- capitolo XVII - l’atto del notaio quale atto per il processo: il notaio come ausiliario del giudice
- capitolo XVII -
L’atto del notaio quale atto per il processo: il notaio come ausiliario del giudice
di Antonio Lombardi

1. La commissione al notaio del «compimento di determinati atti»: art. 68, comma 2, c.p.c.

Originariamente la dottrina identificava con il termine ausiliari «quelle persone estranee al tribunale e alle parti che compiono nel processo singole operazioni richieste dalle parti o dagli organi del tribunale per gli scopi del processo e necessarie allo svolgimento regolare della funzione giurisdizionale»(1); accezione talmente ampia da includere «tutte quelle persone che nello svolgimento delle proprie funzioni o mansioni o semplicemente in quanto cittadini, siano dalla legge tenuti a compiere atti coordinati allo svolgimento del processo»(2).
Con il codice di procedura civile del 1942 il legislatore ha inteso delimitare la categoria degli ausiliari del giudice, individuando come tali tutte (e solo) le figure estranee all’organizzazione giudiziaria che, sul presupposto dell’incapacità o impossibilità dell’organo conferente di svolgere autonomamente l’incarico, siano chiamati ad esplicare la propria attività in un procedimento giurisdizionale, al fine di consentirne lo svolgimento ed il raggiungimento di finalità particolari(3).
Ed invero, gli articoli 61 e ss. c.p.c. indicano specificamente quali “ausiliari” le figure del consulente tecnico e del custode, nonché degli «esperti di una determinata arte o professione» che abbiano una conoscenza idonea al compimento di atti che il giudice, l’ufficiale giudiziario o il cancelliere non sono in grado di compiere da soli.
Il codice di rito ha dunque recepito un’interpretazione più ristretta della nozione di «ausiliare del giudice» rispetto a quella originariamente individuata dalla dottrina distinguendo tra «i più diretti collaboratori (veri e propri ausiliari) del giudice, che vengono così a far parte, temporaneamente ed occasionalmente, dell’ufficio giudiziario e tutti coloro che, senza avere un diretto rapporto con il giudice, compiono comunque atti connessi con il processo civile»(4).
Caratteristica, quindi, dell’”ausiliare” è la presenza di un incarico giudiziario e la collaborazione subordinata rispetto all’organo giudiziario che tale incarico gli ha conferito.
L’art. 68 c.p.c., però, sulla scorta anche del ruolo definito dalla legge notarile(5), affida al notaio attribuzioni affatto peculiari tra gli “ausiliari”.
Ed invero, se questa rientra certamente tra gli esperti di una determinata arte o professione ai quali possono rivolgersi il giudice, il cancelliere e l’ufficiale giudiziario, allo stesso tempo il secondo comma di tale articolo espressamente sancisce che «il giudice [e solo lui] può commettere a [e non «farsi assistere da», come nel primo comma] un notaio il compimento di determinati atti nei casi previsti dalla legge» (art. 68, secondo comma, c.p.c.).
La formulazione del secondo comma dell’art. 68 c.p.c., quindi, riconosce l’unicità dell’attività che svolge il notaio nel nostro ordinamento, che può essere sia di assistenza subordinata all’autorità giudiziaria conferente l’incarico, ma anche (e soprattutto) di vera e propria sostituzione del giudice (naturalmente solo in quelle attività in cui non viene esercitata la giurisdizionale)(6).

2. La natura e l’efficacia degli atti compiuti: atti di esercizio di funzioni proprie (o esclusive) o di funzioni concorrenti (o delegate).

Mentre può parlarsi senz’altro di mera assistenza in ordine alla copia ed all’estrazione di atti da libri contabili o registri (ex art. 212 c.p.c.), le altre attività delegate al notaio previste dal codice di rito, implicano aspetti tali da non potersi configurare come mera “assistenza”, ma come vera e propria “sostituzione” nelle funzioni, seppur con diverse gradazioni a seconda dell’attività delegata. Se infatti, nell’attività prevista dall’art. 492, ottavo comma, c.p.c. il notaio svolge attività sia di “assistenza” dell’ufficiale giudiziario (ad esempio nell’esame delle scritture contabili al fine di individuare i beni pignorabili) che di “sostituzione” del medesimo (nel momento in cui al professionista è data la facoltà di richiedere informazioni agli uffici finanziari sul luogo in cui sono tenute le scritture contabili, consentendogli di accedervi anche con l’ausilio dell’ufficiale giudiziario territorialmente competente), vera e propria “sostituzione” nelle funzioni vi è nelle ipotesi di vendita dei beni di minori, interdetti ed inabilitati (art. 733 c.p.c.), nella rimozione dei sigilli (art. 765 c.p.c.), nell’inventario (art. 769 c.p.c.), nonché nelle operazioni di divisione (artt. 786 e ss. c.p.c.).
Dall’esame sommario dell’attività demandata al notaio quale ausiliario del giudice emerge dunque che alcune funzioni sono proprie della professione notarile (ad esempio la produzione di estratti, l’esame della documentazione contabile degli imprenditori commerciali, la rimozione dei sigilli, la redazione dell’inventario), altre invece vengono dall’ordinamento delegate al notaio in quanto considerato l’unico soggetto che per la sua funzione può svolgerle in sostituzione degli organi istituzionalmente preposti (ad esempio la vendita ai pubblici incanti dei beni dei minori, degli inabilitati e degli interdetti, nonché la direzione delle operazioni di vendita nell’ambito dei procedimenti di scioglimento delle comunioni).
Al notaio pertanto l’ordinamento conferisce un ruolo affatto particolare e diverso da altre categorie professionali pur ricomprese nella qualifica di “ausiliari” dall’art. 68 c.p.c., in quanto se da un lato viene richiesto il compimento di attività che rientrano nell’ordinaria attività notarile così come individuata dalla stessa legge professionale, dall’altro il notaio viene ritenuto dall’ordinamento quasi quale il “naturale” ausiliario del giudice in tutte quelle funzioni ove non è necessario l’esercizio della giurisdizione.
Tale ruolo continua ad essere riconosciuto anche dall’attuale legislatore.
Ed invero, nei progetti di riforma del codice di procedura civile, attualmente allo studio da parte degli organi legislativi, si ipotizza la possibilità per il giudice di delegare al notaio lo svolgimento dell’attività istruttoria nonché per le parti di chiedere la pronuncia di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio direttamente ad un notaio.

