o i registri, autenticati da un notaio o da un funzionario autorizzato, costituiscono prove idonee all’emissione di un decreto ingiuntivo in favore della P.A.
Ancorché la legge faccia espresso riferimento ai soli libri e registri, ha chiarito che prove idonee all’esperimento dell’azione di ingiunzione, a norma dell’art. 635 c.p.c., sono anche gli estratti di dette scritture, sempre che ne sia attestata la regolare tenuta(27).
Dunque, il notaio può attestare la conformità all’originale tanto dei libri e dei registri della P.A., quanto degli estratti di dette scritture, purché tenute regolarmente.

3.2. Segue: L’atto notarile quale fondamento della provvisoria esecutorietà del decreto ingiuntivo (art. 642, comma 1, c.p.c.)

In via di principio, il decreto ingiuntivo, emesso sulla base della «prova scritta» di cui all’art. 634 c.p.c., acquista l’efficacia esecutiva soltanto a seguito della mancata opposizione dell’ingiunto (art. 647 c.p.c.) o del rigetto dell’opposizione con sentenza passata in giudicato o provvisoriamente esecutiva (art. 653 c.p.c.). Tuttavia, in particolari ipotesi, l’attribuzione della provvisoria efficacia esecutiva al provvedimento monitorio è invece concessa dal giudice a fronte di una documentazione ritenuta particolarmente probante, la cui attendibilità è tale da far ritenere presumibilmente certo il credito azionato dal ricorrente e, correlativamente, meno probabile la fondatezza dell’eventuale opposizione del debitore ingiunto.
Si tratta delle ipotesi previste dal 1° comma dell’art. 642 c.p.c., che elenca una serie di atti in presenza dei quali sussiste l’obbligo del giudice che emette il decreto ingiuntivo di concedere, su istanza del ricorrente, la provvisoria esecuzione. In questo catalogo compare anche l’atto ricevuto dal notaio, ma non è compresa la scrittura privata autenticata, onde si ripropone il fondamentale interrogativo se l’elenco contenuto nella disposizione in questione sia tassativo oppure no.
Tradizionalmente, la tassatività dell’elenco è stata giustificata con la forza esecutiva degli atti stragiudiziali contenuti nell’elenco. Tuttavia, a ben vedere, precedentemente alla modifica dell’art. 474 c.p.c., l’ atto ricevuto da notaio non era titolo esecutivo per la consegna di cosa mobile, eppure la dizione generica dell’art. 642 c.p.c. legittimava anche in questo caso l’emissione di un decreto provvisoriamente esecutivo. Oggi, però anche la scrittura privata autenticata è titolo esecutivo limitatamente alle somme di denaro, eppure l’art. 642 c.p.c. continua a non fare alcun cenno ad essa(28).
Sembrerebbe, allora, che la ragione della norma non possa più rivenirsi nella forza esecutiva degli atti stragiudiziali contenuti nell’elenco, ma trovi piuttosto il suo fondamento nell’elevato grado di certezza che, nella prospettiva del suo utilizzo in funzione probatoria, la formazione del documento è in grado di assicurare.
In questa prospettiva, è certamente difficile negare pari efficacia ad atti che, pur non esplicitamente elencati, siano comunque frutto di un percorso che conferisce agli stessi un’indubbia certezza ed affidabilità quanto alla loro formazione. E questo è proprio il caso della scrittura privata autenticata.
È stato osservato, a tal proposito, che è alquanto singolare che un documento, il quale sia già di per sé titolo idoneo all’esecuzione forzata, sia pure relativamente alle sole obbligazioni di somme di denaro in essa contenute (art. 474, 2° comma, n. 2 c.p.c.), non sia tuttavia incluso nell’elenco di cui al 1° comma dell’art. 642 c.p.c., ma sia ricompreso tra gli atti di cui al comma 2° della medesima disposizione, ossia tra le prove scritte - genericamente qualificate come «documentazione sottoscritta dal debitore» - «sulla cui base il giudice della fase sommaria può - e non deve - concedere l’esecuzione provvisoria del decreto ingiuntivo»(29).
Sicuramente, c’è un problema di coordinamento tra le due norme. Sarebbe stato, infatti, più opportuno che il legislatore fosse intervenuto sul primo capoverso dell’art. 642 c.p.c., onde raccordare l’esecuzione provvisoria ‘vincolata’ ivi prevista con l’ampliamento del novero dei titoli esecutivi di cui all’art. 474 c.p.c.(30).
Ma si può credere che il dato letterale non impedisca tuttavia una diversa lettura della norma, che faccia leva proprio sul significato che può essere attribuito all’intervento del notaio (o del pubblico ufficiale autorizzato), il quale, consentendo di acquisire, mediante l’attività di autenticazione, la presunzione, fino a querela di falso, dell’attribuzione delle dichiarazioni contenute nella scrittura al sottoscrittore, integra proprio quella particolare certezza alla quale il legislatore dà affidamento ai fini della provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo(31).
Diversamente, l’intervento del notaio dovrebbe considerarsi neutro, per non dire inutile. Infatti, ai sensi dell’art. 642, comma 2, c.p.c., anche una semplice scrittura privata non autenticata è titolo idoneo per la provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo, ai sensi del comma 2° dell’art. 642 c.p.c. A maggior ragione, allora, potrebbe ritenersi che «la scrittura autenticata [sia] idonea a fondare la richiesta di provvisoria esecutività inaudita altera parte, ai sensi del 1° e non del 2° comma dell’art. 642 c.p.c., a condizione che provenga dal debitore, rientri nell’accezione dell’art. 2702 c.c. e contenga, come oggetto diretto ed immediato, «la consacrazione convenzionale di un rapporto obbligatorio»(32).
Peraltro, sempre nella medesima prospettiva di rinvenire nel processo formativo del documento le ragioni di quella particolare certezza alla quale il legislatore dà affidamento ai fini della provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo (ci si riferisce alla già richiamata ‘affidabilità’), potrebbe ammettersi che la produzione di una scrittura privata autenticata consenta di imporre al giudice il rilascio di un decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo anche per la consegna di cosa mobile determinata, sussistendo l’identica certezza(33).

