- capitolo XX - l’atto notarile quale strumento di prevenzione o di risoluzione della lite
- capitolo XX -
L’atto notarile quale strumento di prevenzione o di risoluzione della lite
di Salvatore Di Meglio
1. La funzione “preventiva” del notaio volta ad evitare l’insorgenza della lite
Fin qui si è analizzata l’ampia area tematica dei rapporti tra Notariato e amministrazione della giustizia, con particolare riferimento a due degli ambiti di attività che tradizionalmente definiscono il tema: la funzione di ‘documentazione’ preordinata ad usi processuali e l’attività di partecipazione al processo del notaio.
Accanto a queste due attività, ve ne è comunemente una terza, rappresentata dall’affidamento al notaio di una funzione di ‘prevenzione’ delle controversie, la quale si fonda sull’attitudine del notaio, in forza della sua formazione culturale e della garanzia di imparzialità, indipendenza e terzietà assicurate dal suo ufficio, a svolgere compiti di «mediazione giuridica»(1), rappresentando così uno strumento essenziale nella limitazione dell’insorgenza delle controversie giudiziarie e nell’alleggerimento, per questa via, della presente crisi della giustizia civile nel nostro Paese(2).
Il contributo offerto dal notaio nell’esercizio di detta peculiare funzione non afferisce, dunque, alla partecipazione diretta del professionista al processo, in qualità di ausiliario del giudice e neppure costituisce una modalità di utilizzazione all’interno del processo di documenti formati al suo esterno dal notaio stesso, come soggetto in grado di imprimere singolarmente agli atti che forma una particolare rilevanza probatoria, in ragione del suo status professionale, ma è propriamente connesso allo svolgimento di un’attività che si realizza al di fuori e prima del processo e affinché questo non venga ad esistenza.
I caratteri di detta attività sono intimamente connessi alla peculiarità del suo ufficio, che il notaio normalmente svolge sulla base di una scelta fiduciaria di coloro che ricorrono alla sua opera e che si esplica nel dare veste giuridica alla volontà negoziale di questi ultimi.
L’intervento del notaio, infatti, garantisce in primo luogo che il contenuto degli atti che egli forma o che riceve sia riconducibile alla volontà dei contraenti, sia nel senso di dare certezza che le parti abbiano effettivamente sottoscritto l’atto, sia nel senso di assicurare che le parti abbiano realmente compreso il contenuto dell’atto e gli effetti che ne derivano.
In secondo luogo, pur essendo tenuto a farsi interprete della volontà delle parti, il notaio garantisce che la formazione dell’atto avvenga nel pieno rispetto della legge, in modo da assicurare la validità delle contrattazioni. In questo senso, il notaio può anche influire sulla volontà delle parti, indirizzandola verso un risultato pratico diverso da quello inizialmente voluto, se lo ritenga opportuno per evitare il compimento di atti in frode alla legge o i cui effetti non siano chiari alle parti. Non a caso, l’atto pubblico di provenienza notarile è assistito da una forte presunzione di legalità, proprio perché proveniente da soggetti che, in virtù dell’intervento qualificato del notaio, sono consapevoli del suo contenuto e dei suoi effetti, dato questo che fa presumere che l’atto abbia un contenuto lecito e sia dunque valido.
In terzo luogo, il notaio assiste le parti perché raggiungano gli obiettivi che si propongono, svolgendo a tal fine un ruolo attivo, inteso a consentire che la soluzione scelta sia sicura e non comporti rischi per le parti stesse(3).
Nel compimento dei doveri appena indicati, dunque, il notaio svolge una funzione che per certi versi ricorda quella del giudice. Come quest’ultimo, infatti, anche il notaio deve trarre un giudizio dalla varia rappresentazione della realtà dinanzi a lui riprodotta dalle parti, onde assicurare alle stesse, in una soluzione imparziale di ogni loro problema, la tutela dei rispettivi diritti ed interessi. Tuttavia, mentre il giudice opera in una situazione di conflitto tra le parti, in presenza, cioè, di una lite già insorta, il notaio svolge la sua attività nel momento che si potrebbe definire fisiologico del rapporto, quando cioè le parti sono intenzionate unicamente a regolare i rispettivi interessi sul piano sostanziale e non è ancora sorta (né, per vero, è detto che insorga) una controversia: compito del notaio è, appunto, quello di impedire, tramite il suo intervento qualificato, l’insorgenza della controversia(4).
Per vero, lo svolgimento da parte del notaio di un’attività di controllo sulla liceità del regolamento negoziale(5), nonché di prevenzione di eventuali vizi che potrebbero inficiare gli atti da lui formati o ricevuti, non esaurisce l’ambito delle attività preordinate alla prevenzione delle controversie. Il contributo del notaio in questa direzione può infatti realizzarsi anche mediante l’attribuzione ad esso di funzioni propriamente arbitrali, di mediazione e di consulenza, le quali, peraltro, accentuano ulteriormente la sua capacità di fornire ai contraenti i chiarimenti necessari in ordine al valore giuridico e alle conseguenze derivanti dall’atto posto in essere, consentendo anche per questa via l’obiettivo di contenimento del contenzioso.
Prima di analizzare specificamente le modalità attraverso le quali l’esercizio della funzione di prevenzione delle controversie potrebbe realizzarsi nei settori della conciliazione e dell’arbitrato, sia consentito accennare brevemente agli aspetti dell’attività notarile che maggiormente consentono l’obiettivo della prevenzione: la funzione di certificazione e quella di adeguamento.
2. La redazione dell’atto secondo criteri giuridici: la funzione di adeguamento, il controllo di legalità dell’atto
Tradizionalmente, nell’ambito della cosiddetta funzione notarile, sono individuate due differenti funzioni: la funzione di documentazione, anche detta di certificazione, cui fa espresso riferimento il primo comma dell’art. 1 L.N., e la funzione di adeguamento, riconducibile in parte al disposto degli artt. 28 e 47 L.N.