3. La produzione di estratti ex art. 212 c.p.c.

«Il giudice istruttore può disporre che, in sostituzione dell’originale, si esibisca una copia anche fotografica o un estratto autentico del documento. Nell’ordinare l’esibizione di libri di commercio o di registri al fine di estrarne determinate partite, il giudice, su istanza dell’interessato, può disporre che siano prodotti estratti, per la formazione dei quali nomina un notaio e, quand’occorre, un esperto affinché lo assista».
Le scritture contabili cartacee costituiscono un esempio di documento scritto ma non sottoscritto, dotato di un valore probatorio specifico nei rapporti tra imprenditori, qualora siano rispettati tutti gli obblighi di tenuta previsti dalla legge, tali da consentire la riconducibilità della scrittura contabile ad un determinato soggetto e di impedire la sua sostituzione in tutto o in parte(7).
Secondo il legislatore del 1942 le modalità di ingresso nel processo delle scritture contabili delle imprese soggette a registrazione è la loro comunicazione o esibizione al giudice (art. 2711 c.c.), il che presuppone che le stesse siano sottoposte alla cognizione dell’autorità giudiziaria nella loro interezza ed in originale. Anche quando all’art. 2711, secondo comma, c.c. è prevista l’estrazione solo di alcune registrazioni, la stessa è comunque effettuata previa l’esibizione completa del libro contabile, ed è unicamente il giudice che, su istanza di parte, può disporre che siano prodotti estratti, per la formazione dei quali nomina un notaio(8).
L’art. 212 c.p.c. consente pertanto al giudice istruttore di disporre che in vece dell’originale venga esibita una copia o un estratto del documento.
L’estratto si distingue dalla copia (parziale) in quanto a differenza di quest’ultima è teleologicamente orientato.
Mentre infatti la copia rappresenta la riproduzione oggettiva di una parte dell’originale, l’estratto, essendo finalizzato ad uno scopo particolare è una copia parziale in cui le parti riprodotte rispondono ad un determinato criterio di scelta, finalizzato al soddisfacimento del predetto scopo(9).
L’attività delegata dal giudice al notaio, pertanto, assume caratteristiche rilevanti, atteso che questi, in ragione di quanto sopra accennato non può limitarsi ad una mera riproduzione dell’originale (art. 212 primo comma c.p.c.), pur teleologicamente orientata (art. 212, secondo comma, c.p.c.), ma ha l’onere di verificare sempre e comunque la corretta tenuta (seppur formale) delle scritture contabili prima di procedere con l’espletamento della propria attività.
E ciò è ancor più vero ove si consideri che la formazione degli estratti di un documento ex art. 212, secondo comma, c.p.c. ad opera del notaio è l’unico caso normativamente previsto in cui gli estratti hanno efficacia all’interno di un giudizio ordinario di cognizione(10).
Mancherebbe, infatti, al di fuori di quanto esplicitamente previsto dal codice di rito «non solo quell’effetto ‘specchio’ relativo al valore probatorio della copia rispetto all’originale depositato, ma finanche quel limitato valore riconosciuto dall’art. 2717 c.c. a tutte le altre copie»(11).
Fermo quanto sopra in ordine all’importanza che l’ordinamento conferisce agli estratti autentici certificati da notaio, per quel che riguarda la materiale attività di certificazione delle scritture contabili, si evidenzia che questa consiste in una certificazione da parte del professionista attestante la conformità delle registrazioni dell’estratto all’originale.
Da evidenziare, però, che potendo essere tenute le scritture contabili dell’imprenditore anche su supporto digitale, qualora il notaio debba procedere al relativo estratto cartaceo, dovrà svolgere un’attività sostanzialmente speculare alla digitalizzazione di un documento cartaceo, con la conseguenza che, verificata la corretta tenuta del libro contabile informatico ex D.lgs. 82/2005, procederà alla relativa stampa cartacea del documento (estraendo le parti richieste dal giudice istruttore ed attestandone la conformità al documento informatico).
Allo stesso modo, anche nel caso (invero alquanto improbabile nella pratica) in cui venga richiesto dal giudice al notaio di procedere all’estratto informatico di un libro contabile informatico, il notaio, ferma la verifica di corretta tenuta delle scritture, procederà al trasferimento di quella parte del contenuto di un supporto informatico da esibire in giudizio in altro supporto (cd. “riversamento sostitutivo”) con le modalità indicate dalla deliberazione Cnipa n. 11/2004.
Da notare che questo tipo di “riversamento” (a differenza del cd. “riversamento integrale” che consiste in una duplicazione informatica del primo supporto duplicazione informatica del primo supporto) è un vero e proprio estratto in quanto consiste nell’estrazione, appunto, di un contenuto da un archivio senza la possibilità di replicare nel nuovo supporto la firma digitale e la marcatura temporale attestanti la corretta tenuta del documento informatico estratto.

