- capitolo XIX - l’atto del notaio nell’àmbito della giurisdizione volontaria
- capitolo XIX -
L’atto del notaio nell’àmbito della giurisdizione volontaria
di Antonio Lombardi

1. La vendita ai pubblici incanti di beni di minori, interdetti o inabilitati e la vendita dei beni ereditari

Come abbiamo avuto modo di osservare (cfr. cap. XVII § 7), nell’ambito della volontaria giurisdizione l’attività del notaio assume particolare rilevanza sotto una duplicità di aspetti.
Vi sono infatti ambiti nei quali al notaio è demandato di svolgere “funzioni sue proprie” in quanto previste dalla stessa legge notarile (rimozione dei sigilli, formazione dell’inventario); in altri casi, invece, al notaio compete un’attività di vera e propria sostituzione del giudice, essendogli delegate funzioni che, pur non comportando l’esercizio della giurisdizione, comportano un ruolo di terzietà che difficilmente potrebbe essere assunto da altri operatori del diritto.
L’art. 376 c.c. stabilisce che nell’autorizzare la vendita dei beni dei soggetti sottoposti a tutela, il tribunale determina le modalità e la forma di tale vendita, fissando il prezzo minimo.
Se nell’autorizzare la vendita di beni immobili di minori, interdetti o inabilitati il tribunale stabilisce che debba procedersi con pubblico incanto, designa un cancelliere del tribunale del luogo in cui si trovano i beni o un notaio. In questo caso, l’ufficiale designato procede all’incanto con l’osservanza delle norme degli articoli 534 e ss. c.p.c., in quanto applicabili, premesse le forme di pubblicità stabilite dal tribunale.
L’art. 748 c.p.c. sancisce espressamente che «la vendita dei beni ereditari deve compiersi nelle forme previste per la vendita dei beni dei minori».
Dalla lettura delle norme sopra indicate, emerge uno stretto collegamento tra le modalità di vendita dei beni dei minori, degli interdetti e degli inabilitati, nonché dei beni ereditari con la vendita forzata disciplinata dagli artt. 534 e ss. c.p.c.
In realtà esaminando approfonditamente gli istituti, emerge che il rinvio alle norme in materia di espropriazione forzata riguarda esclusivamente le modalità della vendita e non anche la fase del trasferimento del bene.
Parte della dottrina, infatti, ritiene che nella vendita di beni ex art. 733 c.p.c. (ma anche in quella dei beni ereditari ex art. 748 c.p.c.) non trovano applicazione gli artt. da 2919 a 2924 c.c., in quanto queste norme presuppongono che la vendita si svolga non solo per sostituire il prezzo al bene nel patrimonio del debitore, ma soprattutto per destinare il prezzo ai creditori(1).
Non solo, anche se assoggettati alla disciplina dell’art. 534 e ss. c.p.c., espressamente richiamata dall’art. 733 c.p.c. (al quale rinvia l’art. 748 c.p.c.), gli atti relativi alla vendita dei beni, avendo solo funzione attuativa del provvedimento di autorizzazione del giudice e di liquidazione, quindi, del patrimonio del minore e/o dell’asse ereditario, non possono essere considerati (atti) esecutivi, perché in alcun modo possono ricondursi ad una azione esecutiva, caratterizzata dalla funzione di realizzazione della pretesa del creditore precedente, e possono essere, pertanto, oggetto non di opposizione ex art. 617 c.p.c. ma, se si tratta di provvedimenti pronunciati dal giudice che ha autorizzato la vendita per la soluzione delle questioni sorte nel corso di questa, del reclamo previsto dall’art. 739 dello stesso codice(2).
In caso di opposizione al provvedimento del notaio designato per la vendita, quindi, o vi sarà spazio per il reclamo oppure (per un’autorevole dottrina) si dovrà agire nelle vie ordinarie(3).
Occorre precisare, inoltre, che nella procedura di vendita in questione, nella quale il notaio agisce come ufficiale designato per la vendita, è inapplicabile l’art. 586, mancando un giudice dell’esecuzione che possa pronunciare il decreto di trasferimento, e la fase del traslativa è disciplinata dall’art. 191 disp. att. c.p.c., la cui enunciazione che «il processo verbale di vendita dei beni immobili appartenenti a minori costituisce titolo esecutivo per il rilascio» va interpretata nel senso che tale tipo di vendita - così come anche quella dei beni ereditari - si conclude con tale processo verbale, equivalente dell’atto notarile(4). Si deve concludere, pertanto, che l’incanto avviene nelle forme dell’art. 581 c.p.c. «ma la vendita si fa a contanti proprio in quanto l’art. 191 d.a. non prevede una ordinanza di aggiudicazione ed un decreto di trasferimento analogamente a quanto previsto dall’art. 586, ma solo il processo verbale in cui si da atto del compimento delle operazioni di incanto»(5).
Da notare, inoltre, pur riferendosi l’art. 191 d.a. c.p.c. alla vendita all’incanto di beni immobili appartenenti a minori, secondo autorevole dottrina e giurisprudenza, considerata l’identità di situazioni e di disciplina, la norma deve essere estesa anche alla vendita di beni appartenenti ad interdetti, inabilitati o emancipati(6), nonché alla vendita dei beni ereditari(7).
Da ultimo, l’art. 734 c.p.c. disciplina il caso di esito negativo dell’incanto. In questo caso l’ufficiale designato ne dà atto nel processo verbale trasmettendone copia al tribunale che ha autorizzato la vendita. Il tribunale, se non ritiene di revocare l’autorizzazione o disporre una nuova vendita su prezzo base inferiore, autorizza la vendita a trattative private.