Di seguito, queste due funzioni sono esaminate nell’ottica della finalità di prevenzione dei conflitti propria dell’attività notarile che qui si sta indagando.
Come si è ampiamente osservato in altra parte di questo lavoro(6), la funzione di certificazione è l’attività mediante la quale il notaio raccoglie e racchiude le dichiarazioni di scienza e di volontà di uno o più soggetti in un documento atto per legge a suscitare certezze legali e a fornire prova fino a querela di falso. Si dice a questo proposito che la funzione di certificazione consiste nell’attribuzione della pubblica fede.
La pubblica fede è conferita dal legislatore anche ad altri soggetti, ma si caratterizza nell’ambito della funzione notarile perché il notaio non si limita a rilasciare meri attestati certificativi, ma attribuisce una particolare efficacia probatoria al contenuto complessivo del documento. L’atto notarile, infatti, non costituisce una mera riproduzione di dichiarazioni rese al notaio, ma presuppone un’importante attività dello stesso, «logicamente e cronologicamente preliminare rispetto a quella della documentazione»(7). Il notaio, infatti, diversamente dagli altri pubblici ufficiali, utilizzando il linguaggio giuridico di cui è fornito e applicando le giuste forme per il raggiungimento dello scopo, è capace di creare un documento tendenzialmente univoco nel suo significato e corrispondente al senso obiettivo di quanto dichiaratogli.
Naturalmente, la certezza privilegiata attribuita dalla legge all’atto pubblico notarile (e alla scrittura privata autenticata) consente di guardare all’intervento del notaio non solo come ad un’attività preordinata alla documentazione formale di atti, ma anche come ad un’attività funzionale alla prevenzione delle controversie. L’intervento del notaio, infatti, fissa un assetto di interessi tra le parti che è tale da impedire tendenzialmente l’insorgere fra le stesse di ogni possibile controversia.
L’altra attività del notaio che appare idonea a costituire un filtro per l’insorgenza di possibili liti è la funzione di adeguamento(8), che si estrinseca nel controllo di legalità dell’atto (art. 28 L.N.), nella indagine circa l’effettiva volontà delle parti (art. 47, ult. comma, L.N.) e nella riconduzione di questa alla norma giuridica, indirizzandola verso la soluzione più appropriata anche sotto il profilo economico(9).
Va rilevato che l’attività di adeguamento, sinteticamente definita dalle norme richiamate, non deve limitarsi alla mera ricezione della dichiarazione negoziale, avulsa da qualsiasi valutazione, e ciò in quanto, «pur essendo tenuto, quale professionista, ad una prestazione di mezzi e comportamenti e non di risultato, l’opera di cui il notaio è richiesto non si riduce al mero compito di accertamento della volontà delle parti e di direzione della compilazione dell’atto, ma si estende a quelle attività preparatorie e successive, necessarie perché sia assicurata la serietà e certezza dell’atto giuridico da rogarsi ed in particolare la sua attitudine ad assicurare il conseguimento dello scopo tipico di esso e del risultato pratico voluto dalle parti dell’atto» (Cass., sez. III, 14 giugno 1999, n. 5946).
L’attività di adeguamento, quindi, viene sussunta in una più ampia funzione di garanzia a tutela non solo dell’autonomia privata, ma anche degli interessi collettivi che lo Stato assume come propri e che con essa possono entrare in conflitto. Il notaio non è più solo mero custode dell’autonomia privata, ma ha il compito di garantirne l’esplicazione di questa in conformità dei canoni dell’ordinamento. È indubbio, quindi, che l’attività di adeguamento, specificandosi in un approfondito controllo di legalità e realizzando un assetto di interessi che è conforme all’intento pratico delle parti richiedenti il ministero notarile, ma anche rispettoso dei principi dell’ordinamento giuridico, rappresenti uno strumento essenziale nella limitazione dell’insorgenza delle controversie giudiziarie.
Ciò detto, si passano ad esaminare di seguito talune occasioni di intervento del notaio in funzione antiprocessuale.
3. La mediazione e la conciliazione davanti al notaio: il D.lgs. n. 28/2010
L’obiettivo di recupero dell’attività notarile in funzione antiprocessuale può realizzarsi attraverso l’affidamento al notaio di un ruolo attivo nel settore della mediazione. L’esperienza maturata in questo ambito nel corso degli ultimi anni ha infatti dimostrato come il successo degli organi di conciliazione sia strettamente correlato, da un lato, alla loro specializzazione e al connesso legame con i settori della società da cui nascono le controversie bisognose di composizione e, dall’altro lato, alla sostanziale inidoneità degli strumenti tradizionali di tutela a fornire risposte convincenti ai bisogni della collettività.
Con l’introduzione della «mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali», avvenuta ad opera del D.lgs. 4 marzo 2010, n. 28, sono state censite almeno tre distinte modalità di intervento del notaio nell’ambito della procedura di mediazione: (i) l’attività di autenticazione del verbale di conciliazione; (ii) l’attività di mediatore; (iii) l’attività di mediatore e di notaio autenticante al tempo stesso(10).
3.1. Segue: L’autenticazione notarile del verbale di conciliazione
Riguardo alla attività di autenticazione del verbale di conciliazione reso all’esito del procedimento di mediazione, la previsione di un intervento notarile è stata in qualche modo imposta da esigenze di salvaguardia dei traffici giuridici. Difatti, nella sua formulazione originaria(11), l’art. 11 stabiliva che il verbale di conciliazione - qualunque fosse stato il contenuto dell’accordo raggiunto - dovesse contenere la certificazione, da parte del mediatore, dell’autografia delle sottoscrizioni delle parti o della loro impossibilità di sottoscrivere.