4. L’esame delle scritture contabili al fine di individuare cose e crediti pignorabili

La notevole diminuzione del numero delle esecuzioni immobiliari ha indotto il legislatore del 2006 ad intervenire in maniera incisiva sulle norme relative al pignoramento dei beni mobili presso il debitore.
L’art. 492 c.p.c. «da norma generica, che si limitava a sancire il principio secondo cui il pignoramento ‘consiste’ nell’ingiunzione rivolta dall’ufficiale giudiziario al debitore perché si astenga da qualunque atto diretto a sottrarre alla garanzia del credito i beni assoggettati alla espropriazione, è stata trasformata in una disposizione quadro che regola il contenuto del pignoramento ed i criteri per la sua eventuale estensione»(12).
Ed invero, il legislatore della riforma ha ritenuto di varare un complesso normativo finalizzato a facilitare la ricerca dei beni da pignorare, rafforzando i poteri dell’ufficiale giudiziario attribuendogli la potestà di invitare il debitore ad indicare ulteriori beni utilmente aggredibili, di rivolgere richiesta ai soggetti gestori dell’anagrafe tributaria e di altre banche dati pubbliche, nonché di nominare un professionista per l’esame delle scritture contabili qualora sia esecutato un imprenditore commerciale.
L’art. 492, ottavo comma, c.p.c. prevede infatti che «Se il debitore è un imprenditore commerciale l’ufficiale giudiziario, negli stessi casi di cui al settimo comma e previa istanza del creditore procedente, con spese a carico di questi, invita il debitore a indicare il luogo ove sono tenute le scritture contabili e nomina un commercialista o un avvocato ovvero un notaio iscritto nell’elenco di cui all’articolo 179-ter delle disposizioni per l’attuazione del presente codice per il loro esame al fine dell’individuazione di cose e crediti pignorabili. Il professionista nominato può richiedere informazioni agli uffici finanziari sul luogo di tenuta nonché sulle modalità di conservazione, anche informatiche o telematiche, delle scritture contabili indicati nelle dichiarazioni fiscali del debitore e vi accede ovunque si trovi, richiedendo quando occorre l’assistenza dell’ufficiale giudiziario territorialmente competente. Il professionista trasmette apposita relazione con i risultati della verifica al creditore istante e all’ufficiale giudiziario che lo ha nominato, che provvede alla liquidazione delle spese e del compenso. Se dalla relazione risultano cose o crediti non oggetto della dichiarazione del debitore, le spese dell’accesso alle scritture contabili e della relazione sono liquidate con provvedimento che costituisce titolo esecutivo contro il debitore».
Il procedimento dettato dal comma sopra riportato ha caratteristiche del tutto peculiari, in quanto si pone in rapporto di specialità rispetto alla disciplina del pignoramento mobiliare dettata dal precedente settimo comma.
Ed invero, la riforma delle esecuzioni mobiliari, nell’affidare all’ufficiale giudiziario (o al professionista da questi nominato) poteri di indagine finalizzati alla ricerca dei beni del debitore presso l’Anagrafe tributaria ed altre banche dati pubbliche, ha ampliato il campo d’azione quando il debitore è un imprenditore commerciale.
Su istanza del creditore, infatti, avviata l’esecuzione, quando l’ufficiale giudiziario non trovi beni utilmente pignorabili (o comunque non sufficienti a soddisfare il credito dell’istante), invita il debitore ad indicare il luogo ove sono depositate le scritture contabili di cui all’art. 2214 c.c., provvedendo quindi ad incaricare un commercialista, un avvocato o un notaio (iscritti negli elenchi di cui all’art. 179-ter d.a. c.p.c.) per il relativo esame.
Il professionista ha il compito di vagliare il contenuto delle scritture contabili del debitore-imprenditore allo scopo di individuare beni o crediti dell’impresa che siano pignorabili e deve redigere una relazione conclusiva sul punto che è tenuto ad inviare al creditore procedente ed all’ufficiale giudiziario(13).
Compito del professionista, pertanto, è di esaminare tutte le scritture contabili ex art. 2214 c.c., ivi compresi «non solo i libri obbligatori per definizione, ma altresì tutte le scritture contabili richieste dalla natura e dimensione dell’impresa, nonché, per ciascun affare, le lettere, le fatture e i telegrammi a supporto delle prime, tutte da conservarsi per dieci anni: nessun dato testuale preclude che l’indagine di cui si discute sia svolta anche sui documenti a sostegno delle scritture contabili in senso stretto, che solo in specifiche norme vengono considerate in senso restrittivo (art. 2711 c.c.), in vista della particolare regola ivi disposta»(14).
Va inoltre rilevato che il professionista ha gli stessi poteri dell’ufficiale giudiziario con riferimento all’espletamento del suo incarico; con la conseguenza che può recarsi nei luoghi in cui si trovano le scritture contabili sia che si tratti del luogo indicato dal debitore, sia che si tratti del luogo ove le scritture dovrebbero essere custodite in base alle informazioni acquisite presso l’Anagrafe tributaria o le altre banche dati pubbliche.
Nel caso in cui si debba procedere all’accesso ed il debitore o i suoi ausiliari non collaborino, è possibile per questi chiedere l’ausilio dell’ufficiale giudiziario competente per territorio in relazione al luogo di tenuta delle scritture contabili, al fine di procedere alla materiale apprensione delle scritture.
Da ultimo, occorre evidenziare che qualora nell’espletamento dell’incarico il professionista, rivestendo la qualifica di pubblico ufficiale, venga a conoscenza di fatti penalmente rilevanti o di violazioni tributarie, al momento dell’invio della relazione al creditore procedente ed all’Ufficiale giudiziario, dovrà anche inoltrare denuncia al Procuratore della Repubblica ai sensi dell’art. 361 c.p.c. e 331, comma quarto, c.p.p. nonché inviare rapporto al Comando di polizia tributaria competente per territorio.