2. Delega della direzione delle operazioni di vendita nell’ambito dei procedimenti di scioglimento delle comunioni

Sussiste comunione quando la proprietà o altro diritto reale spetta in comune a più persone (art. 1100 c.c.).
Nell’ambito della comunione si distingue, dal punto di vista della sua formazione, tra: a) volontaria, che si costituisce con contratto; b) forzosa, non suscettibile di scioglimento e che può costituirsi ab origine (ad esempio nel condominio di edifici) o in conseguenza dell’esercizio di un diritto potestativo (ad esempio nella comunione forzosa del muro ex art. 874 c.c.); incidentale, che si costituisce indipendentemente da una manifestazione di volontà dei partecipanti (ad esempio nella comunione ereditaria ogniqualvolta il de cuius abbia disposto dei propri beni per quote e non per singoli determinati beni).
Ciascun partecipante, dunque, può chiedere lo scioglimento della comunione volontaria o incidentale e quindi la divisione dei beni(8).
Di regola, sempre che sia possibile nella pratica, la divisione deve essere effettuata in natura, nei limiti della comoda divisibilità dei beni(9).
In caso di indivisibilità si procede alla vendita ovvero alla assegnazione del bene ad un singolo partecipante, con riparto di quanto incassato o imputazione alla singola porzione e conguaglio secondo le regole della divisione ereditaria.
L’art. 730 c.c. sancisce che le operazioni sin qui sommariamente descritte possano essere deferite ad un notaio, che in mancanza di accordo tra i partecipanti alla comunione, è nominato con decreto del tribunale del luogo in cui si è aperta la successione.
Se tutte le parti sono d’accordo, quindi, la divisione è eseguita con contratto, altrimenti ogni partecipante può rivolgersi all’autorità giudiziaria e la divisione sarà fatta dal giudice (artt. 784 e ss. c.p.c.).
Il giudizio di divisione ex artt. 784 e ss. c.p.c. secondo gran parte della dottrina sarebbe un processo di accertamento costitutivo, contenzioso per tutta la sua durata, in quanto volto alla dichiarazione e determinazione del diritto alla divisione. Esso, quindi, avrebbe per oggetto il passaggio da uno stato di proprietà indivisa per quote ideali ad uno stato di proprietà distinta di ciascuno dei condividenti sopra la porzione del patrimonio comune a lui assegnata(10).
Se non sorgono contestazioni sul diritto alla divisione, essa è disposta con ordinanza dal giudice istruttore; altrimenti provvede a norma dell’art. 187 c.p.c., definendo il giudizio con sentenza (art. 785 c.p.c.).
Le operazioni di divisione sono dirette dal giudice istruttore il quale svolge tutte le attività necessarie alla formazione e valutazione della massa da dividere, alla individuazione delle quote ed alla loro assegnazione(11). La direzione di tali operazioni può essere delegata ad un notaio ai sensi dell’art. 186 c.p.c.
Tale delega è conferita dal giudice al notaio senza che sia necessario il consenso delle parti.
Gli artt. 790 e 791 c.p.c. disciplinano lo svolgimento delle operazioni di divisione davanti al notaio, che assume le funzioni istruttorie normalmente deferite al giudice(12).
Il notaio deve dare avviso almeno cinque giorni prima ai condividenti e ai creditori intervenuti del luogo, giorno e ora in cui le operazioni avranno inizio.
Se nel corso delle operazioni sorgono contestazioni, il notaio redige apposito processo verbale che trasmette al giudice istruttore, il quale fissa un’udienza per la comparizione delle parti, all’esito della quale decide sulla contestazione con ordinanza.
Per la dottrina, tale norma va interpretata restrittivamente, nel senso cioè che con ordinanza il giudice istruttore può decidere solo le contestazioni circa le modalità con cui procedere alla divisione(13). Le eventuali questioni attinenti ai presupposti stessi della divisione (se ancora non precluse), dovranno essere risolte con sentenza(14).
All’esito delle operazioni di divisione, il notaio redige un unico processo verbale e forma il progetto delle quote e dei lotti.
Se le parti non si accordano, il notaio trasmette il processo verbale al giudice istruttore entro cinque giorni dalla sottoscrizione, il quale provvede ai sensi dell’art. 187 c.p.c.
In caso di accordo ci sono varie opinioni sulla successiva prosecuzione del giudizio.
Secondo una prima dottrina il verbale con il progetto di divisione viene comunque rimesso dal notaio al giudice istruttore, affinché venga reso esecutivo e vengano stabilite con ordinanza le modalità per l’estrazione a sorte dei lotti(15).
Un secondo, preferibile, orientamento ritiene che, in caso di accordo, il procedimento si esaurisce interamente innanzi al notaio, in quanto il verbale che raccoglie le manifestazioni di consenso che fondano l’accordo costituisce un atto negoziale sufficiente ad attuare la divisione e rende superfluo ogni ulteriore provvedimento giudiziale(16).
Una soluzione a tale contrasto dottrinario non può che essere ricercata nella natura dell’ordinanza emessa dal giudice istruttore ai sensi dell’art. 789 c.p.c. (nel caso in cui non vengano delegate le operazioni di divisione al notaio).
Una parte della dottrina e la giurisprudenza individuano il fondamento della vincolatività del progetto nella volontà delle parti(17)e non nell’ordinanza del giudice, che si limiterebbe a conferire efficacia esecutiva al progetto stesso. Ne consegue, pertanto, che in caso di accordo tra le parti tale ordinanza deve essere sempre emessa.
Altra parte della dottrina, invece, ritiene che il provvedimento del giudice istruttore abbia carattere decisorio, con la conseguenza che non c’è necessità di essa dove vi sia accordo espresso tra le parti sulla destinazione dei singoli lotti e dunque non occorra procedere con l’estrazione a sorte(18).
Da ultimo, si rileva che sia per la vendita dei beni mobili e immobili che costituiscono la comunione ereditaria che per l’estrazione a sorte dei lotti, potrà essere delegato un notaio per il compimento delle relative operazioni.