L’attribuzione in via esclusiva al mediatore della funzione di autenticazione delle sottoscrizioni apposte dalle parti era stata fortemente osteggiata nel mondo degli operatori del diritto - ancorché la proposta normativa non contemplasse espressamente la trascrivibilità dei verbali - in quanto si riteneva che l’attribuzione al mediatore della funzione di certificazione, in uno con la possibilità, prevista dall’art. 12, comma 2, di ottenere l’omologa giudiziale del verbale a fini esecutivi, potesse creare le condizioni per invocare la trascrivibilità del verbale nei registri pubblici, tradizionalmente riservata dal legislatore ai soli atti pubblici e alle scritture private autenticate.
In questo quadro, si era pure ritenuto che la previsione di un’omologa giudiziale non avrebbe potuto comunque sostituire il controllo di legalità compiuto dal pubblico ufficiale, giacché la verifica affidata al tribunale in sede di omologazione resta circoscritta al controllo di regolarità formale del verbale e non può certo considerarsi integrativa della certificazione compiuta da un soggetto in ipotesi sprovvisto di qualsiasi qualificazione professionale(12).
Probabilmente, si trattava di una preoccupazione eccessiva. Il verbale di conciliazione, infatti, non è un quid paragonabile ad un lodo, che una volta omologato, è titolo trascrivibile (art. 825, 1° comma, c.p.c.), ciò che è coerente con il rilievo per cui, mentre l’arbitrato (almeno quello rituale) è una forma di giustizia alternativa che mette capo ad una sentenza (art. 824-bis c.p.c.), ancorché resa all’esito di un procedimento privato, la mediazione è un rimedio alternativo che si pone su un piano puramente contrattuale(13), onde il verbale/contratto è trascrivibile soltanto se è documentato in un certo modo, ossia è versato in un atto pubblico o in una scrittura privata autenticata.
Che è propriamente quanto poi si è finito per dire con il terzo comma dell’art. 11, nel testo definitivamente licenziato dalle Camere, laddove si è previsto che «se con l’accordo le parti concludono uno dei contratti o compiono uno degli atti previsti dall’articolo 2643 del codice civile, per procedere alla trascrizione dello stesso la sottoscrizione del processo verbale deve essere autenticata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato».
Ciò significa che, per la documentazione dell’accordo al fine della trascrizione, non è sufficiente il verbale redatto dal mediatore, il quale può solo certificare l’autografia della sottoscrizione delle parti per rendere il verbale idoneo all’efficacia esecutiva, ma niente altro(14). Viceversa, l’intervento del notaio (o del pubblico ufficiale autorizzato) renderà possibile la trascrizione del verbale di conciliazione nei pubblici registri(15).
Si è ritenuto, peraltro, che l’autentica del notaio o del pubblico ufficiale autorizzato non resti circoscritta ai soli atti elencati nell’art. 2643 c.c., ma si estenda, per analogia, anche agli altri atti previsti dall’art. 2645 c.c. (divisioni, accettazioni eredità, acquisto di legato, etc.), agli atti di cui agli artt. 2645-bis e ter c.c. (preliminari, atti di destinazione), nonché in generale a tutti gli accordi che abbiano ad oggetto beni per i quali la legge prevede particolari forma di pubblicità, come operazioni su quote sociali o su beni mobili registrati(16).
Riguardo, invece, agli adempimenti necessari per l’autenticazione, la disciplina della mediazione prevede che le parti firmino l’accordo, se da esse raggiunto, oppure l’accettazione della proposta fatta dal mediatore. Poi esse firmano la documentazione dell’accordo, ossia il verbale, e l’autografia della loro sottoscrizione è certificata dal mediatore stesso. A questo punto, le parti possono anche versare il medesimo accordo in un altro atto redatto di fronte ad un notaio, il quale assumerà la forma della scrittura privata autenticata o dell’atto pubblico. Questa ulteriore documentazione dell’accordo, oltre a poter essere utilizzata a fini esecutivi, potrà anche servire per procedere alla trascrizione nei Registri immobiliari(17).
Riguardo alle modalità dell’intervento notarile, la soluzione che sembra preferibile è che il notaio intervenga solo successivamente alla conclusione della mediazione. Più difficile, anche se non irrealizzabile, sembra essere l’ipotesi che il notaio, presente personalmente alle operazioni, assista alla sottoscrizione del verbale e dell’accordo allegato, autentichi le firme apposte dalle parti e provveda successivamente alla registrazione e trascrizione del verbale e dell’allegato accordo.
È necessario, in ogni caso, che il notaio sia messo nelle condizioni di poter assolvere al meglio le funzioni che gli viene chiesto di esercitare: così, visto che l’autentica delle firme apposte al verbale consente l’iscrizione nei pubblici registri, è necessario che il verbale sia completo e contenga tutte le informazioni necessarie e le dichiarazioni di legge (urbanistiche, di conformità catastale, etc.) e non necessiti di integrazioni e/o modifiche. In questa prospettiva, non deve escludersi che il notaio possa redigere un atto autonomo, facendo riferimento agli accordi raggiunti tra le parti; questa soluzione sarà preferibile le volte che, previo consenso da parte degli interessati, dovesse essere necessario rivedere o modificare il testo dell’accordo(18).
3.2. Segue: L’attività di mediatore del notaio e di mediatore e pubblico ufficiale autenticante al tempo stesso
Il notaio può svolgere la sua funzione antiprocessuale nell’ambito del procedimento di mediazione anche ricoprendo egli stesso il ruolo di mediatore. Non sembra vi siano ostacoli all’espletamento di detta funzione. Anzi, il notaio è probabilmente il soggetto che, in ragione della garanzia di imparzialità che offre, può meglio di chiunque altro farsi destinatario del ruolo che la legge ha espressamente dichiarato di voler riservare a soggetti imparziali, rispetto alla procedura e alle sue parti, tenuti a svolgere le attività previste con la dovuta diligenza, in ottemperanza al dovere di riservatezza su ogni informazione relativa alla procedura o ad essa connessa(19).