5. La certificazione notarile sostitutiva della documentazione ipocatastale

L’art. 567 c.p.c. nel disciplinare le modalità con le quali il pignorante deve chiedere la vendita dell’immobile pignorato, stabilisce al secondo comma che «Il creditore che richiede la vendita deve provvedere, entro centoventi giorni dal deposito del ricorso, ad allegare allo stesso l’estratto del catasto, nonché i certificati delle iscrizioni e trascrizioni relative all’immobile pignorato effettuate nei venti anni anteriori alla trascrizione del pignoramento; tale documentazione può essere sostituita da un certificato notarile attestante le risultanze delle visure catastali e dei Registri immobiliari».
Tale norma è il risultato di due diversi interventi legislativi operati nell’ultimo ventennio in materia. La formulazione originaria dell’art. 567 c.p.c., infatti, non solo non prevedeva la possibilità per il creditore di depositare documentazione sostitutiva pur certificata da notaio, ma non prevedeva neppure un termine decadenziale entro cui tale incombente dovesse essere eseguito, con la conseguenza che nella pratica molte procedure si trovavano in uno stato di “quiescenza”(15).
Per porre rimedio all’assoggettamento sine die del debitore al vincolo pignoratizio ed alla eccessiva durata del processo esecutivo immobiliare, con la legge n. 302 del 03 agosto 1998 (norme in tema di espropriazione forzata e di atti affidati ai notai) è stata introdotto il termine di sessanta giorni per il deposito della documentazione necessaria per richiedere la vendita del cespite pignorato (specificamente indicata nella prima parte del secondo comma dell’art. 567 c.p.c.), nonché la possibilità per il creditore di sostituire tale documentazione con «un certificato notarile attestante le risultanze delle visure catastali e dei Registri immobiliari».
La norma, così come formulata, aveva ingenerato numerose incertezze, in quanto non si prevedeva esplicitamente la possibilità per i notai di sostituire con una propria attestazione l’estratto delle mappe catastali e il certificato di destinazione urbanistica, pur indicati nell’art. 567 c.p.c. tra la documentazione necessaria per poter procedere con la vendita dell’immobile.
Si era venuto così a formare un orientamento più rigoroso che sosteneva che il solo deposito della relazione notarile non era sufficiente per evitare la declaratoria di estinzione della procedura prevista nell’ultimo comma dell’art. 567 c.p.c.(16), dovendo necessariamente essere allegati anche gli estratti di mappa ed il certificato di destinazione urbanistica.
Un altro orientamento, più pragmatico in quanto teneva conto delle difficoltà per il creditore di reperire la documentazione di cui sopra presso i competenti uffici nei termini previsti dall’art. 567 c.p.c. (sessanta giorni dal deposito dell’istanza di vendita), partendo dal presupposto che il notaio al fine di compiere una corretta attività certificativa non poteva prescindere dal loro esame, interpretava l’art. 567 c.p.c. nel senso che la mancata allegazione dell’estratto di mappa e del certificato di destinazione urbanistica non comportava l’estinzione della procedura(17).
Il dibattito giurisprudenziale sul punto è stato risolto in un primo tempo dalla Corte Costituzionale che, nel dichiarare l’infondatezza della questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di Caltanissetta sull’art. 567 c.p.c., ha precisato che «non è revocabile in dubbio che l’art. 567 c.p.c., nei suoi commi secondo e quarto, è affetto da una antinomia, in quanto prevede, da un lato, la necessità, a pena di estinzione, della produzione di una documentazione comprensiva di mappe censuarie e certificato di destinazione urbanistica (quando il creditore non si valga di un notaio) e, dall’altro lato, della sufficienza, per evitare l’estinzione, di una certificazione notarile che non comprende né le mappe né il certificato di destinazione urbanistica. Osserva la Corte che tale evidente antinomia potrebbe comporsi nel senso sollecitato dall’ordinanza di rimessione solo se anche le mappe censuarie ed il certificato di destinazione urbanistica fossero indispensabili affinché la procedura esecutiva, in quello stadio del suo svolgimento (e cioè al fine di consentire al giudice dell’esecuzione di autorizzare la vendita nell’udienza di cui all’art. 569 c.p.c.), prosegua utilmente; e ciò in quanto l’estinzione dichiarabile d’ufficio potrebbe essere ragionevolmente disposta dal legislatore, a causa della omessa produzione di documenti, solo se da tale omissione discendesse l’impossibilità per la procedura esecutiva di svolgersi»(18).
In sintesi la Corte ha risolto il contrasto venutosi a creare sull’art. 567 c.p.c. affermando che «l’estinzione della procedura non è conseguente alla mancata allegazione di uno dei documenti indicati nell’art. 567 c.p.c. bensì ad una valutazione circa la loro indispensabilità»(19)per il compimento dell’atto successivo alla procedura esecutiva.
La novella del codice di rito del 2005(20)ha ripreso la soluzione adottata dalla Corte Costituzionale statuendo la non necessarietà dell’estratto di mappa e del certificato di destinazione urbanistica ai fini della prosecuzione della procedura esecutiva immobiliare(21).
Nella redazione della propria certificazione sostitutiva, pertanto, il notaio deve indicare gli estremi identificativi di tutte le trascrizioni ed iscrizioni effettuate nel ventennio che precede il pignoramento nonché delle risultanze del catasto.
Al riguardo si evidenzia che, essendo scopo della certificazione di accertare in capo all’esecutato la titolarità del diritto pignorato, è evidente che il notaio è onerato di risalire all’atto di acquisto del debitore anche oltre il periodo ventennale, ove tale atto fosse precedente. Ciò all’evidente fine di individuare le ipoteche ed i pignoramenti efficaci, l’esistenza di contratti preliminari con privilegio sull’immobile ex artt. 2654-bis e 2775-bis c.c., l’eventuale esistenza sull’immobile di diritti di usufrutto, uso o abitazione, nonché la decorrenza del termine per l’usucapione.