3. Prospettive: la domanda congiunta dei coniugi di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio

L’art. 1 della L. 1° dicembre 1979, n. 898 prevede che «Il giudice pronuncia lo scioglimento del matrimonio contratto a norma del codice civile, quando, esperito inutilmente il tentativo di conciliazione di cui al successivo art. 4, accerta che la comunione spirituale e materiale tra i coniugi non può essere mantenuta o ricostituita».
La successiva L. 74/1987 ha introdotto all’art. 4 della norma sopra richiamata il tredicesimo comma che prevede la possibilità per i coniugi di chiedere lo scioglimento congiunto del matrimonio.
La ratio della riforma del 1987 era quella di conferire maggiore celerità alla procedura di cessazione del vincolo matrimoniale in tutti i casi in cui non vi siano contrasti tra i coniugi circa le condizioni del divorzio.
Nella prassi però a causa del carico di lavoro e delle modalità organizzative dei singoli uffici giudiziari, anche questo istituto ha subito notevoli rallentamenti.
La prospettiva pertanto è quella di affidare determinati incarichi (sussistendone le condizioni) al notaio, al quale nella sua veste di pubblico ufficiale può ipotizzarsi l’affidamento di un segmento della fattispecie produttiva del divorzio.
Specificamente, si potrebbe ipotizzare, per i soli casi di separazione dei coniugi già dichiarata ed in mancanza di prole la possibilità di affidare al notaio l’omologazione dei patti consensualmente voluti dai coniugi.
L’intervento del notaio avverrebbe quindi su basi del tutto volontarie e verrebbe costruito in modo tale da escludere ogni possibile vulnerazione dei principi di riserva dell’Autorità giudiziaria.
Tale ruolo del notaio, peraltro, è già riconosciuto negli ordinamenti stranieri ed ha trovato ingresso (seppur in modo del tutto trasversale) anche nel nostro ordinamento.
Con una recente sentenza la Corte di Cassazione, infatti, ha dichiarato inammissibile il ricorso del procuratore generale presso la Corte d’Appello di Ancona che contestava il riconoscimento di un atto notarile cubano di scioglimento del matrimonio deciso dalla stessa Corte d’Appello di Ancona che ne aveva disposto la trascrizione nell’ufficio di stato civile(19).
Considerato tale precedente giurisprudenziale, quindi, sarebbe opportuno un intervento legislativo in materia tale da affidare anche ai notai italiani, nei casi specificamente indicati sopra, il compito di procedere con l’attività necessaria per omologare i patti voluti dai coniugi in sede di separazione.