A ciò si aggiunga che il notaio è un soggetto dotato di peculiari competenze tecnico-giuridiche e che l’attività di mediazione presuppone proprio la conoscenza di regole giuridiche, oltre che tecniche e deontologiche, le quali invece sono normalmente acquisite dai mediatori che non siano anche operatori del diritto solo attraverso la pratica dei percorsi di formazione e di aggiornamento professionale prescritti dalla legge ai fini del conseguimento delle attitudini professionali richieste.
Tanto premesso, nel caso in cui il notaio svolga il ruolo di mediatore all’interno del procedimento di mediazione, oltre a dover osservare gli obblighi imposti al mediatore dall’art. 14 D.lgs. n. 28/2010, sarà tenuto a rispettare il regolamento di cui sia dotato l’organismo di conciliazione che l’ha designato. Per contro, si è ritenuto che «il comportamento censurabile del notaio che nell’ambito del procedimento di conciliazione agisca solo in qualità di mediatore, impregiudicate le eventuali responsabilità sul piano professionale - di tipo civile e di natura deontologica - non sembra valutabile sul piano disciplinare (notarile), non trovando applicazione in tale ipotesi la legge notarile»(20).
Riguardo, invece, al caso in cui nella persona del notaio coincidano la figura del mediatore e del pubblico ufficiale autenticante, si tratta di verificare se lo svolgimento congiunto delle due funzioni sia compatibile con l’art. 14 D.lgs. n. 28/2010, il quale prevede che «al mediatore … è fatto divieto di assumere diritti ed obblighi connessi, direttamente o indirettamente, con gli affari trattati», nonché di «percepire compensi direttamente dalle parti».
In proposito, può essere sicuramente condiviso l’orientamento dottrinale(21)che nega che il citato art. 14 possa costituire una limitazione all’attività del notaio che agisca nel doppio ruolo sopra evidenziato, dovendosi escludere una violazione della imparzialità/indipendenza del notaio, sia che si guardi al profilo del diritto alla prestazione per l’autenticazione delle sottoscrizioni, inteso come diritto connesso agli affari trattati, sia che si guardi al profilo per cui dall’accordo conciliativo scaturiscono diritti od obblighi connessi, direttamente o indirettamente, con gli affari trattati.
Infatti, con riguardo al primo profilo, si è correttamente rilevato che il notaio «è obbligato a prestare il suo ministero ogni volta che ne è richiesto» (art. 27 L.N.), cosicché, ove le parti richiedano l’autenticazione delle sottoscrizioni apposte al verbale (e all’eventuale accordo allegato), il notaio non può negare la propria attività.
Riguardo al secondo profilo, si è invece osservato che l’attività di autenticazione del notaio interviene soltanto in un momento successivo alla chiusura dell’accordo, sicché non potrebbe più scaturire per il pubblico ufficiale autenticante - direttamente o indirettamente - alcun obbligo connesso alla questione oggetto della mediazione.
Riguardo, infine, al divieto per il mediatore di percepire compensi direttamente dalle parti, si tratta - com’è ragionevole ritenere - di un divieto rivolto al notaio in quanto mediatore e non al notaio nell’esercizio di funzioni sue proprie: quindi le indennità dovute per il procedimento di mediazione dovranno essere versate all’organismo di mediazione, le spese e gli onorari per l’autentica o per la traduzione in atto pubblico dell’accordo saranno invece dovute al notaio.
In definitiva, deve ritenersi che la soluzione favorevole al doppio ruolo sia non solo possibile, ma addirittura auspicabile. Infatti, una volta che le parti abbiano raggiunto l’accordo conciliativo con l’intervento del notaio, potrebbe essere persino interesse delle stesse affidare sempre al medesimo notaio - che ha facilitato la mediazione, valutato i rispettivi interessi, conosciuto la volontà delle parti - anche il compito di dare all’accordo la veste giuridica necessaria per la sua pubblicità.
4. L’autenticazione della sottoscrizione del lodo irrituale nelle controversie di lavoro
Nella fattispecie che andiamo adesso ad esaminare, il notaio non svolge propriamente una funzione di prevenzione delle controversie giudiziali, ma riveste un ruolo che è connesso con il funzionamento di un istituto, qual è quello arbitrale, che è comunque preordinato al componimento delle controversie insorte tra le parti al di fuori dell’ambito giudiziale, per finalità che sono anche di deflazione del carico processuale.
Orbene, l’art. 31 della L. 4 novembre 2010, n. 83, contenente la nuova disciplina della risoluzione arbitrale delle controversie di lavoro, ha modificato l’art. 412 c.p.c., introducendo al terzo comma la seguente disposizione: «Il lodo emanato a conclusione dell’arbitrato, sottoscritto dagli arbitri e autenticato, produce tra le parti gli effetti di cui all’articolo 1372 e all’articolo 2113, quarto comma, del codice civile».
Per quanto di interesse in questa sede, si rileva che la citata disposizione non dice nulla circa i soggetti autorizzati ad autenticare le firme, ma è giocoforza ritenere che a tale incombenza non possano provvedere gli arbitri, ai quali la legge riserva una potestà certificativa soltanto speciale e non riferibile alla pubblicità (cfr. artt. 824 e 813 c.p.c.). Nel silenzio della legge, l’unica soluzione possibile sembrerebbe essere quella secondo cui all’autenticazione debba provvedere il notaio, posto che egli rimane, ancora oggi, l’unico soggetto ‘istituzionalmente’ preposto a conferire pubblica fede agli atti che forma (art. 1, comma 2, L.N.).