6. L’affidamento al notaio dell’assunzione dei mezzi di prova

Il ruolo del notaio può assumere nel giudizio di cognizione una grande rilevanza ove si consideri che a questi, per il ruolo super partes connaturato alle proprie funzioni, può essergli delegata l’attività di assunzione dei mezzi istruttori.
Tale fase del processo ordinario di cognizione, infatti, secondo la più avvertita dottrina non rientra tra quelle funzioni propriamente giurisdizionali che debbono essere inderogabilmente svolte dai giudici, atteso che da sempre il codice di rito conosce la possibilità che l’attività istruttoria venga svolta anche dinanzi ad un soggetto diverso dal “giudice naturale”.
Si pensi ai casi della consulenza tecnica d’ufficio, ovvero anche alle prove delegate svolte dinanzi ad un giudice di un circondario diverso da quello ove è stata instaurata la causa.
Da ultimo, inoltre, l’introduzione della possibilità di svolgere una testimonianza scritta ha vieppiù confermato la possibilità che parte o tutta l’attività istruttoria possa svolgersi dinanzi ad un soggetto diverso dal giudice.
Con l’art. 257-bis c.p.c., introdotto dalla L. n. 69 del 18 giugno 2009, infatti, si prevede la possibilità che qualora vi sia accordo tra le parti, il giudice tenuto conto della natura della causa e di ogni altra circostanza, può disporre di assumere la deposizione chiedendo al testimone di fornire per iscritto ed in un termine fissato, le risposte ai quesiti sui quali deve essere interrogato.
La norma completa un percorso ed un’idea perseguiti dal legislatore da più di un ventennio (invero con interventi per lo più disorganici che riguardano i più svariati ambiti sociali, dallo sviluppo economico alla competitività, dalla semplificazione al processo civile), risalendo alla fine degli anni ‘80 l’interesse verso forme di assunzione stragiudiziale della testimonianza in assenza di contraddittorio con la controparte e senza che il giudice abbia os ad loquendum nella fase di assunzione.
A tale periodo, infatti, risale la prima attuazione pratica dell’istituto con l’art. 12 della L. 25/94, che ha introdotto l’art. 819-ter c.p.c.
Successivamente, in tempi recenti, il tentativo di estendere al processo ordinario di cognizione la testimonianza scritta, nella forma della dichiarazione assunta prima del giudizio dagli avvocati, è stata oggetto della Bozza Vaccarella (cfr. in particolare il punto 22).
L’art. 257-bis c.p.c., però, così come è stato disciplinato dal legislatore del 2009 ha trovato una scarsa applicazione nella pratica, atteso che prevedendo quale presupposto per l’assunzione l’accordo delle parti, è evidente che nella maggioranza dei casi difficilmente tale consenso vi sarà.
Ciò soprattutto ove si osservi che una delle maggiori critiche all’istituto della prova scritta è la circostanza che tale prova si forma, non solo senza il controllo di un organo giurisdizionale, ma anche al di fuori del contraddittorio tra le parti.
Allorquando la testimonianza verta su un elemento fondamentale della controversia, infatti, difficilmente il legale rinuncerà ad ascoltare in udienza il teste e a richiedere chiarimenti alla sua deposizione (nelle forme previste dall’art. 253 c.p.c.).
Ecco dunque che il ruolo del notaio può assumere un ruolo decisivo nel coniugare esigenze di celerità e deflazione del carico dei Tribunali con quelle di garanzie di genuinità della prova testimoniale.
Prevedere, infatti, la possibilità che la prova venga assunta dinanzi ad un notaio, potrebbe consentire sia un accelerazione nell’assunzione della prova ed allo stesso tempo evitare i rischi di una dichiarazione del teste non del tutto veritiera (se non addirittura indirizzata).
Così assunta al processo, la prova verrà sottoposta alla valutazione dell’organo giudicante, che prenderà cognizione delle risposte fornite dal teste.
Vi sarebbe dunque in questo modo una sorta di “riappropriazione” da parte dell’organo giudicante del potere di controllo del processo, riconoscendogli, qualora abbia perplessità sulle risposte fornite, la possibilità che il testimone sia chiamato a deporre davanti a lui o al giudice delegato(22).