4. L’autenticazione della domanda giudiziale ai fini della trascrizione nei Registri immobiliari

Vien fatto di chiedersi se il notaio possa autenticare (il documento contenente) la domanda giudiziale ai fini della sua trascrizione nei Registri immobiliari.
L’art. 2658 c.c. prevede che «per la trascrizione di una domanda giudiziale occorre presentare copia autentica del documento che la contiene, munito della relazione di notifica alla controparte». La disposizione non specifica chi è il soggetto tenuto al rilascio della copia autentica dell’atto, cosicché la disciplina deve essere integrata con il riferimento all’art. 744 c.p.c., a termini del quale i «cancellieri e i depositari di pubblici registri sono tenuti, eccettuati i casi determinati dalla legge, a spedire a chiunque ne faccia istanza le copie e gli estratti degli atti giudiziari da essi detenuti, sotto pena dei danni e delle spese».
Dunque, la legge attribuisce al cancelliere una specifica competenza al rilascio di copie conformi degli «atti giudiziari», per tali dovendosi intendere, secondo una parte della dottrina (non soltanto gli atti del giudice, ma in generale) tutti gli atti del procedimento giurisdizionale, chiunque sia il loro autore(34), dunque, anche l’atto di citazione.
Ed è proprio rispetto a tale atto processuale - o, per meglio dire, rispetto al rilascio di copie conformi dell’atto di citazione ai fini della trascrizione - che la giurisprudenza ha esteso il generale potere di autentica del cancelliere anche all’ufficiale giudiziario, in virtù di un’interpretazione estensiva dell’art. 111 del D.P.R. 15 dicembre 1959, n. 1229 (Ordinamento degli ufficiali giudiziari), a termini del quale «l’ufficiale giudiziario, quando deve provvedere alla notificazione di atti pubblici rilasciati in copia dal notaio o da altro pubblico ufficiale competente, è autorizzato a rilasciare le copie degli atti da lui redatti, nonché degli atti privati di cui le parti chiedono la notificazione»(35).
Secondo i giudici di legittimità, la ratio della norma, che è quella di fornire uno strumento volto ad esemplificare e snellire il procedimento notificatorio, appare compatibile con l’attribuzione all’ufficiale giudiziario che esegue la notifica di un potere correlato alla funzione svolta, onde l’ufficiale giudiziario appare in grado di compiere anche l’attività accessoria di rilascio della copia conforme all’originale notificato. Del resto - ha aggiunto - l’art. 111 «non conferisce una competenza specifica al rilascio di copia conforme all’originale degli atti giudiziari - spettante, come è noto, al cancelliere - bensì la particolare attribuzione di “fare le altre copie che deve consegnare alle parti”, configurando tale incombente come meramente strumentale rispetto all’attività notificatoria (v. Cass. n. 2614/1981)».
Sulla questione, è poi intervenuta anche la circolare n. 14/94 del 7 luglio 1994 del Ministero della giustizia - Direzione generale degli affari civili e delle libere professioni, la quale, dopo aver fatto proprio il ragionamento seguito dai giudici di legittimità, ha ulteriormente chiarito che il potere dell’ufficiale giudiziario si estende all’atto di citazione notificato non ancora depositato in cancelleria per l’instaurazione del rapporto processuale(36).
Ora, proprio prendendo spunto dalle considerazioni svolte dai giudici di legittimità e dal contenuto della richiamata circolare ministeriale, si potrebbe pensare di estendere detto potere anche al notaio.