Se questa soluzione è corretta - e non sembra che ci siano ragioni per dubitarne - la partecipazione del notaio diviene addirittura elemento della fattispecie costitutiva degli effetti del lodo, i quali ordinariamente si producono per effetto della sola sottoscrizione degli arbitri. A questo punto, però, bisogna domandarsi quale sia la reale natura dell’autenticazione compiuta dal notaio, perché vi è l’esigenza di impedire che eventuali deficienze dell’autenticazione si trasformino in fattori di patologia del lodo.
Ove, infatti, si attribuisca all’autenticazione notarile la natura di autenticazione in senso proprio, ossia di certificazione dell’identità del sottoscrittore ai sensi dell’art. art. 2703 c.c., si potrebbe sostenere che, almeno «relativamente alle obbligazioni di somme di denaro», la scrittura privata degli arbitri, mandatari delle parti, avrebbe immediatamente natura di titolo esecutivo ai sensi dell’art. 474, 1° comma, n. 2, c.p.c. e più non riuscirebbe comprensibile la necessità dell’omologa giudiziale prevista dal successivo 4° comma dell’art. 412 c.p.c. («Il giudice, su istanza della parte interessata, accertata la regolarità formale del lodo arbitrale, lo dichiara esecutivo con decreto»).
Sennonché, pur ritenendo che la sottoscrizione del lodo ai fini dell’autentica notarile spetti agli arbitri e non alle parti(22)e, dunque, pur escludendo che l’autentica del lodo possa venire ostacolata dalla parte soccombente che non voglia concorrere alla formazione di un titolo esecutivo in suo danno(23), non è improbabile che l’autentica notarile possa difettare per altre e distinte ragioni; nel qual caso, l’attribuzione ad essa della natura di autenticazione in senso proprio e dunque di condizione di validità del lodo - al modo di previsioni quale quella dell’art. 241, comma 9, codice degli appalti («Il lodo si ha per pronunziato con il suo deposito presso la camera arbitrale per i contratti pubblici», poi modificata dall’art. 5 D.lgs. 20 marzo 2010, n. 53, nel senso che «Il lodo si ha per pronunciato con la sua ultima sottoscrizione e diviene efficace con il suo deposito presso la camera arbitrale per i contratti pubblici») - potrebbe rappresentare un serio impedimento alla stabilizzazione della decisione arbitrale.
Proprio in ragione dei rischi insiti in una ricostruzione del potere in questione in termini di potere di autentica in senso proprio, una parte della dottrina(24)ha proposto di attribuire all’autenticazione notarile regolata dal 3° comma dell’art. 412 c.p.c. una diversa funzione, che è quella propria dell’accertamento di autenticità del verbale di conciliazione compiuto dal Direttore della Direzione provinciale del lavoro o da un suo delegato quando la redazione del verbale sia avvenuta «in sede sindacale», cioè non «presso la commissione di conciliazione». In tal caso - osserva questa dottrina - il controllo di autenticità consente all’Ufficio pubblico di ri-appropriarsi del documento formato al di fuori di essa, «così che possa darsi il dispiegamento completo dell’efficacia di negozio eventualmente ricettivo di rinunzie e transazioni dei diritti del prestatore: un’efficacia che, in tal modo, rimarrebbe ulteriormente connessa a forme di intervento del potere pubblico (art. 2113, 4° comma, c.c.)».
Va tuttavia precisato che una siffatta ricostruzione della funzione dell’autentica notarile, se non consente di attribuire ad essa la natura di requisito di validità del lodo arbitrale, non impedisce tuttavia di considerare l’autentica come uno strumento per rendere certa la data della formazione del documento, a norma dell’art. 2704, 1° comma, c.c., il che può rilevare, come è stato osservato, «ai fini della prova dell’emanazione del lodo nel «termine … spirato il quale l’incarico deve intendersi revocato»(25).
5. Prospettive de iure condendo: possibili nuovi impieghi dell’atto notarile
Fin qui sono state esaminate talune occasioni di intervento del notaio in funzione antiprocessuale previste dalla recente legislazione nazionale in materia di conciliazione ed arbitrato. Di seguito si illustrano quelli che potrebbero essere, in una prospettiva de iure condendo, i possibili nuovi impieghi dell’atto notarile come strumento per la prevenzione delle controversie civili.
5.1. Segue: La conciliazione endo-processuale ad opera del notaio
Il recupero dell’attività notarile in funzione antiprocessuale potrebbe innanzi tutto prospettarsi in relazione al tentativo di conciliazione affidato al giudice dall’art. 185 c.p.c. Come è noto, con l’entrata in vigore del D.l. n 35/2005, convertito con modificazioni nella L. n. 263/2005, sono state apportate talune modifiche all’originaria disciplina contenuta nell’art. 183 c.p.c., prevedendosi che la conciliazione non sia più tentata dal giudice nel corso della prima udienza di trattazione, ma che possano essere le parti congiuntamente a chiedere la fissazione di un’udienza dedicata all’esperimento del tentativo di conciliazione.
Per vero, la novella ha anche soppresso l’intervento in tale ambito del notaio, che era finalizzato al rilascio in favore del procuratore generale o speciale della parte, che fosse a conoscenza dei fatti di causa, della procura contenente l’attribuzione del potere di conciliare la lite, ed ha attribuito direttamente al difensore il potere di autenticare la procura speciale, che la parte può conferire a chi prende effettivamente parte all’udienza.