7. Atti notarili compiuti nell’esercizio di funzioni ausiliarie previste nel libro IV c.p.c.

Nel libro IV del codice di procedura civile, intitolato “dei procedimenti speciali” vi sono diversi istituti in cui è prevista la partecipazione del notaio nel procedimento, con compiti di sostituzione del cancelliere e del giudice.
L’attività del notaio assume particolare rilevanza soprattutto nell’ambito della volontaria giurisdizione.
È interessante ricordare che il termine “giurisdizione volontaria” risale al diritto romano ed è giunto a noi attraverso il diritto medievale «ove viene chiamato ‘iurisdictio voluntaria’ quel complesso di atti che gli organi della giurisdizione compivano di fronte ad un solo interessato o sull’accordo - e quindi ‘in volentes’ - di più interessati”(23).
Il termine, utilizzato nel codice di procedura civile del 1865, ove individuava la materia da trattare in camera di consiglio accanto alle altre materie da trattare senza contraddittore, non è stato ripreso nel codice di rito vigente a proposito del procedimenti da trattare in camera di consiglio, bensì richiamato esclusivamente nell’abrogato art. 801 c.p.c. ed in alcune norme speciali.
Particolarmente dibattuta in dottrina è stata la questione relativa alla natura della volontaria giurisdizione.
Pur non volendoci addentrare nella querelle che ha affaticato la dottrina fino ai nostri tempi, in questa sede ci limiteremo ad evidenziare che questo tipo di attività è stata definita come «amministrazione pubblica del diritto privato esercitata da organi giudiziari», avendo una tutela diversa da quella della tutela giurisdizionale (potendosi assimilare più all’attività amministrativa), in quanto non tende ad attuare diritti, ma ad integrare o realizzare la fattispecie costitutiva di uno stato personale o familiare o di un determinato potere(24).
Attraverso la lettura delle norme costituzionali, infatti, si possono individuare due differenti tipi di funzioni giurisdizionali.
Gli artt. 24, 25, 27 e 113 individuano quelle funzioni giurisdizionali necessarie che il legislatore è vincolato ad istituire ed attribuire ai giudici. Accanto a queste funzioni necessarie, ve ne sono altre non necessariamente giurisdizionali nel senso che possono essere affidate ai giudici oppure ad organi diversi secondo una scelta discrezionale del legislatore(25).
Le sopra richiamate definizioni, però, non risolvono l’interrogativo del perché siano necessari l’intervento del giudice ed il compimento di atti di volontaria giurisdizione per costituire o sciogliere rapporti giuridici in difetto di una pretesa che un soggetto eserciti nei confronti dell’altro, o di un effetto che possa prodursi anche nei suoi confronti(26).
In proposito la dottrina ha chiarito che le situazioni nelle quali il giudice della volontaria giurisdizione interviene sono anomale rispetto all’autonomia privata, in quanto sono situazioni in cui la volontà del soggetto non è idonea da sola ad ottenere un determinato effetto(27).
In altri termini, «i provvedimenti camerali che possono ricondursi alla giurisdizione volontaria si caratterizzano per la loro connessione formale e sostanziale con atti destinati a spiegare i loro effetti in una determinata sfera giuridica, oppure per la loro funzione al compimento di singoli atti di diritto sostanziale, i cui elementi principali vengono delineati in sede giudiziaria anche nell’ambito di fattispecie giuridiche più complesse»(28).

7.1. La rimozione dei sigilli e la formazione dell’inventario

Ciò posto, ed esaminando più specificamente le fattispecie di volontaria giurisdizione nelle quali è previsto l’intervento del notaio quale ausiliario del giudice, si possono distinguere due differenti tipi di funzioni attribuite al notaio.
In alcune ipotesi, al notaio sono delegati poteri previsti dalla stessa legge notarile e si tratta degli artt. 765 e 769 e ss. c.p.c. in materia di rimozione dei sigilli e di inventario. In altre occasioni, al notaio sono attribuite funzioni che, pur non rientrando nell’ambito individuato dalla legge notarile, sono a questi delegate rappresentando per l’ordinamento il “naturale” sostituto del giudice in tutte quelle attribuzioni ove non è necessario l’esercizio della giurisdizione per il suo essere “istituzionalmente terzo” rispetto agli interessi tutelati (si pensi ai compiti affidati in materia di scioglimento delle comunioni ex art. 730 c.c. e 786 c.p.c. e di vendita ai pubblici incanti di beni dei minori ex art. 733 c.p.c.).
Ed infatti il primo comma dell’art. 765 c.p.c. prevede che «La rimozione dei sigilli è eseguita dall’ufficiale giudiziario che può procedere all’inventario a norma dell’art. 769», mentre l’art. 769 c.p.c. sancisce che «L’inventario può essere richiesto al tribunale dalle persone che hanno diritto di ottenere la rimozione dei sigilli ed è eseguito dal cancelliere del tribunale o da un notaio designato dal defunto o nominato dal tribunale».
L’attività di redazione dell’inventario (prevista espressamente anche all’art. 1 n. 4 della legge notarile) può essere delegata al notaio dall’autorità giudiziaria, salvo che il Tribunale, su istanza e nell’interesse della parte, non ritenga di nominare il cancelliere.
L’eventuale designazione del notaio da parte dell’erede, quindi, è una mera indicazione e non costituisce “conferimento” dell’incarico al professionista, potendo sempre il Tribunale designare un notaio differente.
Consegue pertanto che «nell’assolvimento di compiti inerenti all’accettazione dell’eredità beneficiata, il notaio opera quale ausiliario del giudice che lo ha nominato»(29).
È opportuno evidenziare però che con L. 10/12 del 17 febbraio 2012(30)è stato introdotto un quarto comma all’art. 769 c.p.c. con il quale si prevede che «Quando non sono stati apposti i sigilli, l’inventario può essere chiesto dalla parte che ne assume l’iniziativa direttamente al notaio designato dal defunto nel testamento ovvero, in assenza di designazione, al notaio scelto dalla parte stessa».
Quando non occorre rimuovere sigilli, quindi, il notaio viene nominato direttamente dall’erede (anche se su designazione del defunto) senza l’intervento in questo caso dell’autorità giudiziaria.
La redazione dell’inventario (definito verbale descrittivo(31), o atto di accertamento(32)) è quella di accertare la consistenza dell’asse ereditario, dovendo il notaio specificarne tutti gli elementi attivi e passivi.
Parte della dottrina, infatti, attribuisce all’inventario una funzione cautelare - conservativa: da un lato si delimitano i limiti entro i quali l’erede dovrà rispondere dei debiti del defunto; dall’altro, si evitano confusioni tra i beni ereditari e beni dell’erede.
Le formalità procedurali volte a raggiungere questo duplice obiettivo sono minuziosamente disciplinate dagli artt. 770 e ss. c.p.c.
L’art. 770 c.p.c. prevede che, nei casi in cui l’inventario venga eseguito da un notaio, il cancelliere gli consegni le chiavi da lui custodite ex art. 756 c.p.c. (nell’attività di apposizione di sigilli alle serrature), copia del processo verbale di apposizione dei sigilli, nonché dell’istanza e del decreto di rimozione; da ultimo, il cancelliere deve trasmettere al notaio evidenza delle eventuali opposizioni proposte.
Ricevuto l’incarico di procedere con la rimozione dei sigilli ed la successiva formazione dell’inventario, il notaio dovrà darne comunicazione ai soggetti che hanno diritto di assistervi ex art. 771 c.p.c., specificando il giorno di inizio delle operazioni (art. 772 c.p.c.).
Il processo verbale di inventario, infine, deve contenere le indicazioni e le descrizioni previste dall’art. 775 c.p.c. (descrizione dei mobili e degli immobili, indicazione della quantità di denaro e delle altre attività e passività, descrizione delle carte, scritture e note relative allo stato attivo e passivo). Nel processo verbale, inoltre, deve essere specificamente indicato l’accesso del notaio all’abitazione del de cuius per la ricognizione dei beni ivi esistenti. In difetto di tale precisazione, infatti, non verrebbe superata la presunzione legale dell’esistenza nell’asse ereditario di gioielli, denaro e mobilia nelle quantità indicate dall’art. 9 D.P.R. 346/1990.