Si osservi, a tal proposito, che il potere di certificare la conformità della copia all’originale dell’atto giudiziario è attribuita dalla legge al cancelliere in quanto costui è il «depositario pubblico» dell’atto, ai sensi dell’art. 743 c.c. Secondo la tesi prevalente, pubblici depositari sono infatti tutti coloro cui la legge attribuisce il compito di tenere a disposizione del pubblico gli atti che hanno ricevuto o che hanno contribuito a formare, o che infine detengono quali pubblici depositari(37).
Sennonché, la giurisprudenza ha esteso il potere di cui si tratta, come si è visto, anche all’ufficiale giudiziario, che non sembra possa essere considerato pubblico depositario del documento contenente la domanda giudiziale, nel senso che si è detto. Qui, infatti, il potere di autenticare la domanda giudiziale ai fini della trascrizione si realizza per ragioni che sembrerebbero di mera opportunità; ragioni che, coerentemente con la specifica competenza istituzionale attribuita dalla legge al cancelliere, vengono meno non appena l’atto contenente la domanda giudiziale venga depositato in cancelleria, perché a partire da questo momento la competenza ad autenticare l’atto torna ad essere del solo pubblico depositario.
Analogamente, si potrebbe ipotizzare che per il notaio la competenza al rilascio della copia conforme dell’atto di citazione notificato sia possibile fino al deposito in cancelleria dell’atto. L’atto di citazione notificato ma non depositato è infatti un atto che non è ancora nella disponibilità del cancelliere, come lo è invece l’atto di citazione notificato e depositato o la sentenza, ma è un atto nella disponibilità materiale della parte, che potrebbe finanche non entrare mai nella disponibilità del(l’ufficio del) cancelliere, perché alla notifica potrebbe non seguire la costituzione in giudizio.
Ciò, naturalmente, non vuol dire che l’atto di citazione non depositato non possa essere autenticato dal cancelliere, perché, come si è visto, detto atto è comunque un atto giudiziario e, in quanto tale, è di competenza del cancelliere; ma significa soltanto che, oltre al cancelliere, l’atto potrebbe essere autenticato anche dal notaio, considerato che, prima del suo deposito in cancelleria, è un atto privato, non ancora ‘acquisito’ all’ufficio giudiziario, e dunque per certi versi analogo ad un atto di autonomia privata.
La soluzione sembrerebbe essere confermata dall’art. 18 D.P.R. n. 445/2000, il quale, nel disciplinare in termini generali il rilascio di copie autentiche, dispone che «l’autenticazione delle copie può essere fatta dal pubblico ufficiale dal quale è stato emesso o presso il quale è depositato l’originale, o al quale deve essere prodotto il documento, nonché da un notaio».
Non è dubbio che l’accoglimento di questa soluzione potrebbe avere una qualche utilità pratica, perché consentirebbe di accelerare i tempi normalmente necessari per l’ottenimento del titolo idoneo per la trascrizione in tutti quei casi in cui la notifica dell’atto di citazione sia stata eseguita da un ufficiale giudiziario appartenente ad una circoscrizione diversa da quella cui appartiene l’ufficiale giudiziario cui viene domandata l’autentica dell’atto, e quest’ultimo si sia rifiutato di autenticare l’atto medesimo sul presupposto che la competenza appartenga all’ufficiale giudiziario che ha eseguito la notifica (cfr. artt. 106 e 107, comma 2, D.P.R. 15 dicembre 1959, n. 1229).