(1) Cfr. V. ANDRIOLI, Commento al codice di procedura civile, IV, 3 a ed., Napoli, 1964, p. 421; sul punto si veda anche S. SATTA, Commentario al codice di procedura civile, IV, I, Milano, 1968, p. 370.

(2) Cfr. Cass., sez. III, 29 ottobre 1993, n. 10778.

(3) Cfr. S. SATTA, op. cit., p. 370.

(4) Cfr. Cass., sez. II, 11 ottobre 1995, n. 10587.

(5) Così V. ANDRIOLI, op. cit., p. 421.

(6) Cfr. A. LEVONI, Le disposizioni di attuazione del codice di procedura civile, Milano, 1992, p. 625.

(7) Cfr. Tribunale Salerno, sent. 18 settembre 2007, in Corr. mer., 2007, 12, p. 1392, secondo cui «nella procedura di vendita di beni immobili ereditari, le cui operazioni siano state delegate ad un notaio, … la fase traslativa è disciplinata dall’art. 191 disp. att. c.p.c., ed il trasferimento dei beni avviene in virtù del processo verbale, equivalente all’atto notarile».

(8) Cfr. F. BUSONI, La nuova giurisprudenza civile commentata, 2000, II, p. 17.

(9) Cfr. artt. 720 e 1114 c.c.; cfr. sul punto Cass., sez. II, 24 novembre 1998, n. 11891, secondo cui «Il concetto di comoda divisibilità di un immobile a cui fa riferimento l’art. 720 c.c. postula sotto l’aspetto strutturale che il frazionamento del bene sia attuabile mediante determinazione di quote concrete suscettibili di autonomo e libero godimento che possano formarsi senza dover fronteggiare problemi tecnici eccessivamente costosi e sotto l’aspetto economicofunzionale che la divisione non incida sull’originaria destinazione del bene e non comporti un sensibile deprezzamento del valore delle singole quote rapportate proporzionalmente al valore dell’intero, tenuto conto della normale destinazione ed utilizzazione del bene stesso».

(10) Cfr. E. ALLORIO, «Giudizio divisorio e sentenza parziale con pluralità di parti», in Giur. it., 1946, I, 1, p. 479; per una panoramica completa sulle varie tesi circa la natura del giudizio di divisione cfr. V. PAVANINI, Divisione giudiziale, in Enc. dir., XIII, Milano 1964, p. 45; R. LOMBARDI, Contributo allo studio del giudizio divisorio, Napoli, 2009, p. 139.

(11) Cfr. V. ANDRIOLI, op. cit., p. 606.

(12) Cfr. V. ANDRIOLI, op. cit., p. 617.

(13) C. MANDRIOLI, Corso di diritto processuale civile, III, 20 a ed., Torino, 2009, p. 175.

(14) E. REDENTI, Diritto processuale civile, vol. 3, 3 a ed., Milano 1999, p. 549.

(15) Cfr. V. ANDRIOLI, op. cit., p. 619.

(16) S. SATTA - C. PUNZI, op. cit., p. 860.

(17) Cfr. V. PAVANINI, op. cit., p. 474.

(18) Cfr. E. ALLORIO, op. cit., p 85; R. LOMBARDI, op. cit., p. 256.

(19) Cass., sez. I, 26 settembre 2011, n. 19602.

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