(1) G. CHIOVENDA, Principi di diritto processuale civile, Napoli, 1923, p. 464.

(2) C.M. DE MARINI, Ausiliari del giudice, in Enc. dir., IV, Milano, 1959, p. 308.

(3) Cfr. Cass., e S.U., 21 novembre 1997, n. 11619; in dottrina si veda M. VELLANI, Ausiliari del giudice, in Nov. Dig. it., I, 2, Torino, 1957, p. 1543; C.M. DE MARINI, op. cit., p. 308.

(4) C.M. DE MARINI, op. cit., p. 308.

(5) Ai sensi dell’art. 1 «I notari sono ufficiali pubblici istituiti per ricevere gli atti tra vivi e di ultima volontà, attribuire loro pubblica fede, conservarne il deposito, rilasciarne le copie, i certificati e gli estratti. Ai notai è concessa anche la facoltà di: 1. sottoscrivere e presentare ricorsi relativi agli affari di volontaria giurisdizione, riguardanti le stipulazioni a ciascuno di essi affidate dalle parti; 2. ricevere con giuramento atti di notorietà in materia civile e commerciale; 3. ricevere le dichiarazioni di accettazione di eredità col beneficio dell’inventario di cui nell’articolo 955 del codice civile, nonché gli atti di autorizzazione dei minori al commercio, a mente dell’art. 9 del codice di commercio. Tali dichiarazioni ed atti non acquisteranno efficacia se non dal giorno in cui verranno trascritti negli appositi registri all’uopo tenuti nelle cancellerie giudiziarie; 4. procedere, in seguito a delegazione dell’autorità giudiziaria: a) all’apposizione e rimozione dei sigilli nei casi previsti dalle leggi civili e commerciali; b) agli inventari in materia civile e commerciale, ai termini dell’art. 866 del codice di procedura civile, salvo che il pretore, sulla istanza e nell’interesse della parte, non creda di delegare il cancelliere; c) agl’incanti e alle divisioni giudiziali e a tutte le operazioni all’uopo necessarie; 5. rilasciare i certificati di vita ai pensionati ed agli altri assegnatari dello Stato, giusta l’articolo 402 del regolamento sulla contabilità dello Stato 4 maggio 1885, n. 3074. I notari esercitano inoltre, le altre attribuzioni loro deferite dalle leggi».

(6) Cfr F. MANNA, La delega ai notai delle operazioni di incanto immobiliare. legge 3 agosto 1998, n. 302, Milano, 1999, p. 45; R. VACCARELLA, Delegabilità ai notai de iure condito e de iure condendo delle operazioni di incanto nelle espropriazioni immobiliari, in Delegabilità ai notai delle operazioni di incanto nelle espropriazioni immobiliari. Normativa vigente e prospettive di riforma. Atti del Convegno di Roma del 22-23 maggio 1993, Milano, 1994, p. 44, secondo cui «a differenza degli ausiliari il notaio ha … compiti sostitutivi (e mai propriamente sussidiari) di quello dei componenti dell’ufficio giudiziario»

(7) Cfr. Studio n. 1-2006, «Estratti notarili da libri contabili tenuti con mezzi informatici», in Studi e materiali, 2006, p. 2

(8) Cfr. Studio n. 1-2006, op. cit., p. 3

(9) Cfr. Cass. civ., sez. I, 12 ottobre 1994, n. 8332, in Giust. civ., 1995, I, p. 123 e ss.; in dottrina, Studio n. 4-1995, «Competenza del notaio a rilasciare estratti di documenti e valori di questi ultimi», in Studi e Materiali, 1995, p. 413.

(10) Come ha avuto più volte modo di chiarire la giurisprudenza, infatti, gli estratti autentici delle scritture contabili ex art. 634 c.p.c. hanno efficacia solo ai fini dell’emissione del decreto ingiuntivo e non nell’eventuale giudizio di opposizione; cfr. Cass., sez. III, 17 novembre 2003, n. 17371 «Il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo si configura come giudizio ordinario di cognizione e si svolge seconde le norme del procedimento ordinario nel quale incombe, secondo i principi generali in tema di onere della prova, a chi fa valere un diritto in giudizio il compito di fornire gli elementi probatori a sostegno della propria pretesa. Pertanto, nel caso di opposizione a decreto ingiuntivo avente ad oggetto il pagamento di forniture, spetta a chi fa valere tale diritto fornire la prova del fatto costitutivo, non potendo la fattura e l’estratto delle scritture contabili, già costituenti titolo idoneo per l’emissione del decreto, non costituisce fonte di prova in favore della parte che li ha emessi; né è sufficiente la mancata contestazione dell’opponente, occorrendo, affinché un fatto possa considerarsi pacifico, che esso sia esplicitamente ammesso o che la difesa sia stata impostata su circostanze incompatibili con il disconoscimento e, con riferimento al comportamento extraprocessuale, non il mero silenzio, ma atti e fatti obiettivi di concludenza e serietà tali da assurgere a indizi non equivoci idonei, in concorso con altri, a fondare il convincimento del giudice. (Nella specie anteriore all’entrata in vigore della riforma del processo civile - la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza che aveva rigettato l’opposizione sulla base della prova documentale del decreto ingiuntivo e del mancato adempimento dell’onere di contestazione da parte dell’opponente prima e durante il processo)».