5. Assunzione di testimonianza ed ispezione preventiva ad opera del notaio e procedimento sommario di cognizione

L’articolo 46, comma 8, della L. 18 giugno 2009, n. 69 ha inserito nel codice di rito l’articolo 257-bis, con il quale è stata introdotta nel nostro ordinamento la cd. testimonianza scritta.
La citata disposizione prevede che, qualora sussista un «accordo delle parti», il giudice, «tenuto conto della natura della causa e di ogni altra circostanza», può disporre «di assumere la deposizione chiedendo al testimone, anche nelle ipotesi di cui all’articolo 203, di fornire, per iscritto e nel termine fissato, le risposte ai quesiti sui quali deve essere interrogato».
In tal caso, il giudice, con il medesimo provvedimento con cui dispone di assumere la deposizione per iscritto, stabilisce altresì «che la parte che ha richiesto l’assunzione predisponga il modello di testimonianza in conformità agli articoli ammessi e lo faccia notificare al testimone». Il testimone rende la deposizione «compilando il modello di testimonianza in ogni sua parte, con risposta separata a ciascuno dei quesiti», precisando altresì «quali sono quelli cui non è in grado di rispondere, indicandone la ragione» e «sottoscrive la deposizione apponendo la propria firma autenticata su ciascuna delle facciate del foglio di testimonianza, che spedisce in busta chiusa con plico raccomandato o consegna alla cancelleria del giudice».
Non è dubbio che il nuovo istituto assicuri indubbi vantaggi rispetto alla tradizionale modalità di assunzione della prova testimoniale, fondamentalmente determinati dalla celerità di assunzione della prova e dunque da un sensibile risparmio dei tempi della giustizia. Ma accanto a questi vantaggi, si pongono anche dei possibili svantaggi, che si colgono, soprattutto, sotto il profilo dell’attendibilità del teste, delle minori garanzie rispetto ad una deposizione resa sotto giuramento dinanzi al giudice, nonché dell’aumento della possibilità di testimonianze contraddittorie(38).
Proprio in questa ottica, un disegno di legge in discussione in Parlamento prevede la possibilità di affidare al notaio, su accordo delle parti, la raccolta della testimonianza scritta(39). Finora, se non si cade in errore, l’intervento del notaio era stato ipotizzato in dottrina limitatamente all’attività di autenticazione della sottoscrizione apposta dal testimone, prevedendosi cioè che il notaio potesse procedere, ancorché in difetto di un’esplicita previsione in tal senso, alla mera autenticazione delle sottoscrizioni apposte dal testimone in calce alle dichiarazioni rese nel foglio di testimonianza(40).
La nuova proposta, invece, mira a consentire che il testimone renda le sue dichiarazioni direttamente al notaio, il quale redige il foglio di testimonianza, autentica le dichiarazioni del testimone in tal guisa rese e provvede a spedire il foglio di testimonianza in busta chiusa con plico raccomandato ovvero a consegnarlo alla cancelleria del giudice.
In questo modo, viene sicuramente assicurata (con una maggiore probabilità di successo statistico della previsione di outsourcing probatorio) non solo la provenienza fenomenica delle dichiarazioni da parte del sottoscrittore, ma anche che tali dichiarazioni siano state effettivamente rese dal testimone in assenza di incombenti condizionamenti, oltre che il più sicuro rispetto della parità delle armi nella raccolta del materiale probatorio.
L’atto che ne deriverebbe sarebbe in grado di assicurare l’esigenza dell’affidabilità delle dichiarazioni rese, riducendo al minimo la esigenza, disciplinata dall’ultimo comma dell’art. 257-bis c.p.c., che il giudice chiami nuovamente il testimone a deporre davanti a lui. È pur vero che la norma immagina una situazione in cui il testimone renda le sue dichiarazioni in completa autonomia e in assenza dei difensori delle parti, ma quasi potendo recuperare quanto sostenuto dalle Sezioni Unite della Cassazione nella discussa sentenza n. 24883/2008(41), può ritenersi che, «sul piano del valore di verità», sia forse più affidabile un documento così prodotto in assenza di contraddittorio immediato e presso un soggetto istituzionalmente terzo ed imparziale, che una testimonianza resa in presenza dei difensori delle parti e dunque nel fuoco incrociato degli interessi in conflitto.
La richiamata proposta legislativa prevede anche che al notaio possa essere delegata l’assunzione della testimonianza o della ispezione prima della introduzione del giudizio, e così fuori delle condizioni di urgenza che generalmente consentono l’interpello ante litem dell’A.G., e ciò anche quando la prova non debba essere assunta fuori dalla circoscrizione del tribunale.
In tal senso, si prevede che il giudice possa disporre, su richiesta concorde delle parti, che all’assunzione della prova provveda il notaio, designato d’intesa con le parti.
La delega al notaio di tali attività - come è stato evidenziato nella Relazione illustrativa del d.d.l. - potrebbe in ipotesi consentire anche un uso più ampio del procedimento sommario di cognizione regolato dagli artt. 702-bis e ss. c.p.c., potendo essa contribuire a diminuire le ipotesi in cui il giudice, per carenza istruttoria delle allegazioni svolte, è tenuto a convertire in ordinario il rito sommario scelto originariamente dall’attore, eventualmente pre-munitosi ad hoc di processi verbali di testimonianza o ispezione a cura di notaio.