Una rapida analisi della disciplina dell’istituto induce a ritenere che la soluzione offerta dal legislatore non sia rispondente alle aspettative di deflazione del carico processuale che la conciliazione endo-giudiziale ha alimentato. Innanzitutto, non poche perplessità pone il fatto che il tentativo di conciliazione continui ad essere amministrato, anche nella nuova disciplina, dallo stesso magistrato al quale è stata già affidata la decisione della controversia. È infatti difficile immaginare che le parti possano avere un approccio sincero ed aperto o che possano sentirsi motivate a rimodulare o a superare la linea di difesa già formalizzata, temendo che il loro contegno possa essere poi valutato o considerato dal giudice al momento della decisione (ex art. 116 c.p.c.).
Allo stesso modo, se la fissazione di un’apposita udienza per la conciliazione delle parti consente di superare le perplessità derivanti dalla vecchia previsione dell’espletamento della conciliazione nella prima udienza di trattazione, quando il giudice difficilmente conosce gli esatti termini della questione, è pur vero che lo stesso svolgimento di un’udienza formale lascia desumere che dovrà essere redatto un verbale contenente le dichiarazioni delle parti, che perciò dovrà essere allegato al fascicolo del giudizio. Il che, sicuramente, non rappresenta un efficace incentivo nella direzione della composizione bonaria della lite. Del resto, l’esperienza dimostra che le parti chiedono al giudice la fissazione dell’udienza di cui all’art. 185 c.p.c. solo quando l’accordo conciliativo è già stato raggiunto fuori dal processo e vi è la necessità di tradurlo in un atto formale, dotato dell’efficacia del titolo esecutivo.
Nel contesto così delineato, potrebbe allora prevedersi in via generale l’attribuzione al notaio del ruolo di conciliatore per le eventuali controversie originate dai contratti conclusi con il suo ministero. Infatti, mentre il tentativo di conciliazione affidato al giudice, per le sue intrinseche caratteristiche, è destinato il più delle volte a fallire, differente potrebbe essere l’esito della conciliazione se questa fosse affidata al notaio, il quale ha piena cognizione dell’atto rogato e può mettere a disposizione delle parti un’interpretazione autentica dello stesso(26).
L’intervento conciliativo del notaio potrebbe realizzarsi mediante il conferimento di un incarico facoltativo da parte del giudice e, allora, troverebbe un sicuro fondamento nell’art. 61 c.p.c., in materia di consulenza tecnica d’ufficio. Ma potrebbe anche ipotizzarsi, in guisa di condizione di procedibilità dell’azione, l’esperimento da parte dell’attore di un tentativo di conciliazione davanti al notaio che ha rogato l’atto, al di fuori delle materie già oggetto della procedura di conciliazione prevista dal D.lgs. n. 28/2010. In tal caso, anche ove si fallisca del tentativo di conciliazione, non è escluso che il parere qualificato del notaio possa disincentivare l’uso troppo disinvolto del mezzo giudiziale.
5.2. Segue: L’intervento del notaio negli accordi prematrimoniali in funzione di legittimato vice iudicis: dal d.d.l. not. 557 alle recenti proposte del Consiglio Nazionale del Notariato
All’esigenza di deflazione del carico processuale sono preordinate anche le iniziative intese ad affidare al notaio un ruolo di legittimato vice judicis nell’ambito dei procedimenti di separazione dei coniugi. Il riferimento è, in particolare, al d.d.L.N. 557, contenente «Modifiche alla disciplina in tema di separazione personale tra i coniugi, scioglimento e cessazione degli effetti civili del matrimonio e successione ereditaria del coniuge», presentato al Senato nel corso della XVI Legislatura e non giunto a conclusione dell’iter parlamentare(27).
Come è noto, l’attuale art. 158 c.c., dettato in tema di separazione consensuale dei coniugi, stabilisce che l’accordo di separazione raggiunto dai coniugi è privo di effetti se non consegue l’omologazione da parte del tribunale (comma 1). Il d.d.l. in questione, intervenendo proprio sull’art. 158 c.c. (separazione consensuale), affianca alla tradizionale richiesta di separazione mediante ricorso giudiziale la stipula da parte dei coniugi di un apposito atto pubblico di separazione nella forma richiesta per le convenzioni matrimoniali. Il notaio, ancora legittimato vice judicis, tenta la conciliazione dei coniugi prima di ricevere l’atto, il quale produce i suoi effetti con l’annotazione a margine dell’atto di matrimonio (art. 2). Per contro, l’intervento omologatore del giudice torna ad essere necessario in presenza di figli minori (art. 3) e in tal caso il decreto di omologazione può essere richiesto dal notaio rogante nell’interesse dei coniugi (art. 4).
Dunque, si tratta di una soluzione su base interamente volontaria (onde non si pone un problema di carico dei relativi costi sulle parti richiedenti) e alternativa rispetto alla via giudiziaria, nel senso che essa si affianca ma non sostituisce l’ordinaria procedura regolata dall’attuale art. 158 c.c., restando comunque riservato a ciascuno dei coniugi il diritto di chiedere che gli effetti (costitutivi) della separazione siano dichiarati esclusivamente dal Giudice. Peraltro, in assenza di prole, i diritti che verrebbero incisi dall’accordo notarile avrebbero per lo più contenuto patrimoniale, di talché il notaio potrebbe per questa via opportunamente fornire alle parti il proprio contributo altamente qualificato.
Analogamente, in un’ottica deflattiva del carico processuale, un disegno di legge in discussione in Parlamento(28)prevede la possibilità di affidare al notaio anche la omologazione dei patti consensualmente voluti dai coniugi in vista del definitivo scioglimento del matrimonio.