(11) Cfr. Studio n. 1-2006, op. cit., p. 4.

(12) A.M. SOLDI, Manuale dell’esecuzione forzata, Padova, 3 a ed., 2011, p. 279.

(13) Cfr. A.M. SOLDI, op. cit., p. 297.

(14) Trib. Milano, sez. VII, 07 gennaio 2008, n. 86809.

(15) Cfr. sul punto E. RICCI, «L’omesso deposito dei documenti nel procedimento di vendita immobiliare», in Riv. dir. proc., 1966, p. 543 e ss.

(16) In questo senso Trib. Agrigento, 01 agosto 2002, in Foro it., 2004, I, c. 944; Trib. Termini Imerese, 27 novembre 2002, in Foro it., 2004, I, c. 944; Trib. L’Aquila, 26 agosto 2002, in Notariato, 2003, I, p. 64.

(17) Trib. Reggio Emilia, 18 dicembre 2001, in Federnotizie, marzo 2002.

(18) Corte Cost., 07 ottobre 2005, n. 379.

(19) A.M. SOLDI, op. cit., p. 731.

(20) L. n. 263 del 28 dicembre 2005.

(21) Sul punto si veda: A.M. SOLDI, op. cit., p. 731. «In sostanza l’opzione del legislatore è stata quella di codificare l’esatta corrispondenza tra i documenti da produrre ed il contenuto possibile del certificato notarile sostitutivo; la soluzione prescelta ha d’altra parte prodotto il superamento dell’ipotizzata differenza di trattamento normativo tra la produzione di documenti e la produzione del certificato che si era rilevata nella vigenza del vecchio art. 567 c.p.c. Il legislatore nel modificare la norma ha comunque considerato che le mappe censuarie hanno una funzione meramente sussidiaria poiché la rappresentazione grafica del bene offerta dalla mappa censuaria e l’individuazione della dislocazione del bene sul territorio non sono normalmente essenziali. D’altra parte le mappe possono essere sempre eventualmente richieste come elemento integrativo alle parti o all’esperto nominato dal giudice. È per questo motivo che non se ne è prevista l’acquisizione obbligatoria nella fase iniziale della procedura né l’ha prescritta per la fase successiva». Con riferimento al certificato di destinazione urbanistica, il problema è quello «della sua intrinseca precarietà; infatti la validità del certificato nel caso delle vendite tra privati è subordinata dalla legge alla duplice condizione della sua anteriorità non superiore ad un anno e della dichiarazione dell’alienante che non sono intervenute modificazioni degli strumenti urbanistici. Poiché questa seconda condizione non può verificarsi nelle procedure esecutive, è necessario che il certificato di destinazione sia costantemente aggiornato … Il legislatore prendendo atto di questa situazione ha ritenuto l’inutilità della produzione del certificato nella fase iniziale della procedura, ma ha poi previsto che venga acquisito dall’esperto (art. 173-bis, comma 1 n. 6 disp. att. c.p.c.) e che il suo contenuto sia riportato dal notaio nell’avviso di vendita per le procedure delegate (art. 173-quater comma 1 disp. att. c.p.c.)».

(22) G. DELLA CORTE, La testimonianza scritta, brevi note per l’uso, scaricato dal world wide web, all’indirizzo http://www.iussit.eu/index.php?option=com_conten t&task=view&id=1213, il 20 febbraio 2012.

(23) G. CHIOVENDA, Principi di diritto processuale civile, Napoli, 1980, p. 314.

(24) JANNUZZI - L’OREFICE, Manuale della volontaria giurisdizione, Milano, 2002.

(25) L. MONTESANO, La tutela giurisdizionale dei diritti, Torino, 1994, p. 20 e ss.; cfr. in dottrina anche A. PROTO PISANI, in Diritto processuale civile, Napoli, 1996, p. 749, secondo cui «Accanto alle funzioni giurisdizionali costituzionalmente necessarie, si pone l’area delle funzioni giurisdizionali non necessarie, ossia quelle che il legislatore ordinario è libero di attribuire o meno al giudice. Si tratta di un’area che concerne funzioni ulteriori rispetto a quella della tutela giurisdizionale dei diritti e degli status, che pertanto il legislatore ordinario potrebbe rimettere, nella sua discrezionalità anche in toto, ai poteri privati o alla potestà amministrativa. … Il carattere volontario di queste attività devolute al giudice deriva dalla circostanza che tratta di compiti, di funzioni, che il legislatore nella sua discrezionalità (volontarietà) poteva anche non affidare al giudice cioè a pubblici funzionari caratterizzati da assoluta terzietà rispetto agli interessi su cui sono chiamati a provvedere e dalla indipendenza rispetto a qualsiasi specie di potere o soggezione».

(26) cfr. C. PUNZI, Il processo civile, Torino, 2008, p. 100.

(27) S. SATTA - C. PUNZI, Diritto processuale civile, 13 a ed., Padova, 2000, p. 834.

(28) L. MONTESANO, voce Giurisdizione Volontaria, in Enc. giur., vol. XV, Roma, 1989, p. 8 e ss.

(29) Cfr. Cass., sez. I, 29 maggio 1976, n. 1953.

(30) Legge di conversione del D.l. 22 dicembre 2011 n. 212, recante «Disposizioni urgenti in materia di composizione delle crisi da sovraindebitamento e disciplina del processo civile».

(31) Così E. REDENTI - M. VELLANI, Diritto processuale civile, vol. 3, 3 a ed., Milano 1999.

(32) S. SATTA, Commentario al codice di procedura civile, IV, I, Milano, 1968.

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