(1) All’esatto esercizio di detta funzione da parte del notaio tendono le numerose formalità che la legge prescrive e che il notaio è tenuto ad osservare, sia quando riceve un atto pubblico, sia quando autentica una sottoscrizione. Sempre a tale funzione mirano anche le norme della legge notarile che disciplinano la conservazione dell’atto, dapprima nell’ufficio del notaio e sotto la sua responsabilità, quindi nell’Archivio notarile distrettuale, oltre alle disposizioni dettate in materia di vigilanza.

(2) G. ZANOBINI, L’esercizio privato delle funzioni e dei servizi pubblici, in Primo trattato completo di diritto amministrativo italiano, (a cura di) V. E. Orlando, II, 3, Milano, p. 341; ID., Corso di diritto amministrativo, III, Milano, 1958, p. 408.

(3) M. DI FABIO, Manuale di notariato, Milano, 2007, p. 102 e ss.

(4) M. NIGRO, «Il notaio nel diritto pubblico», in Riv. not., 1979, p. 1151 e ss.

(5) S. TONDO, «Caratteri e prospettive dell’attività notarile», in Riv. not., 1966, p. 218.

(6) F. TOMMASEO, «L’atto pubblico nel sistema delle prove documentali», in Riv. not., 1998, p. 593 e ss.

(7) Cass., sez. II, 28 gennaio 2008, n. 20291; Cass., S.U., 9 aprile 1999, n. 215.

(8) V. Cass., sez. II, 4 dicembre 2009, n. 25676, secondo la quale «in tema di sanzioni amministrative, il verbale di accertamento dell’infrazione fa piena prova, fino a querela di falso, con riguardo ai fatti attestati dal pubblico ufficiale come avvenuti in sua presenza e conosciuti senza alcun margine di apprezzamento, oppure da lui compiuti, nonché riguardo alla provenienza del documento dallo stesso pubblico ufficiale ed alle dichiarazioni delle parti. Non può essere, invece, attribuita la fede privilegiata né ai giudizi valutativi, né alla menzione di quelle circostanze relative ai fatti avvenuti in presenza del pubblico ufficiale che possono risolversi in suoi apprezzamenti personali, perché mediati dall’occasionale percezione sensoriale di accadimenti che si svolgono così repentinamente da non potersi verificare e controllare secondo un metro obiettivo (In applicazione del principio ha ritenuto potersi attribuire pieno valore probatorio al verbale con cui gli agenti della polizia municipale avevano attestato che il conducente l’autovettura, al momento dell’ordine di fermata, non indossava la cintura di sicurezza, non potendosi ritenere che tale forma di constatazione fosse qualificabile come una mera sensazione)».