Segnatamente, si prevede, mediante l’aggiunta del comma 16-bis al testo dell’art. 3 della L. 898/1970, in relazione ai casi di soli coniugi privi di prole ovvero con figli soltanto maggiorenni e autosufficienti, separati giudizialmente con sentenza passata in giudicato ovvero consensualmente, a seguito di omologa giudiziale, la possibilità di proporre la domanda congiunta di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio dinanzi al notaio, concordemente scelto, avente sede nel circondario di residenza di uno di essi. Il notaio, sentiti i coniugi, assistiti dai rispettivi difensori, «redige processo verbale al termine del quale, verificata l’esistenza dei presupposti di legge, omologa le condizioni inerenti ai rapporti dei coniugi».
Il ricorso al procedimento in questione avviene, dunque, su base interamente volontaria: i coniugi, infatti, possono scegliere, in alternativa al procedimento tradizionale, di proporre la «domanda congiunta» di cui al comma 16 del citato art. 3 dinanzi al notaio concordemente individuato.
Nonostante la scelta di ricorrere allo speciale procedimento dinanzi al notaio sia rimessa alla iniziativa dei coniugi, è fatta comunque salva la possibilità per ciascuno di essi di ricorrere all’A.G. anche dopo l’omologazione notarile del verbale.
Analoga possibilità è riservata al P.M., in considerazione della natura indisponibile della situazione giuridica incisa dalla fattispecie. Si tratta di una soluzione che - come evidenziato anche nella Relazione illustrativa - appare in linea con la necessità di riservare comunque all’A.G., ai sensi dell’art. 2908 c.c., la produzione degli effetti di status.
A garanzia del funzionamento del mezzo, sono stati previsti taluni accorgimenti. Innanzitutto, si è prevista la necessità di assicurare in ogni caso ai coniugi l’assistenza bilaterale da parte degli avvocati, al fine di rimuovere il potenziale conflitto dell’unico difensore. Inoltre, l’alterità ed equidistanza del notaio rispetto alle parti viene assicurata escludendo la possibilità di rivalsa di uno dei coniugi verso l’altro che abbia sostenuto le spese dell’atto notarile.
(1) Sulla funzione di «mediazione giuridica» del notaio, v. l’ampio contributo di G. ARICÒ - G. CESARO, La funzione notarile di prevenzione dei litigi, in Atti del XXII Congresso internazionale del notariato latino, Atene 30 settembre - 5 ottobre 2001, Milano, argomento, v. anche A. PROTO PISANI, «Possibile contributo del notariato al risanamento della giustizia civile», in Foro it., 2000, V, c. 1 e ss.; G. LAURINI, «Il ruolo del notaio nel sistema italiano ed europeo di giurisdizione volontaria», in Riv. not., 1989, p. 325 e ss.
(2) Per avere un’idea della rilevanza del contributo offerto dal notariato nel contenimento del contenzioso in Italia, si può fare l’esempio delle transazioni immobiliari, uno dei principali ambiti di attività del notaio, ove il contenzioso su questi atti riguarda annualmente circa 50 casi su oltre 1.700.000, pari allo 0,0029% delle transazioni (dati tratti da www.notariato.it e riferiti all’anno 2005).
(3) Per queste considerazioni, v. G. ARICÒ - G. CESARO, op. cit., p. 11.
(4) In argomento, v. F. CARNELUTTI, «La figura giuridica del notaro», in Riv. not., 1951, p. 1 e ss., il quale osserva che «il giudice giudica in presenza di un inconveniente che si è già verificato, mentre il notaio giudica affinché l’inconveniente non si avveri», donde «tanto più notaio, tanto meno giudice»; sulla funzione di prevenzione delle controversie svolta dal notaio, v. anche N. LIPARI, «Rinnovamento del diritto privato e funzione del notaio», in Riv. not., 1973, p. 1033 e ss., S. TONDO, «Caratteri e prospettive dell’attività notarile», in Riv. not., 1966, p. 214 e ss.
(5) L’art. 28 della legge notarile (L. 16 febbraio 1913, n. 89) vieta al notaio di ricevere atti «espressamente proibiti dalla legge o manifestamente contrari al buon costume o all’ordine pubblico».
(6) V. cap. XV.
(7) Cfr. S. TONDO, «Caratteri e prospettive dell’attività notarile», in Riv. not., 1966, p. 218.
(8) Sulla funzione di adeguamento, v. F. D’ORAZI FLAVONI, «La responsabilità e le responsabilità del notaio», in Riv. notar., 1961, p. 383 e ss.; ID., «Sul contenuto della prestazione notarile», in Vita not., 1959, p. 107 e ss.; C. VOCINO, «Profilo dell’atto ricevuto da notaio», in Riv. not., 1968, p. 994 e ss.; G. PETRELLI, L’indagine della volontà delle parti e la “sostanza” dell’atto pubblico notarile, scaricato dal world wide web, all’indirizzo http//www.gaetanoptrelli.it, il 6 febbraio 2012.
(9) In dottrina si distingue ulteriormente tra adeguamento necessario ed adeguamento facoltativo. Il primo indicherebbe l’attività che il notaio deve necessariamente porre in essere per adempiere alla propria funzione, e può essere anteriore, coeva, oppure successiva alla stipula dell’atto (esempi ne sono il controllo di legalità e l’indagine circa la volontà delle parti, la registrazione e la trascrizione dell’atto). L’adeguamento facoltativo, invece, indicherebbe quella attività che il notaio, pur non dovendo istituzionalmente svolgere, effettua spontaneamente o su richiesta delle parti. Esempi della funzione di adeguamento facoltativo sarebbero lo svolgimento delle indagini fiscali e catastali.
(10) Sulle diverse modalità di intervento del notaio nel procedimento di mediazione civile, v. E. FABIANI - M. LEO, «Prime riflessioni sulla “mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civile e commerciali” di cui al D.lgs. n. 28/2010», in Riv. not., 2010, 4, p. 893; A. SANTI, Commento all’art. La mediazione per la composizione delle controversie civili e commerciali, a cura di M. Bove, Padova, 2011, p. 272 e ss.; B. CAPPONI, «Un nuovo titolo esecutivo nella disciplina della mediazione/conciliazione», in Riv. esec. forz., 2011, p. 1 e ss.