(9) Cass., sez. III, 11 novembre 1997, n. Giust. civ., 1998, I, p. 380.

(10) G. PETRELLI, «L’indagine della volontà delle parti e la “sostanza” dell’atto pubblico notarile», in Riv. not., 2006, p. 29.

(11) Il corsivo è dell’autore.

(12) Secondo la relazione governativa, il decreto è finalizzato a dare attuazione alle disposizioni del codice dell’amministrazione digitale (D.lgs. n. 82/2005) in materia di documento informatico redatto dal notaio, inserendo nell’ordinamento di settore del Notariato opportune disposizioni di dettaglio, coordinate con quelle del citato codice. Il tutto perseguendo «l’obiettivo dell’innovazione tecnologica mediante il ricorso alle procedure informatiche nell’ambito della circolazione giuridica dei beni e dei diritti, in modo da consentire all’autonomia privata di esplicarsi anche attraverso l’utilizzo del documento informatico, mantenendo integre, nel contempo, tutte quelle garanzie di sicurezza e di conservazione del documento negoziale, che sono proprie dell’atto notarile e che devono essere preservate anche in una moderna economia di mercato».

(13) G. PETRELLI, Rassegna delle recenti normative di interesse notarile, Secondo semestre 2010, 2010, p. 21 e ss., scaricato dal world wide web, all’indirizzo http://www.gaetanopetrelli.it, il 6 febbraio 2012.

(14) G. PETRELLI, op. ult. cit.

(15) G. PETRELLI, op. ult. cit. La necessità di adeguare la soluzione accolta dal testo dell’art. 52-bis L.N. anche al diverso caso della autenticazione della firma delle scritture private era stata sostenuta, all’indomani dell’entrata in vigore del D.lgs. n. 110/2010, da A. PIRAINO, «L’attuazione del decreto legislativo, le ulteriori prospettive di informatizzazione dell’attività notarile», in L’atto notarile informatico: riflessioni sul D.lgs. n. 110/2010, profili sostanziali e aspetti operativi, in Atti del Convegno (Milano, 28 maggio; Firenze, 29 Ottobre 2010), 2011.

(16) G. PETRELLI, op. ult. cit.

(17) In argomento, v. A. VALITUTTI, «Il procedimento di ingiunzione: le problematiche pratiche più controverse», in Giur. mer., 2010, p. 2032 e ss.

(18) La particolare efficace probatoria attribuita dall’art. 634, comma 2 c.p.c. agli estratti autentici delle scritture contabili viene giustificata sul presupposto che la citata disposizione si porrebbe come norma speciale rispetto a quella contenuta nell’art. 2710 c.c. (A. RONCO, Struttura e disciplina del rito monitorio, Torino, 2000, p. 139 e ss.; Cass., 26 ottobre 1992, n. 11613). Secondo A. VALITUTTI, op. cit., 2034, «in realtà, la disposizione evidenzia - ma lo stesso è a dirsi per quanto concerne gli artt. 635 e 636 c.p.c. - l’intento del legislatore di introdurre una prova scritta particolarmente ampia, probabilmente nella convinzione che i documenti ivi previsti, ancorché non sufficienti a comprovare i fatti costitutivi del credito in un processo ordinario di cognizione, siano, purtuttavia, qualcosa di più della mera documentazione dell’affermazione della parte circa l’esistenza del proprio diritto» (nello stesso senso, v. A. PROTO PISANI, «Il procedimento di ingiunzione», in Riv. trim. dir. proc. civ., 1987, p. 607; L. DITTRICH, «Prova ingiuntiva di prestazione di servizi per estratto notarile delle scritture contabili e tributarie», in Riv. dir. proc., 1993, p. 870 e ss.

(19) Per queste osservazioni, si veda lo Studio n. 1 - 2006/IG, «Estratti notarili da libri contabili tenuti con mezzi informatici», a cura di G. Arcella, U. Bechini e R. Zagami, approvato dalla Commissione studi di informatica giuridica il 17 marzo 2006.

(20) Nonostante la formulazione della norma, bollatura e vidimazione non sono due attività separate: la vidimazione iniziale è un procedimento che consta sia della numerazione del libro, che della successiva bollatura. Quest’ultima, dunque, non è altro che una fase della complessa procedura di vidimazione.

(21) Per converso, l’obbligo di vidimazione e bollatura permane per tutti gli altri libri contabili, i quali, prima di essere messi in uso, oltre a dover essere numerati progressivamente in ogni pagina, dovranno essere bollati in ogni foglio secondo le disposizioni delle leggi speciali (art. 2215, 1° comma c.p.c.).

(22) E. FABIANI - A. RUOTOLO, «Abolizione dell’obbligo di bollatura e vidimazione del libro giornale e del libro degli inventari: profili civilistici e probatori», Studio n. 3804-2002, approvato dal Consiglio Nazionale del Notariato il 22 maggio 2002, scaricato dal word wide web, all’indirizzo http//www. notariato.it, il 6 febbraio 2012.

(23) E. FABIANI - A. RUOTOLO, Op. ult. cit.

(24) Trib. Torino, 13 giugno 2002, in Giur. merito, 2003, p. 1444; Cass., sez. I., 6 dicembre 1982, n. 6660; Trib. Napoli 19 ottobre 1979, in Banca borsa tit. cred., 1980, II, p. 220. Nello stesso senso A. VALITUTTI, op. cit., p. 2034.

(25) V. Trib. Catanzaro, sez. II, 24 gennaio 2011, per il quale, ai fini della concessione del decreto ingiuntivo, la bollatura e la vidimazione sono necessarie soltanto laddove tale formalità sia ancora dovuta.

(26) Titolo per l’emissione del decreto ingiuntivo sono anche le fatture, corredate dall’estratto autentico delle scritture contabili (cfr. Trib. Padova, 3 maggio 2012, n. 1204; Cass. 13 giugno 2006, n. 13651; Cass. 17 dicembre 2004, n. 23409).

(27) Cass., sez. I, 25 febbraio 1980, n. 1312; Cass., sez. I, 26 maggio 1980, n. 3433.

(28) F. CARPI, «Alcune osservazioni sulla riforma dell’esecuzione per espropriazione forzata», in Riv. trim. dir. proc., 2006, p. 215 e ss.; F. LAZZARO - L. DE RENZIS, Il decreto ingiuntivo nella fase sommaria, Milano, 2007, p. 368.

(29) G. TOTA, Commento all’art. 642 c.p.c., in Commentario alle riforme del processo civile, a cura di Briguglio e Capponi, Padova, 2007, p. 147 e ss., spec. p. 154.

(30) G. TOTA, Commento all’art. 642 c.p.c., cit.; cfr. M. BOVE - G. BALENA, «La riforma (della riforma) del processo civile. Note a prima lettura sulla l. 28 dicembre 2005, n. 263. VI. Procedimento per ingiunzione», in Foro it., 2006, p. 59 e ss.

(31) E. ZUCCONI GALLI FONSECA, «La provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo», in Riv. trim. dir. proc. civ., 2009, p. 175; contra, M. BOVE - (G. BALENA), «La riforma (della riforma) del processo civile. Note a prima lettura sulla L. 28 dicembre 2005, n. 263. VI. Procedimento per ingiunzione», in Foro it., 2006, p. 394, secondo cui «non sembra che, alla luce della formulazione dell’art. 642 c.p.c., si possa giungere ad una diversa conclusione». Allo stesso modo, G. TOTA, op. cit., p. 154. L’A., pur denunciando la «palese irragionevolezza di tale soluzione», non ritiene che l’attuale formulazione dell’art. 642 c.p.c. possa impedire al giudice di escludere la provvisoria esecutorietà di un’ingiunzione pur emanata sulla base di un documento già in sé munito di efficacia esecutiva.