(11) Quale risultante dallo schema di decreto legislativo approvato dal Consiglio dei Ministri in data 28 ottobre 2009.
(12) E. FABIANI - M. LEO, op. cit., p. 15.
(13) Se la mediazione riesce, la conciliazione raggiunta non è altro che un contratto, cioè un atto delle parti, sia nel caso in cui siano le stesse parti a raggiungere un accordo amichevole, sia nel caso in cui l’esito favorevole sia stimolato dal mediatore con una proposta. Con la conciliazione, infatti, il mediatore supera la lite in base ad una valutazione degli interessi in campo, mentre la sentenza è derivata da un accertamento, vale a dire da una verifica di qual è il diritto nel caso concreto.
(14) Se, dunque, l’attività di autenticazione svolta dal pubblico ufficiale consente la formazione di un titolo idoneo alla trascrizione, è stato giustamente rilevato come non siano altrettanto chiare le finalità dell’autentica compiuta dal mediatore, posto che ai fini dell’esecuzione sarà comunque necessaria l’omologa giudiziale. In questo senso, v. B. CAPPONI, op. cit., p. 3.
(15) La disposizione contenuta nel terzo comma del citato art. 11 non è altro che un’applicazione dell’art. 2657 c.c., secondo il quale la trascrizione non si può eseguire se non in forza di sentenza, di atto pubblico o di scrittura privata autenticata. In questo senso, v. M. BOVE, L’accordo conciliativo, scaricato dal word wide web, all’indirizzo http//www.judicium.it, in data 6 febbraio 2012; R. TISCINI, L’esito positivo della mediazione civile e commerciale del D.lgs. n. 28/2010: il verbale di accordo, tra requisiti formali e pregi/difetti sostanziali, scaricato dal world wide, all’indirizzo http//www.judicium.it, il 6 febbraio 2012.
(16) In argomento, v. anche C. BRUNELLI, L’intervento del notaio per l’accesso dell’accordo di conciliazione nei registri pubblici, scaricato dal world wide web, all’indirizzo http//www.mondoadr.it, il 6 febbraio 2012.
(17) Sul principio di autenticità nell’ordinamento italiano dei pubblici registri, v. G. PETRELLI, «L’autenticità del titolo della trascrizione nell’evoluzione storica e nel diritto comparato», in Riv. dir. civ., 2007, I, p. 585.
(18) Il notaio, intervenendo nella veste di pubblico ufficiale, dovrà rispettare la normativa notarile, civilistica e tutte le norme che regolano in specie il contratto o l’atto che emerge dall’accordo; sarà altresì tenuto a fare tutti i preventivi controlli di legge relativi alla identità delle parti, alla loro capacità di agire e di disporre. Controllerà inoltre la legalità dell’accordo e svolgerà la sua funzione tipica di adeguamento, cosicché, pur trovandosi in presenza di un accordo, sarà tenuto a indirizzare la volontà delle parti nella direzione che meglio consenta di raggiungere gli scopi prefissati.
(19) F. PARENTE, «La mediazione conciliativa: dalla struttura della fattispecie all’architettura dl regime e degli effetti», in Riv. not., 2011, 4, p. 763 e ss., spec. p. 766; A. SANTI, Dovere di riservatezza, in AA.VV., La mediazione per la composizione delle controversie civili e commerciali, a cura di M. Bove, Padova, 2011, p. 251 e ss.
(20) E. FABIANI - M. LEO, op. cit., p. 17.
(21) E. FABIANI - M. LEO, op. cit., p. 18.
(22) Come sostiene P. BIAVATI, Commento all’art. 808-ter, in Arbitrato, diretto da F. Carpi, Bologna, 2007, p. 160 e ss., sul presupposto che sono le parti ad essere destinatarie del contratto e non gli arbitri.
(23) V. P. LICCI, Gli arbitrati “a modalità irrituale” nelle controversie di lavoro, scaricato dal world wide web, all’indirizzo http//www.eprints.luiss.it, in data 6 febbraio 2012, la quale, pur ritenendo che siano le parti a dover sottoscrivere il lodo ai fini dell’autentica, tuttavia non nasconde le difficoltà che potrebbero derivare dalla mancata sottoscrizione ad opera della parte soccombente.
(24) F. AULETTA, Le impugnazioni del lodo nel «Collegato lavoro» (L. 4 novembre 2010, n. 183), scaricato dal world wide web, all’indirizzo http//www.judicium.it, il 6 febbraio 2012.
(25) F. AULETTA, op. ult. cit.
(26) In questo senso, sia pure con riferimento al vecchio testo dell’art. 183 c.p.c., G. ARICÒ - G. CESARO, op. cit., p. 29.
(27) Nella relazione al d.d.l. si legge che le modifiche sono rese opportune dalla «necessità di agevolare nella forma e nei tempi, in alcuni casi almeno, cioè in assenza di figli, le unioni matrimoniali fallite, diminuendone i costi e consentendo di ricorrere allo strumento della convenzione matrimoniale, fiscalmente agevolata con apposita norma, attraverso il ministero del notaio, per sua natura professionale ed istituzionale atto a mediare le controversie con ben altra efficacia rispetto al giudice».
(28) Cfr. disegni di legge C/4933 ed S/3075, relativi alla «Conversione in legge, con modificazioni, del decretolegge 22 dicembre 2011, n. 212, recante disposizioni urgenti in materia di composizione delle crisi da sovraindebitamento e disciplina del processo civile».
|
 |
|