(32) E. ZUCCONI GALLI FONSECA, op. cit., p. 175 e ss.; Cass., S.U., 31 marzo 1967, n. 712, in Giur. it., 1968, I, 1, p. 1380, con nota di E. GARBAGANATI. Si ritiene che anche l’atto ricevuto da notaio, per integrare gli estremi dell’atto pubblico ex art. 642, comma 1, c.p.c., debba essere atto convenzionale contrattuale e non possa avere contenuto diverso. Non potrebbe, pertanto, essere considerato utile ai fini in parola l’atto del notaio che contenga, ad es., un verbale di deposizione di testimoni o che abbia funzione certificativa di un mero stato di fatto.

(33) E. ZUCCONI GALLI FONSECA, op. ult. cit.

(34) G. TRISORIO LIUZZI, voce Copia e collazione di atti, in Dig. disc. priv., sez. civ., vol. III, Torino, 1988, p. 400 e ss., spec. p. 403.

(35) Cass., sez. I, 17 dicembre 1993, n. 12516.

(36) Cfr. anche nota del Ministero della giustizia - Dipartimento dell’Organizzazione giudiziaria, del personale e dei servizi - Direzione generale del personale e della formazione - Ufficio VI Unep, Prot. n. 6/592/03-1/2009/CA del 27 aprile 2009.

(37) Cass., S.U., 27 gennaio 2010, n. 1629.

(38) I. PAGNI, «La “riforma” del processo civile: la dialettica tra il giudice e le parti (e i loro difensori) nel nuovo processo di primo grado», in Corr. giur., 2009, p. 1316; C. DELLE DONNE, Testimonianza scritta: vantaggi deflattivi e dubbi applicativi, in www.24oreavvocato.ilsole 24ore.com, la quale osserva che «il giuramento “solitario” e la sola presenza della parte /o del difensore nel cui interesse la prova è assunta segnano dunque, nel modello di casa nostra, l’abbandono del corredo di garanzie e di responsabilità operanti nei modelli già consolidati in altri ordinamenti». Per analoghe osservazioni in ordine alla scarsa attendibilità della provenienza delle dichiarazioni, v. M. FORNACIARI, Questioni controverse in tema di prova testimoniale, Testo della relazione all’incontro di studi organizzati dal Csm a Roma dal 15 al 17 febbraio 2010, scaricato dal word wide web, all’indirizzo http// www.judicium.it, il 6 febbraio 2012.

(39) Cfr. Disegni di legge C/4933 ed S/3075, relativi alla “Conversione in legge, con modificazioni, del decretolegge 22 dicembre 2011, n. 212, recante disposizioni urgenti in materia di composizione delle crisi da sovraindebitamento e disciplina del processo civile”.

(40) Nel senso dell’attribuzione al notaio della funzione di autenticazione della sottoscrizione apposta dal testimone, v. E. FABIANI, «Note sulla nuova figura di testimonianza (cd. scritta) introdotta dalla legge n. 69 del 2009», in Riv. dir. proc. civ., 2011, p. 823 e ss. Secondo l’A., «per quanto sia stato espunto dall’ultimo comma dell’art. 103-bis disp. att. c.p.c. il riferimento, originariamente contenuto nello stesso, (anche) alla figura del notaio, non va comunque esclusa la possibilità per quest’ultimo, ove richiesto, di procedere all’autentica delle sottoscrizioni, stante il generale potere di autentica attribuito dall’ordinamento a tale peculiare figura di pubblico ufficiale; il venir meno del riferimento originariamente contenuto [nell’art. 103-bis disp. att. c.p.c.] al notaio è da ritenersi legato, infatti, non alla sottesa volontà di negare a quest’ultimo la possibilità di procedere all’autentica delle sottoscrizioni, ma, piuttosto, alla quanto meno dubbia legittimità costituzionale di una disposizione che, nel prevedere detta possibilità, ne disponeva al contempo la gratuità anche se resa dal notaio».

(41) Secondo la citata sentenza «sul piano del valore di verità, appare più affidabile la decisione che non sia passata attraverso il travaglio del dubbio, che non quella che sia frutto del contraddittorio risolto iuxta alligata et probata e non in base al principio di verità materiale». La decisione è annotata criticamente da R. VACCARELLA, Rilevabilità del difetto di giurisdizione e traslatio judicii, scaricato dal world wide web, all’indirizzo http//www.judicium.it, il 6 febbraio 2012.

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